RAGOLIA, Michele
RAGOLIA, Michele. – È sconosciuta la data di nascita di questo pittore, di origini palermitane, e sconosciuti sono i nomi dei genitori. Bernardo De Dominici (1742, 2003) lo ricorda tra gli allievi di Belisario Corenzio (1558-1646 circa) a Napoli, città in cui l’artista, tra gli anni Trenta e Quaranta del Seicento, poté difatti assorbire una cultura ancora di stampo tardocinquecentesco. Su tali basi in seguito avrebbe innestato molteplici componenti provenienti in prevalenza dal più moderno linguaggio di Massimo Stanzione (Maietta, 1990, p. 33).
Ciò è confermato dal primo dipinto noto di Ragolia, la tavola con S. Pietro e santi realizzata nel 1652 per l’altare maggiore della chiesa di Tutti i Santi a Bomerano (presso Agerola, Napoli).
Le figure di questa pala, ottenute mediante una pittura tersa e smaltata, di ascendenza tardomanierista, rivelano un’incisiva caratterizzazione dei volti, alcuni dei quali rinvianti a Pacecco de Rosa, altra personalità cardine del contesto partenopeo (pp. 34-36).
Perduto risulta il Cristo tra gli angeli dipinto nel 1654 per la chiesa dei cappuccini di Terranova di Sibari, nel Cosentino, pagato da Carlo Spinelli (Delfino, 1985).
Forse per sfuggire all’imperversare della peste nella capitale, nel 1656 Ragolia dovette trasferirsi nella più appartata Cava de’ Tirreni, dove nel 1657 sposò Anna Russo; e qui avrebbe soggiornato almeno fino al 1663 (Milano, 2005). La lunga permanenza a Cava poté agevolarne la fortuna nel Salernitano e in località della costiera, come prova una seconda pala per Agerola (località Pianillo), la Sacra Famiglia nella cappella di S. Anna, firmata e datata 1664.
Nella tela è stato rilevato «un intenerimento neovenetizzante» che ricorda Andrea de Lione (Maietta, 1990, p. 37), ma vi affiorano pure suggestioni da Cesare Fracanzano.
Di poco più avanzata sembrerebbe l’inedita Madonna delle Grazie in S. Maria la Manna, sempre ad Agerola.
Ancora nel 1664 Ragolia realizzò i pannelli con S. Michele arcangelo, Tobia e l’angelo e i Ss. Chiara e Ludovico di Tolosa che affiancano un’Immacolata di altra mano in S. Antonio a Bovino, nel Foggiano (Vona, 1983).
In questa fase il pittore doveva essersi già ristabilito a Napoli, come conferma l’iscrizione nel 1665 alla Confraternita di S. Luca (Ceci, 1898).
L’anno dopo firmò una delle quaranta tele del soffitto della chiesa di S. Antonio a Polla, nel Salernitano, annessa a un convento di minori osservanti. L’imponente ciclo, il più ampio pervenutoci, include l’Immacolata, il Transito di s. Giuseppe e il S. Francesco confortato dagli angeli negli scomparti centrali, mentre nei riquadri laterali si dispongono figure di santi e scene evangeliche.
Oltre a rielaborare importanti prototipi stanzioneschi, nei dipinti di Polla Ragolia mostra di apprezzare Angelo Solimena e il tardo Francesco Guarino (De Vito, 1984; de Martini, 1990).
Forse nello stesso periodo in S. Martino a Teggiano, sempre nel Salernitano, approdò la rovinata e sconosciuta tela con l’Angelo custode e santi.
È verosimile che già prima dell’impresa pollese Ragolia avesse lavorato per i minori osservanti napoletani di S. Diego all’Ospedaletto, chiesa in cui realizzò affreschi perduti e una serie di tele con Storie di s. Francesco, quattro delle quali tuttora nella cappella a sinistra dell’altare maggiore, altre due in sagrestia (De Dominici, 1742, 2003; de Martini, 1990, p. 160).
Ragolia ottenne un discreto successo anche nella produzione di quadri da stanza. Basti ricordare il Trionfo di David (datato 1673) e il Trionfo di Giuditta della raccolta Harrach (Schloss Rohrau), il cui carattere mosso e festoso è stato confrontato con analoghe composizioni di Andrea Vaccaro e Giovan Battista Spinelli; la Caduta della manna di collezione privata (De Vito, 1984); la Decollazione del Battista transitata sul mercato antiquario (Dorotheum, asta del 20 marzo 2015, lotto 215); e il famoso Interno di palazzo in una raccolta privata, verosimilmente appartenuto ai Ruffo (Marino, 2012).
Del 1678 è il ciclo di cinque tele con Storie della vita di Giacobbe e di Mosè della chiesa di Gesù e Maria a Napoli, in deposito presso il seminario di Capodimonte; altre tre scene della serie spettano a un collaboratore (Grasso, 2005).
Al periodo maturo appartengono rilevanti opere partenopee, quali la sconosciuta Vergine con s. Francesco nei depositi dell’Incoronata a Capodimonte e la tavola con la Madonna e santi di S. Maria Regina Coeli.
In questa stessa chiesa Ragolia realizzò i perduti affreschi del comunichino delle monache, quelli nel refettorio, con Storie di Mosè, Profeti e Sibille (1677), che lasciano affiorare i legami con Stanzione e anche con Aniello Falcone, e quelli della volta della cappella del Crocifisso, dipinti nel 1678 (Maietta, 1990, pp. 41 s.; Rizzo, 1992).
Il pittore lavorò intensamente pure per la chiesa e il convento di S. Domenico Maggiore. Qui intervenne una prima volta nel 1677, affrescando il vasto ciclo con Scene della Passione nel capitolo e poi, intorno al 1680, quelli rimaneggiati nella cappella dell’Angelo Custode (Agar nel deserto; Allegoria del divino aiuto) e nel cappellone del Crocifisso (Incoronazione della Vergine; Angeli e Santi). Sono state invece cancellate da un rifacimento ottocentesco le Storie di s. Tommaso nel coro (Picone, 1993).
Il ritrovamento dello splendido Rosario in S. Matteo a Bomerano, datato 1682, dove il pittore torna a ispirarsi ad Angelo Solimena (Maietta, 1990, pp. 43-45; de Martini, 1990, p. 160), assieme alle simili pale della Madonna delle Grazie e del S. Antonio già nella chiesa della Sapienza a Napoli (1681), ha consentito di restituire a Ragolia la Visione dei ss. Francesco e Chiara e il S. Francesco stimmatizzato del Gesù delle Monache nella stessa città, opere dalla cromia smagliante che dichiarano una «rivisitazione personale del linguaggio figurativo tardocinquecentesco, al fine di guadagnare un ruolo autonomo nel clima di profonde innovazioni proposte dal Giordano e avanzate dal Solimena agli inizi degli anni ’80» (Pavone, 1991).
Coeve sono pure le tele dei soffitti di S. Lucia (1681) e di S. Maria dell’Olmo a Cava de’ Tirreni (1683), purtroppo alterate dai rifacimenti (Maietta, 1990, pp. 46 s.), e l’inedita Madonna col Bambino e santi nel Corpus Domini di Gragnano.
L’impresa più tarda di Ragolia è la decorazione della volta della chiesa certosina di Padula, nel Salernitano, con Storie veterotestamentarie e figure di apostoli, evangelisti e dottori della Chiesa. Per tali affreschi ottenne un primo pagamento nel 1685, ma vi attendeva ancora nel 1689, come attesta una lettera indirizzata da Bartolomeo Cataldi al procuratore della certosa di Trisulti, nel Frusinate (Restaino, 1993). Il lavoro venne completato solo nel 1690, quando l’artista riscosse il saldo di 25 ducati da Benedetto Maria Padula (Rizzo, 2001). Risulta pertanto inattendibile la data di morte di Ragolia riferita da Giuseppe Ceci (1898) come 21 maggio 1686.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (II, Napoli 1742), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, I, Napoli 2003, pp. 1043 s.; G. Ceci, La corporazione dei pittori, in Napoli nobilissima, VII, 1898, p. 11; Id., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, p. 568 (sub voce Ragolia); F. Vona, in Restauri in Puglia 1971-1981, I, Fasano 1983, pp. 85-87; G. De Vito, Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra del ’600 napoletano, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1984, pp. 15 s.; A. Delfino, Documenti inediti per alcuni pittori napoletani del ’600…, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1985, p. 104; V. de Martini, M. R. «Siculus» et «Panormitanus», in Il Cilento ritrovato (catal., Padula), Napoli 1990, pp. 159-165; I. Maietta, M. R., un pittore ritrovato, in Recuperi e restauri ad Agerola (catal., Agerola), Castellammare di Stabia 1990, pp. 32-49, 71-77; M.A. Pavone, recensione a Recuperi e restauri ad Agerola, in Prospettiva, 1991, n. 64, pp. 93-95; V. Rizzo, I cinquantadue affreschi di Luca Giordano a S. Gregorio Armeno, Napoli 1992, pp. 48 s., 58; R. Picone, Nuove acquisizioni per la storia del complesso di S. Domenico Maggiore in Napoli (II), in Napoli nobilissima, s. 4, 1993, vol. 32, pp. 221 s.; C. Restaino, La Certosa di San Lorenzo: acquisizioni e proposte, in Archeologia e arte in Campania, Salerno 1993, pp. 182-185, 192; V. Rizzo, Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro, Napoli 2001, p. 223; M.R. Grasso, Alcune precisazioni su M. R., in Interventi sulla «questione meridionale», a cura di F. Abbate, Roma 2005, pp. 219-222; S. Milano, La chiesa di S. Lucia in Cava de’ Tirreni, Cava de’ Tirreni 2005, pp. 55-58, 63 s. note 9-12; V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa…, Napoli 2008, p. 149; V. Lotoro, Una particolare scelta iconografica del R. giovane, in Kronos, 2009, n. 13, n. speciale: Scritti in onore di F. Abbate, II, pp. 197-210; A.M.A. Marino, Sulle origini delle collezioni Ruffo di Scilla e su un dipinto di M. R., in Collezionismo e politica culturale nella Calabria vicereale borbonica e postunitaria, a cura di A. Anselmi, Reggio Calabria 2012, pp. 270-275.