GRITTI, Michele
-Nacque a Venezia intorno al 1408, unico figlio maschio di Giorgio di Triadano, del ramo a S. Giovanni in Bragora, nel sestiere di Castello, e da Agnesina Soranzo di Marino. La data di nascita non è certa, ma può essere ricavata dal fatto che il 27 apr. 1431 il G., orfano di padre, fu iscritto alla balla d'oro dal cugino Triadano Gritti, che dichiarò sotto giuramento che il G. aveva più di 18 anni; l'8 maggio 1433 fu ancora Triadano a dichiarare agli avogadori di Comun che il G. aveva 25 anni compiuti, e quindi poteva assumere il comando di una galea. Da questa seconda testimonianza deriva che il G. non può essere nato dopo il 1408.
Probabilmente, però, per mare il G. non andò mai, o andò per breve tempo: la sua inclinazione lo spingeva infatti a guardare alle province della Terraferma da poco annesse allo Stato veneto; qui, nella pianura fra Mincio e Adda, era in atto un trentennale duello fra la Serenissima e il Ducato milanese; qui il G. ritenne di poter giocare le sue carte con l'esercizio delle armi: fu infatti uno fra i pochissimi veneziani a intraprendere la carriera del soldato di ventura; nel commentarne la singolare vicenda, il Mallett (1983) disse di lui che "nel quarto e quinto decennio del Quattrocento tenne il comando di una grossa compagnia […] con funzioni militari effettive", così da costituire, nella società veneziana, "un esempio clamoroso", con una scelta di vita assolutamente originale.
Il 20 maggio 1432 il G. era già al servizio della Repubblica e aveva ai suoi ordini 100 cavalieri; nel confermarne la condotta, la deliberazione senatoria lo definisce "nobilis noster […] ad presens ad stipendia nostra militans", accompagnando un positivo giudizio sulle sue capacità militari. Due settimane prima si era avuta l'esecuzione del Carmagnola, e quindi la Repubblica aveva bisogno di rinsaldare i ranghi dell'esercito, ma un anno dopo (26 apr. 1433) la pace di Ferrara - pur nella sua precarietà - consentiva ai contendenti di licenziare parte delle truppe: si spiegherebbe così la disponibilità dimostrata dal G. qualche giorno dopo (8 maggio) a impiegarsi nel servizio marittimo, come si è accennato sopra.
La ripresa del conflitto veneto-visconteo, nel 1436, consentì quindi al G. di riprendere l'esercizio delle armi. Nel 1437 è documentata la sua partecipazione alle operazioni militari, al comando di 100 cavalieri, mentre il 10 febbr. 1438 il Senato ordinava ai rettori di Brescia di corrispondergli 800 ducati per rafforzare il suo reparto.
Ce n'era bisogno perché sul campo gli avvenimenti avevano preso una brutta piega, in seguito alla vittoriosa offensiva del comandante delle truppe viscontee, Niccolò Piccinino, che il 2 ag. 1438 avrebbe ottenuto per tradimento la resa di Chiari dove il G. e i suoi furono catturati, e poi liberati, in uno scambio di prigionieri. Per la Repubblica fu un succedersi di sconfitte, solo in parte temperate dall'eroica difesa di Brescia: coraggiosamente guidata dal capitano Francesco Barbaro, che galvanizzò la popolazione inducendola a sostenere un assedio durato un anno e mezzo, la città finì per diventare il fulcro della guerra anche perché, nella primavera del 1439, il Piccinino valicò il Mincio e invase il Veronese e il Vicentino, costringendo il Gattamelata a rinchiudersi a Padova.
Non sappiamo se e in qual grado il G. abbia preso parte a questi avvenimenti; di certo è documentata la sua presenza a Venezia nel 1440, quando sposò Marina Canal del cavaliere Girolamo di Giovanni, di famiglia ricca e influente, da cui ebbe un unico figlio maschio, Andrea, con il quale si sarebbe estinto questo ramo dei Gritti, nel 1516.
Probabilmente il G. prese parte alle operazioni che portarono alla liberazione di Brescia dall'assedio (giugno 1440), dal momento che il 3 febbr. 1441 una ducale gli confermava per un anno la condotta, con decorrenza 1° marzo. Di lì a poco fu inviato da Francesco Sforza a presidiare Soncino con 600 cavalli, mentre le operazioni militari si frantumavano in inconcludenti scaramucce, senza mai pervenire a uno scontro risolutivo; il Piccinino, allora, il 19 marzo 1441, per aprirsi la strada verso l'Oglio, assediò la rocca di Soncino. Dopo un breve bombardamento alcuni soldati del G. si accordarono segretamente con i viscontei e aprirono le porte della città al nemico, consegnando il loro comandante nelle mani del Piccinino. Questi lo fece condurre prigioniero a Milano, dove il G. rimase sino alla fine di novembre, dopo di che venne liberato, come era previsto da una clausola della pace di Cavriana (20 nov. 1441).
Non era un reduce sofferente quello che tornava a Venezia, ma un uomo ricco e intraprendente, come dimostra l'acquisto di una vasta proprietà a Correzzo e Campalano, nella bassa Veronese, da lui effettuato giusto un anno dopo, il 30 nov. 1442. Si trattava di terre già appartenute ad Alvise Dal Verme, e poste in vendita dalla Signoria come beni confiscati a un ribelle; il G. se li assicurò per la bella cifra di 10.700 ducati d'oro, da versarsi in più rate. Il G., però, non disponeva della somma richiesta: probabilmente aveva osato troppo.
Per guadagnare, tornò a servire nell'esercito; la pace, infatti, aveva dimostrato subito la sua precarietà ed era stata violata da colpi di mano da una parte e dall'altra, per cui era facile prevedere una ripresa delle ostilità. Il 15 febbr. 1443 al G. venne rinnovata la condotta, ma limitata a 300 cavalli; la guerra aperta però non fu dichiarata così presto come sperava il G., ed egli si trovò privo di quelle occasioni di rapina e saccheggio sulle quali forse aveva avventatamente contato.
Il 12 febbr. 1444 il Consiglio dei dieci gli ingiunse di presentare all'ufficio della Ternaria i suoi presunti crediti, relativi al servizio prestato al campo; questo perché il G., risultando moroso nel pagamento delle rate, aveva reclamato nei confronti dello Stato, per via di certi arretrati. Poco più di due mesi dopo (29 aprile) lo stesso Consiglio dei dieci respingeva una richiesta di proroga dei pagamenti, avanzata dal G., che risultava debitore di 28.248 lire; poco prima, infatti, lo stesso magistrato aveva deciso di adottare misure più severe contro gli acquirenti di beni pubblici che poi dilazionavano i tempi del pagamento. Era, questo, un effetto dell'esaurimento delle risorse finanziarie della Repubblica, impegnata su due fronti, in Italia e nei Balcani.
Quel che successe poi non è noto, ma possiamo arguirlo da un documento del 28 giugno 1447 col quale il Consiglio dei dieci ordinava a Benedetto di Omobono, cugino del G., di far sapere al proprio congiunto (col quale risulta essere in corrispondenza) che entro la metà di agosto doveva lasciare il servizio del duca di Milano, "hoste nostro publico", pena la confisca dei beni. La deliberazione dei Dieci precisa inoltre che il G. si era posto al servizio del duca di Milano con il suo reparto. Il tono dell'ingiunzione, a guardar bene, non fu dei più severi; i Dieci manifestarono sdegno, ma lasciarono aperta la porta a un ripensamento da parte del G., che probabilmente, dal canto suo, approfittò dell'occasione per lasciare il Visconti, che di lì a poco sarebbe morto.
Rimpatriando, il G. non aveva tuttavia migliorato la propria situazione, non dal punto di vista economico almeno. Il 4 giugno 1449 si celebrò un processo fra la Comunità di Verona da una parte, e il G. e Bartolomeo Gabriel dall'altra, per certi diritti relativi a beni acquistati dai veneziani, ma rivendicati dalla città di Verona. Il 4 febbr. 1450 il G. risulta esser stato privato di queste proprietà, in quanto insolvente nel pagamento. Si noti: il G. è privato delle sue proprietà non perché traditore, ma semplicemente per insolvenza; inoltre non è più definito, come in altre occasioni, "insignis armorum capitaneus", ma semplicemente "magnificus dominus", il che fa pensare che avesse ormai concluso la sua carriera militare.
Le campagne di Correzzo e Campalano furono poste all'asta dai governatori delle Entrate il 18 maggio 1451, come beni "altre volte venduti a missier Michel Griti", e acquistate da un consorzio di quattro compatroni, due dei quali erano parenti stretti del G. (il cugino Triadano e suo figlio, Luca Gritti), per cui non si può escludere trattarsi di una manovra ove i familiari abbiano svolto, almeno in parte, la funzione di prestanome; ciò spiegherebbe un successivo tentativo di invalidamento dell'operazione, da parte dell'avogador di Comun, Alvise Foscarini.
Nient'altro sappiamo del G.; morì certamente prima del 9 giugno 1459, quando le fonti segnalano che sua moglie, rimasta vedova, si risposò con Nicolò Cavalli di Giacomo, esponente di una famiglia di ricchi latifondisti veronesi ormai inseriti nel patriziato veneziano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, c. 181; Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 163, c. 274r; Prove di età per patroni di galere, reg. 177, c. 48r; Senato, Misti, regg. 58, c. 120r; 60, c. 57r; Consiglio dei dieci, Misti, regg. 12, cc. 146v, 151v, 153v; 13, cc. 76r, 79r; Avogaria di Comun: G. Giomo, Indice per nome di donnadei matrimoni dei patrizi veneti, s.v.Canal, Marina; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. P.D., C 991/4; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae…, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 2, p. 102; Cristoforo da Soldo, La cronaca, a cura di G. Brizzolara, ibid., 3, pp. 13, 52; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, pp. 247, 263, 276; G.B. Rota, Il Comune di Chiari. Memorie storiche e documenti, Brescia 1880, p. 126; C. Pasero, Il dominio veneto fino all'incendio della Loggia, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, p. 52; G.M. Varanini, Il distretto veronese nel Quattrocento, Verona 1980, p. 111; M. Mallett, Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento, Bologna 1983, p. 219; M. Mallett - J.R. Hale, The military organisation of a Renaissance State. Venice c. 1400 to 1617, Cambridge 1984, p. 206.