MORELLI, Michele
MORELLI, Michele. – Nacque a Monteleone (oggi Vibo Valentia) il 12 gennaio 1792 da Giuseppe Maria e da Maria Orsola Ceniti.
Sesto e ultimo figlio di un’antica ma modesta famiglia patrizia (il padre fu ricevitore generale della Calabria Ultra), formatosi probabilmente nel collegio cittadino, si arruolò a sedici anni nella Compagnia dei veliti a cavallo istituita a Napoli all’inizio del Decennio francese, e fece parte del corpo di spedizione napoletano impegnato in Russia. Nella primavera del 1815 combatté nella breve campagna antiaustriaca di Gioacchino Murat, segnalandosi nello scontro di Occhiobello (6-7 aprile) e ottenendo il grado di sottotenente. Dopo la Restaurazione, Morelli fu prima destinato al deposito generale della cavalleria e poi inquadrato nel Real Borbone cavalleria di stanza a Nola. Tentato per un momento di abbandonare una strada dove, per la sua provenienza murattiana, si vedeva preclusa ogni progressione di carriera, aderì alla carboneria, saldamente impiantata nel Nolano e nel suo stesso reggimento.
Nel 1820, raggiunti dalla notizia della rivoluzione scoppiata in Spagna a marzo e della ripristinata Costituzione di Cadice, gli ambienti carbonari e liberali del Regno entrarono in agitazione. Tra aprile e giugno si susseguirono diversi tentativi di promuovere una sollevazione per ottenere un regime costituzionale. Da ultimo abortì il piano del generale Guglielmo Pepe, comandante della 3ª divisione con quartier generale ad Avellino, che si fondava anche sulla disponibilità di Morelli e di un altro ufficiale del Borbone cavalleria, il sottotenente Giuseppe Silvati. A Nola, nella notte tra il 1° e il 2 luglio, Morelli e Silvati, scavalcando il piano preparato dal sacerdote Luigi Minichini, esponente di spicco della carboneria nolana e ostile a un movimento guidato dai militari, trascinarono alla rivolta sottufficiali e soldati del loro reggimento e, seguiti da un gruppo di armati guidati dal prete carbonaro, si misero in marcia verso Avellino. Scartata la proposta di Minichini, che aveva propugnato una deviazione verso Benevento allo scopo di coinvolgere nuovi carbonari, Morelli, che di fatto assunse il comando come ufficiale più anziano, scelse la via più breve e condusse i rivoltosi ad accamparsi sulle alture di Monteforte. Di lì puntò su Avellino, ma raggiunto da un inviato del tenente colonnello Lorenzo De Concilj, capo di stato maggiore di Pepe e suo fidato collaboratore, e incontratosi poi con lo stesso colonnello, accettò di sostare in attesa che fosse preparato il terreno. Al tempo stesso, sempre d’intesa con De Concilj – al quale a torto è stato talora attribuito un atteggiamento ambiguo – indirizzò al comandante della provincia una lettera in cui in tono perentorio annunciava il suo arrivo per l’indomani. Entrato in Avellino la mattina del 3, e accolto con entusiasmo dalla cittadinanza e dalle autorità, Morelli rimise a De Concilj il comando del nuovo esercito e in città venne proclamata la Costituzione di Spagna. Nei giorni successivi, Morelli prese parte ad alcuni scontri con le poche truppe governative in campo. Allontanatosi finalmente da Napoli con nuove forze ribelli e arrivato il 6 ad Avellino, Pepe assunse la guida dell’armata costituzionale mentre il nuovo governo si apprestava a trattare e il re delle Due Sicilie, Ferdinando I, prometteva una costituzione.
Nel rimettere il comando a Pepe, De Concilj ricordò in un proclama la riconoscenza dovuta «allo squadrone sacro diretto dagl’imperterriti uffiziali Morelli e Silvati» (Proclama del tenente colonnello de Concilj nel cedere il comando dell’armata costituzionale, in Gamboa [s.d., ma 1820], cap. XVIII, p. 23). Lasciando cadere gli inviti di Minichini, desideroso di promuovere una propria marcia sulla capitale, nei giorni seguenti Morelli si portò con i suoi uomini a Nocera e poi a Portici. Alla mattina del 9 luglio, l’esercito costituzionale entrò in Napoli, percorse le vie centrali della città in festa e raggiunse Palazzo Reale. Aprivano la sfilata Morelli e lo ‘Squadrone sacro’. Pochi giorni dopo re Ferdinando giurò solennemente fedeltà alla Costituzione.
Nei mesi del regime costituzionale, Morelli, contrario ai progetti eversivi dell’ala radicale della carboneria, si mostrò costante nel rifiutare ogni avanzamento di grado connesso al ruolo avuto nel promuovere la rivoluzione. Partito a settembre per partecipare, alla testa dello Squadrone sacro, alla spedizione inviata dal governo napoletano contro la rivolta siciliana e in seguito privato (non sappiamo perché) del comando, per la sua condotta nell’isola fu in novembre nominato cavaliere dell’Ordine di S. Ferdinando. Trasferito, insieme con Silvati, al 2º e poi al 3º reggimento Cacciatori a cavallo, nel febbraio 1821 era nuovamente a capo del ricostituito Squadrone sacro.
Scattato l’intervento austriaco assecondato dal re e sconfitto l’esercito costituzionale ad Antrodoco (7 marzo), Morelli, a capo di uno dei corpi franchi auspicati dal Parlamento, cercò di organizzare un’estrema resistenza tra Nola e Avellino, ma il tentativo fallì. Avendo la Direzione di polizia messo una taglia cospicua sulla sua testa, sciolse il suo gruppo e insieme con Silvati si diede alla fuga. Imbarcatisi con il proposito di raggiungere l’Albania ottomana ma costretti a sbarcare sulle coste della Dalmazia austriaca, i due entrarono in Bosnia ma poi ritornarono a Ragusa presentandosi come due mercanti romani e in seguito, sotto falso nome, come ufficiali napoletani disertori. Furono consegnati al consolato austriaco di Ancona e di qui avviati al Regno delle Due Sicilie: riuscito a fuggire, Morelli fu nuovamente arrestato e, come anche aveva fatto Silvati, rivelò la sua vera identità. Verso la metà di agosto i due erano rinchiusi al forte dell’Ovo. Dopo una prima deposizione (31 agosto), in cui aveva raccontato, con dovizia di particolari e di nomi, la sua adesione a un moto presentatogli come generale espressione dell’esercito, in un secondo costituto reso durante la fase istruttoria del processo (9 novembre), Morelli dichiarò che contro la sua volontà e solo per aver salva la vita si era lasciato trascinare dal «torrente irresistibile» della rivoluzione (Scalamandrè, 1993, p. 302).
Dopo che un decreto del giugno 1821 aveva degradato e deferito ai tribunali gli ufficiali che dal 1° al 6 luglio 1820 avevano disertato e si erano riuniti a Monteforte, la causa fu affidata in luglio alla Gran Corte Speciale di Napoli. Conclusa l’istruttoria e iniziato il 10 maggio 1822 il dibattimento, Morelli, che poté contare solo su di un difensore d’ufficio, si limitò a confermare il suo secondo costituto e si rifiutò di coinvolgere altri ufficiali. Nella sua requisitoria (20 agosto), il pubblico ministero Gaetano Brundesini dichiarò che c’era stata una vera e propria cospirazione volta a modificare il legittimo governo e ne indicò i primi responsabili in Morelli e Silvati. La sentenza arrivò il 10 settembre. Respinta a maggioranza la possibilità, sostenuta dalla difesa, di richiamarsi all’indulto dell’8 agosto 1820, in quanto non comprensivo dei casi di tradimento contro lo Stato, la Corte condannò a morte 30 ufficiali. Ma, a seguito dell’immediato intervento del re, ad affrontare la pena capitale restarono solo Morelli e Silvati. L’esecuzione ebbe luogo il 12 settembre in piazza S. Francesco. A differenza di Silvati, Morelli, poi sepolto in terra sconsacrata, aveva rifiutato i conforti religiosi, e avrebbe detto che «voleva andare all’inferno per vedere il re com’era ricevuto» (Napoli, Biblioteca nazionale, Marinelli, p. 598).
Quarant’anni dopo il ricordo di Morelli fu ravvivato dal profilo, tracciato sulla base della tradizione familiare, di Mariano D’Ayala (1861).
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, XV.D.44: D. Marinelli, Diario, pp. 577, 597 s.; ibid., V.A 47/2: O. De Attellis, L’Ottimestre costituzionale delle Due Sicilie sinteticamente documentato da servire alla storia di quel regno (introvabile, a tutt’oggi, il volume edito a Barcellona nel 1821); B. Gamboa, Storia della Rivoluzione di Napoli. Entrante il Luglio del 1820, Napoli s.d. [ma 1820]; G. Brundesini, Conclusioni del Pubblico Ministero sulla Causa vertente innanzi la Gran Corte Speciale di Napoli […] Degli ex-Militari accusati di cospirazione eseguita nei primi giorni di Luglio 1820, Napoli 1822; G. Pepe, Memorie, II, Lugano 1847, pp. 1-44, 412 s.; M. D’Ayala, I primi quattro martiri della libertà italiana nell’anno 1821, Napoli 1861, pp. 3-6 (per Morelli), pp. 17- 22 (per Silvati); C. De Nicola, Diario napoletano dal 1798 al 1825, III, Napoli 1906, pp. 281, 286; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, III, Napoli 1957, ad ind.; A. Morelli, M. M. e la rivoluzione napoletana del 1820-1821, 2a ed. ampliata, Bologna 1969 (con lettere di Morelli dall’archivio di famiglia e ampia bibliografia); L. Minichini, Luglio 1820. Cronaca di una rivoluzione, a cura di M. Themelly, Roma 1979 (testo redatto verso il 1838, dove, come in De Attellis, Morelli è considerato uno dei responsabili del tradimento perpetrato dai moderati ai danni del moto napoletano); R. Scalamandrè, M. M. e la rivoluzione napoletana del 1820-1821, Roma 1993 (con un’importante appendice documentaria); A. Stassano, Cronaca. Memorie storiche del Regno di Napoli dal 1798 al 1821, a cura di R. Marino - M. Themelly, Napoli 1996, ad ind .