Milano (Melano)
Pur non essendo documentata, la presenza di D. in M. dovrebb'essere quasi certa al tempo della sosta di Enrico VII nella città, tra la fine del 1310 e il marzo dell'anno seguente (v. LOMBARDIA).
Il ruolo di città guida esercitato da M. al tempo della prima (1167) e della seconda lega lombarda (1226) e il decisivo contributo alla sconfitta di Ezzelino da Romano (1259) le avevano conferito di fatto una posizione di primato nell'area politica lombarda, posizione sostenuta e rafforzata da un'economia assai fiorente. La vita della città era tuttavia agitata dai continui contrasti tra i ‛ nobiles ', da tempo alla guida del comune, i ‛ cives ', grandi mercanti riuniti nella società della Motta, e i ‛ populares ' delle arti minori, associati nella Credenza di S. Ambrogio. Durante la lotta contro Ezzelino la Credenza riesce ad avere il sopravvento e conferisce poteri dittatoriali a Martino della Torre, col quale s'inizia una signoria protrattasi per un ventennio. Da parte loro i nobili, in buona parte fuorusciti, si uniscono attorno all'arcivescovo Ottone Visconti, anch'egli esule, e, dopo una lunga lotta che coinvolge tutto il guelfismo e il ghibellinismo lombardi, riescono a rientrare in città cacciandone i Torriani (1277). Dopo un periodo di assestamento, durante il quale l'arcivescovo deve ricorrere al pericoloso aiuto di Guglielmo di Monferrato, accettandone la signoria per un quinquennio, nel 1287 si afferma la dominazione viscontea con l'elezione di Matteo Visconti a capitano generale di Milano. Questo nel decennio successivo dà inizio al processo di unificazione regionale: infatti molte città lombarde lo chiamano a signore; nel 1293 ottiene la reggenza nel Monferrato; nel '94 è vicario di Adolfo di Nassau. Contro il Visconti si forma una lega guidata da Giovanni di Monferrato e Azzo VIII d'Este, ma Matteo riesce a resistere (1299), accostandosi anzi al secondo per mezzo dei matrimonio del figlio Galeazzo con Beatrice d'Este. Ma una seconda lega, di cui è sempre anima il marchese di Monferrato, costringe il Visconti ad abbandonare la città (1302), quindi Guido della Torre è creato capitano del popolo a vita (1307). L'entrata in M. di Enrico VII e il suo sogno di pacificazione generale agevolarono il ritorno di Matteo Visconti, il quale, dopo la nuova cacciata dei Torriani seguita a un tumulto antimperiale cui forse egli stesso non era estraneo (febbraio 1311), riuscì a ottenere il vicariato imperiale (luglio 1311) e, dopo la morte dell'imperatore, il titolo di dominus et rector generalis di M. (settembre 1313): sotto la sua guida la città poteva riprendere la sua funzione accentratrice. La decisa azione antiangioina e l'ostacolo che M., insieme con Mantova e Verona, opponeva alla ripresa del temporalismo papale in Italia richiamarono l'intervento di Giovanni XXII che, scomunicato il Visconti (1318), gli faceva anche imbastire un processo per eresia (1321), bandendo poi una crociata antighibellina. Dopo un momento in cui parve che le sorti di M. vacillassero, il soccorso di Cangrande della Scala e di Passerino Bonacolsi consentiva la controffensiva e la vittoria sulla coalizione guelfo-angioina (1324). Da allora M. si troverà la strada aperta per una politica italiana di ampio respiro, che culminerà a fine secolo con il tentativo egemonico di Giangaleazzo Visconti.
La tesi di una presenza di D. in M. al tempo della calata imperiale potrebb'essere suffragata dal fatto che le menzioni della città, oltre a quelle di VE I IX 4 e XI 4 di cui si tratterà nella parte linguistica (v. oltre), sono localizzate nelle lettere ai Fiorentini e a Enrico e nel Purgatorio, che a quelle dovrebbe esser grosso modo contemporaneo.
In Ep VI 20 M. è additata come terribile esempio di ciò che produce la ribellione all'imperatore: i fulmina Federici prioris sono ancora ben presenti alla città. Questo passo ha un preciso riscontro nel luogo di Pg XVIII 120 (lo 'mperio del buon Barbarossa, / di cui dolente ancor Milan ragiona), e ambedue paiono presupporre qualche racconto popolare della lotta antisveva. Nella lettera seguente M. appare a D. come il centro dell'azione imperiale, dal quale è però necessario che Enrico si allontani per colpire l'hydram pestiferam della ribellione non nelle sue teste, le città lombarde, ma nello stesso principio vitale (Ep VII 20). Un riferimento più diretto, anche se marginale, a vicende della M. contemporanea è infine in Pg VIII 73-81, in cui Nino Visconti, lamentando le nuove nozze della vedova Beatrice d'Este con Galeazzo Visconti, predice la cacciata di questa famiglia dalla città (1302).
Sembra che la conoscenza di D. si sia diffusa in M. abbastanza presto: ha letto il poema, secondo il Cognasso, P. Azzario (cfr. Liber gestorum in Lombardia, a c. di F. Cognasso, in Rer. Ital. Script.² XVI 4, Introduzione XXV). Secondo il Decembrio, D. fu tra le letture preferite di Filippo M. Visconti, che vi era stato avviato da Marziano da Tortona; G. Barzizza ricorda di aver annotato il poema; e a M. nel 1477-78 si stampa, col commento del Nibia, l'edizione che costituì poi una delle fonti della vulgata. Ma tale interesse iniziale sembra col tempo affievolirsi: nel sec. XVI una sola testimonianza, quella di G. Talentoni che legge all'Accademia degl'Inquieti un discorso sulla " maraviglia " prendendo l'avvio dai primi versi di Pg IV, e nulla nel '600. Occorrerà attendere il Parini, che parla dei " sublimi capricci e grotteschi " di D., per cogliere i segni di una rinascente attenzione per il poema, anche se ancora dominata dal gusto arcade; e non a M. ma a Roma il milanese B. Lombardi pubblica il poema col suo commento (1791). Solo nell'800 anche a M. rifiorisce il culto dantesco: non si spiegherebbero il successo della Francesca del Pellico e il rifacimento dell'Inferno in vernacolo a opera del Porta, se non presupponendo la rinnovata conoscenza del poeta. Ma la città è ormai uno dei principali centri culturali del paese, per cui le vicende posteriori del culto dantesco non possono più essere esaurite in un esame del limitato quadro cittadino.
Le biblioteche milanesi sono ricche di manoscritti (cfr. Petrocchi, Introduzione 533-536) delle opere dantesche: basterà ricordare il notissimo 1080 della Trivulziana, esemplato nel 1337 da Francesco di ser Nardo, notevole per il testo e anche per le miniature; l'AG XII 2 della Braidense, redatto da maestro Galvano verso il 1340; e il codice C 198 inf. della biblioteca Ambrosiana, probabilmente il capostipite dell'edizione nidobeatina.
Bibl. -Impossibile operare una scelta nella vastissima bibliografia su M. due-trecentesca: sarà sufficiente indicare i volumi IV e V della monumentale Storia di M., Milano 1954-55, e in particolare i due capitoli di G. Franceschini, La vita politica e sociale nel Duecento (IV 113-392) e di F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto M. (V 3-154). Sui rapporti tra D. e la città: E. Trucchi, D., M. e Genova, in Studi su D., V, Milano 1940, 135-164.
Lingua. - Dopo il cenno di VE I IX 4, in cui è notata la discordanza linguistica tra Milanesi e Veronesi come esempio di genti che, pur essendo relativamente vicine, discrepant in loquendo, D. prende in esame il dialetto milanese in VE I XI 4, bollandolo recisamente come uno dei più brutti d'Italia. La parlata di M. viene qui accomunata al bergamasco (mentre la differenza tra lombardo ‛ occidentale ' e ‛ orientale ' è sempre stata assai netta): Mediolanenses atque Pergameos eorumque finitimos eruncemus (" strappiamo via "); e per tipizzarle viene citato un verso (ché si tratterà piuttosto di un alessandrino che di due settenari) appartenente a detta di D. a una poesia scritta in improperium di quei dialetti, Enter l'ora del vesper, ciò fu del mes d'ochiover (" All'ora, verso l'ora del vespro, ciò avvenne nel mese di ottobre ").
L'esempio è anzitutto caratterizzato dal tratto dell'indicazione dell'ora e della stagione, tipico di componimento a " carattere univocamente ‛ comico ' " (Contini); in particolare per il sintagma zò fo (ma il testo dantesco ha le forme toscanizzate ciò, fu), seguito da complemento di tempo, si può istituire un collegamento con luoghi di opere didattiche settentrionali come i Proverbi de femene, v. 49 " Ço fo êl mes de março, quando i albri florise ", e il poemetto Della caducità della vita umana, v. 2 " 〈 En > un çorno d'avosto dre' maitino, / ço fo en la festa de santo Agustino ", ma cfr. soprattutto la Nativitas rusticorum di Matazone da Caligano, v. 153 " L'altrer, una fïada, / a la fresca roxada, / zoè del mese de mayo ", e lo stesso testo ha vari altri esempi di ‛ de ' temporale seguito dalla parola ‛ mese ' o da un nome di mese (" d'umia mese de l'ano ", " del mese de Natale ", " de zenaro ", " de febraro ", ecc., vv. 213, 215, 225, 229, 233, 237, 259, 267, 273). Quanto a enter (lezione del codice Berlinese 437: il codice di Grenoble 580 e il Trivulziano 1088 danno enti, difficilmente sostenibile), piacerebbe poter leggere inter, in forza dei riscontri addotti dal Contini con " inter l'inferno " nel codice Berlinese di Bonvesin, con un analogo esempio bergamasco, e con " inter un ort " di un'antica lauda piemontese, cui si può aggiungere l'" inter lo gorfo ", però un po' diverso, dell'Anonimo Genovese, XLIX 147 (e cfr. in generale E. Löfstedt, Vermischte Studien zur Lateinischen Sprachkunde und Sintax, Lund 1936, 174 ss.); v. anche i tipi lombardi int, ind + articolo.
È problematico se col digramma -ch- di ochiover (e il codice Berlinese ha addirittura oc/chiover) D. intendesse veramente rappresentare l'esito lombardo di ct, che è c palatale; comunque tale grafia è estranea ai testi milanesi antichi, che indicano il suono in questione con g (cfr. Contini, Poeti I 671, e proprio un ogiovere presenta il codice Toledano di Bonvesin), mentre è attestata per il lombardo orientale; del resto si tratta di un'equivalenza grafica anticamente diffusa in varie zone, anche in Toscana. Oggi le forme per ‛ ottobre ' con lo schietto esito lombardo (učura, ecc.) sono in forte regresso di fronte ai concorrenti colti con -t-, isolate in zone alpine della Lombardia e della Svizzera italiana (cfr. Atlante Italo Svizzero, II 325). Nel complesso è probabile che l'elemento anche per D. più caratterizzante dello specimen addotto sia la copia di troncamenti abnormi da un punto di vista toscano: e si tenga presente che l'apocope figura regolarmente tra i fattori di barbarismo nei grammatici antichi e medievali, e che D. stesso utilizza tale categoria altrove (VE I XIV 5) citando i tipi vif, nof di Trevigiani, Bresciani e vicini di questi (v. TREVISO: Lingua).
Va notato per ultimo che D. non istituisce un rapporto esplicito tra Milano (e Bergamo) e l'area linguistica che egli designa a più riprese nel De vulg. Eloq. con l'etichetta comprensiva di ‛ Lombardia '. E v. BERGAMO: Lingua; giullaresca, poesia; Lombardia: Lingua.
Bibl. - Marigo, De vulg. Eloq. 93; G. Contini, in " Giorn. stor. " CXIII [1939] 285-286 (recens. all'ediz. Marigo); ID., in " Italia Dial. " XI (1935) 141 nota; ID., La poesia rusticale come caso di bilinguismo, in La poesia rusticale nel Rinascimento, Roma 1969, 51; A. Schiaffini, Interpretazione del ‛ De vulg. Eloq. ' di D., ibid. 1963, 84.