BONGIORNO, Mike
(Michael Nicholas Salvatore)
Nacque a New York, il 26 maggio 1924, da Philip, avvocato italo-americano, figlio di siciliani, molto in vista e impegnato attivamente nella politica cittadina, e da Enrica Carello, appartenente alla borghesia torinese (in particolare alla famiglia proprietaria di una celebre industria produttrice di fanali d'auto).
Trascorse un’infanzia agiata a Manhattan, finché la famiglia venne travolta dalla crisi economica del 1929. La madre lo portò allora in Italia, dove si rifugiò con l’idea di trascorrere un breve periodo a Torino, ricongiungendosi alla famiglia d’origine mentre il padre provava a rimettere in sesto le loro finanze. In realtà, i due si fermarono in Italia per quindici anni, anche a seguito della separazione di Enrica dal marito.
Mike si stabilì a Torino, dove frequentò il liceo classico e nel frattempo iniziò a collaborare, non ancora diciottenne, con la redazione sportiva del quotidiano La Stampa, guidato dal caporedattore Luigi Cavallero, che dopo averlo messo alla prova come 'galoppino', lo incaricò di coprire gli allenamenti del Toro e della sua squadra del cuore, la Juventus, oltre che alcuni altri eventi sportivi a Torino e dintorni.
Quando la seconda guerra mondiale travolse l’Italia, anche grazie alla perfetta conoscenza dell’inglese, Bongiorno prese parte attiva alla Resistenza, dove venne impiegato come staffetta partigiana incaricata di trasmettere e tradurre messaggi su Torino e Milano. Nell’aprile 1944 finì catturato da un plotone della Gestapo: a salvarlo dall’esecuzione fu il suo passaporto americano, che lo rese un valido candidato per eventuali scambi di prigionieri tra tedeschi e alleati. Venne deportato a Milano, in quella che divenne poi la sua città d’elezione, e imprigionato nel carcere di S. Vittore: seguirono un primo, durissimo periodo di isolamento, poi il regime di convivenza con gli altri detenuti (tra cui anche Indro Montanelli), e infine il rilascio, nel settembre 1944 e la peregrinazione in diversi campi di lavoro tra Austria e Carinzia.
Nel 1945, all’alba della liberazione, finalmente rimesso in libertà, s’imbarcò a Marsiglia per fare ritorno dal padre a New York, dove iniziò a collaborare come giornalista con diverse riviste ed emittenti radiofoniche (presso cui fu spesso impiegato anche come tecnico, speaker e programmatore), molte di queste profondamente radicate nella comunità italo-americana, compresa la celebre Voce dell’America, realizzando anche alcuni servizi per la radio italiana.
Si sposò nel 1948 con la cantante lirica Rosalia Maresca, ma il matrimonio finì presto e venne annullato dalla Sacra Rota.
Nel 1953 rientrò in Italia, incaricato di confezionare dei servizi per la stazione radiofonica WOV, un’emittente newyorkese indirizzata alla comunità italo-americana grazie a una programmazione mista, parte in inglese e parte in italiano. Il suo compito era quello di fare ascoltare alle popolazioni dei più remoti villaggi italiani alcune registrazioni dei parenti americani, che venivano spedite via posta aerea. La vera svolta professionale arrivò grazie all’incontro con Vittorio Veltroni, allora a capo della direzione radiocronache della Rai, che proprio nel 1953 lo convinse a restare in Italia chiamandolo a collaborare con il Radiogiornale.
Per la Rai erano anni di grande fermento creativo e produttivo: la fase di sperimentazione sul nuovo miracolo mediale, la televisione, stava per giungere al termine, e il Servizio pubblico si avviava a grandi passi verso l’inaugurazione delle trasmissioni regolari. I dirigenti erano alla ricerca di volti e personaggi che potessero accompagnare il primo ingresso della tv nelle case degli italiani e nella vita sociale nazionale: Mike – o Michele Bongiorno, come lo chiamava in quel periodo il Radiocorriere – sembrava la figura ideale.
Domenica 1° gennaio 1954, alle 14.30, subito dopo la trasmissione della cerimonia d’inaugurazione della programmazione televisiva, venne trasmesso sull’unico canale Rai attivo Arrivi e partenze, il primo programma della tv italiana: a condurlo c’era Mike Bongiorno, inviato all’aeroporto di Ciampino e incaricato di fermare (tra un volo e l’altro, vero o simulato che fosse) molte voci e qualche pensiero delle 'note personalità' in arrivo e in partenza. Nella breve rubrica, Bongiorno era del tutto a suo agio nel ruolo dell’intervistatore, complice la padronanza dell’inglese: la sua figura funzionava come perfetta incarnazione della televisione come strumento capace di 'portare il mondo in casa', di farsi agente di cosmopolitismo e modernizzazione. Sin da questo suo esordio, Bongiorno legò indissolubilmente il suo nome a quello della televisione italiana.
Il primo grande successo televisivo di Mike Bongiorno coincise con il programma che ha 'istituzionalizzato' la televisione italiana, che ha segnato il suo definitivo ingresso nel sistema dei media nazionali e nelle abitudini quotidiane dei primi telespettatori: Lascia o raddoppia?. Mentre la tv raggiungeva anche i più sperduti Comuni della provincia italiana e installava le sue antenne sui campanili, Lascia o raddoppia unificava un paese che si esprimeva di preferenza nei dialetti regionali e utilizzava il treno come il principale mezzo di trasporto. D'improvviso, il giovedì sera, apparse un giovanotto italoamericano che diventò presto il bersaglio delle critiche dei più raffinati accademici e intellettuali (da Nicola Chiaromonte a Camilla Cederna e Luciano Bianciardi) e che, per intanto, cominciò a porre domande ai concorrenti sotto forma di quiz. Con l’avvio di Lascia o raddoppia?, le famiglie in possesso di un televisore tennero corte bandita, i bar si affollarono fino all'inverosimile, i cinema furono vampirizzati dalla tv (si interrompeva la programmazione per far posto a Mike), le strade deserte, tutti i (pochi) televisori d'Italia accesi per vivere in diretta l'avventura della conoscenza.
L'avvento della tv, traghettata da Mike Bongiorno nelle case degli italiani, fu pari (ma bisogna circoscrivere con prudenza il paragone alla sfera del sociale) alla Divina commedia o alla spedizione dei Mille: se Dante aveva dato all'Italia post-latina una lingua unitaria; se la spedizione dei Mille aveva realizzato politicamente quell'Unità che per 600 anni era rimasta solo un'utopia letteraria, dobbiamo anche ammettere che l'italiano di Dante era ristretto a pochi intellettuali e come tutti sanno, fatta l'Italia bisognava ancora fare gli italiani. La tv unificò linguisticamente la penisola, là dove non vi era riuscita la scuola. Lo fece nel bene come nel male. Unificò non con il linguaggio di Dante ma con quello di Mike Bongiorno.
La prima puntata di Lascia o raddoppia? andò in onda il 26 novembre 1955, e seguirono due anni di grande successo: i primi critici televisivi si scatenarono sul programma, i concorrenti diventarono piccole celebrità, i giornali si riempirono delle cronache settimanali delle puntate in onda. Mike Bongiorno venne consacrato a primo vero divo del piccolo schermo e signore del quiz. Fin dagli inizi della sua carriera, dai primi episodi di Lascia o raddoppia? egli ha continuato a produrre – un po’ per carattere, un po’ per mestiere – gaffes, bizze, goffaggini, battute che hanno garantito un richiamo popolare non meno forte di quello esercitato dai giochi proposti.
Per il suo spudorato coraggio della banalità, Bongiorno fu definito un mediocre, ignorante, succube degli esperti, prodigioso gaffeur privo di umorismo. Tutte caratteristiche che rappresentavano lo specchio di una qualità particolare, e particolarmente adatta alla comunicazione televisiva: il trionfo dell’abituale. Un profilo indimenticabile del famoso conduttore resta quello tracciato nel 1961, con affilati strumenti interpretativi, da Umberto Eco nella celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno, che Bongiorno visse per tutta la vita come un grande cruccio (andava molto fiero, invece, della laurea honoris causa conferitagli dall’Università IULM nel 2007). Il pamphlet rimane tutt’oggi un tópos del pezzo di costume e della ricerca sociologica sulle comunicazioni di massa e una testimonianza di come il conduttore venne a lungo considerato un evento aurorale su cui fondare una mitologia negativa. Le sue apparizioni televisive vennero viste come la fodera invisibile della mediocrità, del ludibrio della cultura, della mancanza di curiosità, dell'immobilismo: «Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti» scrisse Umberto Eco, raccontando che Mike era uno che «non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi».
Quando Lascia o raddoppia? chiuse i battenti, Mike era ufficialmente diventato uno dei personaggi più popolari d’Italia: la fama lo raggiunse in fretta e in modo potente. Venne subito richiamato alla conduzione di Campanile Sera (nel 1959, sull’unico canale Rai operativo in quegli anni), un quiz in cui si sfidavano due paesi, e divenne il cantore della provincia italiana: il programma fu un fenomeno di costume, la popolarità di Mike salì alle stelle e conclusa l’esperienza di Campanile sera (che toccò punte di 11 milioni di telespettatori), Bongiorno rappresentava ormai il conduttore di punta del Servizio pubblico, quello cui venivano affidati i quiz più popolari. Negli anni Sessanta condusse anche Caccia al numero (1962), La fiera dei sogni (1963-66), Giochi in famiglia (1966-67). Senza dimenticare il Festival di Sanremo, che presentò complessivamente per ben dieci edizioni (la prima nel 1963, l’ultima nel 1997).
Nel 1968 si sposò in seconde nozze a Parigi con Annarita Torsello, ma furono nozze tormentate, che finirono dopo soli due anni, alla vigilia di quello che nell’immaginario collettivo è rimasto come uno dei programmi più celebri della tv italiana, di cui Mike Bongiorno fu l’assoluto protagonista, il Rischiatutto (dal 5 febbraio 1970, in onda il giovedì sera sul secondo programma Rai), trasmesso per cinque edizioni seguite in media da 20 milioni di telespettatori. La gara prevedeva tre concorrenti, esperti di particolari materie, che rispondevano ciascuno a dieci domande su una materia concordata e conquistavano così un montepremi iniziale. Dopo una serie di prove, il concorrente doveva scegliere una busta con la domanda finale sulla propria materia: proprio su questa risposta (il «Rischiatutto») si giocava tutto il montepremi vinto durante la serata. Nel programma, Mike Bongiorno dava il meglio di sé con la sua sedicente ingenuità, dagli esiti spesso paradossali. Gli sviluppi di ogni puntata del telequiz appassionarono e fecero discutere i telespettatori; all’epoca, in pochi sapevano che la trasmissione era registrata e che, dunque, tutto ciò che vi accadeva non era frutto di fortuiti imprevisti, ma della decisione di lasciare andare in onda anche quel che di inatteso si fosse eventualmente verificato nel corso della puntata. Numerosissimi gli episodi che entrarono a far parte della mitologia della trasmissione: dalle audaci minigonne della valletta Sabina Ciuffini, dalle storpiature nella formulazione delle domande, causa di inevitabili polemiche tra conduttore e concorrenti, a momenti di intensità emotiva, come l’attesa – conclusasi felicemente – per la risposta alla domanda finale da parte del supercampione Massimo Inardi che, dopo aver vinto somme cospicue, annunciò di voler devolvere la vincita di quella puntata a un bambino di sette anni bisognoso di un trapianto del rene.
La famosa gaffe di Mike nei confronti della campionessa Giuliana Longari, che avrebbe sbagliato una risposta in realtà mai formulata su L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij («Lei mi cade sull’uccello!»), è una leggenda metropolitana. Mike Bongiorno non rivolse mai alla supercampionessa di Rischiatutto la celebre frase: negli archivi della Rai non ce n’è traccia, anche se non è possibile escludere del tutto che Mike l'abbia usata con un altro destinatario. Il 16 luglio 1970, quando Longari perse il titolo – dopo 11 puntate, 20 concorrenti fatti fuori e 13 milioni di montepremi – lo perse nonostante avesse risposto a tutte le domande. Fu eliminata perché la sua rivale, Giuliana Boirivant, aveva accumulato più soldi nelle domande di carattere generale. Come è nata dunque questa leggenda? L’espressione diventò famosa nel 1976 con la trasmissione di Renzo Arbore L’altra domenica. Per prendere in giro i quiz televisivi, Arbore poneva domande strampalate al telefono. Chi sbagliava, 'subiva' un coretto di un’orchestrina dei finti messicani 'Los Remedios', che, sull’aria di Cielito lindo, recitava «Ahi, ahi signora Longari».
Per Mike Bongiorno furono anni di grande successo, umano e professionale: nel 1972 sposò a Londra Daniela Zuccoli (da cui ebbe tre figli), incontrata per caso durante una vacanza in barca, che gli rimase accanto fino ai suoi ultimi giorni.
Alla metà degli anni Settanta la tv italiana attraversò un periodo di grande cambiamento: mutarono i linguaggi, il sistema dei generi della programmazione si rimodellò secondo nuovi principi, sbilanciandosi sempre di più verso l’intrattenimento, e soprattutto il monopolio del Servizio pubblico iniziò a incrinarsi sotto la spinta inarrestabile delle televisioni private, dapprima su base locale e poi con una prospettiva sempre più nazionale. Curiosamente, Mike Bongiorno divenne presto una figura chiave di questa fase di transizione: dopo aver condotto sulla Rai i quiz Personaggi in fiera (1975), Ieri e oggi (1976) e Scommettiamo? (1976-78), nel 1980 iniziò quello che sarebbe stato il suo ultimo programma televisivo sotto l’egida del Servizio pubblico, Flash, una sorta di quiz in cui i concorrenti dovevano provare la propria competenza sulle notizie di più stretta attualità.
Ma ancor prima dell’esordio di Flash, nel 1977, i destini di Mike, e di riflesso quelli della tv italiana, furono segnati da una telefonata fatta al popolare showman da un giovane imprenditore. Bongiorno stesso la descrisse così: «Signor Mike, mi chiamo Silvio Berlusconi. Ho in mente di creare una nuova televisione per l’Italia. Senza canone. Basata soprattutto sugli investimenti pubblicitari dei grandi sponsor. Vorrei incontrarla perché penso che la sua collaborazione con me potrebbe essere molto proficua per entrambi» (cfr. M. Bongiorno - N. Bongiorno, La versione di Mike, Milano 2007, p. 257). Tra i due iniziò presto una fittissima frequentazione, un corteggiamento durato alcuni anni: Bongiorno si trovò di fronte a una decisiva scelta di campo, abbandonare i programmi targati Rai, garanzia di un’altissima visibilità e popolarità, per lanciare un canale a base locale dal futuro incerto, TeleMilano58 (la futura Canale 5). Subito dopo Flash, subito dopo la riedizione di Lascia o raddoppia? (1979), il dado venne tratto: Bongiorno passò alla concorrenza per presentare I sogni nel cassetto, sviluppato insieme allo storico collaboratore Ludovico Peregrini. Di certo Viale Mazzini non la prese bene.
Cosa aveva spinto Mike Bongiorno a prendere questa decisione? Raccontò a Gian Antonio Stella sul Corriere della sera (articolo apparso il 9 settembre 2009): «Tra me e me pensavo: per correre un rischio così deve propormi una bella cifra. E mi ero anche fatto due conti: alla Rai, in un anno, mi davano più o meno 26 milioni di lire lorde. […] Mi guarda e improvvisamente mi fa: "Io avrei pensato a 600". Chiedo io: "Seicento che?" E lui: "Milioni, ovviamente". Ero così incredulo che gli chiedo ancora: "Oddio, per quanti anni di contratto?". Mi fa: "Per un solo anno, ovvio. Ma poi potrai arrotondare con le televendite e con gli sponsor"».
La domenica sera, le 30 puntate de I sogni nel cassetto vennero trasmesse da TeleMilano e in contemporanea da circa 70 televisioni locali cui veniva gratuitamente spedita una registrazione video. Il programma venne sponsorizzato da otto inserzionisti, e per primo Bongiorno capì che non serviva più promuovere programmi per vendere la televisione, ma occorreva realizzare spazi pubblicitari per vendere prodotti, rivelandosi anche in questo un maestro, il vero profeta del verbo berlusconiano. Così come negli anni Cinquanta seppe cogliere lo spirito del tempo, incanalare il desiderio di riscatto e ripresa del dopoguerra nel 'miracolo della televisione', negli anni Ottanta si elevò a perfetto rappresentante della società dei consumi, sospesa tra sogno e disprezzo, che fu in larga misura causa e allo stesso tempo effetto della televisione commerciale.
Dopo i primi esperimenti, mentre TeleMilano si consolidava e prendeva il nome di Canale 5, Mike Bongiorno firmò un’esclusiva per la tv commerciale e passò nel palinsesto di daytime con il programma Bis (dal 1981, un quiz in onda a mezzogiorno, all’interno del contenitore Buongiorno Italia, fino al 1987), cui si affiancarono – dal 1982 al 1984 – Superflash, poi Pentathlon (1985-87) e quindi Tris (1987). Nel 1986 prese il via Telemike che, conclusosi nel 1992, costituì l’ultimo esempio compiuto di quiz all’italiana: premi ingenti, supercampioni, domande difficili e ospiti per il 'contorno spettacolare'.
Sempre insieme a Peregrini (e con Fatma Ruffini), dal 5 marzo 1989, ogni domenica alle 19.45 per Canale 5, Mike Bongiorno portò in Italia l’adattamento di un popolare game show americano, Wheel of fortune, ideato da Merv Griffin nel 1975 e condotto prima da Chuck Woolery e poi da Pat Sajak, diventato nel giro di pochi anni il più grande successo dei circuiti locali statunitensi. In Italia il gioco fu inizialmente trasmesso da Telereporter e da Odeon TV, ma poiché i diritti appartenevano a Canale 5, ne venne interrotta la messa in onda e passò nelle abili mani di Mike Bongiorno. La formula era semplice: tre giocatori giravano a turno una grande ruota suddivisa in 24 spicchi, che indicavano diversi valori in lire; quando la ruota si fermava, si aveva diritto a scegliere una lettera che, se compresa in una frase da indovinare, scopriva una o più caselle e aggiudicava al concorrente il valore indicato sullo spicchio della ruota. Vinceva chi ricostruiva per primo la frase misteriosa. Durante il primo anno di programmazione, Mike ebbe al suo fianco come valletta Ylenia Carrisi, figlia di Al Bano e Romina Power; l’anno seguente al suo posto debuttò Paola Barale. Le subentrò poi la bionda e candida (ma spesso con sottile malizia) Antonella Elia. Dall’autunno del 1996 il programma venne spostato su Rete 4, nella fascia meridiana, dove sopravvisse in onda fino al 2003.
Anche con programmi come La ruota della fortuna, la tv (cioè Mike) ha fatto molto per la lingua italiana, permettendole di scavalcare la barriera dell'analfabetismo e di circolare ampiamente in tutte le forme del parlato. La ruota della fortuna, quanto a conoscenza, è stata tanto importante nella storia della tv italiana quanto Non è mai troppo tardi e Mike Bongiorno è stato negli anni Novanta anche una sorta di maestro Manzi dei tempi moderni.
Alla conduzione di uno dei suoi programmi più celebri, Bongiorno affiancò nel 1992 la guida di un altro game show, dal titolo Tutti per uno, che per l’ultima volta fu trasmesso il giovedì sera, secondo la tradizione del quiz inaugurata molti anni prima da Lascia o raddoppia?. Nel 1991 diede il via alla prima edizione di Bravo, bravissimo (una sorta di talent show in cui bambini e adolescenti davano prova delle loro abilità artistiche) e, nel 1993, con Festival italiano provò a lanciare una sorta di contro-Festival di Sanremo. Alla metà degli anni Novanta divenne il 'volto di canale' di Rete 4, dove propose un quiz per esperti di TV Telemania e le ultime edizioni del festival della canzone napoletana W Napoli (in coppia con Loretta Goggi, con cui nel 2007 condusse una sfortunata edizione di Miss Italia in Rai).
Dopo che Mediaset chiuse nel 2003 La ruota della fortuna, Bongiorno, come un soldatino, si rituffò in un quiz serale, impegnandosi non poco per trasformarlo in una striscia quotidiana: così nacque Genius (su Rete 4), gioco per gli studenti delle scuole medie inferiori, modellato su un format americano della Fox, Who is the smartest kid in America, ideato dal re dei quiz Dick Clark. Per certi aspetti Genius ricordava un po' il mitico Chissà chi lo sa, ma nel programma di Bongiorno i ragazzini sapevano davvero tutto, rispondevano a domande difficili, si tuffavano in calcoli matematici complicati. Bongiorno si stupiva del loro sapere («Ma come sono preparati questi ragazzi moderni!») e citava con tenerezza suo figlio, il più piccolo, come un mago del computer. A volte, stizzito per i giri di frase negli interrogativi, sgridava i suoi autori: «Questa è una domanda che non mi è piaciuta», in quella che era diventata ormai una dinamica consueta e ironica con i suoi collaboratori.
Alla fine del 2008 si chiuse, non senza amarezza, il rapporto quasi quarantennale di lavoro con Mediaset, e Bongiorno firmò per condurre sulla piattaforma Sky un nuovo quiz. Si riteneva immortale, fanciullescamente immortale. Come se la sua icona avesse da tempo regolato i conti con la fragilità del corpo. Continuò fino all’ultimo a praticare gli sport, a sfidare l’età («dalle ultime analisi mediche – amava ripetere – risulta che ho vent’anni di meno»), a cercare nuove sfide. Ancora il giorno prima di andarsene apparse in uno spot con lo showman Fiorello per lanciare il suo nuovo programma RiSkytutto, la riedizione per la tv satellitare del suo più celebre quiz, mai andata in onda.
Morì a Montecarlo l’8 settembre 2009.
L’immortalità l’ha comunque sfiorata: è stato il primo presentatore della Rai, anno 1954; è stato il primo presentatore di Canale 5, anno 1980 (che allora si chiamava ancora TeleMilano58); è stata la star starter di Sky Uno, anno 2009. Nessun presentatore al mondo ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche, tre modi diversi di fare e intendere la tv.
Ottenne tutto dalla vita e dalla tv, nei suoi ultimi anni fu un uomo felice, pur con qualche ferita (l’ultima, il disamore da parte di Mediaset): basta ricordare l'entusiasmo con cui ogni giorno partecipava alle 'ospitate' tv, ai programmi radiofonici di Fiorello (che gli ha regalato non una seconda ma un’eterna giovinezza), agli spot. A suo modo, è stato veramente un 'padre della patria' perchè Lascia o raddoppia? ha creato un immaginario nazionale condiviso.
Interpretò il mestiere con molto scrupolo, al limite della meticolosità; nel fare e nel raccontare la tv, scelse sempre il punto di vista del 'semplice'. Per il suo coraggio della semplicità, fu sempre facile preda degli entomologi dell’ovvio. Ma dire che era mediocre, ignorante, succube degli esperti, prodigioso gaffeur privo di umorismo fu anche un modo cifrato di avvertire i suoi fans che il loro idolo era lo specchio di una qualità antica: l'aurea medietà (la caratteristica più ragguardevole dei media), quel buonsenso che contribuisce a rendere più saggi gli uomini. Non è facile esercitare la propria grandezza nelle cose ritenute di poco conto.
Appena la si afferrava, la favola Bongiorno si espandeva in un ventaglio dai molti spicchi. In ciascuna storia divergente si riflettevano le altre e tutte ci sfioravano come una ragnatela di ombre. Gratificato delle attenzioni più insigni, era né più né meno uno di quei tali di cui, dannatamente, 'si è già detto tutto'. Nel suo perfetto maquillage, esaltato da un trapianto tricologico, appariva ormai circonfuso di luce propria, come una stella fissa. I concorrenti che partecipavano ai suoi quiz gli recavano offerte votive. La sua frase di saluto, «Allegria!», era accolta come una benedizione pontificale. Non parlava mai male dei colleghi, come se vivesse in un mondo pacificato le cui uniche interruzioni ammesse erano solo i 'consigli dalla regia'.
Per gli uomini di cultura (o per quelli che si credevano tali), le apparizioni televisive di Mike furono sempre come la fodera invisibile del ludibrio della cultura, della mancanza di curiosità, dell'immobilismo. Invece lui fu sempre molto rispettoso dei ruoli, dell’autorità, dei 'professori': ai tempi di Lascia o raddoppia? considerava il notaio Carlo Marchetti, cui si rivolgeva per ogni dubbio, una sorta di divinità terrena, il custode della verità assoluta.
Ma la cosa più sorprendente di Mike Bongiorno è stata la sua vita al di fuori del piccolo schermo. Una vita intensa quella di Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, senza la 'u', come ci tenne sempre a precisare. L’immagine che negli anni il pubblico si è fatto di lui è quella di un pignolo (così lo vedeva anche la pubblicità, ai primordi), di un uomo comune, di un maniaco del dettaglio insignificante. E invece la storia della sua vita stupisce per intensità, colpi di scena, ricchezza di aneddoti: l’infanzia newyorkese, la tata di colore Lucy, le prime esperienze di lavoro a Torino, la Resistenza, San Vittore, «La voce dell’America», Vittorio Veltroni, Lascia o raddoppia?, le sue numerose vallette, la storia d’amore con Daniela. Pignolo era pignolo, ma anche candido e allegro: un 'Forrest Gump' giustamente baciato più volte dalla ruota della fortuna.
Ricco, straricco, ebbe sempre paura di tornare povero, di dover rinunciare a una vita agiata, di restare solo. Per questo pareva felice come un bambino quando i concorrenti gli portavano dei doni, quando lo sponsor gli riempieva la casa di vettovaglie. Fu un uomo candido, una specie di poeta dadaista. E non ha alcuna importanza che ne avesse coscienza o meno: lo era, in maniera consustanziale. Mike era dada perché non tentò mai, facendola, di prendere le distanze dalla tv, di distruggerla con la pretesa di svelarne i meccanismi occulti. No, operò sull'idea che noi abbiamo della tv. Ridusse le sue frontiere rigide, abbassò le sue altezze immaginarie, le assegnò sempre un posto subordinato rispetto alle esigenze di chi la guardava. Solo uno con una vita avventurosa può costruirsi una seconda lunga vita televisiva: semplice nella sua assoluta complessità.
U. Eco, Fenomenologia di Mike B., in Id., Diario Minimo, Milano 1963, pp. 18-22; G. Lazzarini, Il signor Mike, Milano 2001; A. Grasso, Storia della televisione italiana, Milano 2004, passim; M. Bongiorno - N. Bongiorno, La versione di Mike, cit.; A. Grasso, Enc. della televisione italiana, Milano 2008, ad ind.; D. Zuccoli Bongiorno, Come uno strano profeta. Mike B. e gli italiani, Milano 2009.