MIKON (Μίκων, Micon)
2°. - Pittore ateniese, attivo intorno alla metà del V sec. a. C., figlio di Phanomachos, è ricordato anche come scultore (Plin., Nat. hist., xxxiv, 88, 2). Gli si attribuiscono infatti due statue, una delle quali per il pancratiaste Callia di Atene che vinse ad Olimpia nel 472 a. C. (Paus., vi, 6, I: base con epigrafe Loewy, I.G.B., n. 41) e l'altra., di cui è restata parte dell'iscrizione, databile a dopo il 450 a. C. sull'Acropoli (I.G.I2., 534, I1, 418; Loewy, I. G.B., n. 42).
Sappiamo che egli lavorò come pittore nel Theseion, costruito intorno al 470, di cui Pausania (Paus., i, 17, 2) ci nomina tre pitture: una amazzonomachia, una centauromachia con la partecipazione di Teseo, e ci dice poi che il soggetto dipinto sulla terza parete da M. era il più difficile da interpretarsi, perché non era rappresentato nella sua completezza il mito di Teseo che riporta a Minosse l'anello dal fondo del mare. Poiché Harpokration e la Suda parlano delle celebri pitture di Polignoto nel Theseion è probabile che, come vedremo per il Pecile e l'Anakeion, i due pittori abbiano lavorato insieme e quindi a Polignoto si potrebbero attribuire l'Amazzonomachia e la Centauromachia.
Tra gli studiosi c'è però l'incertezza nell'attribuire a M. (Lippold, Rumpf, Bielefeld, Bianchi Bandinelli) o a Polignoto (Robert) le scene di amazzonomachia e di centauromachia del Theseion, dal momento che Pausania tace il nome dell'artefice di queste due pitture.
Una amazzonomachia certamente dipinta da M. (Schol. Aristoph., Lysistrat., v. 679) si trovava nel Portico degli Ateniesi detto il Portico Pecile (Stoà Poikìle) cioè multicolore, eretto in base al piano di ricostruzione di Cimone dopo le distruzioni persiane nella metà del V secolo.
A questa Amazzonomachia di M. si riferiscono altri scrittori antichi, alcuni dei quali (Aristoph., Lysistr., v, 678-679) parlano di amazzoni a cavallo combattenti contro degli uomini, mentre altri autori (Arrian., Anab., vii, 13, 5) confrontano la perfezione di questa scena con quella dello stesso livello dell'altra pittura di M. rappresentante la battaglia degli Ateniesi e dei Persiani a Maratona.
Forse a questa stessa Amazzonomachia si riferisce l'accenno della fonte (Pollux, ii, 69) che critica la negligenza di M. nel dipingere le ciglia a un cavallo anche nella palpebra inferiore, ciò che non si trova nella realtà.
Altre fonti però (Aelian., Nat. anim., iv, 50) a proposito di questo stesso particolare, si dichiarano incerti se il cavallo sia stato dipinto da M. o da Apelle oppure (Tzetz., Chil., xii, 559-65) sono in dubbio tra M. e Polignoto.
Nello stesso Portico Pecile, ove lavorò anche Polignoto (Plin., Nat. hist., xxxv, 59) M. dipinse una Maratonomachia, che solo incidentalmente in un passo di Pausania (Paus., v, ii, 1) è attribuita al pittore Panainos.
Pausania (Paus., I, 15, 6), passando sotto silenzio il nome dell'artista, ci racconta come l'armata dei Greci sia alle prese con quella dei barbari e al di fuori della mischia come i Persiani stiano già fuggendo. Sullo sfondo della pittura si vedevano le navi della flotta fenicia e di quella greca. Erano inoltre rappresentati anche alcuni dèi, Teseo ed i capi ateniesi.
A proposito di questa pittura si ricorda (Licurgo citato da Harpokration, in Oratores Graeci, Didot, p. 360) che M. ebbe una multa di 30 mine per avere rappresentato i Greci meno alti dei Persiani.
È interessante ricordare come alcuni altri scrittori (Zenob., Prov., iv, 28) si soffermino a descriverci uno dei combattenti, Boutes, di cui si vedeva solo l'elmo ed uno degli occhi. Sempre nel Portico Pecile era anche dipinta la battaglia di Oinoe che resta adespota.
Pausania cita ancora una pittura di M. nell'Anakeion, cioè nel tempio dei Dioscuri, che sorgeva sulle pendici settentrionali dell'Acropoli.
In questo passo Pausania (viii, ii, 3) dice che M. aveva rappresentato i Peliadi e altrove (Paus., i, 18, 1) specifica che si trattava di Giasone che salpava per la Colchide e che il gruppo più bello era quello di Akastos e dei suoi cavalli. Questo quadro ha dato motivo a diverse interpretazioni; alcuni studiosi (Boettinger, Brunn, Klein) hanno pensato ai giochi celebrati a Iolchos al ritorno degli Argonauti, il Robert alla partenza degli Argonauti, e un ricordo di questa pittura si è voluto vedere ancora nella Cista Ficoroni.
In quanto al materiale su cui erano dipinte le pitture di M., come del resto quelle dei suoi contemporanei, non abbiamo dai testi alcuna indicazione sicura. Solo Sinesio (Epist., 54 e 135) ci dice che alla sua epoca non c'erano più le pitture del Portico Pecile perché i consoli avevano portato via le σανίδες; con questo termine si indicano dei pannelli fissati al muro con delle grappe.
Pausania a proposito della Lesche degli Cnidi a Delfi ci dice di aver veduto le pitture; però studi recenti hanno dimostrato che la Lesche fu ricostruita quasi totalmente nel IV sec. a. C., quindi si dovrà supporre o che le pitture viste da Pausania fossero delle copie degli antichi originali oppure che queste fossero state eseguite su σανίδες come quelle del Portico Pecile e quindi facilmente smontabili.
Oltre a queste osservazioni nella terrazza di Attalo I a Delfi gli scavi hanno messo in luce che sui muri erano delle scanalature che dovevano servire a fissare le tavole di legno su cui erano eseguite le pitture.
Le fonti non ci danno dei giudizi sulla pittura di M. così dettagliati come invece avviene per Polignoto; probabilmente la fama di M. nell'apprezzamento critico degli storici è stata danneggiata da quella del suo coetaneo Polignoto. Ora è evidente che se dalla tradizione antica possiamo ricavare, anche con delle incertezze, quali siano i temi trattati da M. non abbiamo però dalla letteratura elementi che servano a documentare quali fossero i problemi pittorici di M. e quale apporto egli abbia dato allo sviluppo della pittura. L'unica cosa che possiamo dire è che verso la metà del V sec. notiamo in vasi attici a figure rosse un notevole cambiamento: non solo compaiono motivi nuovi, accenni di paesaggio, scorci, ma abbiamo una nuova concezione dello spazio che rivoluziona tutta la decorazione ceramica quale era praticata da secoli il che non si può attribuire all'ambiente artigiano della ceramica.
Se noi possiamo quindi, attraverso le conquiste di cui abbiamo una eco nei vasi, farci un'idea dei problemi che dovettero affrontare i pittori ateniesi del V sec. a. C., è però estremamente difficile distinguere l'apporto personale di M. da quello di Polignoto.
Varî studiosi hanno cercato di immaginare attraverso le scene dipinte sui vasi come dovettero essere le pitture di Mikon. (Il quadro di M. nel Theseion, con Teseo che ripesca l'anello di Minosse, sarebbe riflesso in un opera del Pittore di Syriskos, secondo il Rumpf).
Per ciò che riguarda l'Amazzonomachia abbiamo di questo periodo una diecina di grandi vasi, tutti di stile analogo, che si pensa dipendano da una pittura di amazzonomachia. In questi vasi ritornano schemi figurativi analoghi: a questo proposito il Bielefeld, che attribuisce le due amazzonomachie a M., ha tentato di isolare tre motivi che ci riporterebbero ad una composizione pittorica più vasta da cui sarebbero stati estratti. I motivi sostanziali sottolineati dal Bielefeld, che dà una lista delle opere in cui si ritrovano, sono tre e consistono rispettivamente in una amazzone che indietreggia fortemente sotto l'incalzare di un greco, nell'amazzone a cavallo contro cui combatte un greco che è accompagnato da un altro guerriero, nell'amazzone caduta sulle ginocchia per la spinta di un guerriero dietro di lei che tende le braccia invocando misericordia dal suo nemico. Però il Bielefeld identifica il Theseion con l'Hephaisteion, contraddicendo alle ultime teorie e non si vede come questo possa essere possibile, perché i vasi con scene di amazzonomachia sono ancora sostanzialmente in pieno stile severo ciò che ci conferma che le innovazioni siano dovute ad un maestro anteriore alla metà del V secolo. I più importanti vasi con amazzoni sono quattro conservati rispettivamente ad Arezzo, New York, Napoli e Bologna. In questi vasi c'è una ricerca quasi ostentata dello scorcio, l'atmosfera circola tra le figure. Queste suggeriscono l'idea dello spazio in cui si muovono e nell'amazzone di Bologna notiamo nella corazza del guerriero assalito una ricerca del chiaroscuro nella resa dei riflessi metallici della corazza, ciò che ci riporta alla grande pittura. D'altra parte il cratere non adoperato per altri usi quotidiani, ma quale cinerario, e quindi di nuovo acquisto, fu rinvenuto in una tomba del sepolcro bolognese che non può discendere oltre il 460-455.
Se per l'Amazzonomachia si può cercare di risalire a M. dato che una di queste due pitture gli è certamente attribuita e l'altra può essere ugualmente sua, per la Centauromachia non ci soffermeremo, poiché troppo incerta è la sua paternità e per lo più attribuita a Polignoto.
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