LESSONA, Michele
Nacque a Venaria Reale, vicino Torino, il 20 sett. 1823 da Carlo e Agnese Maria Cavagnotti. Il padre era docente di medicina veterinaria nella Scuola di Venaria, della quale fu anche direttore. Dopo avere ricevuto una prima educazione in famiglia e con insegnanti privati, nel 1834 il L. si trasferì a Torino, dove frequentò le scuole superiori per poi iscriversi, nel 1840, alla facoltà di medicina. Conseguita la laurea nel 1846, fu medico presso l'ospedale torinese di S. Giovanni. Nel novembre di quell'anno, per sposare Maria Ghignetti contro il volere della famiglia, lasciò precipitosamente Torino per la Francia, e si recò in seguito a Malta e in Grecia. Giunto infine in Egitto, dove nel novembre del 1847 nacque una figlia, il L. divenne assistente del medico del viceré, al seguito del quale viaggiò ancora per il Mediterraneo. Ritornò in seguito a Khankah, vicino a Il Cairo, dove fu direttore dell'ospedale locale. Perduta nel 1848 la moglie in un'epidemia di colera, nel 1850 tornò con la figlia a Torino, dove lasciò la pratica medica per la carriera naturalistica che gli diede vasta notorietà quale convinto evoluzionista e divulgatore scientifico.
Il L. aveva avuto i primi contatti con le scienze naturali e la tradizione evoluzionistica lamarckiana attraverso il padre, che aveva studiato all'École nationale vétérinaire di Alfort ed era stato amico di naturalisti come F.A. Bonelli e F. Re. Da studente il L. aveva frequentato a Torino le lezioni di G. Genè, successore di Bonelli nella cattedra di zoologia e, durante il soggiorno in Egitto, aveva coltivato interessi naturalistici dedicandosi allo studio della fauna locale con A. Diamanti, anch'egli medico e appassionato di zoologia.
Ritrovatosi in Italia con poche prospettive professionali concrete, il L. si rivolse a F. De Filippi, dal 1847 docente di zoologia e direttore del Museo zoologico dell'Università di Torino, che lo fece assumere come insegnante di scienze naturali nelle scuole superiori. Nel 1854 il L. ottenne la cattedra di scienze naturali all'Università di Genova, che mantenne per dieci anni, e iniziò l'attività di giornalista. Durante il periodo genovese sposò in seconde nozze Adele Masi (1824-1904), vedova di G.B. Pollonera e madre di tre figli, con la quale ebbe poi altri sei figli.
Nel 1861, con G. Canestrini, G. Doria e P.M. Ferrari, il L. fondò il periodico Archivio per la zoologia, l'anatomia e la fisiologia. L'anno successivo partì con De Filippi per un viaggio in Persia, unendosi a una missione diplomatica e scientifica del governo italiano. Il viaggio fu un importante passo verso la notorietà e fornì al L. dati e informazioni naturalistiche ed etnografiche che utilizzò per anni nella sua attività di pubblicista, divulgatore e conferenziere (I Babi, Torino 1881).
In quegli anni, intensificò l'attività giornalistica scrivendo numerosi articoli di divulgazione scientifica per il Movimento, Liguria medica e la Gazzetta di Torino, che raccolse in seguito in alcuni volumi di successo (tra i più noti: Gli acquari, Torino 1862; Ore perdute, Genova 1864, insieme con De Filippi; Dopo il tramonto, ibid. 1864; Conversazioni scientifiche, I-IV, Milano 1865-74). Tra il 1864 e il 1865, insieme con G. Boccardo, docente di economia all'Università di Genova e giornalista, il L. pubblicò il settimanale La scienza a dieci centesimi, interessante tentativo di introdurre in Italia un genere di periodico divulgativo sul modello di quelli francesi di grande successo in quegli anni. Il L. combinò questi suoi impegni con un'assidua attività di conferenziere e non abbandonò neppure l'insegnamento nelle scuole, esperienza che seppe mettere a frutto redigendo manuali scolastici che furono tra i primi a introdurre nelle scuole italiane la teoria evoluzionistica darwiniana e che ebbero ampia circolazione e numerose edizioni (tra gli altri: Nozioni elementari di scienze naturali ordinate secondo il programma ministeriale per le scuole normali e magistrali, Torino 1860; Primi elementi di scienze fisiche e naturali per le scuole normali magistrali, Genova 1862; Elementi di fisica e di storia naturale ad uso delle scuole tecniche, Torino 1863; Primi elementi di scienze fisiche e matematiche ordinati secondo l'ultimo programma ministeriale per le scuole normali e magistrali, ibid. 1863).
Nel 1864 il L. fu nominato ordinario di zoologia all'Università di Bologna, ma l'anno successivo fu chiamato come supplente sulla cattedra di Torino, per sostituire De Filippi, partito per un nuovo viaggio. Quando, nel febbraio del 1867, De Filippi morì a Hong Kong, il L. assunse definitivamente la cattedra torinese - cui fu aggiunto l'insegnamento dell'anatomia comparata - nonché la direzione del Museo di zoologia.
Fino al 1867, il L. aveva pubblicato sette memorie: due mediche, sul colera in Egitto e in Sardegna, e cinque zoologiche. L'articolo scientifico di maggior rilievo fu pubblicato subito dopo (Notes sur la Salamandrina perspicillata, in Proceedings of the Zoological Society of London, 23 apr. 1868, pp. 254-264; ripubbl. in lingua italiana, Nota intorno alla riproduzione della Salamandrina perspicillata, in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, X [1875], 150, pp. 47-57). Nell'intero corso della sua vita accademica il L. scrisse quarantasei articoli scientifici, spesso apparsi negli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino; fra questi, otto erano relazioni sui lavori di colleghi, gli altri, con poche eccezioni, erano studi su alcune specie della fauna ligure e piemontese.
Nel 1869 il L. pubblicò a Firenze il libro che gli assicurò una vasta e duratura notorietà: Volere è potere. Scritto nello stile moraleggiante dell'inglese S. Smiles, con Cuore di E. De Amicis e Il Bel Paese di A. Stoppani, Volere è potere fu in Italia tra le opere più vendute dell'Ottocento.
Già dal 1865, intanto, era iniziata l'impegnativa impresa del L. come traduttore di autori come F.-A. Pouchet, J. Lubbock, M. Foster, E. Haeckel, S. Smiles, L. Figuier, J. van der Hoeven, A. Pokorny, A.E. Brehm e altri. In veste di traduttore il L. acquistò ulteriore fama presso un pubblico vasto, traducendo per la Unione tipografico-editrice di L. Pomba tre libri di C. Darwin (L'origine dell'uomo, Torino 1871; Viaggio di un naturalista intorno al mondo, ibid. 1872; La formazione della terra vegetale per l'azione dei lombrici, ibid. 1882). Dal 1877 al 1880 il L. fu rettore dell'Università di Torino, esperienza su cui scrisse un libro che, data la schiettezza con cui rappresentò l'ambiente universitario, si rivela utile per comprendere la storia delle istituzioni scientifiche italiane (Confessioni di un rettore, Torino 1880). Nel 1881 il L. fu eletto presidente della R. Accademia di medicina di Torino e nominato membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Evoluzionista tra i più entusiasti, nel 1883 scrisse un libro su Darwin, che ammirava profondamente, come scienziato e come uomo: il volume è considerato una tra le più rilevanti testimonianze della diffusione dell'evoluzionismo in Italia (Carlo Darwin, Roma 1883).
Nel 1884 il L. raccolse in un libro numerosi articoli commemorativi scritti in occasione della morte di scienziati e colleghi. Si tratta di brevi note biografiche dalle quali emergono immagini della scienza di particolare interesse e che non indulgono al nazionalismo tipico di quegli anni (Naturalisti italiani, Roma 1884).
Il L. fu membro di numerose società scientifiche e nel 1889 fu eletto presidente dell'Accademia delle scienze di Torino. Nominato senatore del Regno nel 1892, fu tuttavia sempre e in primo luogo a Torino che il L. realizzò il proprio impegno in campo sociale e politico: continuò a esercitare la professione di medico per le società operaie cittadine, dove di frequente teneva conferenze scientifiche, e fu a lungo consigliere comunale, eletto la prima volta nel 1877 e sempre riconfermato nelle successive elezioni, fino al 1893.
Il L. morì a Torino il 20 luglio 1894.
Prima medico e poi naturalista, il L. firmò la traduzione di migliaia di pagine di libri ed enciclopedie di storia naturale, scrisse decine di articoli per riviste di varia levatura e spessore, compilò manuali scolastici, volumetti naturalistici, e curò interi dizionari (Dizionario universale di scienze, lettere ed arti, diretto da M. Lessona - C.A. Valle, Milano 1875). Tutto questo, come il L. stesso ammetteva, difficilmente poteva coesistere con le attività di laboratorio e sul campo, proprie dello scienziato naturalista. D'altra parte, quello che al L. sembrava il primo dovere di un docente universitario nella difficile situazione postunitaria era la dedizione alle nuove generazioni, l'unica strada, a suo dire, per contribuire a migliorare le difficili condizioni del Paese. Con la sua opera il L. mostrò che vi era affinità e una perfetta continuità tra la vocazione del professore e quella del divulgatore, impresa in cui con serietà artigianale e rigore espresse il meglio di sé.
Tale straordinaria attività si poté realizzare solo grazie all'aiuto di tutta la famiglia del L., che funzionò come un laboratorio, familiare ed editoriale insieme, dove la seconda moglie, Adele Masi, giocò un ruolo decisivo, sebbene poco visibile. La corrispondenza del L. e alcune testimonianze dell'epoca rivelano come dietro alla firma del L. si nascondesse un'intensa trama di collaborazioni: la moglie, le figlie, i figli e diversi altri, fra cui, in particolare, T. Salvadori. Della Masi sono rimaste poche tracce e un'unica pubblicazione firmata (Un giorno a Madera. Una pagina dell'igiene d'amore di Paolo Mantegazza, in Nuova Antologia, febbraio 1869, pp. 396-401), ma gli esigui indizi appaiono coerenti nel restituirci una figura di donna dalle qualità non comuni. Forse anche grazie all'organizzazione del lavoro dei Lessona Masi, coordinata e controllata con rigore dal naturalista, la pubblicistica del L. non cadde nelle contraddizioni, esagerazioni retoriche o nella demagogia che non risparmiavano altri scienziati divulgatori. Il pensiero del L., infatti, emerge coerente dalle sue opere "per il popolo", in cui egli sa comunicare al lettore un messaggio ottimistico, ma che nulla nasconde della fatica di impegnarsi nel lavoro, qualunque esso sia. Dichiaratamente laico e anticlericale, il L. si dimostrò tuttavia privo dello spirito provocatorio di molti contemporanei: ma se non lanciò proclami nello stile degli scienziati materialisti contemporanei, non si piegò nemmeno al compromesso, come accadeva di frequente a quegli autori che si proclamavano antireligiosi, ma predicavano affinché il "popolo" e le donne rispettassero i precetti cattolici per non turbare l'ordine sociale. Il L. fu liberale in politica e sostenitore di una severa moralità civile e del lavoro che concepiva unitamente a una spiritualità affidata alla cultura e alla cura dei rapporti umani. Divulgò un'idea di progresso sociale realizzabile attraverso la diffusione del sapere in ogni strato della popolazione, incluse le donne, verso la cui condizione di inferiorità fu particolarmente sensibile, ritenendola il sintomo di una generalizzata e profonda arretratezza italiana rispetto ad altri Paesi. Il sapere che aveva in mente il L. era certamente in primo luogo scientifico, ma non esclusivamente tale: è presente nelle sue opere l'idea di un programma educativo in cui le dimensioni scientifica, umanistica ed etica s'intrecciano profondamente.
All'intensa attività di scienziato e di divulgatore scientifico, il L. aggiunse un'impegnata attività di scrittore-educatore. Egli apparteneva a quel settore della cultura italiana ottocentesca postunitaria che, lungi dall'assumere di fronte all'Unità un atteggiamento di delusione e di disprezzo, di "deprecatio temporum" nei riguardi del paese reale, pur consapevole dei problemi che si ponevano, si sforzò di colmare il divario con le masse popolari e di restituire agli intellettuali un ruolo di guida morale e civile. Alla tradizione pedagogica piemontese il L. associò una tendenza a guardare oltre i confini della penisola, a esempi stranieri, a suo avviso indispensabili stimoli per il conseguimento di un'identità nazionale analoga a quella degli altri Paesi europei.
Così, al contributo da lui dato alla conoscenza della teoria evoluzionistica darwiniana in Italia, il L. unì il sostegno all'ingresso in Italia della letteratura smilesiana e self-helpista, cosiddetta dallo scrittore scozzese S. Smiles, autore del libro Self-help (1859), tradotto per la prima volta in italiano nel 1865 da G. Strafforello col titolo significativo di Chi si aiuta Dio l'aiuta, ovvero Storia degli uomini che dal nulla seppero innalzarsi ai più alti gradi in tutti i rami della umana attività (Milano): significativo perché vi compariva il nome di Dio, assente nell'originale inglese. Il libro ebbe 73 edizioni in circa cinquant'anni, che si susseguirono fino al primo Novecento. Altri scritti di Smiles furono tradotti in italiano e alcuni anche dal Lessona.
L'opera di Smiles era ispirata dalla considerazione dell'autonomia morale dell'individuo, dalla sua capacità di fare da sé, di operare con le proprie forze, con il lavoro, per raggiungere un successo aperto a tutti nei vari campi di attività, ed era suffragata da una molteplicità di esempi e testimonianze. Si trattava della "versione secolarizzata" (Baglioni) di una tradizione religiosa e culturale propria del calvinismo. Altro modello anglosassone allora presente in Italia, sempre grazie alla diffusione di alcune traduzioni, poteva esser considerata la figura di self-made-man e l'opera filantropica dello statunitense B. Franklin.
Sulla scia di questa letteratura, il L. scrisse nel 1869 la sua opera maggiore, Volere è potere (Firenze), nata su invito di G. Barbera, editore torinese poi trasferitosi a Firenze, che si proponeva di pubblicare con esempi italiani un libro simile a quello dello Smiles, da presentare a un concorso bandito dall'Associazione per l'educazione del popolo di Firenze. La preparazione dell'opera fu sostenuta dal governo, in particolare dal ministro degli Esteri L.F. Menabrea, che alla fine del 1867 scrisse una circolare ai consoli italiani all'estero, invitandoli a raccogliere dati riguardanti cittadini italiani che avevano conseguito successo in virtù delle proprie forze.
In Volere è potere il L. ricordava, andando anche oltre la realtà dei fatti, come l'Unità, unanimemente voluta, fosse stata raggiunta a prezzo di sacrifici e di perseveranza, ma ora si trattava di affrontare nuovi problemi, per portare l'Italia al livello dei Paesi più avanzati. Così egli percorreva le principali città, da Palermo a Torino, e le regioni della penisola, rievocando le glorie passate, colpendo impietosamente i presenti limiti e difetti, ma illustrando anche, in ciascuna di esse, vite esemplari di uomini i quali, nonostante l'umiltà delle origini e gli ostacoli e le traversie affrontati, erano riusciti a emergere facendo leva sulla propria volontà, sulla tenacia, sul lavoro, sull'istruzione, virtù riassumibili in un'etica sostanzialmente laica e contrapposte all'ignoranza, all'ozio, alle superstizioni, all'incuria della dignità personale, all'invidia e all'ira, al municipalismo: "nemici d'Italia ben più pericolosi e tremendi che l'austriaco non fosse" (Volere è potere, p. 37).
L'opera, che raggiunse in pochi anni una tiratura di 20.000 copie e che ebbe in complesso quattordici edizioni, si rivolgeva sia ai ceti borghesi sia a quelli popolari; promuoveva l'attivismo industrialistico degli imprenditori e sosteneva l'ascesa sociale dei ceti inferiori, raffigurando, piuttosto ingannevolmente, una società aperta e mobile, che consentiva mutamenti di status e di ruolo. Non solo consacrava la raggiunta Unità, ma legittimava l'unione delle province meridionali al nuovo Stato, sottolineandone la capacità di riscatto, offrendo loro modelli civili e culturali, soprattutto dell'Inghilterra, della Germania, della Svizzera e auspicando traduzioni di libri di quei Paesi. Criticava coloro che ritenevano pericolosa la diffusione dell'istruzione nel popolo, nel timore di suscitare il desiderio di uscire dal proprio stato e aspirazioni egualitarie; sosteneva che la lettura, la scrittura, la cultura, anche quella scientifica, facevano l'uomo, l'operaio e il contadino, persone civili; allo stesso modo criticava coloro che volevano la donna poco istruita, chiusa e affaccendata solo in casa, e replicava che la donna colta e operosa aveva un più alto concetto della propria dignità, dell'importanza del suo ruolo, dei doveri verso i figli e che laddove, come in Svizzera, in Inghilterra e altrove, le donne spesso affiancavano i mariti lavorando anche loro, la qualità della vita era migliore e tra le pareti domestiche maggiormente regnavano la concordia e la pace. Ironizzava sulla mania dei pavidi di rivolgersi agli impieghi cercando in essi rifugio e salvezza dalle lotte della vita, come pure di aspettarsi e di voler tutto dal governo, non sostenendolo, ma considerandolo anzi il nemico naturale del cittadino. Un messaggio, dunque, complesso, contraddittorio, funzionale certo agli interessi dei benestanti, ma non propriamente negativo per i ceti inferiori e in genere per la popolazione.
Volere è potere era diffuso dai cataloghi delle biblioteche popolari e da quelli delle società di mutuo soccorso; ebbe anche un certo numero di imitazioni. Il L. scrisse anche le Memorie di un vecchio professore (Roma 1898).
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