GUINIGI, Michele
Terzo e ultimo figlio di Lazzaro di Bartolomeo, nacque a Lucca intorno agli anni Trenta del Trecento; apparteneva al ramo della famiglia che a Lucca più di tutti fu coinvolto in vicende politiche, oltre che economiche, nel secolo XIV. Dedito fin da giovanissimo all'attività di mercante, si impose rapidamente quale figura di sicuro prestigio non soltanto a livello cittadino, quanto piuttosto a livello internazionale.
Molti documenti provano la sua parte attiva nel commercio, in particolare della seta e dei panni di lana. Fu socio di primo piano nella compagnia intitolata al cugino Dino di Nicolao Guinigi, nella quale era presente gran parte dei suoi congiunti.
Ricoprì spesso incarichi cittadini: fu anziano nel 1371 (novembre-dicembre), nel 1373 (gennaio-febbraio), nel 1377 (novembre-dicembre), nel 1380 (gennaio-febbraio), nel 1382 (luglio-agosto), nel 1384 (marzo-aprile), nel 1385 (novembre-dicembre), nel 1387 (novembre-dicembre), nel 1390 (novembre-dicembre), nel 1396 (luglio-agosto); mentre nel 1376 (luglio-agosto) e nel 1389 (gennaio-febbraio) fu nominato gonfaloniere; intervenne inoltre regolarmente alle riunioni del Consiglio generale e a quelle del Consiglio dei trentasei, in qualità di membro ordinario o invitato; tra il 1370 e il 1390 le ripetute assenze dalla città, dovute il più delle volte a ragioni professionali, ma in qualche caso legate ad altre evenienze, come l'emergenza della peste nell'estate del 1373, ridussero temporaneamente la sua partecipazione alla vita politica cittadina.
Dopo la morte del fratello Francesco (5 giugno 1384) egli fu tra coloro che ne gestirono la difficile eredità politica, oltre che economica e professionale. Non abbandonò l'attività di mercante, nonostante i suoi interessi si concentrassero progressivamente sulla vita cittadina nella quale si era fatto più evidente il processo di polarizzazione della lotta politica tra la fazione capeggiata dalla famiglia Forteguerra e quella sostenuta dai Guinigi. Quello stesso anno il G. fu scelto, con Giovanni Mingogi e Martino Arnolfini, fra i tre cittadini chiamati all'amministrazione della "deposita", il fondo creato alcuni anni prima, per ispirazione del fratello Francesco, per sopperire alle spese straordinarie, frequenti in quel periodo.
In quel torno di tempo, nel quale il G. e la sua famiglia videro fortemente ridimensionata la propria influenza negli affari di governo rispetto all'età di Francesco, egli insieme con il cugino Dino di Nicolao fu comunque personaggio di punta della vita politica ed economica cittadina. Nella seconda metà degli anni Ottanta la fazione avversa si assicurò il sopravvento; un duro colpo, in particolare, fu quello assestato grazie alla propaganda svolta da Forteguerra Forteguerra con l'abolizione dei Conservatori della libertà, a suo tempo voluti da Francesco Guinigi, e la creazione dei Commissari di palazzo. In questa magistratura, nuovamente istituita nel 1386 con una maggioranza forteguerriana, entrò a far parte però, a testimoniare il suo peso politico, lo stesso Guinigi.
Ancora nel 1386 fu designato tra i componenti della commissione deputata ad accogliere Urbano VI, che si accingeva a raggiungere Lucca per sostarvi per qualche tempo, e partecipò ripetutamente all'attività di svariate commissioni con competenze politiche o finanziarie.
Il parere del G., uno dei cittadini per i quali si conta forse il maggior numero di interventi alle pubbliche assemblee, era tenuto in grande considerazione. Più volte fu chiamato a ricoprire delicate missioni diplomatiche e dovette godere di grande credibilità presso la Curia di Roma se è vero che, nel 1379, fu inviato ambasciatore a Pisa da Urbano VI, per il quale agiva da collettore delle decime apostoliche.
Attiva fu la sua presenza in seno alla Corte dei mercanti dove, per quanto risulta da una documentazione sfortunatamente lacunosa, ricoprì a più riprese la carica di consigliere. Già console nei mesi di ottobre e novembre del 1380, nel 1389 fu console pro maiori mercantia, pro arte sete.
Il suo prestigio personale di mercante fece sì che fosse invitato e consultato su decisioni di varia natura, come quando si discusse sui provvedimenti da prendere riguardo ai lavoranti della seta che lasciavano la città esportando materiali e competenze, contrariamente alle disposizioni statutarie (in quell'occasione fu eletto tra i sei cittadini ai quali fu attribuita piena facoltà di applicare sanzioni).
Nel luglio 1390 il partito guinigiano ottenne un vantaggio notevole nella creazione delle liste degli Anziani, valide per il biennio successivo; la partecipazione del G. al Collegio che provvide alla stesura di quelle liste non dovette essere estranea all'impronta che esse ebbero. Ne seguì un momento di gravissime tensioni, che sfociarono nel conflitto armato del 12 maggio 1392: il palazzo degli Anziani fu occupato dai Guinigi e dai loro partigiani e il gonfaloniere in carica, Forteguerra Forteguerra, venne ucciso. In quell'occasione la posizione del G. fu improntata alla moderazione: risulta infatti che, dopo l'assassinio del gonfaloniere, alcuni partigiani dei Forteguerra trovarono rifugio proprio nella sua casa.
Grande fu la risonanza di quelle drammatiche giornate; lo stesso G., scrivendone qualche tempo dopo all'amico Franco Sacchetti, commentava che "ora per la grazia di Dio la terra è tutta bene addirizzata, e posta in vera libertà; e benché altramente sia stato detto di noi, mai non la desiderammo in altra forma: e di due cose vogliamo essere li maggiori, alla fatica e alla spesa; e la pruova se n'è veduta e vederà". Il progressivo consolidamento della posizione dei Guinigi si realizzò da allora intorno all'operato del nipote del G., Lazzaro di Francesco.
Sulla figura e sul ruolo del G. in questi anni cruciali non insiste il cronista Giovanni Sercambi, che comunque lo riconosceva senz'altro come uno dei capi della fazione: un ruolo che apparve in tutta la sua evidenza quando l'intero casato conobbe un momento di grave crisi dovuto all'assassinio (15 febbr. 1400) di Lazzaro di Francesco Guinigi a opera del fratello Antonio e del cognato Nicolao Sbarra, nonché all'insorgere, nell'estate successiva, di una grave pestilenza durante la quale trovarono la morte molti personaggi di punta della fazione.
Racconta Sercambi, protagonista di primo piano dei fatti che si sarebbero di lì a poco risolti nella proclamazione della signoria, di essersi rivolto nel maggio del 1400 ai capi ancora in grado di esercitare il proprio potere per sottoporre alla loro attenzione la necessità di prendere provvedimenti; nonostante il G. fosse all'epoca già "infermo d'infermità incurabile" (Croniche, III, p. 7), affetto da quella malattia che lo avrebbe portato di lì a poco alla morte, la sua autorità aveva ancora un peso imprescindibile, se è vero che proprio a lui per primo il cronista espose i piani per l'acquisizione della signoria; le precarie condizioni di salute del G. sarebbero state ancora invocate da Sercambi per giustificare i provvedimenti eccezionali presi per fronteggiare la crisi.
Il G. morì a Lucca l'11 ott. 1400. Fu sepolto nella cappella di famiglia, nel chiostro della chiesa di S. Francesco.
Nel 1371 aveva sposato Filippa, figlia di Rosso dei Buondelmonti di Firenze, e le nozze furono celebrate a Lucca. Il 13 ag. 1375 nacque il primo e unico figlio maschio, Giovanni; Filippa generò quindi nel 1377 Ginevra - che morì pochi giorni dopo il parto -, nel 1380 Rabiluccia e nel 1381 un'altra bambina, anch'essa chiamata Ginevra. Nel 1383, in occasione di una grave pestilenza che si era abbattuta sulle campagne lucchesi, il G. abbandonò la città insieme con "tutti quelli di chasa" (Archivio Guinigi, 151, c. 5r); il 4 agosto morirono Filippa e la figlia Rabiluccia. Il G. si risposò il 28 ott. 1384 con Dea di Deio Malvolti di Siena; da questo matrimonio nacquero sei figlie: Antonia, Rabiluccia, Iacopa, Giannella, Chiara e Mante.
La posizione patrimoniale del G. fu quella di un mercante molto facoltoso, oculato e scrupoloso amministratore di una vasta proprietà immobiliare, oltre che di una delle fortune finanziare più ragguardevoli della città. Presso l'Archivio di Stato di Lucca (Archivio Guinigi, 151) è conservato un volume la cui stesura fu intrapresa il 1° genn. 1384 e nel quale egli tenne memoria dell'amministrazione dei propri possessi mobiliari e immobiliari, nonché di fatti riguardanti la vita familiare. Occasione per la stesura di tale registrazione fu certamente la divisione dei beni promossa dai tre fratelli - il G., Francesco e Nicolao - e realizzata il 5 maggio 1384, poco tempo prima della morte di Francesco; soltanto il "palagio nuovo", il casamento nella contrada dei Ss. Simone e Giuda, fin dall'inizio individuato e concepito come la vera e propria dimora di famiglia, rimase possesso indiviso. È noto tuttavia per via documentaria che Francesco e Nicolao abitarono il palazzo fino alla morte, mentre il G. si ritirò negli ultimi anni in una casa vicina. Con Lazzaro, uno dei figli del fratello Francesco e capo politico del casato fino alla sua morte nel 1400, il G. ebbe rapporti economici stretti e solidali; nel 1388 i due acquistarono il palazzo e le proprietà già appartenuti a Francesco Castracani degli Antelminelli, situati a Catureglio, nel contado lucchese, insieme con tutto il colle del Bargiglio e quello della Cuna, dove il Castracani aveva esercitato una sorta di giurisdizione personale (per la documentazione cfr. Archivio Guinigi, in particolare nn. 2, 3, 49).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, 151, c. 5r; 264, c. 249; Consiglio generale, 10, pp. 18, 51, 100, 114, 117, 128, 151, 243, 252, 257, 286, 289, 313, 326, 335 s., 417, 423, 433, 502, 506, 548 s., 555, 576, 580, 587; 11, pp. 15, 64, 86, 114, 117, 134, 142, 155, 247, 317, 328, 330, 373, 444, 451, 495, 503, 523; 12, pp. 96, 176, 204, 226, 282, 413 s., 417, 461; 13, pp. 142, 182, 188 s.; Corte dei mercanti, 14, c. 6r; 15, c. 12v; 16, cc. 14r-15v, 16v, 17v, 19v, 21v, 27r; Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, IX, Lucca 1825, p. 110; Sonetti e lettere di Franco Sacchetti e di M. G., a cura di C. Minutoli, Lucca 1855; F. Sacchetti, I sermoni evangelici, le lettere ed altri scritti inediti o rari, a cura di O. Gigli, Firenze 1857, pp. XXXII, 199-205; G. Sercambi, Croniche, a cura di S. Bongi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIX-XXI, Roma 1892-93, I, pp. 261, 279; II, pp. 271 s., 277; III, pp. 7 s., 11, 338, 398 s.; Regesti del R. Archivio di Stato in Lucca, II, Carteggio degli Anziani dal 1333 al 1400, a cura di L. Fumi, Lucca 1903, ad ind.; Inventario dell'Archivio di Stato in Lucca, VI, Archivi gentilizi, a cura di D. Corsi, Lucca 1961, pp. 360, 371, 387, 440; P. Pittino Calamari, Il memoriale di Iacopo di Coluccino Bonavia medico lucchese (1373-1416), in Studi di filologia italiana.Bull. dell'Accademia della Crusca, XXIV (1966), pp. 352, 372 s.; Riformagioni della Repubblica di Lucca (1369-1374), a cura di A. Romiti - G. Tori, Roma 1980-98, ad ind.; C. Belloni, Diz. storico dei banchieri italiani, Firenze 1951, p. 116; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, pp. 51-53; C. Meek, Lucca 1369-1400. Politics and society in an early Renaissance City-State, Oxford 1978, pp. 62, 69, 199, 202, 207 s., 210 s., 228 s., 251, 253-255, 259, 268, 331, 333 s., 336, 340 s., 363, 369, 375; M. Paoli, Arte e committenza privata a Lucca nel Trecento e nel Quattrocento. Produzione artistica e cultura libraria, Lucca 1986, pp. 34 s., 146, 152.