LOSACCO, Michele
Nacque a Napoli, il 29 giugno 1871, da genitori di origini pugliesi: il padre Luigi era notaio; la madre, Maria Angela Cognetti De Martiis, era sorella dell'economista Salvatore, docente all'Università di Torino. Dopo avere svolto gli studi secondari in collegio, il L. si laureò in lettere nel 1893 presso l'Università di Napoli, dove ebbe come maestro M. Kerbaker. Dedicò i suoi primi studi al pessimismo di G. Leopardi e ai rapporti del pensiero leopardiano con la filosofia del Settecento: Il sentimento della noia nel Leopardi e nel Pascal, in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, XXX (1894-95), pp. 920-934; Per gli antecedenti della "Ginestra", in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXVII (1896), pp. 289-340 (rivista nella quale il L. pubblicò altri articoli negli anni 1899-1900); Contributo alla storia del pessimismo leopardiano e delle sue fonti, parte I (unica pubblicata), Trani 1896.
Recensendo quest'ultimo saggio nel Giorn. stor. della letteratura italiana (XXVIII [1897], pp. 184 s.), R. Renier riconosceva all'autore "mente perspicace" e "attitudini speculative", addebitandogli nel contempo di aver dato "troppo poca" importanza all'"elemento patologico" del pessimismo leopardiano, a suo avviso "dipendente da degenerazione famigliare e da costituzione anomala". La formazione intellettuale del L., senza dubbio segnata dal positivismo, era evidentemente immune da deteriore determinismo biologico.
Docente nei licei-ginnasi fin dall'ottobre 1895, il L. nel 1901 conseguì, sempre a Napoli, la laurea in filosofia, pur continuando negli anni successivi a insegnare italiano nei licei di Sessa Aurunca, Trani, Maddaloni e Pistoia (1908-26). Ma i suoi interessi e la sua produzione intellettuale si erano oramai decisamente orientati verso la filosofia, a cominciare dal saggio su Le dottrine edonistiche italiane del secolo decimottavo (Napoli 1902), che B. Croce giudicò "una nitida esposizione ed un accurato comento delle dottrine circa il piacere e il dolore" (in La Critica, I [1903], p. 154). Negli anni successivi il L. si dedicò allo studio di F.W.J. Schelling: dopo aver tradotto, per la collana dei "Classici della filosofia moderna" di Laterza, il Sistema dell'idealismo trascendentale (Bari 1908) e le Ricerche filosofiche su la essenza della libertà umana (Lanciano 1910), pubblicò una ponderosa monografia sul filosofo tedesco (Schelling, Palermo 1914). Intanto, presentato da Croce a G.S. Gargano, caporedattore del Marzocco, in modo lusinghiero ("è un giovane assai distinto"), aveva iniziato nel 1907 una collaborazione alla rivista fiorentina destinata a durare, con saggi e recensioni, fino al 1929. Anche G. Gentile lo stimava, e lo raccomandò (23 genn. 1908) a D. Jaja come uno "studioso valente di filosofia" ("È della vostra provincia"). Ma una prima incrinatura nel loro rapporto intervenne quando Gentile recensì (in La Critica, XIII [1915], pp. 466-470) il saggio su Schelling.
Gentile elogiava, sia pure in modo misurato, il libro, ma concludeva che "non reca un contributo nuovo alla elaborazione del pensiero filosofico e della storia della filosofia". Rilievo che provocò una piccata risposta del L. (ibid., XIV [1916], pp. 232-238); Gentile si limitò ad apporre delle note, osservando che il suo interlocutore aveva "badato meno agli elogi" e "più ai limiti" indicati dalla sua recensione.
Nel gennaio 1915 il L. conseguì la libera docenza in storia della filosofia all'Università di Pisa, e quello stesso anno segnò l'inizio di una lunga e tormentosa partecipazione a concorsi universitari (otto fino al 1934), rimasti tutti senza esito; nei giudizi, accanto ai riconoscimenti, risuonava quasi sempre il rilievo della "scarsa capacità filosofica", e in quello dell'ultimo concorso (con Gentile presidente di commissione) si leggeva: "nessun suo lavoro, anche dei migliori, dimostra un vero valore speculativo" (in Boll. ufficiale del Ministero dell'Educazione nazionale, II, Atti di amministrazione, 23 ag. 1934, p. 2390). Convintosi già prima che a ostracizzarlo fossero Gentile e la sua scuola, alla metà degli anni Venti aveva rotto con il neoidealismo, nel cui orizzonte speculativo si era mosso per circa un ventennio.
Così ricostruiva lo stesso L. (La dialettica e la vera ascensione spirituale, in Arch. di filosofia, marzo-aprile 1935, pp. 135-152): "Confesso che, quando, nel 1922, pubblicai la prima parte della mia Storia della dialettica, limitata al periodo greco, non mi ero ancor liberato dagli influssi della concezione hegeliana, così tentatrice e così diffusa in Italia [(]. Il nuovo atteggiamento che ho preso, è orientato verso il realismo critico".
La rottura con Gentile si manifestò in modo clamoroso in due articoli apparsi nella Rivista pedagogica (XVII [1924], pp. 405-409; XVIII [1925], pp. 625-633).
Nel primo il L. sosteneva che Gentile, divenuto ministro, si era convertito a quel "formalismo pedantesco" da lui prima biasimato, facendosi promotore di "provvedimenti vessatori a carico degl'insegnanti". Nel secondo denunciava gli effetti a suo dire rovinosi che la riforma Gentile aveva prodotto sulla scuola secondaria, investita dalla "mentalità di violenza e di sopraffazione" trasmessa "agli scolari dall'ambiente e dal partito politico dominante", e divenuta "la scuola del disordine e della camorra" (almeno "in alcuni paesi, per esempio della Toscana", attenuava subito dopo, forse spaventato dall'asprezza delle espressioni sgorgategli). A Gentile (il "gran taumaturgo") attribuiva in privato (scrivendo, 5 ag. 1925, a G. Tarantino, docente di filosofia morale all'Università di Pisa) il "male" sofferto nei "due ultimi anni" ("oltraggiato, vilipeso, insidiato continuamente" dai "suoi fidi emissari"). In pubblico manifestava sarcasmo verso quanti andavano "celebrando in coro le glorie dell'immanentismo e la progressiva liberazione della filosofia dalla trascendenza", e si augurava che "un profondo risveglio religioso" potesse "costituire una diga poderosa contro il dilagante e putrido machiavellismo, [(] da cui non c'è da aspettarsi di meglio che la corruzione e il decadimento" (Riv. pedagogica, XIX [1926], pp. 745 s.).
Trasferito d'autorità da Pistoia, il L. insegnò italiano al liceo Giannone di Benevento (1926), quindi filosofia nei licei Umberto I di Palermo (1927) e Napoli (1928-31). In quegli anni pubblicò una Introduzione alla filosofia greca (Bari 1929), e i Lineamenti di storia della filosofia ad uso delle scuole medie (Napoli 1931).
Lontani ormai i tempi nei quali aveva visto nel neoidealismo un movimento svolgentesi "con indirizzo severamente critico e razionale", e salutato Gentile come "benemerito" (Il Fanfulla della domenica, 20 maggio 1906), si era avvicinato alla Rivista di filosofia neoscolastica, e sosteneva (scrivendone a G. Tarantino, 20 genn. 1930) di essere "in buoni rapporti con p. Gemelli". Arrivò a prendere la tessera del partito fascista, nella speranza fattagli balenare, e andata delusa, di vedersi riconfermare un incarico di filosofia ottenuto (1931) all'Università di Catania, città nella quale concluse (1934) la sua carriera di insegnante liceale.
Tornato a vivere in Toscana, dove lo richiamavano gli affetti (vi risiedevano i due figli avuti dalla prima moglie, Adele Ghiselli), il L. riprese a esercitare la libera docenza di storia della filosofia all'Università di Firenze (1936), continuando la sua feconda attività pubblicistica. Collaborò fra l'altro a L'Idealismo realistico. Rivista mensile di filosofia mazziniana (Roma, 1932-38), raccolse in volume le sue Indagini leopardiane (Lanciano 1937) e pubblicò presso Guanda Preludi al nuovo realismo critico (Modena 1938); non gli riuscì, invece, di completare la Storia della dialettica, alcuni estratti della quale apparvero in rivista.
Il L. morì il 10 marzo 1944 a Ceserana di Fosciandora in Garfagnana.
Fonti e Bibl.: Tra le carte, conservate a Firenze dai discendenti, si trovano numerose lettere di Croce e Gentile, e un diario inedito degli anni 1929-36. Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Dir. gen. Istruzione superiore, Div. I, Liberi docenti, s. 3 (1930-50), b. 284; G. Gentile - D. Jaja, Carteggio, II, a cura di M. Sandirocco, Firenze 1969, p. 321; G. Gentile, Lettere a B. Croce, II-V (1901-24), a cura di S. Giannantoni, Firenze 1974-90, ad indices; B. Croce, Lettere a G. Gentile (1896-1924), a cura di A. Croce, Milano 1981, pp. 208 s., 258, 269, 515 s.; B. Croce - G. Laterza, Carteggio 1901-1910, a cura di A. Pompilio, Roma-Bari 2004, ad ind.; Giorn. stor. della letteratura italiana, XXVII (1896), pp. 177 s.; B. Croce, in La Critica, I (1903), pp. 154 s. (rist. in Id., Conversazioni critiche, I, Bari 1950, pp. 49 s.); G. Gentile, Scuola e filosofia, Milano-Palermo-Napoli 1908, pp. 63-67 (rist., in Id., La nuova scuola media, a cura di H.A. Cavallera, Firenze 1988, pp. 137-140); Id., rec. a M. Losacco, Educazione e pensiero, Pistoia 1911 (rist. in Id., Educazione e scuola laica, a cura di H.A. Cavallera, Firenze 1988, pp. 342-345); P. Martinetti, rec. a M. Losacco, Schelling, in Riv. di filosofia, VIII (1916), pp. 140 s.; G. Calogero, I fondamenti della logica aristotelica, Firenze 1927, pp. 297, 300 (cfr. la risposta di M. Losacco, Noterella polemica, in Riv. pedagogica, XXI [1928], pp. 786 s.); C. Del Vivo, Croce, Gargano e "Il Marzocco", in Nuova Antologia, luglio-settembre 1991, pp. 445, 455; M. Galfré, Una riforma alla prova. La scuola media di Gentile e il fascismo, Milano 2000, pp. 151-155, 206.