Milano rende omaggio al ‘Raffaello lombardo’
Bernardino Luini, uno dei maggiori pittori del Cinquecento, è stato il protagonista di una mostra a Palazzo Reale, che si è distinta per la coralità di una ricerca collettiva guidata dai curatori, Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, e che ha privilegiato sobrietà e rigore scientifico senza indulgere a facili richiami mediatici.
Non si può che apprezzare il felice tempismo con cui Milano, nell’anno che precede l’Expo, ha voluto celebrare uno dei maggiori pittori lombardi del Cinquecento, prediletto dagli intellettuali del Grand Tour, l’artista che forse più di ogni altro contribuì a diffondere in Europa l’immagine e la cultura della sua terra. Ci riferiamo a Bernardino Luini, protagonista di una bella mostra antieroica (in assoluto uno degli eventi culturali più rilevanti del 2014), inaugurata a Palazzo Reale il 10 aprile, che ha fatto rivivere il fervore del ‘cantiere’ di un grande artista nella Milano rinascimentale.
Figlio di un verduraio di Dumenza, presso Luino, sulla sponda ‘magra’ (varesina) del Lago Maggiore, Bernardino Scapi – questo il vero cognome di famiglia – scende a Milano non ancora ventenne, intorno al 1500.
Nei suoi esordi si orienta dapprima su sperimentazioni coloristiche respirate in loco, ma subito intridendole di canonici venetismi assorbiti durante un probabile soggiorno in terra di San Marco (1502-08?). In sapiente controcanto con le sue opere certe o attribuite, le sale della mostra dispiegano un largo panorama prima segnato dalla potente lezione di Vincenzo Foppa e poi popolato da tanti altri pittori, fra i quali il Bergognone, Lorenzo Lotto, il Marescalco, Giovanni Agostino da Lodi, Andrea Solario (l’allestimento di Piero Lissoni ha adottato un’efficace partizione binaria, ponendo Luini e figli su fondi di tela bianca, e virando sulla tela grigia per i contemporanei chiamati a confronto).
Tornato a Milano quasi trentenne, Luini prova a sintonizzarsi, con qualche prelievo talora impacciato, sulla temperatura inaccessibile del Bramantino. Le occasioni di Bernardino, quinta sezione della mostra, è tra le più stimolanti, per la prossimità del suo stile ai modi di Bernardo Zenale (al punto che la tavola Busti, restituita a quest’ultimo dai documenti, si poté a lungo attribuire a Luini) ma anche per altre tangenze, come il confronto impressionante fra la tavola di Houston di Bernardino, con un costruitissimo Compianto sul Cristo, e quella assai notevole, e poco vista, di Giovanni Francesco Caroto a Torino, di analogo soggetto e comparabili ascendenze. Ma quando imposta una bottega propria, Luini lascia le più nervose vibrazioni espressive e prende a forgiare una propria cifra stilistica, un linguaggio riconoscibile e condivisibile, quasi corale, anche perché carico di echi trascelti con cura, come ad agganciare e tradurre in piano nuove ventate di gusto, da Leonardo a Raffaello. È L’invenzione di una formula (sesta delle 12 sezioni della mostra) che mette a fuoco l’armamentario tematico e stilistico con cui Bernardino si costruì notorietà e clientela, a volte – come nella famosa Madonna del roseto – rilanciando in forma vulgata un leonardismo di maniera, a volte – come nella Madonna Crespi – rivelando una lettura alla lontana di Raffaello.
Fu quello il Luini amatissimo fra Sette e Ottocento, il ‘Raffaello lombardo’ che poteva offrire a John Ruskin o a Stendhal le coordinate e la misura di un Rinascimento lacustre. A questa classificazione in controluce su esperienze romane e toscane poteva ben corrispondere il ciclo decorativo profano della Pelucca, presso Monza (ora disperso fra Brera e Washington, del 1513-14 circa), con Ragazze al bagno che paiono evocare Puvis de Chavannes, e (in un’altra stanza) scene mitologiche la cui fonte è qui per la prima volta identificata, persuasivamente, con il Driadeo di Luca Pulci, poema in ottava rima dedicato nel 1465 a Lorenzo il Magnifico. Altra rara incursione di Luini negli orizzonti della mitologia classica, per il resto piuttosto estranea, è il poderoso monocromo con Ercole e Atlante da palazzo Landriani. Altrimenti, soavi Madonne, Sacre Famiglie e Adorazioni, cicli di santi e Annunciazioni, perché questo gli chiedevano più spesso i committenti; eppure anche nel ritratto Luini poteva eccellere, come mostra lo splendido disegno del Louvre con Ritratto di giovane donna. E si dipana la biografia di Luini nelle ultime sezioni, dopo il viaggio a Roma e in un suo accorto Invecchiare con successo, ancora debitore a Leonardo.
Poteva chiudersi con la morte di Bernardino (1532) il racconto che Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa hanno allestito a Palazzo Reale. E invece esso prosegue indagando il percorso dei figli pittori (specialmente Aurelio, morto nel 1593), ma anche mostrandone tangenze e divergenze e dal padre e da altri comprimari della scena lombarda di secondo Cinquecento, fra i quali emergono le stupefacenti ante d’organo di Giovanni da Monte dalla chiesa di S. Nazaro (1568-70), fra i doni maggiori di questa mostra che si distingue per la sua coralità e per la sua sobrietà.
Sobrietà: difficile credere che una mostra oggi s’intitoli Bernardino Luini e i suoi figli senza indulgere alla moda di cacciare a forza sugli stendardi nomi più altisonanti, anche se poi dentro la mostra, quasi nascosto in una delle sale, un vero Leonardo c’è (la Scapiliata di Parma); difficile trovare altre iniziative analoghe che abbiano rinunciato a smontare le pale d’altare dalle chiese, indirizzando invece i visitatori, negli utilissimi Itinerari del secondo volume del catalogo, verso un ampio ventaglio di visite, da Milano a Lugano.
Coralità: promossa dal Comune di Milano con alcune sponsorizzazioni esterne, la mostra è il frutto di una ricerca collettiva, condotta dai 2 docenti della Statale di Milano con allievi giovani e giovanissimi, comprimari nel nuovo profilo di Luini e dei suoi figli che i ricchi volumi del catalogo ci offrono, raccogliendo un’impressionante messe di documenti e di dati, numerose scoperte, attribuzioni e datazioni nuove, dandoci insomma il sapore di un cantiere di ricerca, corale quanto lo fu la bottega luinesca nella Milano del primo Cinquecento.