Canonero, Milena
Costumista cinematografica, nata a Torino nel 1952. È considerata una delle artefici del successo della cultura figurativa italiana a Hollywood. Celebre per il gusto iperrealista e le costose macchine sartoriali che ha allestito, ha forzato i limiti dell'utilizzazione naturalistica del costume nel film, rendendone evidenti le potenzialità espressive sin dal suo esordio con Stanley Kubrick. Ha vinto due Oscar: il primo nel 1976 per Barry Lyndon (1975) di Kubrick e il secondo nel 1982 per Chariots of fire (1981; Momenti di gloria) di Hugh Hudson; ha ottenuto inoltre ben quattro nominations. Nel 2001 ha ricevuto il prestigioso premio alla carriera del Costume Designers Guild.Compiuti gli studi in Italia, si trasferì giovanissima in Inghilterra dove iniziò a occuparsi di cinema, come costumista ma anche lavorando nel settore del montaggio e della produzione, al fianco di Kubrick, di cui assorbì lo spirito perfezionista e l'ossessione per il dettaglio. Nel 1971 firmò per lui il primo film da costumista, A clockwork orange (Arancia meccanica), dove venivano genialmente mescolati elementi di epoca edoardiana, fantasie in stile Carnaby Street e materiali acrilici ultramoderni, per dar vita a un patchwork dal sapore di pop art, vicino al gusto di Andy Warhol. Per il successivo Barry Lyndon lavorò seguendo il modello viscontiano di Piero Tosi e modificò autentici abiti del 18° sec., ricreandone la linea con ossessiva precisione e risultati suggestivi. La collaborazione a vasto raggio con Kubrick (curò anche il doppiaggio dell'edizione francese di ambedue i film) si chiuse alla fine del decennio con The shining (1980; Shining), nel quale però i costumi avevano un ruolo meno rilevante. L'anno dopo, per Chariots of fire, seppe reinventare, con precisione e fantasia, l'eleganza dandy delle tenute sportive inglesi del primo Novecento, dimostrando un talento indipendente dal genio di Kubrick.
Negli anni Ottanta un altro importante incontro è stato quello con Francis Ford Coppola, per il quale la C. ha lavorato in tre opere ambientate in epoche diverse: in particolare per The Cotton Club (1984; Cotton Club) ha ricreato il modo di vestire degli abitanti della Harlem anni Venti e Trenta, offrendone una raffigurazione variopinta e fantasiosa, sempre nel rispetto di un'attenta ricostruzione storica. Un simile uso di colori forti si ritrova in Tucker: the man and his dream (1988; Tucker ‒ Un uomo e il suo sogno), mentre in The godfather, part III (1990; Il padrino ‒ Parte III) la costumista ha mirato ad abbassare i toni, usando tinte scure ma nette. Tuttavia, il film nel quale è riuscita a fondere con maggiore raffinatezza suggestioni della moda e notazioni narrative è stato Out of Africa (1985; La mia Africa) di Sidney Pollack, nel quale, ricostruendo lo stile dei coloni europei in Kenya, è riuscita a fare sì che i personaggi venissero raccontati anche attraverso i loro abiti: in particolare quelli disegnati per Meryl Streep assemblano con originale libertà elementi militareschi e di alta moda. Anche l'esplosione di colori di Dick Tracy (1990) di Warren Beatty, dove i costumi richiamano esplicitamente i contenuti cromatici delle tavole a fumetto, si pone nella stessa direzione. Senza smettere di coltivare il design di moda (ha ottenuto nel 1987 il premio Coty per una linea di abbigliamento maschile da lei disegnata), si è dedicata anche alle grandi produzioni televisive, curando i costumi dell'edizione 1987 della serie Miami Vice, diretta da Michael Mann. Nel 1992 ha firmato il suo unico film da scenografa, Single white female (Inserzione pericolosa) di Barbet Schroeder. Si è dedicata anche alla produzione, come associate producer di alcuni film tra i quali Good morning Babilonia (1987) di Paolo e Vittorio Taviani e Naked tango (1990; Tango nudo) di Leonard Schrader. Negli anni Novanta è tornata a lavorare più volte con Beatty, per il quale ha firmato gli abiti di Love affair (1994; Love affair ‒ Un grande amore) di Glenn Gordon Caron, e di Bulworth (1998; Bulworth ‒ Il senatore), dallo stesso Beatty anche diretto. Con i costumi disegnati per Titus (1999) di Julie Taymor ha raggiunto un punto di equilibrio fra la trasfigurazione teatrale e il realismo del cinema, creando figure nelle quali è impossibile distinguere corpi e costumi, perfettamente fusi in un unico design ricco di visionaria drammaticità. Ha inoltre disegnato i costumi, e talvolta anche le scene, di numerose opere liriche per il Metropolitan Opera House di New York e per alcuni teatri austriaci. Nel 2000 ha firmato scene e costumi per lo spettacolo teatrale scritto da Peter Schaffer, Amadeus, andato in scena in molti teatri italiani e diretto da Roman Polanski, regista con il quale la C. aveva già collaborato, curando i costumi del film Death and the maiden (1994; La morte e la fanciulla). Tra gli altri registi con i quali ha lavorato, da ricordare Stuart Cooper, Alan Parker, Norman Jewison, Louis Malle, Charles Shyer e Tony Scott.
S. Masi, Costumisti e scenografi del cinema italiano, 2° vol., L'Aquila 1990, pp. 115-32.