MILETO (Μίλητος, Milētus)
Città sulle coste dell'Asia Minore alla foce del Meandro, abitata in età storica da coloni greci di stirpe ionica. Resti neolitici trovati nelle vicinanze della città dimostrano che la regione era già occupata in tempi preistorici. Lo stesso nome Mileto che si trova pure in una piccola città della Creta settentrionale (Milato secondo la pronuncia dorica), non essendo greco, ci riporta a un periodo precedente all'occupazione greca in cui una medesima popolazione abitava le coste dell'Asia Minore e l'isola di Creta. La spiegazione abituale che Greci o Pregreci, abitanti Creta, siano passati in Asia Minore e abbiano fondato una città omonima a quella che avevano lasciata non vale di più delle analoghe congetture fatte dagli antichi, i quali erano già stati colpiti dall'omonimia e avevano favoleggiato in varie guise che un eroe eponimo Mileto, partendo da Mileto cretese, avesse fondato Mileto asiatica. Ricordi vaghi degli abitatori pregreci sono anche nelle tradizioni che parlano di Lelegi e Carî come fondatori di Mileto. Le prime tracce della popolazione greca sono probabilmente da vedersi nei resti micenei risalenti a circa il 1300 a. C. trovati nella collina di Kalabak-Tepè dove poi si sviluppò la città greca arcaica: altri però ritiene che questi resti micenei siano ancora da riferirsi a Pregreci. Certo prima del 1000 a. C. gli Ioni erano già insediati in Mileto, come in genere in tutta la costa dell'Asia Minore, e se Omero dice ancora Mileto abitata da Carî, lo fa per un voluto tono arcaicizzante. Questi Ioni venivano dalla Grecia centrale e più precisamente dalla Beozia e dall'Attica e portarono con sé il culto di Poseidone Eliconio, dal nome del monte Elicona in Beozia. Portarono pure dalla loro patria la tradizionale divisione in quattro tribù (Geleonti, Opleti, Egicorei, Argadei), alle quali furono poi aggiunte altre due tribù (Enopi [Οἴνωπες] e Borei [Βωρεῖς]) per accogliere nuova popolazione aggregata con pieno diritto di cittadinanza: la mistione dell'elemento greco con l'elemento indigeno è confermata da altri indizî, come dai parecchi nomi proprî non greci. Fondatore della città era ritenuto talvolta Anax, più spesso Neleo. In realtà l'uno e l'altro nome non erano in origine che un appellativo di Poseidone considerato come divinità infera. Tanto Anax (ἄναξ = principe) quanto Neleo (affine a νηλεής = senza pietà) sono infatti attributi che accompagnano spesso il nome della divinità delle regioni sotterranee nelle quali risiedono i morti, ma delle quali (come sembravano offrire conferma i semi maturati nel sottosuolo) germina anche la vita, sicché la divinità infera diventava per eccellenza la divinità generatrice dei mortali e quindi, per due ovvî trapassi, capostipite delle tribù e poi fondatrice di città. Quando il dio Neleo fu umanizzato e considerato re di Pilo nel Peloponneso si favoleggiò dell'origine pilia dei Milesî: ipotesi evidentemente senza base storica. In Mileto ebbe culto, oltre che Poseidone, anche l'altra divinità della stirpe ionica, Apollo, a cui era dedicato in un sobborgo (Didime) uno dei più celebri santuarî con oracolo del mondo antico.
Mileto fiorì assai presto: prima centro agricolo importante, dal sec. VIII al VI a. C. ebbe uno sviluppo commerciale e industriale che ha pochi confronti nel mondo greco. Produzione di grano e allevamento di greggi furono i principali elementi dell'economia agricola: dall'allevamento delle greggi fu resa possibile la famosa industria delle lane e dei tessuti milesî. Molta importanza ebbero inoltre la fabbricazione delle ceramiche e la lavorazione dei metalli; ma il commercio milesio dovette avere sviluppo soprattutto per la sua funzione di mediatore tra le regioni pontiche (esportazione di grano), l'interno dell'Asia (esportazione di metalli, profumi), l'Egitto (esportazione di papiro, di grano?, importazione di legname e di vino) e il mondo greco. A questa fioritura economica si accompagna il moltiplicarsi delle colonie fondate dai Milesî. Plinio (Nat. Hist., V, 112) parla di 90 colonie milesie: 45 almeno sembrano accertate. Lo stesso loro numero dimostra l'impossibilità che esse avessero per precipuo scopo lo sfruttamento agricolo del suolo; una città, che al massimo avrà raggiunto nel sec. VII 50.000 abitanti, non poteva dare uomini sufficienti a coltivare i territorî di 45 città, se non più. Molte di queste colonie devono dunque essere state in origine delle fattorie commerciali volte a raccogliere e a convogliare le mercanzie: naturalmente l'agricoltura non era esclusa da queste fattorie, e molte di esse si andarono poi trasformando in città a economia mista. Il persistente influsso della madrepatria si riconosce dalle tradizioni religiose (culti, calendario, tribù) e politiche di Mileto che si ritrovano nelle colonie. Tra queste colonie ricorderemo Abido e Arisbe sullo stretto dei Dardanelli, Cizico sul Mar di Marmara, Apollonia, Istro, Olbia, Panticapeo, Sinope sul Mar Nero. Merita particolare ricordo la "fortezza dei Milesî" (Μιλησίων τεῖχος) in Egitto, poi trasformatasi nella città panellenica di Naucrati, città franca e centro del commercio greco in Egitto.
L'ovvia conseguenza di questo sviluppo economico era la costituzione di un'aristocrazia, che poté assai presto (già nel sec. VII) spodestare la famiglia reale che riportava la sua origine a Neleo (dinastia dei Nelidi). Ulteriore ragione della decadenza monarchica fu l'attenuarsi dei legami federali che vincolavano Mileto alle altre undici città ioniche (v. ioni): la lega ionica capitanata dai re delle singole città, avendo sempre minore importanza, non poté perciò più contribuire a sostenere il prestigio e la forza dei re nelle singole città. Si deve all'aristocrazia milesia l'impulso alla penetrazione politica ed economica in Egitto, dove i Milesî con gli stessi commerci e con forte contingente di mercenarî furono tra i principali sostenitori della debole monarchia indigena nei confronti dell'Assiria e poi della Persia. Fu pure quest'aristocrazia (tipico rappresentante ne è il filosofo e uomo politico Talete, che non disdegnava le speculazioni commerciali) a dare alla cultura milesia e quindi, in genere, alla civiltà ionica il tono spregiudicato e di larghe vedute, non senza raffinatezza e sensualità orientale (si pensi al genere di novelle che da Mileto prende il nome), che le resterà proprio per i secoli.
L'arresto alle fortune di Mileto, che nemmeno le scorrerie dei Cimmerî nel sec. VII avevano potuto durevolmente sminuire, venne dall'impero lidio. M. fu costretta come le altre città ioniche a sottomettersi a Creso, a pagargli tributi e a fornirgli un contingente militare. Ne conseguì per allora solo l'impossibilità di fare una politica estera indipendente, mentre i commerci parvero salvi; ma era inevitabile che l'una cosa influisse poi sull'altra. Ciò divenne manifesto, quando i Persiani si sostituirono ai Lidî. Mileto ebbe l'abilità (sembra per consiglio di Talete) di evitare di urtarsi con i Persiani, abbandonando al primo invito Creso (548 circa), ed ebbe quindi da Ciro condizioni di favore. Ma ciò non impedì che questi intervenisse nello stesso ordinamento interno, imponendo il governo di un tiranno a lui favorevole (Istieo), cioè comprimendo l'aristocrazia fino allora dominante. Poi l'Egitto fu chiuso alla penetrazione greca e la flotta fenicia contrapposta a quella delle città ioniche. Si venne maturando uno spirito di ribellione negli Ioni, che si accentuò dopo che la spedizione di Dario sulle coste del Mar Nero (cosiddetta spedizione scitica: 514 circa) si concluse senza offrire agli Ioni quei vantaggi economici che essi ne avevano sperato. Istieo stesso diede segni d'irrequietezza e fu allontanato da Mileto, ma il suo successore Aristagora finì per essere trascinato dai rivoluzionarî e per mettersi alla loro testa; anche altri Milesî, come lo storico Ecateo, benché contrarî in origine alla ribellione, furono travolti in ugual modo (499-94 a. C.). Le conseguenze sono note (v. grecia: Storia): dopo i primi successi degli Ioni, i Persiani presero il sopravvento, Mileto fu occupata e distrutta, gli abitanti fatti schiavi, il tempio di Apollo in Didime saccheggiato e bruciato, il territorio in parte confiscato, in parte attribuito ai Carî. È noto pure che la tragica sorte di Mileto, oggetto di una tragedia di Frinico, fu tra i principali motivi a indurre Atene, che era poi accorsa in aiuto dei Milesî, ma con forze insufficienti, a organizzare la resistenza disperata contro i Persiani che culminò nella battaglia di Maratona.
La battaglia di Micale (479 a. C.), liberando la Ionia dai Persiani, permise la ricostruzione della città con i resti degli antichi abitatori e con nuovi sopraggiunti. La città però spostò il suo centro dalla collina di Kalabak-Tepè alla pianura a oriente di essa. È dubbio se il piano di ricostruzione sia stato progettato dal noto architetto Ippodamo, milesio egli stesso. Nel 478-7 Mileto aderì alla Lega delio-attica: l'influsso crescente di Atene si dimostra anche nel fatto che Mileto verso il 440 accolse l'ordinamento in dodici tribù già instaurato in Atene da Clistene. E da Atene si favoleggiò che fosse venuto il fondatore di Mileto, Neleo. I commerci della città tornarono presto a fiorire, sicché il tributo annuo impostole da Atene poté essere rilevante: in media 10 talenti. Nel 412 Mileto si ribellò ad Atene per incitamento di Alcibiade, ma l'unica conseguenza fu che essa ricadde poco dopo sotto il dominio persiano per rimanervi sino al 334 a. C., in cui Alessandro l'assediò, la occupò e le restituì l'autonomia. È questo il periodo più oscuro della storia di Mileto, senza splendore né economico né culturale (l'unico artista noto proveniente da Mileto è Timoteo). Con l'età ellenistica Mileto ritorna invece uno dei maggiori centri dell'Asia Minore: i Seleucidi, che per quasi tutto il sec. III la incorporano nel loro territorio, favoriscono di regola il suo incremento economico e ne tutelano la relativa autonomia. L'invasione dei Galati con il saccheggio del tempio di Didime nel 277-6 non è che una breve parentesi. Il nascente regno di Pergamo per attirare Mileto nella sua orbita ne accresce la prosperità e lo splendore con continui donativi: la politica riesce perché intorno al 190, in cui s'iniziano pure le relazioni con i Romani, Mileto era inserita nel regno di Pergamo, naturalmente come città autonoma. Il passaggio al dominio romano (133) segna un nuovo periodo di decadimento: Mileto sta per diventare una città provinciale e non si rassegna. Ciò spiega la sua adesione a Mitridate, che nell'86-5 è nominato magistrato eponimo (στεϕανηϕόρος) di Mileto. La punizione romana viene presto: nel 78 i Romani, ridiventati padroni della situazione, tolgono la libertà alla città e le impongono un governo oligarchico, cosiddetto dei 50 arconti. Antonio, nel 38 a. C., ridonando l'autonomia alla città, inizia la nuova politica romana verso la provincia di Asia (v. in genere asia minore: Età romana) intesa a favorirne l'incremento, e per tutto il periodo imperiale Mileto godrà di una particolare prosperità. Nella Lega ionica rinnovata da Alessandro e poi forse da Augusto, Mileto avrà ora una posizione di preminenza anche per il crescente prestigio del santuario di Didime: essa sarà considerata e chiamata metropoli della Ionia. Nel 263 d. C. i Goti invadendo l'Asia dànno il primo segno della decadenza, anche se, a quanto pare, Mileto rimane intatta (ciò che fu attribuito a miracolo di Apollo). È tuttavia lenta decadenza, perché fino all'invasione araba (metà del sec. VII) Mileto restò un centro economico e spirituale, a cui il cristianesimo aggiungeva importanza, sia perché la città era innalzata a vescovato sia per l'attività culturale dei monaci del vicino Latmo.
Topografia e monumenti. - La città sorgeva all'estremità settentrionale della penisola protesa un tempo verso la foce del Meandro, onde questa restava divisa dal golfo del Latmo (sinus Latmicus). Gl'interramenti causati dalle acque limacciose scaricate dal fiume alla foce, hanno colmato o quasi, da secoli - forse dalla fine dell'età classica - la profonda insenatura marina, saldando insieme, in una pianura estremamente paludosa, le due sponde del golfo: la penisola di Mileto e quella di Micale, davanti a Priene. Così il suolo di Mileto, già circondato per tre quarti dal mare, ne è oggi lontano una quindicina di chilometri, restando chiuso dentro una delle numerose anse del fiume.
In età classica la città si protendeva sul mare con le quattro insenature del promontorio utilizzate per approdi e rifugi di navi. Notevoli a NO. il porto detto del Teatro, a N. quello dei Leoni, per due figure leonine collocate all'imboccatura. Della Mileto arcaica la spietata distruzione persiana del 494 a. C. sembra avere fatto scomparire ogni traccia. Ma già prima della metà del secolo V a. C. la promettente città commerciale viene ricostruita; tuttavia quasi tutto quanto di edifici è stato riportato alla luce dagli scavi tedeschi, a partire dall'ottobre 1899, appartiene a età ellenistica e romana.
Nella pianta della città, come s'è potuta ricostruire in seguito agli scavi, si nota anzitutto la grande regolarità degl'isolati e delle strade tagliate ad angoli retti. Dai piedi della collina di Kalabak-Tepè fino all'estremità nord della penisola tutto il suolo pianeggiante era occupato da un sistema di strade sviluppate parallele da N. a S. e da E. a O. La larghezza massima dell'abitato va da 800 a 1000 m.; la lunghezza massima è di m. 2500 circa.
In prossimità del porto dei Leoni era il nucleo edilizio più importante. Quivi sorgeva il Delphinion, santuario di Apollo Delfinio: un recinto rettangolare di m. 50 × 60, scoperto, con edificio rotondo centrale circondato da peristilio, e con grande altare sull'asse. Di seguito a S. erano le terme romane di Cn. Vergilio Capitone e un ginnasio o palestra di età ellenistica. Veniva quindi, isolata, la grande fontana monumentale, o ninfeo, di età traianea (v. fontana: fig. 8), la cui fronte costituiva una scenografia grandiosa a tre ordini di nicchie adorne di statue e divise da colonne. Quindi un santuario di Asclepio. Dalla parte opposta della piazza, a NO., sorgeva l'agorà settentrionale, con portico interno continuo. A S. dell'agorà era il tipico buleuterio (v.) (senato), consistente in un vano originariamente chiuso, occupato da una cavea semicircolare a gradini come quella di un teatro, con un cortile d'ingresso, che porta nel centro un tempietto sepolcrale (heroon). Un'agorà molto più grande della prima, anzi la più grande che si conosca (m. 164 × 197), con portici e tabernae, chiudeva a S. questa zona monumentale, con la quale comunicava per mezzo di un ingresso di aspetto solenne, a tre fornici e due ordini di colonne, di età romana.
Tra le altre più importanti fabbriche cittadine occorre ricordare: lo stadio, a O. dell'agorà meridionale, un antico tempio di Atena (nelle cui fondamenta si rinvennero ceramiche anche micenee), a SO. dello stadio; le . terme romane, fatte costruire da Faustina Minore, adiacenti a una terza e grande agorà (detta l'agorà occidentale), all'angolo NE. dello stadio; il Serapeum a est delle terme; e finalmente il grande teatro romano, eretto sul fianco della collina dominante la sponda settentrionale del porto del teatro, al posto di altro edificio simile più antico: là dove in età bizantina fu costruito un castello, e dove, già prima della costruzione stessa del teatro ellenistico, doveva sorgere un'opera fortificata a difesa del porto. La cavea del teatro, di ancor buona conservazione, ha un diametro di 140 m., e poteva contenere 25.000 spettatori.
A S. della città, tra le mura di fortificazione e la collina di Kalabak-Tepè, già compresa nello stesso sistema fortificato, si stendeva la necropoli. Dalla Porta Sacra, sul tratto meridionale delle mura, muoveva la Via Sacra la quale, dopo un percorso di 18 km., raggiungeva l'antico porto di Panormo (Porto Kovella); quivi approdavano i pellegrini per recarsi a Didime, poco più a SO., e al santuario di Apollo Didimeo, dove si venerava l'oracolo che valse a conferire a Mileto e a tutta la regione la più alta rinomanza. L'altra Via Sacra, di 5 km. circa, da Panormo al tempio, era fiancheggiata da monumenti sepolcrali varî. Quivi furono rinvenute le statue dette dei Branchidi (la famiglia sacerdotale che ebbe l'amministrazione del santuario fino all'invasione persiana), che T. Newton tolse di là nel 1858 - in numero di dieci statue sedute, più altre sculture - e portò al British Museum, dove contano fra le opere più antiche e più notevoli della scultura ionica.
Il tempio, distrutto dagl'invasori nel 494 a. C., non fu incominciato a ricostruire che in età alessandrina, sulla fine del sec. IV, da Peonio di Efeso e Dafni di Mileto. Vi si lavorava ancora sotto Caligola, e non fu mai portato a compimento a causa dell'eccessiva ampiezza. Il tempio ellenistico è di tipo ionico, dittero e decastilo, con 10 colonne su ciascuna fronte e 21 sui lati lunghi. Le sue dimensioni erano di m. 109 × 51, con colonne dell'altezza di m. 17,55 sopra uno stilobate di sette gradini. Le basi superstiti sono modellate e scolpite secondo disegni originali e svariati. Proporzionatamente ricchi, a protomi umane e animalesche, erano i capitelli. Il solo pronao risulta occupato da 12 colonne su tre file. Dalla grande porta si accedeva in una specie di anticamera, con scale e corridoi di accesso al piano superiore. Segue quindi tuttora una scala in discesa di 22 gradini, larga m. 15,50, di raccordo con l'adyton, cioè con l'interno del santuario che era ipetrale, cioè completamente scoperto. Nel fondo dell'adyton sorgeva un tempietto, tetrastilo, pure di stile ionico, dove si venerava la celebre statua di Apollo Filesio, opera dello scultore Canaco (v.).
Mileto conserva anche alcuni monumenti dell'epoca cristiana. I principali sono la fortezza bizantina costruita sull'antico teatro e una grande basilica per la quale furono utilizzate parti d'una costruzione ellenistica. La basilica è notevole soprattutto per i musaici dei pavimenti che presentano un'interessante commistione di stile ellenistico e orientale. Nell'atrio i musaici rappresentano animali feroci, uccelli e animali fantastici; nelle navate o nel santuario della chiesa sono invece motivi geometrici; nel battistero (costruzione a pianta quadrata situata sul lato settentrionale), pecore pascenti, cervi che s'abbeverano a una fontana, tigri e leoni in lotta contro cavalli e bufali. Sul lato meridionale della basilica si stende una lunga costruzione terminante in una rotonda a cinque nicchie: forse un martyrium. A oriente della città, sulle isole e sulle rive del lago che è detto Boffu Deniz, già fondo d'un golfo marittimo, si trovano le rovine di molti monumenti bizantini dipendenti dai monasteri del Latmos. Sono questi conventi, che erano in generale fortificati, con bastioni e torri di vedetta, e chiese di tipi diversi, costruite in una muratura cadente, a conci di pietra alternati con il mattone. È questo un genere di costruzione del quale si trovano altri numerosi esempî nel territorio della Grecia e della Macedonia dal secolo XI fino al XIV.
Bibl.: Per la storia di Mileto assolutamente fondamentale la serie dei volumi ancora in corso di pubblicazione che raccoglie i risultati delle esplorazioni archeologiche tedesche dirette da Th. Wiegand, Milet, Ergebnisse der Ausgrabungen und Untersuchungen seit dem J. 1899, Berlino 1906 segg. (cfr. tra le recensini ad alcuni dei volumi quelli di U. v. Wilamowitz, in Gött. Gelehrte Anzeiger, 1906, p. 65 segg.). Importanti per Didime, E. Pontremoli e B. Haussoullier, Didymes, Fouilles de 1895-1896, Parigi 1903 e lo studio correlativo di B. Haussoullier, Études sur l'histoire de Milet et du Didymeion, Parigi 1902 (Bibliothèque des hautes études, fasc. 138). Complessivo F. Hiller v. Gärtringen (parte storica) e M. Meyer (parte archeologica) in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, col. 1486 segg. Si cfr. anche A. G. Dunham, History of Miletos, Londra 1915. Per il periodo arcaico: F. Bilabel, Die ionische Kolonisation, Lipsia 1920 (Philologus, Suppl. XIV), e A. Momigliano, Questioni di storia ionica arcaica, I, Le leggende su Efeso e Mileto, in Studi ital. filol. class., 1933 (qui ulteriori indicazioni bibliografiche). Dal punto di vista topografico-artistico, si ricordi anche l'opera di A. Von Gerkan, Griechische Städteanlagen, Lipsia 1924, passim; per le sculture dei Branchidi E. Perrote e Ch. Chipiez, Histoire de l'Art, VIII, p. 268 segg. Per i monumenti medievali, v., nella citata serie diretta da Th. Wiegand, Berlino 1906 segg., i seguenti articoli: H. Knackfuss, Der Südmarkt u. die benacbbarten Bauanlagen, I, fasc. 7; Th. Wiegand, Der Latmos, III, fasc. I; F. Krischen, Die Befestigungen von Heracleia am Latmos, III, fasc. 2.