microscopia a raggi X
Tecnica di indagine microscopica basata sull’uso di raggi X, la radiazione elettromagnetica con lunghezze d’onda comprese tra 10 e 0,01 nm, corrispondenti a frequenze comprese tra 3∙1016 e 3∙1019 Hz. La risoluzione massima che un microscopio può raggiungere, cioè la minima scala spaziale che può essere resa visibile, è dell’ordine della lunghezza d’onda della radiazione utilizzata (se si esclude la cosiddetta microscopia ottica a scansione con campo prossimo). La microscopia a raggi X permette quindi di visualizzare la struttura spaziale di sistemi fisici e biologici sulla scala dei nanometri, rendendone possibile lo studio morfologico. I raggi X non sono visibili all’occhio umano e quindi un microscopio a raggi X richiede un sistema di rivelazione indiretto, che può essere costituito da una pellicola fotografica, da uno schermo o da un sistema tipo CCD (Charge coupled device). Tutti questi metodi sfruttano i cambiamenti (una reazione chimica nella pellicola, la fotoluminescenza nello schermo, un accumulo di carica in un CCD) che i raggi X producono nella materia in maniera approssimativamente proporzionale alla loro intensità. Le immagini che ne risultano possono poi essere rivelate visivamente o ricostruite elettronicamente. A causa della loro lunghezza d’onda i raggi X non subiscono deflessioni significative quando attraversano la materia (rifrazione) e di conseguenza non si possono facilmente realizzare veri e propri sistemi ottici per focalizzarli o per ottenere immagini ingrandite dell’oggetto in esame. La principale tecnica utilizzata per ovviare a questa difficoltà è basata sulla riflessione a incidenza radente dei raggi X da una superficie. Una diversa tecnica usa speciali reticoli di diffrazione circolari ottenuti con tecniche di litografia con fasci di elettroni. L’ingrandimento viene ottenuto in maniera geometrica ponendo la sorgente vicino all’oggetto e il rivelatore invece distante. Le sorgenti a raggi X per la microscopia sfruttano la radiazione prodotta da elettroni energetici, che hanno cioè velocità prossime a quelle della luce, quando vengono opportunamente accelerati o da campi elettrici e magnetici esterni, come nelle cosiddette sorgenti di luce di sincrotrone e nel laser a elettroni liberi, o dagli urti con altre particelle cariche, come avviene per es. in un plasma di alta temperatura. Quest’ultimo metodo si sta rivelando di particolare importanza per ottenere sorgenti di raggi X ad altissima risoluzione temporale. Esso si basa infatti sul fatto che in un plasma relativistico prodotto dall’interazione di impulsi laser di grandissima intensità e di brevissima durata (ben inferiore al picosecondo) si possono concentrare altissime densità di potenza elettromagnetica su scale spaziali e temporali estremamente piccole impiegando energie relativamente basse.