Milano
"Com'è bella la città, com'è grande
la città, com'è viva la città"
(Giorgio Gaber)
Milano: città anseatica e città infinita
di Aldo Bonomi
31 marzo
Si inaugura nell'area dell'ex raffineria Agip di Pero-Rho il nuovo polo fieristico di Milano, il più grande in Europa, che si propone come la porta dell'Italia rispetto al mondo globalizzato. La struttura contribuisce al nuovo rinascimento del capoluogo lombardo, che con diversi significativi progetti torna a imporsi, dopo una lunga assenza, sul mercato urbanistico e architettonico internazionale.
Una città anseatica e 'senza qualità'
Dopo il decennio di gelo seguito allo choc di Tangentopoli, Milano sembra tornata a vivere una nuova stagione di progettualità. Ne sono esempi la riapertura della Scala, l'entrata in funzione del Passante ferroviario metropolitano, i progetti per la Città della Moda, il piano di rilancio internazionale dell'Università Bocconi, l'apertura della nuova Fiera. Tutti progetti che sembrerebbero inaugurare una nuova fase di movimento, un dinamismo di cui parevano essersi perse le tracce. Se non fosse però che si tratta di progetti di razionalizzazione dell'esistente più che di orientamento verso il futuro. Se non fossero cioè più orientati a organizzare gli assetti presenti della città piuttosto che indirizzare la programmazione verso dinamiche strategiche di lungo periodo.
In fondo non è che la riproposizione di un'immagine ormai consolidata del capoluogo lombardo: un'apertura verso l'esterno mai del tutto compiuta, un dinamismo a metà, in cui tutto ciò che appare in termini innovativi deve sempre fare i conti con una visione globale delle élites limitata sotto più punti di vista. Per la qual cosa bisogna andare piano con le aspettative. Le idee e i progetti ci sono, le premesse per nuove realizzazioni stanno cominciando a sedimentare eventi concreti. Ma siamo ancora in una fase di transizione tutta da gestire e di cui non sono del tutto chiari gli esiti che ne potranno derivare. E allora proviamo a vedere le premesse dei possibili esiti evolutivi, quelli che ci si attende e ai quali bisognerà dare tutta la forza perché si affermino.
Intanto Milano è una città aperta al mondo soprattutto per quanto riguarda i commerci e i segnali di innovazione delle competenze e dei mercati che altrove si manifestano. Da questo punto di vista, non mi sembra azzardato vedere Milano come una 'città anseatica'.
Una città cioè che, come un tempo Lubecca, Amburgo, Brema e altre, si trova collocata nella posizione di importante crocevia delle rotte commerciali. Quelle città vissero fino al 16° secolo una fase in cui i profondi intrecci nella Lega Anseatica riuscirono a generare importanza economica e peso politico nelle strategie dell'Impero. Nel caso di Milano le affinità devono per forza limitarsi a una proiezione internazionale che la collega con tutte le innovazioni che su scala nazionale e internazionale si presentano come richieste o come risorse già praticate.
In concreto, qualsiasi rapporto con l'estero un'impresa o un'area territoriale italiana voglia intrattenere, deve riferirsi a Milano; lo stesso vale per un'impresa o una città straniera: per chi è interessato ad avere rapporti con il mercato italiano, Milano è il punto di approdo ideale. In ambedue i casi - dall'Italia all'estero e dall'estero all'Italia - Milano è il punto di intersezione ideale principalmente per la presenza qui di risorse strategiche di capitale umano; un capitale cioè composto di persone che hanno maturato esperienze di studio e di lavoro internazionali e che dopo queste esperienze hanno saputo farsi tramite di prassi, tecniche, modelli di business e di comunicazione coerenti con l'attuale globalizzazione.
Al punto che non è affatto improprio considerare Milano come la città italiana più in grado di captare e poi applicare le innovazioni sparse nel mondo e di premiare i talenti che vi si dedicano. In definitiva, Milano come bacino ideale di personale qualificato, di tecnici e di decision makers.
La moda, la finanza, la consulenza strategica, la pubblicità e le relazioni pubbliche sono insomma la 'componente globale' della città. La componente cioè capace di dare valore aggiunto, con funzioni specialistiche e avanzate, alle produzioni più tradizionali della penisola: dall'abbigliamento alle calzature, dalle macchine utensili al design e all'arredamento. Questa è l'anima della 'città anseatica': la strutturale vocazione all'intreccio internazionale, all'intreccio, cioè, di tutte le risorse di competenza finalizzate a innovare e diversificare che possono essere rintracciate su vasta dimensione.
In tutto questo non è difficile però cogliere l'altro elemento di affinità con la Lega Anseatica: la rivalità strisciante tra le città. Per la storica Hansa l'invidia nutrita da molti nobili e mercanti per le diverse città della Lega si tramutò in tensioni economiche e sociali e in cambiamenti politici che accompagnarono perfino le incursioni dei turchi ottomani nell'Impero, oltre che i cambiamenti sulle rotte commerciali. Nulla di simile, naturalmente, nel caso di Milano. I sentimenti di rivalità rimangono confinati alla sfera economica, ma anche in questo caso appaiono piuttosto evidenti. Il Nord-Est, per esempio, non ha mai sviluppato rapporti significativi con Milano; ha preferito rivolgersi altrove, anche all'estero. Dal canto suo, Torino si trova tuttora alle prese con una crisi del postfordismo che non manca di alimentare preoccupazioni al suo interno per quanto riguarda la realizzazione della MI-TO. In pratica il collegamento veloce tra Milano e Torino viene visto per lo più come il rischio di trasformare Torino in città-dormitorio di Milano.
Forse è azzardato parlare di rivalità con Milano a proposito di Nord-Est e Torino, ma il problema rimane: la città anseatica milanese non ha finora saputo sviluppare le competenze di leadership verso l'esterno che avrebbero potuto tradursi in un compiuto riconoscimento del ruolo di leader da parte di altre aree territoriali.
A questo proposito si può toccare il limite di Milano da cui sono partito, cioè una dinamica di apertura verso l'esterno ancora non del tutto compiuta. Un'apertura, in sostanza, che di solito non oltrepassa la sfera degli scambi e delle relative competenze coinvolte e che invece dovrebbe riguardare anche la capacità delle élites di proporsi come vera e propria classe dirigente. Milano, in sostanza, è una città nella quale "tutto entra ma poco esce", per dirla con Danilo Taino del Corriere della Sera. Tutto entra in termini di suggestioni e informazioni per ciò che riguarda le competenze e le necessità del loro impiego.
Poco esce in termini di progettualità di vasta scala e di prospettive di futuro. Sono tipici aspetti di una leadership incompiuta, in pratica quelli che riguardano il ruolo di una classe dirigente ancora in fase di costruzione.
Resta il fatto che a Milano esistono molte qualità, nessuna delle quali però raggiunge l'eccellenza; e anzi, proprio la diffusione di queste qualità le impedisce di disporre di un grande progetto che possa valere oltre i confini dell'area metropolitana. Milano, insomma, ha il suo pregio principale, ma anche il suo principale limite, nella 'medietà', nel fatto cioè di attestarsi a metà strada tra composizione dei conflitti sociali più disgreganti e incapacità di eccellere in qualcosa. Da un lato, l'eterogeneità della composizione sociale milanese costituisce il principale ammortizzatore sociale, dall'altro questa stessa eterogeneità ostacola di fatto la formazione di punti di eccellenza.
In questo senso, oltre a configurarsi come città anseatica, Milano può essere indicata come città 'senza qualità'. È una metafora di cui conservare tutta la preziosa ambivalenza che le attribuiva Robert Musil scrivendo L'uomo senza qualità. Nel celebre romanzo si può infatti leggere "…tutti i rapporti s'erano un poco spostati. Idee che erano sembrate di scarsa utilità prendevano consistenza. Persone di cui prima si faceva poco conto adesso mietevano gloria… Non si può fare il broncio ai propri tempi senza riportare alcun danno, si diceva Ulrich … Talvolta gli sembrava addirittura di essere nato con una vocazione per cui al giorno d'oggi non v'era meta".
Senza azzardare alcuna interpretazione su uno dei capolavori della letteratura del Novecento, il senso della metafora dovrebbe apparire chiaro. Ulrich non era affatto un uomo privo di qualità; ne aveva innumerevoli e nessuna prevaleva sulle altre. Tanto, però, che era incapace di indirizzarle a uno scopo, paralizzato dalla coscienza che la realtà è aperta a infinite possibilità.
Quasi immediato il parallelismo con Milano, se la cosa non appare blasfema. Anche Milano dispone di innumerevoli qualità e nessuna prevale sulle altre. Il risultato è però l'incapacità di elaborare un grande progetto nel quale riconoscersi e a cui l'intero paese possa riferirsi per finalità di modernizzazione. In altri termini, la medietà cui si è fatto cenno come punto di forza e insieme di debolezza. In definitiva, la città anseatica e media che non riesce a dare una leadership a sé stessa e al paese.
Le potenzialità sono sempre all'ordine del giorno, anche dal punto di vista del loro possibile utilizzo per la realizzazione di obiettivi di lungo periodo. Si consideri solo il processo di gentrification degli ultimi anni. Quella stessa 'piccola nobiltà' (gentry) che ha prodotto il Village a New York e Notting Hill a Londra si è realizzata a Milano con l'arrivo sui Navigli e a Brera della 'classe creativa'. Con l'arrivo cioè di quelle persone portatrici del capitale umano necessario alla produzione delle funzioni pregiate di servizio anche alle imprese più tradizionali.
Non è il solo caso di potenzialità da concretizzare in vista di finalità di lungo periodo. Il tessuto sociale misto che caratterizza la medietà di Milano, per esempio, è riuscito a contenere sia i più eclatanti fenomeni di devianza sia le più evidenti forme di disuguaglianza. La potenzialità da impiegare in termini concreti consiste in questo caso nella effettiva possibilità di utilizzare questo carattere misto del tessuto sociale verso nuove forme di organizzazione sociale della vita quotidiana, delle relazioni lavorative, dei rapporti di reciproco sostegno.
La cultura materiale come opportunità
In ogni caso, si parli di gentrification o di medietà sociale, le potenzialità attendono la loro concretizzazione in progetti di ampio raggio e di lungo periodo che diano sostanza all'idea di Milano come capoluogo leader di una rete territoriale che superi anche i confini della regione. Peraltro, quest'attesa potrebbe rivelarsi non del tutto sconfinata una volta che vengano tratte le dovute conseguenze delle tante iniziative culturali che popolano la città. Le iniziative culturali non sono infatti da intendere secondo la tradizionale lettura che assegna alla cultura un carattere del tutto 'sovrastrutturale' e quindi piuttosto indipendente, o almeno relativamente autonomo, dai processi 'strutturali' dell'economia e della società materiali. Sono piuttosto da intendere come 'eventi' che strutturano un 'senso' del vivere la città, che anzi fanno della città stessa la vera protagonista di ciò che viene pensato in termini di iniziative culturali. Insomma, la cultura ha un contenuto materiale con il quale fare i conti e la vita concreta delle persone nella città è l'aspetto principale di questo contenuto. Ebbene, la condivisione di questo punto di vista potrebbe essere anche la condizione per la quale le tante potenzialità della metropoli si traducano in progetti capaci di candidare a tutti gli effetti Milano come capoluogo leader di dimensione nazionale.
Vediamo alcuni esempi di questo contenuto materiale che la cultura riveste in iniziative e luoghi concreti a Milano. I 'lunedì della filosofia' sul dolore, lo spaesamento, la felicità, l'incertezza tenuti al Pier Lombardo, oltre a raccogliere una considerevole attenzione pubblica, intercettano una domanda che viene dai cittadini sul senso del proprio vivere e abitare a Milano. Analogamente, gli architetti dei grandi progetti non hanno avuto timori a presentarli alla Triennale, che, dal canto suo, li ha 'mostrati' come opere di star dello spettacolo.
Considerata la cultura in questi termini, Milano è però protagonista anche di altro, meno eclatante ma ugualmente 'materiale'. È il caso delle iniziative di Bang & Olufsen, azienda danese specializzata in impianti audiovisivi che ha utilizzato la sede dell'Archivio di Stato per l'installazione dei propri prodotti e per l'organizzazione di eventi artistici con tecnologie avanzate. Allo stesso modo, Milano è tuttora teatro delle iniziative di Esterni, agenzia culturale che organizza, per l'appunto 'in esterno', proiezioni cinematografiche e rappresentazioni teatrali nelle aree milanesi la cui valorizzazione è più necessaria.
In ogni caso, altrettanto importante di quello che viene trasmesso, è il fatto che, attraverso l'iniziativa, la città 'prende la parola', per così dire, cioè diventa la vera materia dell'evento culturale, protagonista di sé stessa molto più che teatro della manifestazione.
La cultura, insomma, entra a tutti gli effetti nel campo della vita concreta delle persone, influenzandone i gusti e le preferenze, condizionandone i comportamenti. Questo significa che sempre più improbabile è la distinzione tra idealità e valori della cultura e materialità dei luoghi nei quali gli eventi vengono ospitati.
Da questo punto di vista, la grande Fiera, la Città della Moda e i poli universitari della provincia, parlano chiaro: anche i luoghi istituzionalmente deputati alla creazione di risorse economiche sono a tutti gli effetti enti produttori di cultura, quindi del senso di vivere in un comune contesto. In sostanza, tutti i luoghi preposti ad altre funzioni rispetto a quelle propriamente culturali, con la cultura, più o meno direttamente, hanno a che fare.
Inoltre questi luoghi evidenziano un secondo cambiamento di cui tenere conto sul piano culturale: la progettazione di Milano avanza più per funzioni che per immobili e luoghi fisici. Anche questo cambiamento ha significati culturali e infatti è quello che traspare dagli stessi comportamenti delle persone. Basti guardare agli utenti-clienti dei megastore e delle grandi sale cinematografiche che da Milano vanno estendendosi ai centri minori della provincia. Tutte funzioni che, non di rado, forniscono l'occasione per reinventare le piazze dei paesi e gli stessi luoghi di incontro. Per non dire delle panetterie che, rimanendo aperte tutta la notte, danno occasioni di consumo al popolo dei nottambuli; i quali del resto coltivano la propria socialità in locali dove il design sofisticato si coniuga con la ricerca di nuove forme di comunicazione.
Dal canto suo, il Salone del mobile certamente si celebra in Fiera ma lo si trova rappresentato anche in una iniziativa dalla denominazione significativa, 'Fuori Salone', che prevede l'esposizione in vari ambienti della città, comunque esterni al Salone, di oggetti di arredo innovativi progettati da architetti di interni.
In tutto questo si manifesta la progettazione per funzioni ma, ancor di più, si manifesta il contenuto 'culturale' di ciascuna delle funzioni. Da questo punto di vista, tutte le funzioni partecipano del medesimo sottosistema culturale: le installazioni multimediali e le rappresentazioni teatrali, la conferenza al Pier Lombardo sul dolore e la frequentazione del megastore di Ceriano Laghetto, la visione delle esposizioni del Fuori Salone e la partecipazione alla notte new age all'Isola.
Sia chiaro che con questo non voglio concedere nulla a quella moda postmoderna per la quale tutto si equivale ed è fungibile. Nelle considerazioni appena svolte non c'è infatti alcun giudizio di valore sui diversi luoghi e sulle diverse iniziative. Piuttosto c'è la convinzione che sia ormai difficile riuscire a tracciare confini netti tra la dimensione culturale propriamente intesa e quella funzionale, tra sovrastruttura delle parole e del pensiero e materialità degli eventi. E questa è una conseguenza da trarre a proposito delle tante attività il cui contenuto culturale è implicito nella stessa forma con la quale si manifestano.
Condivisa questa conseguenza, potrebbero anche ridursi i tempi con i quali le potenzialità che ho descritto riescano finalmente a esprimersi in concrete realizzazioni. Tra le quali, per l'appunto, quella di fare di Milano un'autentica metropoli leader. In definitiva, la 'città culturale' di cui si parla è certamente una carta fondamentale da giocare nella competizione tra metropoli internazionali, ma questa carta non può essere giocata esclusivamente sul piano della realizzazione di un grande museo d'arte contemporanea, o di qualsiasi altra iniziativa culturale strettamente intesa. È invece soprattutto con la cultura materiale che bisogna confrontarsi, quella che in sostanza si traduce principalmente sul piano implicito dei comportamenti ospitati nei diversi luoghi: certamente mostre e teatri, ma anche caffè, megastore, showroom, locali pubblici ecc.
La strada per una leadership compiuta passa anche attraverso queste vie.
La città infinita come teatro della lunga transizione terziaria
Naturalmente, in tutto questo non si parte da zero.
Il processo in corso di terziarizzazione dell'economia ne è la principale conferma. La terziarizzazione si manifesta sotto un duplice aspetto: il primo è quello di una estensione territoriale che da Milano si prolunga fino alle province di Bergamo e Brescia, in quella fascia pedemontana che ho chiamato 'città infinita'; il secondo consiste in una dinamica di innovazione attraverso la quale la terziarizzazione interviene a modificare gli assetti di lavoro e le professioni, oltre che il territorio. Vediamoli sinteticamente in maniera separata.
L'estensione territoriale
La città infinita è certamente una metafora, e come tale carica delle suggestioni ma anche dell'eccesso di sintesi di tutte le metafore. Ma una cosa deve essere chiara: l''infinità' cui la metafora si riferisce non allude a un aspetto meramente quantitativo, quasi a significare semplicemente la grande estensione geografica di un territorio urbano. Certamente, se identifichiamo come città infinita tutta la fascia pedemontana lombarda che comprende la Pianura Padana e l'area prealpina dalle porte di Milano fino a Bergamo e Brescia, non sembra possano sussistere obiezioni circa la vastità di questo territorio, soprattutto se poi lo si qualifica come 'città'. Ma non è questo l'essenziale; l'estensione della superficie urbanizzata è soltanto uno degli aspetti che descrivono questo territorio, non il più importante.
L'infinito di questa città riguarda piuttosto una complessità di quel processo di terziarizzazione che deriva dalla compresenza di una molteplicità di componenti: insediamenti produttivi e abitativi, infrastrutture logistiche e della comunicazione, sistemi locali dell'industria, della cultura, delle forme di convivenza, e in generale tutti quegli aspetti della vita sociale che ci autorizzano a parlare di 'società complessa'. La città infinita è una società complessa, infinita in quanto complessa. Naturalmente, in base a questo criterio, preso così in astratto, molte sarebbero le città infinite con le quali fare i conti. Il punto però è che in questo caso anche più ampia che altrove è la molteplicità delle componenti; maggiore è la varietà di aspetti che abitano lo stesso territorio, ne rendono mobili i confini interni ed esterni, ne enfatizzano i tratti caratteristici e, insieme, mutevolezza e instabilità. In definitiva, il territorio della pedemontana lombarda, preso nel suo insieme, è in qualche modo emblematico di una complessità che certo informa di sé tanti altri territori ma che qui diventa ciò che lo contraddistingue in modo particolare. Qui la città è 'più infinita' che da altre parti.
Il punto essenziale però è che nella città infinita cambiano i rapporti tra centro e periferia; o meglio, si dissolvono i confini che eravamo abituati a considerare per distinguere il centro dalla periferia. Se la metropoli di Milano era l'area cui venivano attribuite le funzioni strategiche di organizzazione territoriale proprie di un 'centro' e ai centri minori la posizione e le funzioni di 'periferia', ebbene, questo schema non sembra più riflettere la situazione attuale. Mentre prima al centro veniva assegnata una posizione di supremazia cui corrispondeva una subordinazione di fatto della periferia, oggi non si può più replicare questo modello. Il centro metropolitano non è più così 'centrale' nel momento in cui la periferia non è più così 'periferica', sottoposta cioè ai processi e agli accadimenti di quanto si muove nella metropoli.
In particolare, sembrano infatti essersi estesi su ampia scala, a livello di città infinita, quei caratteri di relazionalità diffusa che a Milano avevano la loro esaltazione e massima rappresentazione. Infatti nella città infinita sembrano essersi largamente riproposte quelle molteplici possibilità attraverso le quali la conoscenza superficiale delle persone e degli ambienti sociali, tipica della metropoli, consentiva di 'scoprire' nuove occasioni di esperienza e di azione. Proprio i legami deboli, infatti, quelli più episodici e occasionali sono il motore della conoscenza e dell'esperienza, perché sono quelli attraverso i quali si entra in contatto con altre cerchie sociali, cioè con ambienti in cui circolano informazioni e soggetti diversi da quelli solitamente frequentati, differenti da quelli conosciuti e per questo ormai sostanzialmente privi di novità, di sorpresa. La città infinita, non più soltanto la metropoli, esalta la dimensione della 'scoperta': moltiplicando le occasioni di nuovi contatti e rapporti, ora anche la città infinita promuove affiliazioni multiple, in cui cioè il singolo individuo partecipa contemporaneamente alla vita di più ambienti, di più cerchie sociali.
Ebbene, tutto questo si è ormai esteso dalla città metropolitana propriamente intesa alla città infinita. I processi associativi, di moltiplicazione delle affiliazioni e delle chances di vita non riguardano più soltanto un centro metropolitano assunto come 'cuore' dell'ordine sociale. Riguardano anche quella provincia che non ha più alcun senso qualificare come periferia, come territorio in qualche modo sottoposto se non addirittura dipendente dalle dinamiche metropolitane. Se una qualche generalizzazione è lecita si può dire che la città infinita rappresenta l'evoluzione della forma metropolitana nell'epoca postfordista. La provincia si è presa la rivincita, insomma.
Naturalmente questo non significa cancellare tutte le differenze che in parte ancora sussistono tra area metropolitana milanese e pedemontana lombarda.
Così per esempio, la mera contrapposizione sul piano della finanza continuerà a lasciare Milano in posizione egemonica rispetto alla Brianza, per la presenza nel capoluogo della Borsa e di tutti i principali gruppi bancari. Più utile ricercare specificità locali della provincia derivanti dalla presenza di banche di credito cooperativo e di banche locali in genere. Allo stesso modo, l'Università Bocconi non è confrontabile, per prestigio, qualità e funzioni, con la LIUC-Università Carlo Cattaneo di Castellanza. Più utile ricercare nel territorio lombardo le funzioni specifiche (non le eccellenze in assoluto) per le quali i poli universitari sorti in questi anni si rivelano essenziali fattori di sviluppo delle realtà locali.
In generale, possiamo dire che Milano assicura un eccellente sistema di visibilità per tutto quanto si muove sul territorio, dentro e anche fuori la metropoli. Tutto quello che riesce ad accedere a questo sistema di rappresentazione ancora 'centrale' può contare su maggiori possibilità di riconoscimento, di stabilità e, in definitiva, di successo.
Se poi si considera la realizzazione che più nei prossimi anni raccoglierà investimenti e flussi di popolazione, merci, capitali, conoscenza - il nuovo polo espositivo della Fiera di Milano - il discorso si completa. La nuova infrastruttura infatti non sarà localizzata nel cuore della metropoli milanese ma nell'area di Pero-Rho, al crocevia di molteplici opportunità di comunicazione il cui principale snodo è un'altra infrastruttura della provincia lombarda: Malpensa 2000. La localizzazione del nuovo polo fieristico non sarà una semplice questione logistica; coinciderà invece con una concezione di Fiera aggiornata alle nuove esigenze di imprese e operatori economici ormai inseriti in una competizione globale che richiede scambi di conoscenza di più ampio raggio e di più alta qualificazione. Un'altra prova, se ve ne fosse ancora bisogno, di quanto la provincia lombarda abbia preso congedo dalla posizione di periferia, di quanto la città infinita, insieme con Milano, sia a tutti gli effetti assimilabile all'idea di territorio ormai postmetropolitano.
In tutto questo il processo di terziarizzazione nel senso che si è detto appare come una dinamica coerente con i processi di cambiamento. Addirittura come una delle principali determinanti delle trasformazioni in corso.
Milano isola madre dell'economia arcipelago
Il secondo aspetto sul quale si manifesta la crescente terziarizzazione dell'economia e della società milanesi è direttamente connesso a quanto detto a proposito della città infinita. Infatti, con il concetto di terziarizzazione solo indirettamente mi riferisco al settore terziario inteso come macrosettore comprendente i servizi alla produzione, per le famiglie e a destinazione collettiva con cui normalmente lo si intende. Solo indirettamente, nel senso che con terziarizzazione intendo piuttosto una dinamica che nella città infinita va configurando una vera e propria 'formazione sociale'. Quindi un processo che inevitabilmente riguarda anche le attività direttamente produttive e che in ogni caso ha diretti riflessi sulla composizione sociale e sugli assetti sociali e territoriali di un'area molto estesa. Tali riflessi in questa logica sono quelli legati al di più di conoscenza e di relazioni che il processo di terziarizzazione induce, in sostanza al valore di modernizzazione che prende vie diverse ma tutte orientate a definire un modello socioeconomico - di qui l'idea di formazione sociale - differente da quelli storici del 'triangolo industriale' o dell''economia diffusa'.
In definitiva, la terziarizzazione è qui da intendere come dinamica di innovazione riguardante non solo tutte le attività economiche - e quindi non solo le attività terziarie propriamente intese - ma anche quel processo che della città infinita sta incentivando trasformazioni sociali e territoriali destinate a segnare un nuovo modello di sviluppo. Sono quindi compresi anche i luoghi di consumo, le arterie di scorrimento che innervano il paesaggio, la progettazione dei nuovi usi delle fabbriche dismesse, i centri di innovazione, produzione e trasmissione della conoscenza. Tutti i luoghi in sostanza che, a partire da iniziative locali di sperimentazione di nuove iniziative, si estendono poi a comprendere le relazioni con una più vasta platea di interlocutori, di clienti e di utenti.
Del resto è in tutto questo che va prendendo forma la città infinita. Un continuum in espansione sul filo intrecciato di strade e anelli di scorrimento, una galassia ancora di difficile lettura per il suo lento e continuo movimento, ma che comunque segnala qualcosa di nuovo all'orizzonte: una formazione sociale, per l'appunto, in cui sono coinvolte nuove attività produttive, megastore e centri commerciali, discoteche e luoghi di divertimento, ma anche nuovi modelli di uso del territorio e nuove figure sociali, dalle partite IVA ai nuovi soggetti immigrati. Una piattaforma territoriale, insomma, che non ha mura simboliche di recinzione o boulevard per il passeggio - caratteristiche tipiche di una grande città - ma un laboratorio in progress dove i flussi delle attività si intrecciano con i nuovi modi di abitare e di utilizzare gli spazi. In fondo, è una delle peculiarità del profilo delle grandi metropoli: la loro natura di laboratori dei mutamenti che toccano profondamente gli assetti economici e sociali della società. Costituendo così osservatori privilegiati delle ricadute indotte da tali processi di complessificazione degli assetti e delle loro relazioni. Da questo punto di vista, Milano rappresenta sicuramente uno di questi osservatori, essendo per di più una realtà in grado di anticipare molti dei fenomeni più avanzati di riassetto socioeconomico che, nel medio periodo, vanno diffondendosi anche nelle altre città italiane che si avvicinano alla dimensione metropolitana. A Milano, più che altrove, è possibile osservare la genesi di quella che viene definita la 'lunga transizione terziaria', cioè, come si è detto, il lento configurarsi di nuovi assetti dell'economia nei quali mutano le forme del produrre, dei lavori, la composizione sociale e le forme di convivenza.
In concreto, nell'epoca della globalizzazione e del postfordismo il capitalismo si caratterizza per l'abilità di coniugare 'punte di innovazione', processi accelerati di ristrutturazione tecnologica e produttiva, con un tessuto diffuso di forme produttive e di forme dei lavori di più modesto profilo. Questo significa che la globalizzazione, da un lato, e le nuove tecnologie della comunicazione, dall'altro, hanno modificato le linee della divisione del lavoro (tra imprese, tra territori, tra Stati nazionali) fornendo risposte inedite alle molteplici esigenze e pressioni che si sono riversate sulla produzione. Nel caso di Milano, in particolare, si profila una economia arcipelago costituita di reti corte, di sistemi produttivi territorializzati e di reti lunghe di interconnessione, sia dei sistemi produttivi, sia dei nodi di commercializzazione globale.
Tale assetto si configura insomma come un insieme di reti che si estendono progressivamente dai territori di prossimità verso il sistema paese e il mondo, alla ricerca di vantaggi sul costo del lavoro, ma anche di subfornitura competitiva e di ambienti favorevoli all'impresa. Milano, isola madre di questo arcipelago, tende a mantenere sul proprio territorio i servizi professionali a elevato valore aggiunto, quelli che animano la rete: comunicazione, informazione, logistica, marketing. Da questo punto di vista si candida a essere un sistema compiuto di città leader, di nodo strategico di un sistema di economia arcipelago, di luogo di innovazione e di produzione di quelle reti che interconnettono l'economia locale e quella globale. Si tratta ancora, come anticipato, di un ruolo in gran parte incompiuto, di cui si attende la realizzazione nelle vesti di una leadership che sappia esprimersi anche su scala nazionale.
Intanto Milano è una città-regione, il profilo di città che a ben vedere costituisce la migliore premessa perché queste potenzialità di leadership giungano a compimento. Infatti, tutte le funzioni pregiate cui si è accennato - creatività, innovazione tecnologica, cultura come contenuto materiale, nuovi assetti territoriali - hanno al centro la città-regione, non semplicemente la metropoli.
Solo nell'intreccio tra le tante risorse di cui la città infinita è depositaria e quelle della città metropolitana è infatti concepibile a tutti gli effetti l'idea di città-regione. Quella configurazione di città capace di fare sintesi di tutte le funzioni strategiche alle quali Milano si mostra sensibile sul piano regionale ma non ancora del tutto su quelli nazionale e internazionale.
repertorio
Breve profilo storico-urbanistico
L'età romana
Il costituirsi di Milano in un nucleo abitato di una certa consistenza risale a uno stanziamento di galli insubri durante la grande migrazione di popolazioni celtiche che interessò l'area padana negli anni 388-86 a.C. Il nome Mediolanum, latinizzazione di un termine celtico, sembra significasse "paese in mezzo alla pianura". Posto al centro della Padania tra i rilievi alpini e il Po, nella zona di contatto tra alta e bassa pianura dove affiorano le acque delle risorgive, circondato da paludi e aperto solo a settentrione e quindi facilmente difendibile, l'antico villaggio insubrico ebbe già agli inizi funzioni di presidio territoriale e fu punto di sosta e di scambi alla convergenza delle numerose direttrici che segmentavano il bacino del Po.
Con la conquista romana (222 a.C.) prese forma un nuovo insediamento murato a pianta quadrilatera, secondo l'orientamento del castrum, con il Foro all'incrocio dei due assi viari del cardo e decumano. Nel lento processo di romanizzazione la città si emancipò da colonia a municipio con autonomia di governo consolidando con la pax augustea le tradizionali funzioni di mercato; crebbe poi d'importanza strategica come nodo di un sistema stradale che s'irradiava verso le province e avamposto militare a difesa dalla minaccia di incursioni barbariche. Nella struttura tetrarchica di Diocleziano (3° secolo) fu eletta a residenza di uno degli imperatori divenendo per dimensioni, popolazione e "abbondanza di ogni cosa" la seconda città dell'Occidente. Sul modesto tessuto di città non 'monumentale' si eressero le moli civili e militari, il Circo, le Terme, la fortezza con il mausoleo imperiale (già interrati nel Trecento secondo le Cronache di Galvano Fiamma). La promulgazione nel 312 dell'editto di tolleranza di Costantino e l'istituzione della diocesi diedero impulso al cristianesimo che si affermò sul proselitismo ariano mediante l'opera di sant'Ambrogio, vescovo della comunità milanese dal 374 al 397.
L'antico insediamento urbano di forma quadrata si allargò su una superficie di 100 ettari imponendo ampliamenti della perimetrazione murata che fu estesa a 4,5 km. Accanto ai cimiteri extramurari sorsero le basiliche paleocristiane della Vergine (poi S. Simpliciano) e dei Martiri (S. Ambrogio); all'interno della cerchia, nell'area del futuro Duomo, la protocattedrale di S. Tecla e il battistero. L'espansione urbana comportò interventi sul territorio circostante e sistemazioni idrauliche con l'incanalamento delle acque del Seveso e dell'Olona che scorrendo intorno alla città si ricongiungevano a sud nel canale della Vettabbia.
Supremazia arcivescovile e formazione del Comune
Il primato di Milano venne meno con la fine dell'Impero d'Occidente; esposta ai saccheggi di goti e burgundi, nel 569 fu occupata dai longobardi e Pavia divenne la capitale del nuovo regno. La dominazione longobarda, durata fino al 774, avviò un processo di germanizzazione della città e della regione da allora detta Langobardia. Con la rinascita in epoca franca Milano riaffermò la propria autonomia che estese anche dopo il crollo carolingio attraverso il ruolo politico svolto dalle due maggiori autorità cittadine, il conte-marchese e l'arcivescovo. Tra 10° e 11° secolo, con l'indebolimento dell'autorità comitale l'arcivescovo, appoggiato dalla grande feudalità, si attribuì funzioni di governo sollevando l'opposizione dei feudatari minori e del nuovo ceto borghese di mercanti e artigiani. La conflittualità sociale assunse caratteri religiosi con il movimento della pataria che, se da un lato si inquadrava nel fenomeno di riforma della Chiesa, dall'altro acuiva le tensioni cittadine avviando la precoce affermazione degli istituti comunali. Già prima della fine del secolo la creazione di una magistratura consolare rifletteva la scelta di una pacificazione tra le forze cittadine, premessa per una politica espansionistica del Comune vantaggiosa per il ceto mercantile, interessato a un ampliamento dei commerci. Le guerre contro le città padane confermarono l'egemonia di Milano indicandola come principale antagonista dell'imperatore Federico Barbarossa, nel suo disegno di restaurazione dell'autorità imperiale in Italia. Milano sostenne il peso maggiore dello scontro; assediata e distrutta nel 1162, si pose a capo della Lega Lombarda battendo l'imperatore a Legnano (1176) e ottenendo il riconoscimento giuridico dell'autonomia dei Comuni. L'alleanza civica antimperiale tra clero e ceti laici portò all'edificazione di grandi complessi in stile romanico nel centro già romano e ambrosiano: il Palazzo arcivescovile, il Broletto Vecchio per le pubbliche adunanze, il Broletto Nuovo, il quadrato chiuso di piazza dei Mercanti (fine 12° secolo).
Lo Stato ducale
Si apriva una fase di espansione commerciale assicurata dal principio della libertà di traffico su tutte le direttrici d'acqua e di terra nella pianura lombarda, l'accesso ai valichi alpini, il controllo della via del sale verso Comacchio. Con oltre 90.000 abitanti, per il continuo afflusso dal contado, la città all'inizio del 13° secolo era saldamente organizzata a tutela della sua attività economica, basata sui commerci e le industrie fra cui emergevano lavorazione dei metalli e manifatture della lana. Efficaci veicoli dei traffici furono il Naviglio grande, iniziato nel 1179, che si congiungeva in Milano con quello della Martesana mettendo in comunicazione il Ticino con l'Adda, e più tardi il Redefossi scavato in direzione nord-sud. La città, chiusa dall'ellisse muraria costruita dopo il sacco del Barbarossa lungo la 'cerchia dei navigli', su un perimetro di oltre 6 km su cui si aprivano le sei porte principali, si estendeva all'interno su una superficie di 240 ettari rendendo necessari, con il moltiplicarsi delle costruzioni, interventi di riassetto urbano e la ridefinizione del tracciato radiale delle strade che conducevano all'esterno.
Il riaccendersi dei contrasti tra ceto nobiliare e popolani, riuniti nella Credenza di S. Ambrogio fondata sulle corporazioni di mestiere, favorì tentativi di instaurazione di un regime signorile e nella competizione tra le famiglie prevalsero i Visconti, prima con Matteo poi con Azzone che nel 1330 ebbe il titolo di dominus generalis e il privilegio della ereditarietà all'interno del casato. Vennero meno gli aspetti di dialettica sociale e politica che avevano caratterizzato l'età comunale e molti esponenti del ceto dirigente confluirono nella burocrazia del nuovo governo; il trasferimento a fine Trecento dell'abitazione del signore dalla originaria sede presso la cattedrale (Broletto Vecchio) al castello di porta Giovia, al margine nord-occidentale dell'abitato, fu il segno tangibile della separazione del principe dalla cittadinanza
Milano divenne la capitale di un vasto Stato che giunse a comprendere gran parte dell'Italia settentrionale e, oltre Appennino, Perugia e Siena; con il conferimento a Gian Galeazzo del titolo ducale (1395) cessò formalmente di esistere come soggetto di politica autonoma e parve avviata a diventare il fulcro di un nuovo regno "portatore di pace a tutta la penisola". I Visconti chiamarono a corte Giotto e Giovanni di Balduccio, erede della scuola pisana di Arnolfo di Cambio, Petrarca e Boccaccio, in seguito l'umanista Francesco Filelfo. Nell'arte e nella cultura gotica Milano competeva con la borghese Firenze e Verona scaligera; nel nuovo stile gotico avvenne la trasformazione del Broletto Vecchio e del complesso di piazza dei Mercanti con l'aggiunta nel 1316 della Loggia degli Osii.
Nel 1386 per iniziativa di Gian Galeazzo fu avviata la costruzione del Duomo, di gusto tardogotico internazionale, cui lavorarono architetti e lapicidi italiani, tedeschi e francesi; l'immenso cantiere avrebbe impegnato fino al Seicento il meglio dell'arte e delle maestranze locali ed esterne. Dopo un periodo di stasi dovuto alla peste di metà secolo, aumentarono il dinamismo commerciale e la ricchezza della città, attestata dalla presenza di oltre 14.500 botteghe artigiane. I Visconti incrementarono le attività produttive con l'introduzione delle colture di gelso e riso e dell'arte della seta, ampliarono la navigabilità dei canali. Il sistema di navigli forniva l'acqua necessaria per le botteghe di tintori e conciatori concentrate nella parte meridionale della città, mentre le attività artigianali di pregio si dislocavano al centro intorno al Cordusio. Sempre a sud, a ridosso dei corsi Vettabbia e Ticinese erano situati i mulini suburbani per la lavorazione della stoffa, per le cartiere e segherie ad acqua. Lungo i navigli si svolgeva il trasporto di merci e derrate destinate alla città e alle aree interne, soprattutto dopo la messa in opera a metà Quattrocento di un sistema di conche che poneva in comunicazione i bacini di diverso livello. Milano era una città d'acqua, attraversata da canali e dotata di piccole darsene, di cui le più attive erano quella adiacente a S. Eustorgio e il laghetto di S. Stefano dove giungevano le barche con i marmi di Candoglia (Lago Maggiore) per la Fabbrica del Duomo. Alla morte senza eredi di Filippo Maria Visconti (1447), lo Stato milanese, già ostacolato nelle sue mire espansionistiche da Firenze e Venezia e ricondotto definitivamente entro i confini lombardi, sperimentò il tentativo promosso dal partito antivisconteo di un''Aurea repubblica ambrosiana' ma l'istituto comunale, debole e anacronistico, non riuscì a consolidarsi. Nella lotta tra potentati per la successione prevalse Francesco Sforza che, occupata Milano e ottenuto il titolo di duca (1454), diede inizio al predominio del suo casato. Simbolo della nuova dinastia fu la costruzione del Castello Sforzesco nell'area dove sorgeva la dimora viscontea di porta Giovia, semidistrutta dai repubblicani, e nel medesimo stile gotico quasi a legittimare la continuità del potere signorile. A un corpo del Castello lavorò il Filarete, autore del trattato di città utopica Sforzinda dedicata ai committenti. Filarete presiedette anche alla realizzazione dell'Ospedale Maggiore, sul naviglio tra le porte Romana e Tosa, prototipo di architettura ospedaliera che unificò vari complessi medievali in un'unica struttura a conduzione laica. Con il mecenatismo di Ludovico il Moro Milano ebbe la fama di corte rinascimentale più raffinata d'Italia. Il duca chiamò presso di sé Bramante, Leonardo 'ingegnere di corte' investito di molteplici compiti, dai progetti idraulici e urbanistici all'ideazione di macchine teatrali, all'attività pittorica con il Cenacolo in S. Maria delle Grazie; l'erudito greco Calcondila, il matematico Luca Pacioli, cantori e musicisti come Jasquin des Près, lo stampatore Panfilo Castaldi. La città poté disporre di moderne attrezzature assistenziali con la fondazione della Congregazione di pietà e del Lazzaretto di Porta Orientale, vasto quadrilatero porticato fuori le mura ristrutturato in occasione della peste del 1630. La signoria sforzesca rappresentò un periodo di prosperità segnato da incremento demografico, sviluppo delle manifatture ed esportazione di prodotti di lusso (arazzi, oreficerie, armature e seta) lungo le tradizionali vie del commercio e le nuove direttrici verso Francia, Castiglia e Catalogna, per cui - notava un cronista del tempo - "pareva che tutto fosse accomodato per la pace, e non ad altro si attendeva che ad accumulare ricchezze".
La dominazione spagnola
Divenuta uno degli obiettivi di scontro nel conflitto che opponeva la Francia da un lato e gli Asburgo d'Austria e di Spagna dall'altro, Milano nel 1535 entrò a far parte dei possedimenti asburgici. La dominazione spagnola si protrasse per 170 anni durante i quali lo Stato di Milano conservò propri ordinamenti e magistrature, espressione di una ristretta élite cittadina in cui erano confluiti l'antico patriziato e la borghesia della mercatura e finanza. Nei primi decenni lo sviluppo economico non trovò ostacoli, favorito dall'incremento agricolo della bassa pianura avviata a tecniche produttive ad alta resa (avvicendamento di cereali e foraggere, risaie, allevamento del bestiame) che assicuravano l'approvvigionamento annonario della città e alti profitti agli investimenti di capitali, mentre prendeva forma il tipico paesaggio della Bassa con le rogge, i filari, le cascine fra i prativi. La svolta del 1630 coincidente con la carestia e la peste, ma anche con una stagnazione più generale che investiva le regioni italiane, portò al collasso le attività produttive. La crisi colpì le manifatture intralciate da rigidi meccanismi corporativi, le campagne dove molte conduzioni a grande affitto furono sostituite da altre più esigue o da contratti di masseria, i commerci ridimensionati da forti tariffe daziarie. La popolazione dai 130.000 abitanti di fine Cinquecento diminuì bruscamente a 60-70.000.
Le iniziative più rilevanti in campo artistico e culturale sono inquadrabili nell'ambito della Controriforma con gli interventi dei cardinali Carlo e Federico Borromeo a favore di una rete di strutture ecclesiali e assistenziali. In particolare a Federico si devono la fondazione della Biblioteca Ambrosiana (1609) e la trasformazione delle sue collezioni in pinacoteca. La primitiva raccolta del Borromeo di 30.000 volumi e 14.000 manoscritti, comprendente codici altomedievali, incunaboli, l'Iliade del 6° secolo, il Virgilio chiosato da Petrarca con miniature di Simone Martini, il Codice Atlantico di Leonardo, si arricchì in seguito di altre accessioni. L'intervento urbanistico più importante fu la costruzione delle mura: i poderosi bastioni fatti erigere, a partire dal 1548, dal governatore F. Gonzaga disegnavano un poligono a nove punte correndo a distanza uniforme dalla vecchia cinta dei navigli, includendo una superficie di 800 ettari. Più che un intervento di razionalizzazione della crescita urbana, allora ferma per il calo demografico, i bastioni furono il segno con cui la potenza dominatrice rappresentava sé stessa come forza politico-militare. Tra il vecchio e il nuovo confine si aprì un vasto spazio edificabile che sarebbe stato sufficiente fino alla seconda metà dell'Ottocento per abitazioni private e infrastrutture; al di là delle nuove mura rimase per ragioni sanitarie il Lazzaretto. Entro la vecchia cerchia dei navigli sorsero i palazzi gentilizi Durini e Litta, a firma di F.M. Richini, e quello dei gesuiti a Brera.
La fase austriaca e la parentesi francese
Con l'avvento austriaco (1707) Milano manifestò i segni di una rinascente prosperità accogliendo gli echi dei fermenti tecnici ed economici che nella seconda metà del 18° secolo investirono l'Europa aprendo la strada alla rivoluzione industriale. Al potere spagnolo che aveva lasciato ampi spazi alla gestione magnatizia locale subentrò il diretto governo di Vienna improntato a centralismo illuminato ed efficienza amministrativa. Con Maria Teresa e Giuseppe II la città si innovò nelle funzioni assumendo il ruolo e il livello legati all'Europa transalpina che avrebbe mantenuto anche in seguito. Alle riforme economiche (ripresa dell'attività manifatturiera lungo i canali) e giuridiche (svecchiamento delle strutture, laicizzazione degli enti educativi, abolizione della censura) si aggiunse nel 18° secolo una produzione culturale di risonanza nazionale ed europea (studi storici con L.A. Muratori, giuridico-economici con P. Verri e C. Beccaria), di cui fu aspetto non secondario l'impulso dato in campo musicale con la fondazione del Teatro alla Scala. La nuova classe di intellettuali illuministi, di cui fu espressione Il Caffè, collaborò alle riforme con mansioni burocratiche e di governo andando poi a costituire il ceto dirigente della Repubblica cisalpina e del Regno italico napoleonici. A seguito della soppressione dei gesuiti furono istituiti a Brera l'Accademia di Belle arti, l'Orto botanico e l'Osservatorio astronomico, e potenziate le Scuole Palatine dove insegnò G. Parini.
Nell'architettura G. Piermarini, imperial architetto e sovrintendente all'edilizia della città, progettò dimore patrizie in stile palladiano (palazzo Belgioioso), creò nella parte orientale giardini pubblici contornati da viali per il passeggio delle carrozze, curò entro la cerchia dei navigli la ristrutturazione neoclassica secondo le nuove linee europee della 'rettifilazione' urbanistica.
L'entrata in Milano dell'esercito francese (1796), portatore delle idee della Rivoluzione, inaugurò il 'triennio giacobino' animato da dibattiti tra moderati e democratici e scontri politici per l'orientamento francese a utilizzare la Cisalpina come mera riserva di uomini ed entrate fiscali. Il programma di moderate riforme e ordinato governo offrì ampie opportunità di impiego nell'amministrazione e nell'editoria; lo sviluppo dei commerci fu invece ostacolato dalla subordinazione alla Francia e dal blocco continentale. Per il fervore culturale Milano attrasse dalla Lombardia e dal resto d'Italia intellettuali della statura di M. Gioia, V. Cuoco, A. Volta, U. Foscolo. Nell'urbanistica si elaborarono progetti ambiziosi con venature utopiche, come il piano che prevedeva rettifiche e sfondamenti del vecchio centro per far posto a una rete di vie perpendicolari e a uno schema non più per cerchi concentrici ma per assi ortogonali, mai messo in opera perché dispendioso. Più modestamente, si realizzarono giardini pubblici e sistemarono le vie di Borgonuovo e Montenapoleone in stile neoclassico.
Il ritorno nel 1814 degli austriaci rappresentò un ridimensionamento del ruolo politico e amministrativo di Milano. La città divenne centro di cultura nazional-romantica - da C. Porta a G. Berchet, ad A. Manzoni - aperto verso l'Europa liberale del progresso economico, tecnologico e civile attraverso Il Politecnico di C. Cattaneo. La più rilevante manifestazione artistica fu il melodramma musicale alla Scala, con G. Spontini, G. Rossini e G. Verdi, supportato dall'attività della Casa editrice Ricordi. Le direttive poliziesche del governo asburgico e la politica protezionistica a favore delle industrie boeme e morave, in prospettiva rischiosa per l'economia lombarda sebbene l'appartenenza all'Impero austro-ungarico le aprisse un mercato tecnicamente avanzato e ricettivo, fomentarono un'insofferenza crescente che si espresse nell'adesione della città ai moti risorgimentali del 1821, del 1833 e nelle Cinque giornate del 1848. Dopo la seconda guerra d'indipendenza la Lombardia fu ceduta al regno di Sardegna (1859) e poi annessa al regno d'Italia.
Nel periodo austriaco l'aumento demografico - il numero di abitanti passò dai 140.000 del 1815 alle 200.000 unità nel 1861 - incise non tanto sull'assetto topografico quanto su un'opera costante di sistemazione e restauro del già costruito. L'adozione del canone razionale neoclassico portò a interventi di interramento dei corsi d'acqua e alla formazione di una rete sotterranea visibile soltanto attraverso passaggi segreti, per lo più proibiti (il progetto per la copertura della cerchia dei navigli, allora accantonato, sarebbe andato in porto nel 1930). La manutenzione delle strade, la sistemazione dei bastioni a viale alberato, l'introduzione di un servizio di omnibus a cavalli e dell'illuminazione a gas (1845) conferirono alla città un decoro rispondente al suo sviluppo economico, mentre ai bordi della cinta spagnola comparivano le prime stazioni ferroviarie. L'agricoltura della Bassa, condotta nelle forme di grande affitto capitalistico, era tra le più avanzate d'Europa; le attività commerciali e finanziarie facevano di Milano uno dei poli principali dell'economia italiana.
Dopo l'Unità
Tra Otto e Novecento Milano accentuò la sua duplice vocazione di ponte verso il centro e nord Europa e di metropoli economico-produttiva secondo modelli via via dedotti dal mondo tedesco e anglosassone. Sorretta da solide basi finanziarie per gli apporti di capitali stranieri e dalla capacità imprenditoriale della borghesia urbana, l'antica tradizione artigianale diede luogo alla moderna Milano industriale. Grandi complessi nel settore tessile (Rossi, Cantoni, Snia Viscosa) affiancarono una miriade di piccole e medie aziende, con 50.000 occupati (saliti negli anni Venti a 230.000), mentre si sviluppavano altri comparti produttivi (Pirelli, Breda, Falck, Borletti, Marelli, Alfa Romeo, Montecatini, Motta, Alemagna ecc.) fondamentali per l'economia nazionale. La crescita industriale fu accompagnata da incremento demografico, pressione abitativa, conflitti sociali tra borghesia imprenditorial-affaristica e forze dell'opposizione operaia e riformiste.
Il piano regolatore di C. Beruto (1889) registrava il rimodellamento della geografia della città: la raggiera ferrata, che confluendo nella stazione ferroviaria inaugurata nel 1864 apriva le nuove direttrici verso Genova, Torino, Piacenza; la nascita di un polo insediativo oltre i bastioni destinato a edilizia popolare e opifici; l'istituzione di una rete di pubblici trasporti, la disponibilità di acqua potabile. Al centro, su progetti di G. Mengoni, si attuarono le ipotesi napoleoniche con interventi nelle piazze del Duomo e della Scala, e la sistemazione dell'isola intermedia con la Galleria Vittorio Emanuele II coperta da un'audace struttura in vetro e ferro. All'interno della cinta spagnola il piano fece posto a quartieri di residenza borghese e congiunse in un unico disegno urbanistico piazza del Duomo con il Castello valorizzato dall'arteria semicircolare di Foro Buonaparte. I bastioni, parzialmente smantellati, formarono la circonvallazione interna, più oltre, in una visione rigorosamente monocentrica dello sviluppo urbano, la periferia fu serrata in un ampio anello circolare delimitato dalla circonvallazione esterna.
Con la Prima guerra mondiale il tradizionale settore tessile fu sopravanzato dalla industria metallurgica e chimica, dalla costruzioni e impianti, dalla meccanica che diventò il comparto egemone. Mutò la dimensione finanziaria, tecnico-organizzativa e promozionale; si moltiplicarono le società azionarie e la Borsa valori, fondata nel 1808, si affermò come la più vivace in Italia; la Fiera campionaria, inaugurata nel 1920, divenne una vetrina aperta ai commerci nazionali e internazionali; il sistema bancario si consolidò con la creazione di nuovi istituti. Negli anni Trenta, in linea con la vocazione della città a riedificare sempre su sé stessa, si sventrarono e ricostruirono settori centrali (Vetra, piazza degli Affari, quartiere finanziario con il palazzo della Borsa del 1931) con apertura di nuove strade e piazze (S. Babila). Dopo essere stata una delle città più colpite dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale (1943), che ridussero al minimo la capacità produttiva causando gravi danni anche a monumenti e opere d'arte, a partire dal 1946 Milano fu al centro del miracolo economico che ebbe i suoi simboli nel grattacielo Pirelli e nella torre Velasca. La ricostruzione fu accompagnata da una crescita demografica molto rapida per l'immigrazione da zone marginali del Nord e dal Mezzogiorno (la popolazione, salita a 992.000 nel 1931 e a 1.274.000 unità nel 1951 passò a 1.743.427 nel 1973) che si tradusse nella domanda incessante di case per abitazione, di aree per fabbriche e magazzini. Alle sollecitazioni fecero fronte gli spazi periurbani e Comuni un tempo autonomi come Lambrate e Chiaravalle furono aggregati alla città. Ai villaggi industriali finanziati da Breda e Pirelli per dare alloggio alle masse operarie d'inizio secolo si affiancarono quartieri popolari posti a corona ai limiti della città (QT8, Gallaratese). Un paesaggio privo di significative figurazioni architettoniche saldò Milano a centri esterni di dimensioni ragguardevoli inglobando nel continuum urbanizzato località sconfinanti in altre province. Si andò costituendo una 'regione-città' anche sulla spinta alla terziarizzazione che dalla metà degli anni Settanta investì l'economia milanese.
Nel decennio Ottanta il rallentamento dello sviluppo e l'emergenza di nuove realtà produttive nelle tradizionali regioni di esodo assottigliarono il flusso migratorio avviando un fenomeno di calo demografico che assunse poi caratteri di controurbanizzazione (la popolazione si attestava ancora nel 2002 su 1.298.799 abitanti). Un medesimo andamento registrò l'occupazione industriale per la tendenza alla deindustrializzazione e delocalizzazione degli stabilimenti e per il progressivo affermarsi di attività commerciali e servizi. La città consolidava la sua fisionomia di centro terziario mentre per le aree industriali dismesse si elaboravano piani di riconversione da parte delle aziende stesse (Pirelli per la Bicocca, Montedison per Linate).
A fine anni Novanta un'inversione di tendenza nell'indice demografico si è registrata per i flussi immigratori (calcolati in 200.000 unità) da nazioni dell'Unione Europea (10%), dell'Europa orientale (12%) e per il resto da paesi in via di sviluppo. Al riassetto socioterritoriale, anche in termini di composizione etnica, e alla ridistribuzione della popolazione si sono accompagnati processi di rilocalizzazione delle attività (comparti metalmeccanico, tessile-abbigliamento e calzature) dai Comuni metropolitani verso altre aree della provincia e al di fuori di questa (Varese, Como, asse Bergamo-Brescia). Milano convalidava lo sviluppo di sempre maggiori funzioni terziarie legate alle imprese e al controllo di reti di servizi per la promozione di settori tecnologici ad alto potenziale innovativo (automobilistico, della moda e del design). Nell'editoria accoglieva il 21% degli editori nazionali, un terzo dei periodici e un quarto degli addetti ai servizi televisivi. S'incrementavano le attività commerciali e quelle culturali attraverso le università, i centri direzionali e di ricerca, sicché i settori del terziario e quaternario occupavano oltre i quattro quinti della popolazione attiva. Nel novembre 2004, nel rapporto Unioncamere-Tagliacarne relativo all'anno 2003 la provincia di Milano si è confermata per il nono anno consecutivo la più ricca del paese, con un reddito pro capite di 30.488 euro.