Milano dopo l’Expo
L’esito dell’Esposizione milanese è stato, con la sorpresa di molti, positivo, ma cosa ne sarà della città, dell’area espositiva e dei suoi contenuti dopo che i padiglioni saranno smantellati? Sono mancati i progetti a lungo termine, ma l’eredità immateriale è forse più importante di quella fisica e prefigura nuove opportunità per la città.
Expo 2015, Rho Pero.
Nonostante il disfattismo iniziale – duro a morire, soprattutto sui mass media nazionali – l’Esposizione universale di Milano è stata un successo. Un successo proclamato dal pubblico, numeroso e coinvolto. Un successo determinato da una scelta tematica, ‘nutrire il pianeta’, di grande attualità e interesse. Un successo, infine, decretato dalla qualità del design e dell’esecuzione, mediamente superiore a quanto visto in occasioni simili negli ultimi decenni. Questo successo si trasforma in soddisfazione e orgoglio nazionale se pensiamo all’iniziale atteggiamento disfattista e polemico di molti: quel NIMBY – Not in my backyard, ovvero «Non nel mio giardino» – che in Italia spesso accompagna le grandi iniziative pubbliche.
Ora, però, a luci spente, che cosa sarà del sito espositivo? Qui è lecito essere meno ottimisti. Il peccato originale del progetto di Rho Pero è probabilmente quello di non aver pensato fin da subito al post-Expo.
Una mancanza che non dipende da chi ha gestito – e bene – i cantieri e l’organizzazione dell’Esposizione, ma dalla miopia del dossier di candidatura e del masterplan iniziale. I grandi eventi come Expo e Olimpiadi, infatti, hanno successo nel lungo termine se il ‘dopo’ viene prima del ‘prima’ – in altri termini se si inquadrano in un ampio processo di trasformazione urbana. Se permettono di dare nuova forma alla città, facendone rivivere alcune aree. Pensiamo per esempio a Brisbane, in Australia, dove Expo 1988 è stata l’occasione per riqualificare tutta l’area a sud del fiume, prima occupata da uno scalo ferroviario, reperti industriali, parcheggi e zone residenziali fatiscenti. Proprio lì torreggia oggi il Queensland cultural centre, un polo culturale attivo 24 ore su 24 con musei, biblioteca, sale concerto, caffetterie e grandi vedute sul fiume. Da qui è partito poi un processo di trasformazione urbana che ha interessato tutte le aree adiacenti.
Lo stesso è accaduto a Barcellona per le Olimpiadi del 1992, con la realizzazione della Vila Olímpica e il ricongiungimento della città al mare, o a Londra per le Olimpiadi del 2012, con la riqualificazione di tutta la zona est. In questi casi – e in molti altri – i grandi eventi sono stati occasioni uniche per attivare un processo di rigenerazione della città nel lungo periodo.
Questa lungimiranza sembra essere mancata a Milano. Che cosa capiterà quindi all’area espositiva di Rho Pero? Probabilmente dovremo cercare di arrangiarci, e di fare di necessità virtù. Non avendo programmato in anticipo, dovremo partire dai vincoli del costruito e cercare di sfruttarli al meglio. Sarà lungo il dibattito e poi verrà decisa la vocazione del sito: universitaria, high-tech, residenziale, o un mix di queste e altre opzioni. Anche i temi affrontati potrebbero essere diversi, incluso quello del cibo. Se nel 2015 si sono incontrati a Rho Pero i saperi e i sapori del mondo, il loro aroma potrebbe continuare ad aleggiare in forme meno temporanee. Dal punto di vista infrastrutturale quasi tutti i padiglioni sono stati pensati per una vita breve e saranno demoliti.
Tuttavia, le aree verdi, Palazzo Italia, Padiglione Zero ed Expo centre potrebbero essere il punto di partenza dell’opera di riqualificazione, tramandando la memoria dell’Esposizione universale. Anche le vie d’acqua, inserite in un progetto più ampio, regalano molte suggestioni per il futuro della città.
Tuttavia l’eredità più significativa potrebbe essere quella immateriale. Eventi come l’Expo, in questo senso, offrono un banco di prova unico che permette di testare nuove strade: come si evolverà il nostro mondo? Quali sono i temi che ci appassionano? Quale il coinvolgimento delle persone in queste dinamiche? Questo processo di sperimentazione permette di indagare e comprendere nuovi aspetti del reale. Se la progettazione è – come diceva Ettore Sottsass – «un tentativo continuo di aggiornamento, di capire cosa sta succedendo», le esplorazioni dell’Expo hanno certamente aiutato a comprendere meglio come si evolverà il nostro rapporto con il cibo e con l’ambiente che ci circonda.
L’evento diventa occasione per speculare su scenari futuri, per poi condividerli e farne prova in un grande processo partecipativo. In generale, è proprio questo l’obiettivo del design: non l’inutile rincorsa della previsione, bensì un’occasione di sperimentazione per accelerare la trasformazione del presente. Qualcosa di simile all’idea di anticipatory design – o «progettazione preventiva» – teorizzata nel 20° secolo dal grande inventore statunitense Richard Buckminster Fuller e basata sull’«affrontare problemi esistenti attraverso l’introduzione nell’ambiente di nuovi manufatti».
In questo senso l’eredità dell’Expo potrebbe essere molto importante, per favorire un’economia legata all’innovazione.
Si potrebbe quindi scommettere sulle startup e sui modelli europei, americani e asiatici che stanno funzionando bene. L’economia dell’innovazione sta cambiando intere città: una volta si pensava che potesse avvenire solo in alcune aree determinate, quali la Silicon Valley e la Route 128 a Boston: chi aveva provato a clonare quei meccanismi in giro per il mondo aveva spesso fallito. Ma negli ultimi 5 anni le cose sono cambiate: a Londra, dove Tech City sta modificando la fisionomia della capitale britannica; a Berlino, dove il retaggio artistico della città è promotore di nuove imprese legate alle arti; a Parigi, dove la ristrutturazione della Halle Freyssinet promette di creare il più grande incubatore di startup d’Europa; a Tel Aviv, dove l’high-tech sta costruendo la giovane capitale di una vera e propria Startup nation; in molti altri luoghi. Oggi l’innovazione sta cambiando il volto di molte città e ne sta trasformando anche le viscere, il mondo delle startup non è più per pochi.
In questo senso, l’Italia – con le sue università e giovani preparati e volenterosi – ha buone potenzialità. L’innovazione è nel DNA del nostro paese, a partire dalla secolare tradizione della manifattura di qualità fino all’operosa rete delle Piccole e medie imprese (PMI).
Sull’onda lunga dell’Expo si potrebbe immaginare l’innovazione come motore dell’Italia negli anni a venire, magari replicando una Silicon Alley – un «vicolo del silicio» – in ognuna delle nostre città?
Innovazione, startup, spazi pubblici, vie d’acqua, qualche padiglione da recuperare, attenzione agli esiti favorevoli e ai fallimenti delle sperimentazioni dell’Expo: sono questi forse gli ingredienti della ricetta per il futuro di Milano. Si può partire, ad esempio, dal coinvolgimento dei cittadini, permettendo a ciascuno di prendere parte – e dare il proprio contributo – alla discussione. Renzo Piano sostiene che Milano sia una città imperfetta, soprattutto se paragonata alla compiutezza di molte città storiche italiane. Proprio per questo sente più di altri luoghi una spinta al cambiamento. Proprio per questo potrebbe diventare laboratorio di innovazione, a partire dall’eredità dell’Expo.
Le Esposizioni universali dal 1851 al 2015
- Londra 1851 - Esposizione universale delle opere e dell’industria di tutte le nazioni
- Parigi 1855 - Esposizione universale di prodotti dell’agricoltura, dell’industria e delle belle arti
- Londra 1862 - Arti e industria
- Parigi 1867 - Agricoltura, industria e belle arti
- Vienna 1873 - Cultura ed educazione
- Filadelfia 1876 - Esposizione internazionale delle belle arti, dell’industria, dei prodotti della terra e delle miniere. Celebrazione del centenario della Dichiarazione d’indipendenza americana
- Parigi 1878 - Agricoltura, arte e industria
- Melbourne 1880 - Arti, manufatti, prodotti industriali e agricoli di ogni nazione
- Barcellona 1888 - Esposizione universale
- Parigi 1889 - Centenario della Rivoluzione francese
- Chicago 1893 - Quarto centenario della scoperta dell’America
- Bruxelles 1897 - Esposizione internazionale
- Parigi 1900 - Valutazione di un secolo
- Saint Louis 1904 - Esposizione per il centenario dell’acquisto della Louisiana
- Liegi 1905 - Commemorazione per il 75° anniversario dell’Indipendenza belga
- Milano 1906 - Trasporti
- Bruxelles 1910 - Esposizione universale e internazionale
- Torino 1911 - Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro
- Gand 1913 - Esposizione universale internazionale
- San Francisco 1915 - Inaugurazione del canale di Panama
- Barcellona 1929 - Industria, sport e arte
- Chicago 1933/1934 - L’indipendenza tra industria e ricerca scientifica
- Bruxelles 1935 - Colonizzazione dei trasporti
- Parigi 1937 - Arti e tecnologie nella vita moderna
- New York 1939 - Costruire il mondo di domani
- Port-au-Prince 1949 - Bicentenario della fondazione di Port-au-Prince
- Bruxelles 1958 - Per un mondo più umano
- Seattle 1962 - L’uomo nell’età dello spazio
- Montreal 1967 - L’uomo e il suo mondo
- Osaka 1970 - Progresso e armonia per l’armonia dell’umanità
- Siviglia 1992 - L’età delle scoperte
- Hannover 2000 - Uomo, natura, tecnologia: la nascita di un mondo nuovo
- Aichi 2005 - La saggezza della natura
- Shanghai 2010 - Città migliore, vita migliore
- Milano 2015 - Nutrire il pianeta, energia per la vita
La riqualificazione della Darsena
La Darsena di Milano con la riqualificazione realizzata grazie all’Expo è tornata a essere luogo storico e simbolo di Milano. Il progetto, elaborato dagli architetti Edoardo Guazzoni, Paolo Rizzatto, Sandro Rossi e dallo Studio Bodin & Associés, vede il restyling dell’antico porto e la ridefinizione degli spazi adiacenti: il rinnovo delle sponde con nuovi spazi di passeggio e nuovi approdi per la navigazione turistica e la riqualificazione di piazza XXIV Maggio, che è stata quasi completamente pedonalizzata e sistemata a verde. Lungo le passeggiate parallele sulle due sponde della Darsena sono state piantumate nuove alberature, mentre sul limite occidentale del bacino è stato realizzato un giardino che scende fino al livello dello specchio d’acqua.
Il progetto Cascina Triulza
La Cascina Triulza, una delle storiche cascine che segnano il paesaggio nei dintorni di Milano e già presente all’interno del sito espositivo, è stata ristrutturata in occasione dell’Expo e si presenta come centro dello sviluppo sostenibile e della ricerca tecnologica sul tema alimentare. Il complesso, esteso su un’area di 7900 metri quadri, è gestito, in collaborazione con Expo Milano 2015, dalla Fondazione Triulza, un raggruppamento di numerose organizzazioni di rilevanza nazionale e internazionale selezionate tramite un bando di gara. Nella Cascina Triulza ha sede il Padiglione della società civile, che mostra il contributo di queste organizzazioni nell’affrontare i grandi problemi dell’umanità, valorizza esperienze concrete e buone pratiche sui temi dell’Esposizione universale e incentiva la collaborazione fra più soggetti in grado di promuovere proposte per un futuro sostenibile.
La cascina dispone di alcune aree: area espositiva, area eventi, area mercato (un’area riservata a piccoli produttori, attività commerciali e organizzazioni che promuovono prodotti e servizi attenti alla qualità, all’ambiente e ai diritti dell’uomo), area lavoro (un luogo con postazioni di lavoro dove creare networking e collaborazioni tra le realtà del terzo settore, i visitatori e il personale impegnato nell’evento).
Occupazione
- 1300 operai impegnati in cantiere (a ottobre 2014) e un totale di 4000 maestranze coinvolte on e off site.
- 10.000 lavoratori attivi su scala nazionale e internazionale.
Volontari
- 7700 candidature pervenute da 107 nazioni differenti.
- 130.000 ore di formazione destinate ai lavoratori non remunerati.
Cibi fuori dalle regole
In deroga alle normative europee sull’import/export e consumo di certi cibi, a Expo si sono potuti provare alimenti speciali. Nel padiglione dello Zimbabwe sono stati resi disponibili per alcuni periodi hamburger a base di carne di coccodrillo, zebra e pitone, rispettivamente denominati crocoburger, zebraburger e savanaburger. Presso il padiglione del Giappone, in deroga alle regolamentazioni europee e in via del tutto eccezionale solamente per il periodo di Expo 2015, è stato possibile assaggiare il Fugu, un sashimi di pesce palla che va preparato secondo una rigorosa procedura che impedisce al veleno di contaminare la carne. Il pesce contiene infatti una dose letale di tetrodotossina, una neurotossina più potente del cianuro. All’interno del Future food district sono state presenti confezioni di insetti in scatola, molto comuni nel Sud-Est asiatico ma vietate all’interno del territorio dell’Unione Europea.