RABATTA, Michele
– Figlio di Antonio di Vanni di Mingozzo, nacque a Gorizia in data incerta, da collocare nel secondo quarto del XIV secolo. Il padre proveniva da una famiglia toscana di antica nobiltà e si trasferì da Firenze a Gorizia intorno al 1326, seguito o preceduto da altri parenti. Antonio ebbe almeno cinque figli maschi e una femmina da due diverse mogli: la prima, Piera, sposata a Firenze e madre di Nicolò; l’altra a Gorizia e madre di Giovanni, Enrico, Michele, Pietro e Margherita. Lo stesso Antonio godette dei favori dell’imperatore Carlo IV e del patriarca di Aquileia, dai quali ottenne privilegi di natura feudale.
Rabatta rimase legato per tutta la vita a Gorizia e all’area friulana, ma la sua affermazione sociale e politica dipese principalmente dai servizi resi alla signoria dei da Carrara per oltre un trentennio, in qualità di consigliere, ambasciatore e comandante militare. Entro il 1372 si era già trasferito a Padova, forse introdotto dal fratello Enrico, che proprio a Padova operava come notaio almeno dal 1369 e servì Francesco il Vecchio. Sempre a Padova visse anche un altro figlio di Antonio Rabatta, Pietro, diventato canonico della cattedrale cittadina prima del 1394. L’abitazione di Michele in città si trovava nella contrada di San Nicolò.
Alla vigilia della cosiddetta guerra dei confini, combattuta tra Padova e Venezia nel 1372-73, Francesco il Vecchio designò Michele Rabatta, insieme ad altri ambasciatori, per la delicata missione di convincere il re Luigi il Grande d’Ungheria, già alleato dei padovani, a garantire il suo appoggio militare in funzione anti-veneziana, qualora i negoziati con la Serenissima fossero falliti. La missione di Rabatta, nonostante alcune difficoltà iniziali, ebbe un sostanziale successo e rivela mature abilità diplomatiche, favorite da ottime competenze retoriche e da una buona conoscenza delle lingue, fra cui quella slava e quella tedesca, molto utili per comunicare con le corti dell’Europa centrale.
Ottenuto l’appoggio ungherese, Rabatta fu impegnato nel tentativo di procurare all’alleanza ungaro-padovana l’adesione del duca d’Austria Alberto III d’Asburgo, raggiunto a Vienna. Tuttavia le sorti del conflitto si dimostrarono poco propizie per i Carraresi, sconfitti sul piano militare e alla fine costretti alla resa da Venezia, con cui Padova stipulò la pace il 21 settembre 1373. A quel punto Rabatta fu impegnato nell’ingrato compito di spiegare agli alleati le ragioni del fallimento, di convincerli a ratificare gli accordi di pace e di provvedere allo scambio dei prigionieri.
Le successive notizie sull’attività di Rabatta risalgono al 1378, alla vigilia di un ulteriore scontro tra Padova e Venezia, la cosiddetta guerra di Chioggia, che per i Carraresi rappresentava una valida occasione di rivincita dopo lo smacco subito cinque anni prima. Ancora una volta Rabatta fu incaricato di contattare, in gran segreto, il re d’Ungheria, per costituire un nuovo fronte anti-veneziano insieme a Genova e al patriarca di Aquileia. Il suo coinvolgimento in queste delicate trattative conferma l’acquisizione di una posizione di primo piano nella cerchia dei più stretti collaboratori di Francesco il Vecchio.
Dopo la pace di Torino (1381), che aveva concluso la guerra di Chioggia, il nome di Rabatta torna più volte nella documentazione, associato sempre alle funzioni di emissario della signoria carrarese, con un impegno particolare in area friulana, da tempo oggetto delle mire espansionistiche del regime padovano. Tra il 1384 e il 1387 Francesco il Vecchio era riuscito nell’intento di estendere il proprio protettorato militare sulla regione, assicurandosi il controllo di alcuni centri, così come la designazione di Rabatta a marescalco patriarcale, con il consenso del cardinale francese Philippe d’Alençon, il cui insediamento al Patriarcato di Aquileia (l’elezione risale al 1381) aveva incontrato non poche resistenze a livello locale, ma anche il sostegno dei Carraresi. L’aiuto offerto da Rabatta al cardinale d’Alençon, in un contesto territoriale tormentato da accesi contrasti tra fazioni rivali e sanguinosi fatti d’arme, valse al diplomatico goriziano l’investitura del castello di Buia, nel novembre del 1385. Poco dopo, però, nel gennaio del 1386, fu catturato dalle milizie di Udine e tenuto prigioniero per svariati mesi, nonostante i ripetuti interventi di vari poteri per propiziare il suo rilascio.
Di sicuro nel 1388 era già tornato libero e al lavoro per tessere le trame diplomatiche carraresi, in un momento cruciale per le sorti della signoria padovana, che proprio in quell’anno perse, seppure temporaneamente, il controllo della città, occupata dai Visconti, dopo l’abdicazione di Francesco il Vecchio a favore del figlio Francesco Novello. La caduta dei da Carrara comportò anche l’inevitabile partenza da Padova di Rabatta, che fino all’ultimo aveva difeso le sorti degli antichi signori, per riparare poi nella città natale, sicuramente facilitato dalla presenza del fratello Giovanni, che esercitò per diversi anni la carica di capitano della contea di Gorizia. Qui Rabatta si prodigò per curare gli interessi dei giovani conti Enrico IV e Giovanni Mainardo, ancora minorenni dopo la morte del padre, Mainardo VII, nel 1385. La parentesi goriziana, però, durò poco; egli non aveva comunque interrotto i rapporti con Francesco Novello, per conto del quale aveva continuato a operare muovendosi negli ambienti della nobiltà friulana, al fine di reclutare nuove forze per ripristinarne la signoria, come poi effettivamente accadde nel 1390.
Il ritorno di Francesco Novello a Padova valse a Rabatta il titolo di cavaliere e altre onorificenze, fra cui la prerogativa di fregiarsi del cognome e dello stemma dei Carraresi, nonché il ripristino delle sue funzioni all’interno della corte signorile, insieme a nuovi incarichi diplomatici. La fama di cui ormai godeva gli aveva procurato l’ammirazione di importanti esponenti della cultura proto-umanistica, come Coluccio Salutati, Pier Paolo Vergerio e Giovanni da Ravenna, ma anche l’attribuzione di cospicue responsabilità al di fuori dello stato carrarese, come l’elezione a vicedomino del Patriarcato di Aquileia, ufficio coperto tra il 1394 e il 1395, ovvero nel periodo compreso tra l’assassinio del patriarca Giovanni di Moravia e l’insediamento del nuovo patriarca, Antonio Caetani.
Risale a questo periodo un breve pellegrinaggio in Terra Santa in compagnia del nobile friulano Morando di Porcia, anch’egli sostenitore dei Carraresi e compagno di prigionia di Rabatta nel 1386. Insieme si imbarcarono a Venezia il 27 agosto 1396 e alla fine di questa esperienza commissionarono la stesura di un racconto del viaggio, ora edito come Iter Sancti Sepulcri (2007), dove sono descritti il tragitto di andata e ritorno, i luoghi visitati, le reliquie adorate, le persone conosciute. Fra l’altro, Michele e Morando toccarono Rodi, Beirut, Jaffa, Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e Damasco, da cui tornarono a Beirut per ripartire alla volta di Venezia, dove approdarono il 18 novembre dello stesso anno. Risale al 1398 un’altra iniziativa devozionale di Michele, che in quell’anno avviò, insieme al fratello Giovanni, l’edificazione della chiesa di Santo Spirito ai piedi del castello di Gorizia, dotandola di benefici.
Ripresa l’attività al servizio dei Carraresi, Rabatta si adoperò soprattutto per rafforzare il fronte anti-visconteo. Più in particolare, si segnalano lunghi soggiorni a Venezia, nel 1402, quando, dopo la vittoria di Gian Galeazzo Visconti nella battaglia di Casalecchio di Reno e la cattura di due figli di Francesco Novello, la signoria padovana cercò urgentemente l’intervento della Serenissima, sia per la liberazione dei prigionieri sia per scongiurare le concrete minacce viscontee all’indipendenza padovana. Nuovamente, il diplomatico goriziano si trovò a operare su uno scacchiere politico-militare molto complesso e articolato, in ragione dell’intervento di molteplici forze italiane e straniere nella determinazione dei futuri assetti della terraferma veneta e dell’area friulana. A Venezia Rabatta non agiva però da solo, perché poteva contare sulla collaborazione di un altro ambasciatore padovano, Pietro Alvarotti, e sulla piena fiducia del signore da Carrara nelle capacità dei propri delegati.
La notizia dell’improvvisa morte di Gian Galeazzo Visconti, sopraggiunta il 3 settembre 1402, sembrò stemperare le tensioni e infondere nuove speranze ai progetti di affermazione della signoria carrarese, tuttavia non incoraggiati dal cauto e sospettoso distacco del governo veneziano, che le rassicurazioni di Rabatta non erano riuscite ad ammorbidire e volgere a favore della causa patavina.
Tornato a Padova, Rabatta si adoperò ancora per ottenere il consenso della Serenissima ai propositi espansionistici di Francesco Novello verso i domini viscontei, con il sostegno di Guglielmo della Scala, ma privo di adeguati mezzi finanziari e di un più ampio e solido sistema di alleanze. L’ostilità di Venezia, non dimentica degli sgarbi carraresi occorsi negli ultimi decenni, comportò alla fine l’intervento militare marciano contro Padova e, nel novembre del 1405, la resa di Francesco Novello, assistito anche in questo caso da Rabatta, che rimase fedele al proprio signore fino al momento della sua condanna a morte.
L’assoggettamento di Padova e l’inclusione dei possedimenti carraresi nello stato veneziano di terraferma determinarono il definitivo allontanamento di Rabatta dalla città, perché troppo compromesso con il precedente regime. Egli trovò di nuovo riparo a Gorizia, dov’era nato e dove godeva sempre di protezioni e amicizie. Qui, nel luglio del 1407, Enrico IV conte di Gorizia infeudò il castello di Dornberg a lui e al fratello Giovanni, mentre nel 1410 lo autorizzò ad accettare una richiesta di intermediazione diplomatica di Udine, che qualche anno prima gli aveva riconosciuto la cittadinanza. E così, agli inizi del 1411, Rabatta poté esercitare nuovamente le proprie abilità di negoziatore per gestire il giuramento di sottomissione della città friulana al re Sigismondo d’Ungheria.
L’ultimo documento che cita Rabatta risale al 1415 e lo colloca a Castelpagano. In seguito non si hanno più notizie; la sua morte sopraggiunse entro il 1422.
Michele ebbe due mogli: prima Giovanna de Cavedalis, madre di Ludovico e da collegare a una famiglia di estrazione mercantile ben inserita nella società padovana; poi la nobile friulana Maria Bella di Nicolussio Lorenzaga, che nel 1384 aveva portato in dote proprio il maniero di Castelpagano e che gli sopravvisse. Del figlio Ludovico è noto il dottorato in diritto civile presso lo Studio patavino, intorno al 1405, e la permanenza a Padova anche dopo la definitiva caduta dei Carraresi; forse non sopravvisse al padre, perché i beni di quest’ultimo, gravati da non pochi debiti, furono trasmessi ad alcuni nipoti di Gorizia. Più incerte le notizie su un eventuale secondogenito di Michele, Antonio.
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