VÖRÖSMARTY, Mihály
Poeta ungherese, nato il 1° dicembre 1800 a Puszta-Nyék, nel comitato di Fehér, morto a Pest il 17 novembre 1855. Il padre, che discendeva di nobile famiglia cattolica, fu amministratore e poi fittavolo della tenuta di un magnate ungherese. Il laborioso, taciturno e sensitivo V. frequentò a Székesfehérvár il ginnasio fino al 1816, e poi a Pest presso gli scolopî. A 15 anni scrisse il suo primo saggio poetico in esametri, verso di cui doveva diventare il maggiore dei maestri ungheresi. Dall'età di 17 anni, quando con la morte del padre la sua famiglia cadde rapidamente in miseria, mantenne con i suoi modesti proventi di scrittore sé stesso e, più tardi, anche la madre. Trascorse 9 anni presso la famiglia Perczel come precettore, prima a Pest, dove compì all'università il corso di filosofia, poi in un villaggio del Transdanubio, da dove ogni sei mesi si recava alla capitale per sostenere gli esami di diritto. I 4 anni che precedettero il conseguimento del diploma di avvocato ebbero un'influenza decisiva sul suo sviluppo spirituale e sulla sua vita futura. Nella solitudine campestre non solo si schiusero innanzi a lui i problemi e lo spirito della risorgente letteratura nazionale, ma fu là che cominciò a studiare intensamente le lingue (in prima linea l'italiano). Là s'immerse nell'arte del Tasso, di Shakespeare, di Goethe e di Schiller; là il suo innato patriottismo si saturò della realtà della triste vita ungherese. Praticante presso il sottoprefetto del comitato di Tolna, aveva avuto nel 1822 la possibilità di osservare da vicino la lotta della nazione contro le tendenze assolutistiche di Vienna e aveva profondamente risentito il dolore dei patrioti. È naturale, quindi, che i primi e più robusti accordi della sua poesia esprimessero questi sentimenti dibattentisi fra dubbî e speranze. Ad essi, anche in seguito, attinse le sue più profonde ispirazioni: divenne, così, il poeta più rappresentativo dell'epoca della riforma ungherese; e il funereo precipitare dei suoi ideali seppellì anche lui sotto le rovine.
Sulla sua attività di scrittore esercitò una non minore influenza l'amore per Etelka Perczel, che per quasi un decennio nutrì la sua poesia prima di una passione disperata, ma ardente, e poi della dolce tristezza della rinunzia e dei ricordi. Le sue prime poesie, apparse nel 1822-23, non suscitarono grande impressione, ma lo fecero entrare in rapporti epistolari con Francesco Kazinczy, con Alessandro Kisfaludy e con Francesco Deák, al quale rimase legato da stretta amicizia sino alla morte.
Le idee e gl'ideali internazionali del romanticismo si amalgamarono in maniera singolare con l'ideale nazionale dei poeti magiari dell'epoca il cui entusiasmo si volgeva al passato per trarre dalla sua grandezza un conforto contro l'aridità presente. Ma nessuno, prima di V., aveva saputo superare le difficoltà costituite dalla povertà delle leggende storiche e dalle condizioni in cui allora si trovava la lingua letteraria. V. veniva, dunque, incontro a una reale esigenza e compiva quasi un miracolo quando, nel 1825, donava al suo paese l'epopea da tanto tempo attesa: Zalán futása (La rotta di Zalano) che lo rese di colpo una celebrità nazionale.
L'Ungheria salutò l'apparizione dei dieci canti, che narrano un episodio della conquista di Árpád, quasi con la stessa gioia e soddisfazione con cui aveva salutato il grande avvenimento della vita politica, la convocazione della dieta del 1825, che iniziava la lenta progressiva realizzazione delle rivendicazioni riformiste del paese. La rotta di Zalano, come componimento epico, è un lavoro mancato: la sua struttura è inconsistente, la mitologia inventata, i caratteri difettosi. Ma nei suoi esametri superbamente sonori vibra un'anima eccezionale e una fantasia quasi demoniaca. La lingua di questa epopea è la più bella lingua ungherese che fosse mai stata scritta fino allora. V. rivelò ai contemporanei e ai posteri tutto un tesoro di finezze germogliate dal suolo della lingua del popolo. L'influenza di Ossian non sminuì l'originalità del contenuto romantico. Lo sfarzo orientale era vicino all'immaginazione di V. assai più della malinconia nordica. Il successo della Rotta di Zalano lo incitò anche in seguito verso l'epica, sebbene essa non rappresentasse un suo dono naturale. Ma nei suoi racconti poetici ben presto abbandonò i soggetti storici (Cserhalom, 1825; Eger, 1827), per collocare nel mondo della preistoria ungherese o della fiaba la potente effusione della sua anima essenzialmente lirica (Tündérvölgy, 1826; Délziget, 1826; Magyarvar, 1828; Rom, 1830).
Al dramma invece lo attirava da una parte il suo senso vivo per il tragico e dall'altra il desiderio di liberare il teatro ungherese dall'influsso del dramma cavalleresco tedesco, di nobilitare la lingua, di elevarla ad altezza poetica e di rendere nazionale tale forma d'arte.
A questo era già riuscito anche nei suoi primi drammi (Zsigmond, Salamon, A bujdosók, Kincskeresök), ma non aveva mai penetrato i segreti dell'arte scenica e della tecnica del dramma. Rese invece più vigorosa la rappresentazione del tragico nell'epopea Két szomszédvár (Due castelli vicini, 1831), che è il suo più alto componimento epico anche nei riguardi della struttura e dei caratteri, mentre fra i drammi l'unico suo capolavoro è Csongor és Tünde. In questa poesia drammatica, intessuta di motivi tratti dalle favole popolari, il buonumore scherzoso e l'elevatezza lirica, la comicità grottesca e il volo ditirambico del pensiero si fondono in una fiabesca sinfonia romantica.
Intanto V. era già considerato un'autorità nel campo letterario e viveva in una situazione economica discretamente agiata. Fu per anni (1827-1832) redattore della maggiore rivista ungherese (Tudományos Gyüjtemény); fu membro dell'Accademia delle scienze sin dalla sua fondazione (1830) e coi suoi due compagni, Giuseppe Bajza e Francesco Toldy, regnò da sovrano nella vita letteraria, prima sulle colonne dei Kritikai Lapok e dell'Aurora, poi, dopo la morte di Alessandro Kisfaludy, attraverso la Società Kisfaludy, dallo stesso V. fondata nel 1836, e dalla redazione dell'Athenaeum. Con le sue critiche teatrali pubblicate in questa rivista fra il 1837 e il 1843, divenne l'iniziatore del culto ungherese per Shakespeare e dirigendo l'attenzione su Victor Hugo e su Dumas cercò di controbilanciare l'influsso unilaterale del romanticismo tedesco. Fra il 1833 e il 1844 scrisse quattro drammi storici (Vérnász, Marót bán, Áldozat, Cillei és a Hunyadiak) che rimasero a lungo nel repertorio del teatro nazionale, inauguratosi nel 1837, e che col loro spirito altamente poetico e con le loro tendenze nazionali esercitarono un grandissimo influsso sulla letteratura teatrale ungherese.
La vita politica stava allora sotto il segno delle riforme culturali, sociali ed economiche del conte Stefano Széchenyi. V., che ne fu l'araldo, divenne quasi il poeta ufficiale del suo paese.
Mentre fra i suoi maggiori precursori Daniele Berzsenyi cantava solo per la classe che aveva una cultura latina, e Kazinczy, coi suoi compagni, era soprattutto seguito dalle persone che avevano una cultura tedesca, tutta la nazione sentì che V. apparteneva a lei. La sua poesia ora precorse, ora accompagnò la grande lotta nazionale, che si chiuse tristemente con gli avvenimenti del 1849. Gl'ideali morali di V. erano l'eroismo e l'umanità. Egli chiedeva un patriottismo attivo, pronto al sacrificio, ma il suo non era un nazionalismo né egoista, né xenofobo: si basava su ideali umani universali. "La religione più santa è la patria e l'umanità". La voce del dubbio e la paura della morte si mescolano spesso al suo amor di patria. Da un lato la fede, il senso della missione nazionale, la coscienza del diritto alla vita; dall'altro l'impotenza contro la forza opprimente, il presentimento della rovina della nazione struggevano con sordo dolore l'anima di ogni ungherese di quel tempo. V. diede espressione a questo sentimento nel Szózat (Appello), che divenne la preghiera nazionale degli Ungheresi.
Il pessimismo del poeta passò più di una volta dai problemi nazionali a quelli dell'umanità (Gondolatok a könyvtárban, Gutenberg albumba) e trovò pace solo quando gli fu dato conoscere le gioie familiari nell'amore tardivo, appassionato e felice er la giovane Laura Csajághy, la futura sua moglie. Da questo amore scaturirono alcune deliziose poesie, nelle quali però un certo pudico ritegno impose un percettibile limite alla sincerità completa. La poesia A merengöhöz (Alla sognatrice), composta per Laura quale dono di fidanzamento, e dove l'idea dominante è che "la fantasticheria corrompe la vita", rappresenta quasi una confessione nascosta di quelle sofferenze, che l'anima appassionata, l'ardente fantasia, le molte abnegazioni e il sentimento del dovere civile causarono a questo poeta, tranquillo e mite, dalla scialba vita esteriore.
Aveva preso parte viva alla vita politica; nel 1848 fu eletto deputato e per quanto non fosse stato né un ribelle né un rivoluzionario, alla fine del 1849 dovette anch'egli restare per qualche tempo nascosto, per sfuggire alla vendetta austriaca. Ma la sua natura, franca e maschia, lo spinse a presentarsi di propria iniziativa alle autorità militari che, o non trovarono niente a suo carico o non ebbero la temerarietà di condannare il sommo poeta del popolo ungherese. V. allora cercò conforto nella solitudine della provincia; deciso di darsi all'agricoltura, si ritirò nel suo paese natio, a Nyék, ma nemmeno questo gli giovò. La sofferenza spirituale distrusse presto anche le sue forze fisiche. Durante la sua malattia che durò cinque anni lavorò assai poco. Tradusse a gran fatica Re Lear e solo di rado ritornò alla poesia. Ma nei suoi ultimi componimenti poetici (Emlékkönyvőe, Előszó, A vén cigány, Fogytán van napod...), la sua fantasia risplende in tutta la sua ricchezza, in una luce che supera ogni sua opera anteriore.
Edizioni: P. Gyulai, V.M. összes munkái (Opere complete di V.), volumi 8, Budapest 1885-86; L. Czapáry, V.-emlékkönyv (Carteggio di V.), Székesfehérvár 1900, Fr. Brisits, Vörösmarty kiadatlan költeményei (Poesie inedite di V.), Budapest 1926. Traduzioni: K. Kertbeny, Gedichte von M. V. aus dem ung. in eigenen und fremden Übersetzungen, Pest e Lipsia 1857; P. Hoffmann, Ausgewählte Gedichte von M. V., Lipsia 1895; M. Ring, Ban Marot von M. V., 1879; S. Gigante, La Rotta di Zalano, Fiume 1911.
Bibl.: P. Gyulai, V. életrajza (Vita di V.), Pest 1866; J. Eötvös, Enlékbeszéd V. M. felett (Discorso commemorativo), 1868; I. Kont, Un poète hongrois, V., in Revue des Revues, 15 febbraio 1896; Zs. Beöthy, V. emlékezete (Comemmorazione di V.), in Kisfaludy Társaság Évlapjai, XLII, Budapest 1908; A. Schöpflin, A két V. (I due V.), in Nyugat, 1908; M. Babits, Az ifju V. A férfi V. (Il giovane V. L'età virile di V.), in Nyugat, 1911; J. Horváth, V., in Naphkelet, 1925-26; Fr. Brisits, V. képzeletének alkata (La natura della fantasia di V.), in Budapesti Szemle, 1928; A. Szerb, V.-tanulmányok (Studi su V.), in Minerva, 1930.