Microscopia
sommario: 1. Introduzione. 2. Microscopia con sonda di scansione. a) Microscopio a effetto tunnel. b) Microscopio a interazione atomica. c) Altri microscopi con sonda di scansione. 3. Microscopia confocale. 4. Microscopio a raggi X. 5. Videomicroscopia. 6. Microscopio acustico. 7. Microscopia a risonanza magnetica nucleare. 8. Prospettive. □ Bibliografia.
1. Introduzione
La microscopia ottica, nelle sue svariate applicazioni (campo oscuro, contrasto di fase, contrasto interferenziale, a luce polarizzata, a fluorescenza, ecc.), e la microscopia elettronica, sia a trasmissione che a scansione, sono tecniche da tempo consolidate, tanto che possono oggi essere considerate ‛tradizionali' anche in relazione alla loro larga diffusione e al loro vasto spettro di applicazioni (v. microscopia, vol. IV). Le due metodiche sono in certa misura complementari anche rispetto all'enorme differenza del loro potere risolutivo: frazioni di micron (µm) per il microscopio ottico, qualche nanometro (nm) per il microscopio elettronico. Tutti i microscopi che utilizzano onde o particelle hanno un limite di risoluzione teorico (noto come ‛barriera di Abbe'), strettamente dipendente dalla lunghezza d'onda della radiazione utilizzata, e un potere risolutivo pratico legato, invece, alla qualità dello strumento: esso dipende, cioè, dalla perfezione delle lenti e dalla capacità di superare tutte le alterazioni dell'immagine dovute a fenomeni di diffrazione, riflessione, rifrazione, interferenza, ecc. Benché le moderne apparecchiature appaiano sempre più vicine al loro limite di perfezione, si assiste, anche in questo settore, a uno sforzo continuo di miglioramento tecnologico. Ciò risponde alla necessità di ottimizzare la qualità delle immagini, in termini sia di risoluzione che di contrasto, di aumentare i tipi di campioni osservabili e, soprattutto, di ridurre la possibilità di trarre conclusioni erronee dalle informazioni contenute in un'immagine. Il problema dell'interpretazione dell'immagine di un oggetto è di importanza capitale e vi è infatti un grande interesse da parte dei microscopisti per i progressi delle tecniche di analisi, oltre che per il tipo di apparecchiatura utilizzata. È da tenere presente, peraltro, che nella maggioranza delle applicazioni di tecniche di microscopia il campione deve essere sottoposto a trattamenti preliminari, quali la disidratazione, il sezionamento, la fissazione e la colorazione; pertanto, esso non si trova nel suo stato ‛naturale' e le immagini che si ottengono sono soggette ad artefatti. Un altro problema importante è rappresentato dalla difficoltà di analizzare l'interno di un campione trasparente senza che i piani focali soprastanti e sottostanti interferiscano con l'osservazione offuscando il segnale.
Negli ultimi anni si è tentato di risolvere o superare questi problemi attraverso una varietà di nuovi approcci e, grazie all'applicazione delle moderne tecnologie, sono state realizzate metodiche e apparecchiature nuove (v. Duke e Michette, 1990) le cui basi teoriche, nella maggior parte dei casi, erano state poste già da alcuni decenni.
Nel campo della microscopia ottica la novità più importante è senza dubbio l'avvento della microscopia confocale, che analizza, in rapida successione, piccolissime aree di un campione illuminato con un raggio intenso e puntiforme in un preciso piano focale. L'esame di piani focali in sequenza, la digitalizzazione del segnale e la successiva analisi delle immagini consentono una visione nitida e tridimensionale del campione. La tecnica della microscopia confocale viene descritta più avanti in maniera dettagliata (v. cap. 3). Sempre nel campo della microscopia ottica, utilizzando il semplice artificio dell'illuminazione obliqua multipla del campione, sono stati recentemente conseguiti piccoli ma significativi miglioramenti relativamente alla profondità di campo, al contrasto e alla nitidezza delle immagini, unitamente alla realizzazione di una visione tridimensionale.
Nel campo della microscopia elettronica si sono ottenuti, negli ultimi anni, progressi nelle tecniche di diffrazione e analitiche, con aumento della risoluzione spaziale e dell'efficienza di rilevamento del segnale. Si è proceduto anche all'automatizzazione di molte procedure e alla realizzazione di apparecchi caratterizzati da notevole semplicità d'uso. La digitalizzazione del segnale rilevato, il suo trasferimento su video, l'analisi delle immagini mediante opportuni programmi consentono oggi una più accurata e proficua valutazione dei dati e rendono anche possibile ottenere immagini tridimensionali. Nella microscopia elettronica a scansione, in particolare, sono state messe a punto apparecchiature con un livello di risoluzione significativamente più elevato che in passato. Il limite principale della microscopia elettronica è peraltro tuttora rappresentato dal trattamento a cui vanno sottoposti i campioni biologici per poter effettuare un'osservazione sotto vuoto di sezioni sottili. Le tecniche di congelamento rapido (criomicroscopia), eliminando la necessità di disidratare e colorare il campione, hanno offerto un'importante alternativa e hanno spesso consentito di effettuare nuove, rilevanti osservazioni. Il congelamento di un campione, purché attuato con estrema rapidità, cioè con variazioni di temperatura superiori a 104 K al secondo, previene la formazione di cristalli di ghiaccio, che possono alterare e mascherare le strutture che si vogliono osservare. In alcune situazioni, il microscopio elettronico viene impiegato, invece che per l'esame morfologico, per determinare la distribuzione topografica di molecole non direttamente osservabili. Si ricorre a tale scopo alla tecnica dell'immuno-elettromicroscopia, che si basa sull'impiego di anticorpi coniugati con particelle elettrondense, come, per esempio, particelle di oro colloidale: l'anticorpo riconosce specificamente le molecole che si vogliono individuare e l'osservazione delle particelle di oro colloidale consente di determinarne la localizzazione. Più spesso vengono usati due differenti anticorpi, il primo dei quali si lega selettivamente a una specifica molecola del campione e il secondo, coniugato con una particella elettrondensa, si lega al primo anticorpo. Al di là di tutti questi progressi nell'ottimizzazione delle tecniche e delle apparecchiature convenzionali, la principale novità nel campo della microscopia degli ultimi 15 anni è rappresentata dalla realizzazione di una serie di microscopi di nuovo tipo, denominati ‛microscopi con sonda di scansione', che analizzano il campione senza irradiarlo con onde o particelle.
2. Microscopia con sonda di scansione.
All'inizio degli anni ottanta, Gerard Binnig e Heinrich Rohrer, del laboratorio di ricerca dell'IBM a Zurigo, hanno messo a punto un apparecchio che ha aperto una nuova era nel campo della microscopia, il microscopio a scansione a effetto tunnel (Scanning Tunneling Microscope, STM; v. Binnig e altri, 1982). Questo microscopio è il primo rappresentante della famiglia dei cosiddetti microscopi con sonda di scansione (Scanning Probe Microscope, SPM), in cui una sonda dalla punta estremamente sottile viene posizionata molto vicino alla superficie di un materiale e ne effettua una fine scansione; dall'analisi delle interazioni tra sonda e superficie è possibile determinare la topografia di quest'ultima con un livello di risoluzione mai raggiunto in precedenza (v. Morris, 1994). Nel 1986 i due ricercatori sono stati insigniti del premio Nobel per le loro ricerche e nello stesso anno, insieme ad altri collaboratori, hanno annunciato la nascita di un secondo microscopio con sonda di scansione, il microscopio a interazione atomica (Scanning Force Microscope, SFM, o Atomic Force Microscope, AFM; v. Binnig e altri, 1986). Il microscopio a interazione atomica è più versatile di quello a effetto tunnel poiché, oltre a fornire immagini della superficie di un campione, consente di selezionare molti tipi di forze - quali interazioni elettrostatiche, forze di van der Waals, magnetismo e attrito - prospettando lo sviluppo di differenti tipi di microscopia che renderanno possibile analizzare le interazioni molecolari.
La caratteristica più importante dei microscopi con sonda di scansione è quella di non utilizzare particelle libere: non sono perciò necessari obiettivi né sorgenti di luce o di elettroni, il che permette di superare uno dei limiti imposti da qualsiasi strumento che si serva di lenti per focalizzare luce o altre radiazioni; in questo caso, infatti, il fenomeno della diffrazione impedisce di raggiungere una risoluzione superiore a circa metà della lunghezza d'onda della radiazione impiegata. Oltre a rendere possibile una risoluzione elevatissima, a livello atomico, i microscopi con sonda di scansione consentono di operare in presenza di gas o di liquidi, e non necessariamente sotto vuoto come i microscopi elettronici. È pertanto possibile osservare campioni senza doverli modificare e senza esporli a dannose radiazioni ad alta energia; ciò permette di scegliere condizioni ottimali di analisi che, nel caso particolare dei campioni biologici, sono comparabili a quelle naturali.
I primi microscopi commerciali a scansione a effetto tunnel sono apparsi alla fine degli anni ottanta; quelli a interazione atomica, agli inizi degli anni novanta. Molti altri tipi di microscopi con sonda di scansione sono attualmente in fase di sviluppo e senza dubbio alcuni di questi appariranno sul mercato prima del 2000.
a) Microscopio a effetto tunnel
Nel microscopio a effetto tunnel l'unica sorgente di radiazioni è rappresentata dagli elettroni legati presenti nel campione da esaminare, che deve essere un conduttore. Il principio fisico su cui si basa questo microscopio è derivato dalla meccanica quantistica: ciascun elettrone di un materiale si comporta come un'onda e la sua posizione è indeterminata. Pertanto, esiste una nube di elettroni al di là della superficie dei materiali solidi e la probabilità di trovare questi elettroni diminuisce esponenzialmente con l'aumentare della distanza dalla superficie. Questo fenomeno è noto come ‛effetto tunnel', dal momento che gli elettroni si comportano come se sfuggissero attraverso un tunnel.
Nel microscopio a effetto tunnel si utilizzano minuscole sonde dalla punta così sottile da poter essere costituita da un solo atomo e avere un diametro di soli 0,2 nm. La qualità dell'immagine è determinata in modo fondamentale dalla forma e dalla qualità della punta - che può essere di tungsteno, oro o platino/iridio - la quale viene mossa sul campione nelle due dimensioni del piano, secondo linee parallele separate da una frazione di nanometro. Questa precisa scansione è possibile grazie all'utilizzo di tre guide fatte di materiali ceramici piezoelettrici (v. Hansma e altri, 1988), che hanno la proprietà di modificare le proprie dimensioni col variare della differenza di potenziale a esse applicato. Durante la scansione, la punta della sonda viene mantenuta a una distanza di circa 1 nm dalla superficie del campione, una distanza alla quale la nube di elettroni dell'atomo presente sulla punta della sonda e quella dell'atomo più vicino del campione si sovrappongono; applicando una piccola tensione elettrica, gli elettroni attraversano questo spazio per effetto tunnel e generano una piccolissima corrente, detta di tunneling (it), che è dell'ordine di grandezza di 1 nA per differenze di potenziale di circa 1 V. L'intensità della corrente di tunneling dipende però fortemente dalla distanza punta-superficie e per ogni aumento di distanza di 0,1 nm essa diminuisce di un fattore 10. La distanza tra la punta del microscopio e la superficie del campione può essere mantenuta costante grazie a un meccanismo a retroazione che rileva la corrente di tunneling e modifica corrispondentemente la tensione elettrica applicata a una terza guida piezoelettrica capace di far muovere la sonda in direzione perpendicolare al piano di scansione. La punta della sonda segue pertanto il profilo della superficie, mentre le variazioni di tensione elettrica sono opportunamente amplificate e trasformate elettronicamente in un'immagine della superficie stessa (v. Binnig e Rohrer, 1985). Questo modo di rilevazione dei dati è detto ‛a corrente costante'. È possibile operare anche ‛ad altezza costante' (con velocità di scansione più alta), oppure allontanare la sonda a ogni punto di scansione (minimizzando così l'interazione punta-campione), oppure in spettroscopia. La velocità di scansione dipende sia dalle modalità operative che dalla ‛rugosità' della superficie. Si può considerare che siano necessari circa 3 minuti per acquisire l'immagine di una superficie di 2 µm × 2 µm (256 × 256 punti) che abbia dislivelli di circa 10 nm; l'immagine topografica del campione così ottenuta non va considerata nel senso usuale del termine ‛immagine', poiché essa dipende anche dalle variazioni di abbondanza e di energia degli elettroni di superficie. Un atomo di un elemento estraneo su una superficie perfettamente uniforme può apparire, a seconda delle sue proprietà elettroniche, come un avvallamento o come un rilievo anomalo. Le proprietà del microscopio a effetto tunnel rendono possibile, se esso è opportunamente utilizzato, rivelare anche la composizione atomica della superficie di un materiale. In condizioni operative ottimali si possono ottenere risoluzioni di singoli atomi fino a 0,2 nm di diametro: si parla in questo caso di ‛sovrarisoluzione', dal momento che la lunghezza d'onda degli elettroni è di circa 1 nm.
Per l'osservazione di campioni biologici è necessario che questi vengano posti su un opportuno conduttore e ricoperti uniformemente, per evaporazione, con un sottile velo di metallo. L'immagine così ottenuta riflette la topologia della superficie, dal momento che la densità elettronica locale può essere considerata costante (v. Morris, 1994). Ancora oggi la comprensione delle informazioni topologiche fornite da campioni biologici non ricoperti da metalli è spesso problematica.
b) Microscopio a interazione atomica
A differenza del microscopio a effetto tunnel, il microscopio a interazione atomica consente di analizzare campioni che non sono conduttori. Una minuscola sonda, che può essere costituita da un diamante montato su una strisciolina metallica, effettua la scansione del campione seguendo un andamento a reticolo e rilevando l'entità della forza di repulsione generata dalla sovrapposizione della nube elettronica della punta della sonda e di quella degli atomi presenti sulla superficie del campione. La strisciolina metallica serve a mantenere, grazie alla sua elasticità, un contatto continuo tra la sonda e la superficie da analizzare, seguendone le irregolarità a un livello di risoluzione atomica (v. Hansma e altri, 1988). In pratica, la punta analizza la superficie come la puntina di un giradischi legge il solco di un disco. I problemi tecnici principali che pone il microscopio a interazione atomica sono due: la natura della sonda e il controllo della pressione che essa esercita sul campione. Mentre inizialmente veniva utilizzato come sonda un frammento di diamante incollato su un foglio d'oro o su un filo di tungsteno, attualmente la tecnologia dei semiconduttori ha reso disponibili sonde di elevata qualità in cui il supporto elastico e la punta, costituiti dello stesso materiale (per esempio, nitruro di silicio), sono fusi insieme. La struttura e i materiali delle punte sono oggetto di intensa ricerca e le più recenti tecnologie fanno sperare di poter ottenere punte di diametro inferiore ai 2 nm. Il controllo della pressione esercitata dalla punta della sonda sul campione era inizialmente ottenuto con un meccanismo a retroazione che rispondeva a correnti di tunneling; queste facevano variare la tensione elettrica applicata a una guida piezoelettrica in grado di regolare la pressione sul campione. Attualmente si preferisce utilizzare sensori ottici, a raggi laser, che possono misurare la deflessione delle punte con una sensibilità - oggi di circa 0,01 nm - superiore a quella della corrente di tunneling. Si deve considerare che, per generare un'immagine della superficie del campione, è necessario esercitare una pressione, difficile da valutare, che deve risultare sufficiente a superare le pellicole d'acqua e le piccole impurezze che sempre si accumulano sia sulla punta che sul campione; se quest'ultimo non è molto duro, come è il caso, per esempio, delle strutture biologiche, può essere danneggiato da un eccessivo incremento di pressione. L'immersione della punta e del campione in una goccia d'acqua durante la scansione consente di ridurre di un fattore 10 la pressione e di eliminare parzialmente questi inconvenienti. Tuttavia molte superfici, immerse in liquidi, legano fortemente ioni che generano forze repulsive e rappresentano un'ulteriore sorgente di interferenze. In condizioni ideali è possibile misurare forze di un ordine di grandezza compreso tra 10-13 e 10-4 N (v. Morris, 1994) con una risoluzione laterale dell'ordine di 0,1 nm.
c) Altri microscopi con sonda di scansione
Il microscopio a interazione atomica con sonda di scansione a contatto esercita pressioni che possono danneggiare o contaminare il campione in esame. Sono pertanto stati sviluppati nuovi tipi di microscopi con sonda di scansione (v. Wickramasinghe, 1989), in cui viene evitato il contatto con la superficie da esaminare. Il principale di questi microscopi è quello a effetto attrattivo con sensore laser, in cui viene sfruttata la debole forza attrattiva che si esercita tra sonda e campione a una distanza di circa 20 nm. Questa forza attrattiva - dovuta prevalentemente alla tensione superficiale dell'acqua di condensazione e in misura minore anche alle forze di van der Waals (forze elettrostatiche deboli e transitorie) - è circa 1.000 volte più piccola delle forze repulsive generate dal microscopio a interazione atomica per contatto. La sonda è vibrante ed è costituita da un sottilissimo filo di tungsteno, la cui punta ha un diametro inferiore ai 50 nm, o da silicio, con una punta della dimensione di 1 diametro atomico. La frequenza di funzionamento è vicina alla frequenza di risonanza del filo e perciò il segnale viene da questo amplificato come avviene per l'ancia di uno strumento musicale. Quando la punta in vibrazione si avvicina al campione, le forze attrattive smorzano la vibrazione abbassandone la frequenza. Per rilevare variazioni di ampiezza della vibrazione viene impiegato un sensore laser utilizzando la tecnica dell'interferometria, con una sensibilità che è dell'ordine di 10-5 nm. Dal momento che l'ampiezza si riduce in corrispondenza dei rilievi, dove le forze attrattive sono più intense, e aumenta negli avvallamenti, dove le forze attrattive sono ridotte, le fluttuazioni registrate possono essere convertite in un profilo della superficie. Un meccanismo a retroazione mantiene costante la distanza punta-superficie.
Una variante del microscopio a effetto attrattivo con sensore laser è il microscopio a interazione magnetica, in cui la sonda, di ferro o di nichel, è magnetizzata. Quando questa sonda vibrante si trova in prossimità di un campo magnetico, si verifica un cambiamento nella frequenza di risonanza e quindi nell'ampiezza della vibrazione. È in tal modo possibile visualizzare, con una risoluzione superiore a 25 nm, la struttura di un campo magnetico, come può essere quello generato dalla registrazione di dati su dischi o su altri supporti. Queste informazioni possono essere utili per giudicare la qualità dei supporti di memoria o delle prestazioni delle testine di registrazione.
Il microscopio a interazione elettrostatica è un'ulteriore variante dei microscopi con sonda di scansione che potrebbe rivelarsi particolarmente utile nella produzione di componenti microelettronici. In questo caso la sonda vibrante è dotata di carica elettrica e la vibrazione viene modificata dalla presenza di forze elettrostatiche generate dalle cariche presenti nel campione. Un esempio applicativo è l'analisi della distribuzione e della concentrazione di alcuni atomi di impurezze, detti ‛droganti', che si aggiungono al silicio per modificarne le caratteristiche nel processo di preparazione di microcircuiti.
È possibile, con apposito microscopio a sonda, misurare l'attrito su scala atomica. Diversamente dagli altri microscopi, in cui si misura la flessione verticale del supporto elastico su cui si trova la sonda, in questo tipo di strumento viene misurata la torsione causata da forze laterali. La punta è montata su una strisciolina metallica, la cui deflessione è monitorata con un interferometro laser durante il movimento trasversale sul campione.
Nel microscopio termico a scansione, la sonda - costituita da tungsteno e nichel separati da un isolante - agisce come una termocoppia che genera una tensione elettrica proporzionale alla temperatura. La vicinanza al campione determina una perdita di calore, proporzionale alla distanza dalla superficie, che fornisce informazioni sulla topologia della superficie stessa.
Nel microscopio a scansione a conduttanza ionica, la sonda è costituita da una micropipetta di vetro contenente un minuscolo elettrodo. L'immersione della pipetta in un elettrolita consente di misurare un flusso di ioni rispetto a un elettrodo di riferimento. Questa corrente si riduce, fino ad annullarsi, quando la pipetta si avvicina e tocca il campione. Il diametro della pipetta limita per ora la risoluzione dello strumento a circa 0,2 µm.
Il microscopio ottico a scansione in campo prossimo (SNOM, Scanning Near-field Optical Microscope), apparso in commercio nel 1994, utilizza il principio descritto per la prima volta nel 1956 da J. A. O'Keefe, il quale propose di effettuare la scansione di un campione con un fascio di luce emergente da un minuscolo forellino. In queste condizioni, la risoluzione risulta limitata non più dalla lunghezza d'onda della luce, ma dalla dimensione del forellino. I progressi tecnologici hanno consentito di realizzare solo recentemente questo tipo di strumento che ha reso possibile effettuare scansioni estremamente accurate e ragionevolmente rapide del campione in esame. Il microscopio ottico a scansione in campo prossimo combina il vantaggio di utilizzare luce trasmessa, e quindi di ottenere immagini convenzionali fatte di luci, ombre e colori, alla possibilità di raggiungere risoluzioni non più limitate dalla lunghezza d'onda utilizzata. È molto probabile che saranno presto introdotte innovazioni nei campi dell'immunofluorescenza, del contrasto di fase e del contrasto di polarizzazione.
3. Microscopia confocale
La microscopia confocale, insieme alla microscopia con sonda di scansione, rappresenta la più importante novità nel campo della microscopia degli ultimi 15 anni. Proposto nel 1957 da Marvin Minsky, che lo chiamò ‛microscopio a scansione a doppia focalizzazione' (v. Minsky, 1957 e 1988), il microscopio oggi comunemente detto ‛confocale' non riscosse grande interesse se non dopo alcuni decenni. Il microscopio a scansione confocale risponde alla necessità di eliminare il disturbo provocato durante l'osservazione dalla radiazione luminosa diffusa e riflessa da piani del campione che sono fuori fuoco. In effetti, la condizione ideale per ottenere una rappresentazione perfetta di un singolo piano di un campione sarebbe quella di raccogliere solo le radiazioni luminose riflesse da quel particolare piano. Nella microscopia ottica classica, invece, viene illuminato l'intero campione; pertanto, anche la materia posta al di sopra o al di sotto del piano focale riflette radiazioni luminose, causando un grave disturbo che si manifesta come nebulosità dell'immagine. La soluzione di questo problema si ottiene, nel microscopio confocale, illuminando un solo punto per volta di uno specifico piano focale e acquisendo, in ciascun momento, solo l'immagine del punto illuminato. In pratica, nel microscopio confocale la luce proveniente dalla sorgente passa attraverso un forellino, posto sull'asse del microscopio, e viene focalizzata in un punto del campione da una lente che funge da condensatore (v. Pawley, 1990). Il campo di osservazione è limitato da un secondo forellino ‛confocale' al primo e al punto del campione su cui è focalizzata la luce. In questo modo si ottiene un'immagine molto nitida e relativa solo a una regione molto piccola e sottile del campione. Per ottenere la rappresentazione di un intero piano viene effettuata la scansione del campione, vengono cioè illuminati successivi punti dello stesso piano focale spostando progressivamente il campione stesso oppure il fascio luminoso, mediante specchi ruotanti. Per rendere più veloce la scansione è possibile utilizzare fasci luminosi multipli. Alcuni microscopi sono dotati di un disco con centinaia di forellini attraverso i quali viene inviata e raccolta la luce: il disco ruota opportunamente per garantire che sia effettuata la scansione dell'intero piano focale. Altri microscopi utilizzano aperture a forma di fenditura per ridurre il tempo di scansione. È ovviamente possibile ripetere la stessa operazione su altri piani focali, acquisendo progressivamente informazioni sull'intero campione in tutto il suo spessore. Questo principio può essere applicato, oltre che con luce trasmessa, anche per l'epi-illuminazione (v. Pawley, 1990), come nel caso della fluorescenza. La necessità di realizzare un'illuminazione intensa e puntiforme ha portato all'impiego del laser, che è una sorgente luminosa monocromatica e collimata. È possibile utilizzare diversi laser, a differenti lunghezze d'onda, che consentono di analizzare campioni colorati con più fluorocromi. Questa applicazione è particolarmente importante nel campo della immunofluorescenza (v. White e altri, 1987), un settore in cui la microscopia confocale è risultata particolarmente vantaggiosa. Per quanto le tecniche di scansione siano oggi talmente rapide da rendere possibile l'osservazione di piani completi in tempo reale, l'immagine acquisita viene normalmente memorizzata in un calcolatore e può essere successivamente rielaborata. La scansione di un singolo piano produce in pratica una sezione ottica costituita da tanti pixel che può essere considerata analoga a una vera e propria fetta sottile del campione originale. Dal momento che vengono analizzati più piani e che il calcolatore memorizza non solo la luminosità di ciascun punto, ma anche la sua localizzazione spaziale nel campione, ciascun punto immagine, detto ‛voxel', rappresenta l'equivalente del pixel di un'immagine a due dimensioni; esso è definito da tre coordinate, due (x e y) nel piano, e una terza (z) perpendicolare al piano. Utilizzando opportuni programmi, è possibile manipolare i voxel con facilità, fino a pervenire a una ricostruzione tridimensionale delle immagini secondo differenti assi, per osservarle in una prospettiva più favorevole (v. Lichtman, 1994). È anche possibile ottenere nuove sezioni ottiche: verticali, trasversali od oblique. Gli straordinari progressi nell'analisi delle immagini hanno consentito, anche in questo settore della microscopia, di conseguire risultati eccezionali quanto inattesi. Il microscopio confocale ha oggi una vasta gamma di applicazioni, tanto nel campo della ricerca biologica e medica quanto nella scienza dei materiali, grazie alle molte possibilità che esso offre: osservare campioni spessi, effettuare una precisa localizzazione spaziale di porzioni di un campione, ottenere una ricostruzione tridimensionale delle immagini e registrare simultaneamente più segnali colorati.
4. Microscopio a raggi X
Il microscopio a raggi X - il cui principio di funzionamento non è nuovo (v. microscopia, vol. IV) - si basa sull'uso di raggi X molli, di lunghezza d'onda compresa tra 2 e 4 nm, sufficientemente penetranti ma non in grado, potenzialmente, di consentire un'elevata risoluzione in confronto al microscopio elettronico. Fino ad alcuni anni fa, non si era riusciti a ottenere uno strumento che fornisse prestazioni superiori a quelle del microscopio ottico e che potesse, almeno per alcune caratteristiche, competere anche con quello elettronico. Ciò per la carenza di sorgenti di raggi X sufficientemente intense, di sistemi ottici appropriati e di rivelatori adeguati. Questi problemi sono stati soddisfacentemente risolti negli ultimi vent'anni (v. Howells e altri, 1991). Il miglioramento della luminosità delle sorgenti di raggi X è stato ottenuto grazie all'utilizzazione del sincrotrone (v. particelle elementari: Acceleratori di particelle, vol. V), e anche grazie alla messa a punto di laser a raggi X e di plasmi che emettono raggi X. È stato inoltre possibile focalizzare i raggi X con estrema precisione, utilizzando principalmente il cosiddetto ‛reticolo zonato di Fresnel', costituito da un alternarsi di anelli opachi e trasparenti, la cui spaziatura decresce con la distanza dal centro. Questi reticoli zonati possono essere utilizzati per focalizzare anche altri tipi di radiazioni. La loro fabbricazione per alte risoluzioni, tuttavia, è tecnicamente molto impegnativa. Infine, i rivelatori di raggi X sono stati notevolmente perfezionati con l'introduzione dei rivelatori elettronici e con la sostituzione, in molti casi, della pellicola fotografica con un materiale sensibile e senza grani (resist) che, oltre a essere di basso costo, consente una risoluzione di quasi due ordini di grandezza superiore a quella di una normale pellicola fotografica (v. Duke e Michette, 1990).
Gli attuali microscopi a raggi X hanno una risoluzione di gran lunga superiore a quella dei microscopi ottici e, a differenza dei microscopi elettronici, offrono l'opportunità di osservare campioni in mezzo gassoso o acquoso; ciò è senza dubbio importante nel caso di campioni biologici e rappresenta la vera potenzialità futura di questi microscopi. Vi sono quattro metodi di impiego dei raggi X che consentono di ottenere una risoluzione abbastanza elevata: la microscopia per contatto, la microscopia a focalizzazione, la microscopia a scansione e l'olografia. La microscopia per contatto è stato il primo e il più comune dei metodi utilizzati; la versione attuale si avvantaggia dell'utilizzazione di vari tipi di resist e di microscopi elettronici più perfezionati per osservare le immagini impressionate nel resist. Nei microscopi a focalizzazione l'intero campione viene illuminato una volta sola e le ottiche focalizzanti danno origine a un'immagine, ingrandita alcune centinaia di volte, per la cui registrazione non è necessario un rivelatore ad alta risoluzione. Nei più moderni microscopi a scansione, l'immagine viene costruita un pixel alla volta, mentre il campione viene illuminato, in un'area molto ristretta, da un fascio focalizzato. La tecnica dell'olografia, come quella per contatto, non richiede un meccanismo di focalizzazione e consente di ottenere ulteriori informazioni sulla tridimensionalità del campione (v. olografia, vol. IV). I microscopi a raggi X possono essere impiegati anche nell'analisi della composizione elementare di un campione; oggi, per la loro risoluzione (20-100 nm) e per le loro prestazioni generali, essi si collocano tra i microscopi ottici e quelli elettronici, pur non avendo ancora un'apprezzabile diffusione.
5. Videomicroscopia
Si intende per videomicroscopia l'impiego di telecamere in associazione con un microscopio per trasferire le immagini su uno schermo video. Verso la fine degli anni settanta si resero disponibili le prime telecamere a elevata sensibilità, che permisero di visualizzare su uno schermo video immagini derivate da campioni aventi un livello di luminescenza talmente basso da non essere otticamente visibili. Tali telecamere consentirono anche di ridurre enormemente l'illuminazione necessaria ad analizzare un campione, evitando così di danneggiarlo. Applicate a microscopi ottici operanti in differenti modi - polarizzazione, contrasto di fase e contrasto interferenziale - divenne possibile aumentare enormemente il contrasto e la qualità dell'immagine (v. Inoué, 1986 e 1988).
La possibilità di sottrarre elettronicamente il segnale di fondo e di incrementare il segnale analogico registrato, unitamente all'impiego dei condensatori e delle ottiche tecnologicamente più avanzati, consentì di spingere al suo limite estremo la risoluzione del microscopio ottico. È stato così possibile esaminare, anche nel loro dinamismo, strutture non rilevabili alla semplice osservazione al microscopio, perché quasi prive di contrasto o provviste di scarsa birifrangenza. Il contributo più significativo di questo tipo di analisi è senza dubbio la dimostrazione del movimento dei microtubuli (strutture cellulari di spessore inferiore a 30 nm) e di vescicole lungo i microtubuli stessi (v. Schnapp e altri, 1985).
6. Microscopio acustico
Il microscopio acustico può essere considerato un'estensione della tecnologia delle immagini ultrasoniche. Fu proposto inizialmente da S. Y. Sokolov, intorno agli anni quaranta, ma si dovettero attendere gli anni sessanta prima che fosse sviluppata la tecnologia necessaria per la produzione di onde a frequenza ultrasonica sufficientemente elevata da rendere accettabili le prestazioni dello strumento (v. Quate, 1979 e 1980). Un microscopio acustico utilizza onde ultrasoniche con frequenze dell'ordine di 1 o 2 GHz (1 o 2 miliardi di cicli per secondo), cioè circa 1.000 volte più alte delle frequenze utilizzate tipicamente nei sistemi macroscopici di formazione di immagini ultrasoniche, come quelli impiegati nella pratica medica per lo studio di organi interni del corpo umano (ecografi). La lunghezza d'onda di funzionamento dei più moderni microscopi acustici è pertanto dell'ordine di frazioni di µm, comparabile con quella delle onde elettromagnetiche della luce visibile (v. Briggs, 1992). Le immagini che questo strumento consente di ottenere hanno di conseguenza una risoluzione teorica paragonabile a quella dei microscopi ottici convenzionali (v. fig. 10).
Poiché la sorgente del contrasto dei sistemi acustici è affatto diversa da quella dei sistemi ottici, è possibile ottenere informazioni su proprietà di oggetti microscopici precedentemente inaccessibili. È da tener presente, inoltre, che l'elemento focalizzante può essere molto più semplice della lente di un comune microscopio ottico e che la risoluzione risulta limitata quasi esclusivamente dalla lunghezza d'onda di funzionamento, poiché l'aberrazione non riveste un ruolo molto importante. Il principio chiave su cui si basa la formazione delle immagini in un microscopio acustico è la variazione di velocità che le onde sonore subiscono quando attraversano una superficie di separazione tra due materiali differenti. Tale variazione è di gran lunga maggiore che per le onde luminose: si consideri, infatti, che la velocità delle onde sonore può diminuire anche di un fattore 10 nell'attraversare un'opportuna interfaccia liquido-solido, mentre l'indice di rifrazione delle onde luminose non è mai superiore a 1,9. Ancora oggi i microscopi acustici hanno una scarsa diffusione, a causa della loro complessità e dei costi eccessivi.
7. Microscopia a risonanza magnetica nucleare
La risonanza magnetica nucleare (RMN), una tecnica largamente impiegata nella diagnostica medica, si basa sulla capacità di misurare le radiazioni emesse dai protoni di un soggetto posto in un campo elettromagnetico e irradiato con onde di una specifica frequenza (v. risonanza magnetica nucleare, vol. VIII). La RMN fornisce immagini dettagliate di organi e tessuti determinando sostanzialmente differenze di concentrazione e di distribuzione di protoni. Un microscopio a RMN (v. Aguayo e altri, 1986), utilizzando campi magnetici di qualche ordine di grandezza più grandi di quelli usati nelle applicazioni cliniche, consente l'osservazione di cellule (v. fig. 11) e tessuti con un livello di risoluzione che non è tuttavia molto elevato, dell'ordine di una decina di µm. È possibile prevedere che anche in futuro sarà molto complicato ottenere una risoluzione in voxel che scenda molto al di sotto di 10 µm a causa delle grosse difficoltà tecniche che si presentano. D'altra parte, la microscopia a risonanza magnetica nucleare presenta il vantaggio di non essere una tecnica distruttiva: non è necessario effettuare alcuna preparazione speciale e il campione può essere costituito da cellule vive. È anche ipotizzabile che si potranno effettuare osservazioni all'interno di un essere vivente senza dover ricorrere a prelievi bioptici per ottenere cellule o tessuti isolati. La lentezza nell'acquisizione dei dati, che richiede alcuni minuti per ciascuna immagine, rappresenta un ulteriore limite di questa tecnica.
8. Prospettive
La capacità di ottenere nuove informazioni sulla struttura della materia vivente e non vivente è attualmente limitata, più che dal potere di risoluzione delle apparecchiature esistenti, dalla difficoltà di analizzare i campioni nelle condizioni più appropriate. Già da molti anni i microscopi disponibili consentono di compiere osservazioni nell'ambito di un ampio spettro di potere risolutivo, sufficiente a soddisfare praticamente tutte le esigenze: da frazioni di millimetro, al limite della visibilità a occhio nudo, a frazioni di nanometro - le dimensioni, cioè, di singole molecole. Mediante la microscopia ottica e, soprattutto, quella elettronica è stata acquisita un'enorme quantità di informazioni sulla struttura della materia vivente e non vivente, nei suoi differenti livelli di organizzazione. Tra i nuovi tipi di apparecchiature rese commercialmente disponibili negli ultimi dieci anni, due in particolare hanno fornito i contributi più innovativi: i microscopi confocali e i microscopi con sonda di scansione. I microscopi confocali, principalmente nell'applicazione che prevede l'analisi mediante sonde fluorescenti, hanno determinato una vera rivoluzione in molte aree della biologia cellulare per la loro capacità di fornire informazioni sulla presenza e sulla distribuzione spaziale di specifiche molecole in campioni di parecchi micron di spessore. Per i microscopi con sonda di scansione è ancora difficile prevedere quanto grande sarà l'incremento di conoscenze che essi determineranno: il loro impiego è recente, il loro spettro di applicazione è estremamente ampio. Nuove apparecchiature sono in fase di progettazione o costruzione. Per rappresentare un reale progresso rispetto alla tecnologia esistente, i nuovi apparecchi e le nuove tecniche di microscopia dovranno consentire una migliore osservazione dei sistemi viventi e dei processi dinamici, con una risoluzione inferiore a 10 nm, e l'analisi della localizzazione, della distribuzione e della concentrazione di specifici elementi che svolgono un ruolo chiave nella fisiologia cellulare; dovranno garantire il funzionamento, anche su campioni spessi, in condizioni di basso contrasto; e, soprattutto, dovranno consentire condizioni di analisi che riducano al minimo la manipolazione e la conseguente alterazione della conformazione molecolare nativa del campione.
La microscopia, nata più di tre secoli fa, è lungi dall'essere superata come tecnica di analisi dei sistemi viventi. Essa consente oggi l'indagine accurata dell'organizzazione sopramolecolare dei differenti compartimenti e degli altri organelli intracellulari e della struttura di molte macromolecole sia intra- che extracellulari. I progressi della tecnologia fanno prevedere che sarà possibile in futuro acquisire ulteriori conoscenze, con un livello di risoluzione atomico, sia sulla struttura generale dei viventi e delle biomolecole che li compongono, sia sulle modalità di interazione tra le molecole stesse.
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