VILLATA, Michele
Nacque a Milano nel 1776, figlio di Guido e Marianna Gallia del Pozzo. Era il primo di quattro fratelli, nell’ordine Michele, Giovanni, Carlo e Francesco, tutti destinati a ruoli di prestigio nell’Italia napoleonica e nel Lombardo-Veneto della Restaurazione. Il padre, Guido, ebbe importanti cariche politiche e giudiziarie sia nella Lombardia austriaca che nello Stato napoleonico, ove al momento della morte, nel 1814, era consigliere della corte di cassazione. La famiglia era originaria dei territori tra Lomellina, Monferrato e Vercellese, caratterizzati dall’essere stati alternativamente parte dello Stato di Milano e dello Stato sabaudo, e vantava tradizioni militari al servizio di Casa d’Austria: Leopoldo I con suo diploma del 1697 l’aveva perciò insignita del titolo nobiliare di cavalieri dell’Impero.
Michele Villata si era laureato in ambo le leggi all’università di Pavia. Si era quindi volto, a differenza dei fratelli tutti indirizzatisi alla carriera militare, alla carriera degli impieghi. Nel 1796, al momento dell’arrivo a Milano delle truppe napoleoniche, aveva da qualche mese assunto la posizione di alunno presso il tribunale criminale di Milano. Creata nel giugno 1797 la Repubblica Cisalpina, fu nominato il 21 agosto amministratore nella municipalità di Milano, a dimostrazione di un’adesione politica agli ideali democratici.
Il successivo 25 novembre entrò nell’amministrazione dello Stato cisalpino quale aggiunto alla sezione criminale presso il ministero della Giustizia, carica che occupò sino alla caduta della Cisalpina, nell’aprile 1799. Durante i tredici mesi del governo austro-russo fu lasciato senza impiego ma non subì persecuzioni, anche in ragione del fatto che, pur favorevole al nuovo corso, non si era però mai politicamente esposto. Col rientro a Milano dei francesi il 2 giugno 1800 per breve tempo tenne cariche più in sintonia con la tradizione militare della famiglia: fu infatti eletto in successione capo battaglione (12 giugno 1800), colonnello comandante (2 agosto 1800) e infine organizzatore della guardia nazionale milanese (curriculum redatto dallo stesso Michele Villata, allegato a una petizione dell’8 settembre 1810, in Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p. m., c. 668).
Il ritorno alle funzioni amministrative si ebbe con la nomina (26 settembre 1800) a membro dell’Amministrazione dipartimentale del dipartimento dell’Olona, quello con capitale Milano. Poco dopo la Commissione di governo cisalpina lo collocò quale funzionario all’interno del ministero dell’Interno, ove sarebbe stato confermato anche col passaggio alla Repubblica Italiana nel 1802 e al Regno d’Italia nel 1805, progressivamente salendo a incarichi di sempre maggiore responsabilità: partendo da segretario aggiunto presso la 1ª divisione, nel 1802 sarebbe stato promosso a secondo pro-segretario, nel 1804 a primo pro-segretario e nello stesso anno a secondo segretario sino ad arrivare, nel 1807, a segretario capo della stessa divisione, con incarico per la pubblica beneficenza. Percorso accompagnato da gratificazioni «per i molteplici meriti acquisiti col suo zelo e la sua attività» (20 marzo 1806, Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 668).
Amministratore sicuro e affidabile, venne (1 aprile 1809) scelto per una carica delicata all’estremo confine orientale del Regno d’Italia: doveva affiancare, in qualità di segretario generale del Provveditorato della Dalmazia, il provveditore Vincenzo Dandolo, agronomo, uomo d’azione e avveniristico spirito imprenditoriale, ma non certo fine amministratore. Sarebbe peraltro stato un incarico di breve durata, perché a seguito del trattato di Schönbrunn e della conseguente sottrazione all’Austria di consistenti territori balcanici, il Provveditorato sarebbe confluito nelle costituende Province Illiriche, non più politicamente parte del Regno d’Italia.
Il 19 maggio 1810 Villata fu subito chiamato ad altro incarico di responsabilità, quale segretario generale della prefettura veronese del dipartimento dell’Adige, da sempre una delle più delicate. Dal momento che il suo diretto superiore, Antonio Smancini, era stato incaricato dell’organizzazione del nuovo dipartimento dell’Alto Adige, Villata sarebbe stato di fatto prefetto dal settembre al novembre 1811. Il passo successivo di una carriera amministrativa in continua ascesa, dagli uffici nella capitale alle sedi periferiche, non poté che essere a capo di una prefettura: il 14 dicembre 1811 divenne dunque prefetto del dipartimento del Musone (Macerata).
Sul finire del 1813 le truppe napoletane di Murat occuparono il dipartimento marchigiano. In teoria alleate, in realtà con atteggiamento ostile, gli occupanti procedettero alla nomina, a inizio 1814, di un nuovo prefetto, il maceratese Giovanni Lauri (G. Moroni Romano, Dizionario di erudizione ecclesiastica, Venezia 1846, v. XLI, p. 70). Michele Villata rientrò a Milano.
Con la caduta nell’aprile 1814 del Regno Italico Villata restò senza impiego, ma per breve tempo. Il governo austriaco non sarebbe infatti restato insensibile verso i membri di una famiglia che, pur avendo servito l’Italia napoleonica, vantava però una precedente lunga tradizione di servizio per Casa d’Austria. Per i fratelli Villata che avevano scelto la via delle armi la possibilità di un percorso lineare di carriera fu immediata. Il fratello secondogenito, Giovanni, che nel 1796 aveva combattuto, giovanissimo sottotenente, tra i dragoni austriaci contro le truppe napoleoniche, e poi arruolatosi nelle truppe cisalpine e nell’esercito italico era stato in Spagna e in Russia, pervenendo nel 1810 al grado di generale di brigata, nel 1815 fu ammesso nell’esercito imperiale come generale maggiore. Il quartogenito Francesco, che nel 1796 si era arruolato giovanissimo nella legione lombarda e che combatté a Lipsia col grado di colonnello, sarebbe anch’egli stato ammesso con lo stesso grado nell’esercito austriaco, arrivando a chiudere la carriera come comandante militare di Tirolo e Voralberg.
Fu meno lineare, ma egualmente positiva, la prosecuzione nella carriera degli altri due fratelli. Il terzogenito Carlo, già aiutante di campo nel 1804 dell’ispettore generale della gendarmeria, Pietro Polfranceschi, e combattente nella campagna del 1805, aveva però lasciata la carriera delle armi nel 1809, col grado di capitano, per problemi di salute. Avrebbe ritrovato un impiego solo nel 1816, chiamato a servire nella polizia, dove avrebbe raggiunto nel 1829 il grado di commissario superiore nel distretto III di Milano. Quanto a Michele, che Giorgio Giulini, membro della Reggenza provvisoria del governo di Lombardia, definiva di «condotta scevra di qualunque eccezione» (22 settembre 1814, Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 668) gli fu affidato dapprima il riordino delle amministrazioni degli stabilimenti di pubblica beneficenza in Bergamo e successivamente l’incarico di prefetto provvisorio del dipartimento del Serio, cioè sempre a Bergamo. Conclusa la fase della Reggenza, nel 1816, fu messo in quiescenza, ma non marginalizzato: l’amministrazione austriaca gli affidò degli incarichi straordinari, quale delegato speciale sugli alloggi militari in Milano e direttore degli I.R. teatri milanesi. Nel gennaio 1819 il suo nome compare in una lista di petenti impiego con giudizio personale lusinghiero: gli si riconosceva abilità, assiduità e moralità, ma soprattutto si evidenziava che conoscesse, oltre alle lingue italiana, francese e latina, «alquanto la tedesca» (20 gennaio 2019, Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 668). Così il 5 marzo 1819 ottenne la nomina a consigliere di governo e I.R. delegato provinciale a Pavia, carica comparabile con quella di prefetto napoleonico, anche se con minori poteri.
La sua carriera ebbe a Pavia una battuta d’arresto a causa dei moti universitari del giugno 1825, repressi duramente dall’esercito con numerose vittime tra gli studenti. Villata fu accusato di non aver saputo prevenire e controllare il grave incidente e fu rimosso. Quando morì, nel 1842 o 1843, era a capo dell’ufficio milanese di censura.
Michele Villata si sposò con Maria Pancaldi, figlia di Francesco Pancaldi, ministro dell’Interno nella seconda Cisalpina, dalla quale ebbe Giuseppe e Giulia: il primo, nato nel 1800, studiò in collegio a Novara e all’università di Pavia, entrò come alunno di concetto nell’ufficio della Delegazione provinciale di Pavia, condotta dal padre, passando con la stessa qualifica alla Delegazione di Mantova, su sollecitazione del padre per «assecondare la massima prescritta che non possano rimanere nello stesso ufficio persone legate da stretti vincoli di parentela» (Lettera di Michele Villata, 8 giugno 1823, Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 668); ebbe poi cariche presso il governo di Venezia e nel marzo 1841 divenne delegato provinciale a Mantova.
Morta la prima moglie, Michele Villata si sposò con la nobile marchigiana Violante Trevisani, di Fermo, dalla quale ebbe altri tre figli, Guido, Anna e Giovanni.
I fratelli Villata durante la Restaurazione si attivarono per vedere riconosciuta la nobiltà di cavalieri vexilliferi del Sacro Romano Impero. Il loro grado di nobiltà sarebbe stato nel 1837 confermato, però come cavalieri dell’Impero austriaco. Nella documentazione prodotta per il riconoscimento, i fratelli dichiaravano che la famiglia era stata investita nel 1768 del feudo di Viganò, pieve di Missaglia, in Brianza. È anche interessante osservare come questa ventata di aristocratizzazione si estendesse anche al cognome: sino al 1810 Michele si firmava semplicemente Villata; nel 1816 Michele, e con lui i fratelli, firmavano De Villata, e così successivamente. Nel 1823 Michele aggiunge alla firma «nobile di Willatburg», inserendo cioè il predicato che aveva accompagnato il riconoscimento di nobiltà del 1837 (Elenco dei nobili lombardi, Milano 1840, p. 72), che rimandava a sua volta al diploma della nobilitazione conferita nel 1697 al capitano Gian Battista Villata, morto in Spagna. Il predicato sarebbe stato costantemente utilizzato da Giuseppe, il figlio di Michele, a dimostrazione della forte volontà, dopo la parentesi napoleonica, di riconfermare la secolare fedeltà di servizio con Casa d’Austria da parte della famiglia Villata.
Michele Villata non era particolarmente ricco: scriveva di «tenuissimo patrimonio lasciatogli dal padre» (Lettera del 13 ottobre 1814, Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 668) e come dichiarava nel 1825 il direttore generale della polizia, Carlo Giusto Torresani, disponeva di mezzi troppo modesti per una città (Pavia) in cui era necessario tenere salotto (Meriggi, 1983, p. 204).
Notizie in Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 668; e Araldica, p.m., c. 175. Profili biografici in T. Casini, Di alcuni cooperatori italiani di Napoleone I, in Id., Ritratti e studi moderni, Milano-Roma-Napoli 1914, p. 458. Notizie biografiche e sull’attività amministrativa: L. Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica, Bologna 1983, pp. 405-406 e passim; M. Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna 1983, p. 204. Notizie sulla famiglia in A. Villata - M. Villata, Villata. Dal 21 giugno 1155: 1219 anni di storia, Roma-Cerrina 2008: secondo questo volume i quattro fratelli sarebbero tutti nati a Torino, figli di Francesco Antonio (1732-1781), nobile e conte di Piana, e della nobildonna Elisabetta Bonvicino (p. 28). Essendo il padre morto nel 1781 e la madre nel 1793, i quattro fratelli, che stavano studiando in un collegio vicino a Torino, sarebbero passati nelle cure degli zii materni Bonvicino, che li avevano trasferiti nella loro abitazione milanese (p. 33). Viene fornita anche la data di nascita di Michele (del quale si dicono peraltro poche cose): 15 febbraio 1780. Nonostante siano in totale contrasto con questi, posso confermare i dati sopra forniti, dal momento che in Archivio di Stato di Milano, Araldica, p.m., c. 175, si conserva la fede di nascita di Giovanni e un documento scritto di propria mano da Michele nel quale si dichiara paternità, maternità ed età (pur senza indicazione del giorno esatto).