ZANCHE, Michele
ZANCHE, Michele. – Nacque probabilmente a Sassari agli inizi del XIII secolo.
Michellus Zancha è attestato per la prima volta il 15 settembre 1234, a Genova, insieme ad altri esuli sardi, lì riparati dopo la rivolta scatenata l’anno prima dai sassaresi contro il giudice turritano Barisone III (A. Ferretto, Documento intorno ai trovatori..., 1904-1905). In quella data il gruppo di socii conferì la procura a Manuele e Percivalle Doria per trattare una concordia con lo stesso Barisone affinché fossero restituiti loro i beni confiscati.
Non si conosce l’ascendenza diretta. Il cognome Zanca (che nella documentazione presenta anche le varianti Thanca, Çanca, Tanca; la grafia Zanche è da intendersi come forma latina al genitivo) è documentato nel Nord della Sardegna fin dai secoli XI-XII, come testimoniano i condaghes e altre fonti in cui sono menzionati individui di condizione servile, ma anche ufficiali locali, senza ulteriori precisazioni circa la loro origine geografica e la parentela.
Per quanto non direttamente collegabili a Michele e ai suoi figli (v. oltre), tra il 1238 e il 1289 sono numerose le attestazioni degli Zanche a Bonifacio, in affari con la Sardegna. Nel 1302 un Guantino, sassarese, è presente a Genova.
La successiva attestazione è del 1253: «Michel Çanca de Sassaro» risulta debitore nei confronti di Manentino Manente di 15 lire di genovini, quale parte restante delle 80 lire dovute «pro Maioco», ossia per un negozio compiuto da un esponente della famiglia ligure dei Maiocco o Maggioco (A. Ferretto, Codice diplomatico..., 1903, p. XXIII). Infine, Simona Doria, «uxor domini doni Michalis de Sasari» – identificato in letteratura con il nostro Michele – figura nel testamento di Gogo del fu Jacopo de Marino, stilato a Portovenere il 2 agosto 1262: la donna doveva a Gogo la somma di 100 soldi di genovini per essere stata trasportata dalla Sardegna a Bonifacio in Corsica «cum rebus suis et arnensibus et familia eius» (Falco, 1952).
Sono queste le uniche fonti documentarie relative alla vita e alle attività di Michele Zanche, appena sufficienti per inquadrarne il ruolo nel dinamico ceto mercantile sassarese che durante il XIII secolo si muoveva tra Sardegna, Corsica e Liguria, coniugando interessi politici e commerciali.
Il matrimonio con un’esponente dei Doria (della quale non è possibile precisare la collocazione genealogica), celebrato presumibilmente intorno al 1250, rivela le abili strategie di Michele, confermate dall’articolata rete di legami imbastita per i propri figli con le più eminenti famiglie di Pisa e Genova: Mariano – frutto di un’unione diversa da quella con la Doria – sposò verso il 1260 la pisana Melda Sismondi; Caterina fu data in moglie a Brancaleone Doria nel 1262 circa; Richelda si unì in matrimonio con Giacomo Spinola intorno al 1270. È bene sottolineare come dei tre solo Richelda sia indicata esplicitamente nelle fonti come figlia di Michele, al quale tuttavia sono stati attribuiti finora in letteratura anche Mariano e Caterina.
Dal matrimonio tra Mariano Zanche e Melda Sismondi nacque Mariano, al quale il 20 dicembre del 1283 la madre – che dopo la morte del marito si era sposata con Guido da Caprona – donò la terza parte di un appezzamento di terra con torre e pozzo situato a Pisa nella cappella di S. Sisto. Nello stesso giorno, Guinizello Sismondi, fratello di Melda, riconobbe e promise di rispettare i diritti del nipote sui villaggi di Enene e Sennori posti nel giudicato di Logudoro, con tutti i relativi redditi, nonché su altri villaggi, beni e diritti nello stesso giudicato e in altri giudicati della Sardegna, spettanti a Mariano per eredità dai suoi nonni e dal padre e fino ad allora amministrati dallo stesso Guinizello.
Nel 1275 Caterina, moglie di Brancaleone Doria, appare creditrice nei confronti della vedova di un Percivalle Doria. Negli anni 1315-16 la donna, da sola o con il marito, appare impegnata nella casa di S. Matteo a Genova in una serie di negozi riguardanti Liguria, Sardegna e Oltremare.
Nel 1282 Giacomina, figlia di Giacomo Spinola e Richelda Zanche, fu promessa in sposa a Paleologo Zaccaria (figlio di Benedetto Zaccaria); alla costituzione della dote provvidero – essendo defunto Giacomo Spinola (e probabilmente anche Michele Zanche) – Brancaleone Doria (zio di Giacomina) e Luchino Spinola, fratello di Giacomo. Nel 1302, a Genova, nella casa del suocero, Giacomina – ricordata nel documento come figlia di Richelda «filie quondam doni Michi Çanche» – costituì suo procuratore Acarus de Baldachinis per recuperare «omnes terras et possessiones, res mobiles, iura et homines, servos sive ancillas et iurisdictiones hominum, pensiones, daciones et condiciones» e quanto a lei spettante a Sassari e in tutta la Sardegna (A. Ferretto, Una figlia sconosciuta..., 1908-1909, doc. I). Nel 1305, sempre a Genova, davanti alla casa di Manuele Zaccaria, la stessa Giacomina nominò procuratore Nicolò di Bonomo per avere quanto le competeva in Sardegna e specialmente ciò che le era stato lasciato per via testamentaria da Orietta, moglie del fu Corrado Malaspina.
L’insieme delle informazioni delinea, da un lato, la chiara vocazione ‘imprenditoriale’ di Michele e della sua famiglia, dall’altro, mostra i segni altrettanto evidenti dell’esercizio di poteri signorili, fondiari e territoriali, in virtù di una posizione di forza conseguita certamente nella fase di disfacimento del giudicato di Torres o Logudoro (allo stesso contesto potrebbero riferirsi anche i rapporti imbastiti con il casato dei Malaspina).
Michele è indicato come defunto nella citata carta del 1302 di Giacomina Spinola, ma la sua morte deve collocarsi entro il 1282, sulla base del documento sulla dote della stessa Giacomina.
La sua maggior fama è legata a Dante, che lo chiama «donno Michel Zanche di Logodoro» (Inferno XXII, 88-89), collocandolo con il gallurese frate Gomita nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, nella quale sono ospitati i barattieri. Quindi, nel canto riservato ai traditori, ricorda il delitto commesso da Brancaleone Doria, insieme a un suo parente prossimo, nei confronti di «Michel Zanche» (Inferno XXXIII, 137-147). A questi dati sono da aggiungere quelli dedotti dai più antichi commenti della Commedia, che pongono l’accento sull’alto profilo («nobilis homo» lo definisce Guido da Pisa) e sulla ricchezza di Michele («grande ricco uomo» per Iacopo Alighieri; «ditiorem hominem tocius Sardinie», secondo le Chiose latine), che sarebbe stato fattore o siniscalco della madre di Enzo di Hohenstaufen, signora del Logudoro (così Iacopo Alighieri, Iacomo della Lana, le Chiose latine, Guido da Pisa, l’Ottimo; le Chiose selmiane affermano che Zanche fu cancelliere del giudicato di Gallura). In seguito alla morte di Enzo, Michele grazie alle sue baratterie avrebbe sposato la donna, dopo la cui scomparsa sarebbe diventato giudice di Logudoro (Iacopo della Lana, Chiose latine, Guido da Pisa). Secondo alcuni commentatori avrebbe invece impalmato l’ex moglie di Enzo, Adelasia, regina di Torres e Gallura (Chiose selmiane, Pietro Alighieri). In seconde nozze, Michele avrebbe sposato la sorella di Brancaleone Doria (così Guido da Pisa), che a sua volta prese in moglie una figlia di Michele avuta precedentemente dall’unione con la madre di Enzo (così Iacopo della Lana) o con Adelasia di Torres (Chiose selmiane, Pietro Alighieri). Lo stesso Brancaleone avrebbe in seguito ucciso a tradimento il suocero, durante un banchetto, insieme a un complice (secondo Iacopo Alighieri e Guido da Pisa, Brancaleone compì il delitto insieme al nipote). Nonostante alcuni commentatori mostrino una conoscenza niente affatto superficiale delle cose sarde, non è suffragato da attestazioni documentarie il dato relativo al ruolo svolto da Michele al servizio di Enzo e della di lui moglie Adelasia (evidentemente confusa con l’omonima madre dello Svevo, la tedesca Alayta von Urslingen, anche se i nomi delle due donne non sono citati dai chiosatori), né quello concernente le nozze contratte con quest’ultima dopo la morte dello stesso Enzo e la sua ascesa al trono di Logudoro (Adelasia morì nel 1259, Enzo nel 1272). Solo congetturabile è perciò una liaison di Michele con Adelasia, il cui frutto potrebbe essere stato – intorno al 1240 – quel Mariano (nome anche del padre di Adelasia) poi coniugatosi con Melda Sismondi, giustificando così il riferimento ai diritti vantati dall’omonimo nipote in varie parti del Logudoro e risalenti ai nonni (eventualmente proprio Michele e Adelasia), secondo quanto riportato nel documento del 20 dicembre 1283. Si noti inoltre che la cronaca tardomedievale nota come Libellus iudicum turritanorum – in cui sono ripercorse le vicende del giudicato di Torres fino alla sua caduta dopo la morte di Adelasia – indica un Andrea Tanca quale primo sovrano, nell’XI secolo; elemento smentito dalle ricostruzioni genealogiche degli stessi giudici sardi, che ha fatto ipotizzare l’inserimento di questa figura nella narrazione da parte dei fautori di Michele per giustificare la legittimità delle sue ambizioni politiche.
Quanto infine ai rapporti con i Doria, i dati dei commentatori danteschi collimano solo parzialmente con quelli noti dalle fonti: la sorella di Brancaleone non può essere la Simona andata in sposa a Michele, né può identificarsi con Caterina la presunta figlia avuta dalle prime nozze poi maritatasi con lo stesso Brancaleone (che in tal caso avrebbe peraltro sposato la nipote); non esiste infine alcuna traccia documentaria dell’episodio dell’omicidio di Michele a opera di Brancaleone.
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