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Milena Canonero

di Giuseppina Manin - Il Libro dell'Anno 2015
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Giuseppina Manin

Milena Canonero

Nostra signora dei costumi

È italiana la donna più premiata a Hollywood: 4 Oscar (l’ultimo quest’anno per Grand Budapest Hotel) e 9 nomination. Nata a Torino, ha iniziato la carriera a Londra con Kubrik. Unico rimpanto: aver rifiutato Guerre stellari.

Fig.

Vestire i sogni è il suo mestiere. Anzi la sua vocazione. Milena Canonero, nostra signora dei costumi, lady Oscar del cinema, da quasi 40 anni provoca il nostro immaginario di spettatori spalancandoci gli armadi segreti di regine, gangster e avventurieri. Sete e broccati, cappelli di paglia e di feltro, parrucche incipriate, giustacuori polverosi, giacche ruvide… tutti allineati in quel suo guardaroba delle meraviglie che ha affascinato Stanley Kubrick e Francis F. Coppola, Wes Anderson e Roman Polanski. E che le è valso 4 Oscar, poker di cinema, record assoluto per una donna nella storia di Hollywood. L’ultima statuetta dorata è di quest’anno, per Grand Budapest Hotel di Anderson. Le altre 3 per Marie Antoinette di Sofia Coppola, Momenti di gloria di Hugh Hudson, Barry Lyndon di Kubrick.

E con Kubrick, Canonero ha cominciato alla grande la sua carriera. Nata a Torino il 1° gennaio del 1946, a poco più di 20 anni sbarca nella swinging London e lì incontra il più geniale ed esigente dei registi. Che a quella ragazza con in tasca solo uno spot pubblicitario dà credito e affida i costumi del film che sta per girare, Arancia meccanica. Milena non lo delude. Sua è l’idea di vestire Malcolm McDowell e la sua banda di giovani criminali con delle aliene tutine bianche, munite di bretelle e sospensori, e in testa una nera bombetta, simbolo dell’establishment britannico. Rispettabilità e terrore, cardini di un apologo distopico su un’iperviolenza ormai alle porte, riassunti in pochi elementi iconici. «È stata la più eccitante esperienza della mia vita» assicura lei. E Kubrick 4 anni dopo la richiama per il suo capolavoro, Barry Lyndon.

Per ricreare il Settecento sublime e ironico preteso dal regista, Canonero ripassa la pittura britannica d’epoca, da Gainsborough a Reynolds, crea uniformi, cuffie, gioielli a prova dell’effetto candele, unica illuminazione prevista da Kubrick. Fatica ricompensata con l’Academy award, che le garantisce la terza collaborazione kubrickiana, Shining, dove intreccia innocenza e horror nei vestitini azzurri delle morticine gemelle.

E la minuta ragazza di Torino, tutta talento e riservatezza sabauda, nel frattempo decorata di un secondo Oscar per Momenti di gloria, conquista Hollywood. Coppola le fa vestire Richard Gere in Cotton Club e Al Pacino nel Padrino-parte III. Sydney Pollack le affida il look coloniale di Meryl Streep ne La mia Africa, Warren Beatty nel visionario Dick Tracy.

Mondi diversissimi che Canonero, nel frattempo traslocata a Los Angeles e sposata con l’attore Marshall Bell, esplora in totale libertà creativa. Sempre tenendo d’occhio la storia, talora scavalcando il tempo. Pronta, per la Marie Antoinette versione pop di Sofia Coppola, a mescolare tra le centinaia di scarpine modello Versailles della vanitosa regina Kirsten Durst anche un paio di sneakers di oggi. Color malva, con l’oro e il rosa cipria le tinte base del film. «Mi sono ispirata alle scatole dei macarons di Ladurée» confessa.

Quindi l’incontro con Anderson: Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling, Grand Hotel Budapest. Milena sta al divertissement surreale di Wes, cita la pittura di Klimt e modella l’eccentrica milionaria di Tilda Swinton come una Peggy Guggenheim uscita dal parrucchiere con la permanente schizzata. Ma se sul set si diverte a giocare con i colori, nella vita Milena ama solo il bianco e il nero. Smoking nero, camicia candida dal colletto rialzato, stretto da un nastro nero, la sua mise per il quarto Oscar. Forse è il suo omaggio a un cinema leggendario, che non c’è più. «È il cinema che influenza la moda, non viceversa», sostiene.

Una vita al servizio del grande schermo ripagata da una fama fuori dal comune. Ma soprattutto da incontri straordinari. Solo uno ne ha mancato. Con George Lucas, che le aveva proposto di realizzare i costumi di Guerre stellari. «Avevo appena terminato Barry Lyndon, ero esausta, ho perso quella meravigliosa opportunità. È il mio solo rimpianto».

Fig.

Vedi anche
Nicholson, Jack Attore e regista statunitense (n. Neptune, New Jersey, 1937). Dopo aver esordito in Cry baby killer (1958), lavorò nell'ambito del cinema indipendente statunitense, imponendosi nel 1969 con Easy rider. Attore di doti non comuni, ora beffardo e diabolico, ora introverso e cerebrale, ha al suo attivo una ... Hugh Hudson Regista inglese (n. Londra 1936). Dopo aver lavorato alla realizzazione di alcuni documentari (uno su tutti, Fangio del 1975) e di apprezzati spot pubblicitari, nel 1981 ha diretto la sua prima pellicola: Chariots of fire (Momenti di gloria) gli ha permesso di vincere quattro Premi Oscar ed è considerata ... Warren Beatty Attore e regista cinematografico statunitense (n. Richmond, Virginia, 1937), fratello dell'attrice Shirley MacLaine. Dopo esperienze teatrali e televisive, esordì come attore cinematografico in Splendor in the grass (1961), cui sono seguite fortunate interpretazioni di personaggi problematici: Mickey ... Francis Ford Coppola Regista e produttore cinematografico statunitense (n. Detroit 1939). Dopo alcuni film di buon livello, come You're a big boy now (Buttati, Bernardo!, 1966) e The rain people (Non torno a casa stasera, 1969), ottenne grande successo con The godfather (Il padrino, 1972, dall'omonimo romanzo di M. Puzo), ...
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