Vedi MILETO dell'anno: 1963 - 1963 - 1995
MILETO (Μίλητος, Milētus)
La più importante città d'Asia Minore, capoluogo della Ionia. Si affacciava con un ottimo porto sul golfo, ora interrato, in cui sfociava il Meandro, presso l'isoletta di Lade, di fronte al promontorio del Micale. Centro di intensa vita intellettuale, oltre che economica e politica, durante l'arcaismo, vide nascere con Talete gli studî di scienze naturali e di filosofia, con Anassimandro ed Ecateo quelli di geografia e di storiografia. Introdusse l'uso della moneta già alla fine del VII sec. a. C., una delle prime fra le città greche. Il suo alfabeto, dopo l'adozione da parte di Atene nel 403-402 a. C., divenne comune a tutta la grecità.
a) Dati storici. - Il territorio di M. era abitato già dal Neolitico, come attestano le capanne scavate a Kiliktepe, due km circa a S della città, sulla via per Akkoi. Recenti indagini archeologiche hanno definitivamente accertato l'esistenza nell'area della città di un abitato miceneo. La sua origine sembra, però, da attribuire ad un insediamento cretese, poiché la ceramica dello strato urbano più profondo, almeno in prevalenza è di fabbrica minoica (MedioMinoico III; Tardo-Minoico I). Ciò potrebbe in qualche modo concordare con la tradizione leggendaria, che considerava M. una fondazione o di Sarpedonte, fratello di Minosse, o di un eponimo di origine cretese, o di tutti e due insieme. Il nome della città non è greco, e trova un parallelo dorico in Mìlatos, città della Creta settentrionale: alla stessa regione ci rimanda il culto di Apollo Delphìnios. Si è pensato che la M. micenea possa identificarsi con la Millawanda o Milawata dei testi hittiti (XIV-XIII sec. a. C.), menzionata in relazione con il regno di Akhkhiyawa. Secondo un'altra tradizione, assai meno diffusa, M. sarebbe stata fondata da un re Anax, con il nome cario di Anaktoria: anche nell'Iliade (ii, 868), ma forse è un voluto arcaismo, M. ci appare abitata ancora dai Carî.
Nella seconda metà dell'XI sec. a. C., secondo la tradizione, ebbe luogo la colonizzazione ionica, che alcuni studiosi tendono a considerare più recente. Comunque è accertata la presenza di un abitato protogeometrico. Ecista sarebbe stato Neileos, nativo di Pilo o, secondo una più tarda versione, di Atene, capostipite di una dinastia, che regnò su M. almeno fino alla fine dell'VIII sec. a. C. La popolazione era divisa in sei tribù, di cui quattro avevano gli stessi nomi delle tribù attiche, due invece nomi carî: anche l'onomastica rivela una larga commistione etnica con gli indigeni, che avrebbe avuto origine dal matrimonio dei primi coloni con le donne del posto.
Con l'VIII e soprattutto con il VII sec. a. C. si afferma in pieno la floridezza economica di M., legata alle fortune di una aristocrazia, che col tempo assunse un sempre più deciso carattere mercantile, esercitando il potere attraverso l'organo della pritania. Il commercio, dapprima basato sull'esportazione dei prodotti locali (le famose lane, tessuti, mobili, ceramiche, grano, ecc.), dovette il suo grande sviluppo allo sfruttamento della via carovaniera che dall'Egeo per la valle del Meandro raggiungeva l'interno dell'Anatolia e la Mesopotamia. Quando la nascita del regno di Lidia, nel secondo venticinquennio del VII sec. a. C., cominciò ad ostacolare questi traffici, M. si volse al potenziamento dei mercati transmarini, soprattutto pontici ed egiziani, mediante la fondazione di una serie numerosissima di scali commerciali e colonie (novanta secondo la tradizione, di cui circa la metà è stata accertata). Citiamo le principali: Naucrati sul Delta; Abido, Cizico, Cardia sulla Propontide (Mar di Marmara); Sinope, Amisos, Trapezunte, Panticapeo, Olbia, Apollonia, Tomi sul Ponto (Mar Nero). Questa espansione coloniale serve a spiegare la politica di M., costantemente amichevole verso le grandi potenze, ed insieme la tenace difesa, con denaro e mercenari, della indipendenza egiziana contro gli Assiri. L'ostilità lidia sempre crescente portò alla fine del secolo alla guerra mossa dai re Sadyattes e Alyattes, conclusa con un intervento dell'oracolo di Didyma. Le contingenze del momento spinsero il pritano Trasibulo a farsi tiranno: a lui si deve l'introduzione della moneta di elettro, sull'esempio lidio, ed una politica di stretta alleanza con la Corinto di Periandro, che portò più tardi M. ad intervenire in favore di Eretria nella guerra contro Calcide.
Alla morte di Trasibulo, verso il 590 a. C., si iniziò un lungo periodo di lotte intestine tra la ploutìs e la cheiromàcha, concluso solo dopo due generazioni, grazie all'arbitrato dei Pari, tradizionali amici di Mileto. Sembra che la città abbia assunto allora un ordinamento di carattere teocratico, sotto la protezione di Apollo Delphìnios: datano da questo momento le liste degli aisymnètai del collegio sacerdotale dei Mòlpoi, aventi funzione di magistrati eponimi, con il titolo di stephanophòroi. Già intanto dal 56o circa M. aveva dovuto sottomettersi a Creso, il figlio di Alyattes, assieme alle altre città della Ionia. Verso il 548 si affrettò a tradirlo, sembra su consiglio di Talete, dandosi a Ciro e ricevendo in cambio un trattamento di favore. Dario impose alla città un tiranno di sua fiducia, Istieo, che si distinse durante la spedizione scitica. Gli successe il tiranno Aristagora che, dopo il fallimento di una spedizione contro Nasso, fu l'animatore della rivolta generale degli Ionî contro la Persia, che doveva concludersi nel 494 con la sconfitta navale di Lade, l'assedio di M. per mare e per terra, infine l'incendio e la sua distruzione. La popolazione superstite fu deportata sul Tigri, il territorio migliore confiscato, l'entroterra montuoso assegnato ai Carî. È nota la profonda emozione che la tragedia, sentita come un lutto nazionale, suscitò nell'animo degli Ateniesi.
All'indomani della battaglia di Micale, sembra che fu subito decisa la ricostruzione della città. Entrata nella lega delio-attica, nel 450-449 pagava un tributo di dieci talenti, cifra non molto rilevante. Segno della supremazia ateniese fu verso il 440 l'adozione dell'ordinamento clistenico in dodici tribù. Nel 412, su consiglio di Alcibiade, M. abbandonò la lega, aprendo le porte al satrapo Tissaferne, né valse a qualcosa l'assedio subito postole dagli Ateniesi. Divenuta una base militare spartana, vi si installò un regime oligarchico, che fu temporaneamente abbattuto dai fuorusciti democratici nel 402, con l'appoggio di Tissaferne. L'anno dopo M. ebbe a subire un nuovo assedio da parte di Ciro il Giovane, che Tissaferne, rinchiusosi nella città, non riconosceva come re.
La storia di M., ormai sottomessa nuovamente alla Persia, non presenta avvenimenti di rilievo fino al 334, quando Alessandro la liberò, a prezzo di un durissimo assedio. M. riebbe allora l'autonomia e le istituzioni democratiche. Nel 314-313 il satrapo di Caria, Asandros, se ne fece tiranno, ma fu abbattuto dopo breve tempo da Antigono. Nel III sec. M., che aveva riacquistato in parte l'antica floridezza, grazie alla rinnovata attività commerciale, fece parte alternativamente della sfera di influenza continentale del regno di Siria e di quella marittima del regno d'Egitto, che occupava le isole. Dopo un primo periodo di predominio seleucide, durato fino all'incursione celtica del 277-76, che portò al saccheggio del Didymaion, M. passò sotto Tolomeo Filadelfo, cui la tolse verso il 262 l'etolo Timarco, divenendone tiranno. Scacciato pochi anni dopo da Antioco II, M. tornò per breve tempo sotto la Siria, finché verso il 245 non fu occupata da Tolomeo III. Nel 206 scoppiò un conflitto con Magnesia, alleata a Priene, per il predominio sulla valle del Meandro, conclusosi dieci anni dopo a svantaggio di M., con l'intervento arbitrale di Rodi. Filippo V di Macedonia fece una breve comparsa nella città nel 201. Agli inizî del II sec. essa appare sottoposta ad Antioco III: l'atteggiamento favorevole tenuto nel 190 verso la flotta di C. Livio le valse un trattamento di favore da parte dei Romani. Successivamente M. si venne sempre più legando allo stato pergameno, ricevendo molti doni da Eumene II.
Costituita la provincia romana d'Asia, in seguito alla donazione di Attalo III, nel 133, M. vi entrò a far parte come città libera, mentre Efeso ne diveniva il capoluogo. Avendo preso posizione in favore di Mitridate nell'86-85, M. ci appare punita da Roma, almeno a partire dal 78, con la perdita della libertà, l'imposizione di un tributo e l'instaurazione di un governo oligarchico, noto col nome dei Cinquanta Arconti. Riavuta la libertà da Antonio nel 38 a. C., la città godette di grande floridezza sotto l'Impero, arricchendosi di splendide opere pubbliche. Nel 51 d. C. fu visitata da S. Paolo.
In età bizantina la città, assurta a vescovado, perse lentamente di importanza, anche a causa delle alluvioni del "nuovo" Meandro che, forse già nel VI sec. d. C., interrarono i suoi porti. Le scorrerie dei Saraceni cretesi, nel IX e X sec., accelerarono la sua decadenza, cuiminata con il grande terremoto, che nel X o nell'XI sec. smantellò le mura urbane e tutte le grandi facciate architettoniche rimaste fino allora in piedi.
Sulle rovine, ai piedi del castello impiantato sul teatro, sorse un modesto villaggio tardo-bizantino, che ebbe il nome di Palàtia, attestato per la prima volta al principio del XIII secolo. Occupato definitivamente dai Turchi Selgiuchidi intorno al 1300 e trasformato il suo nome in Balàt, esso conobbe un ultimo periodo di prosperità nel XIV e agli inizi del XV secolo. Nel 1446 Ciriaco d'Ancona visitò le rovine, restando ammirato del teatro. Più tardi la malaria e l'allontanamento del mare, che oggi dista circa nove km dalla città, determinarono lo stato di quasi completo abbandono, in cui ancora adesso versa la zona.
I primi scavi furono effettuati nel 1872 da O. Rayet e A. Thomas (materiali al Louvre). Segui nel 1899-1910 lo scavo sistematico dell'intero centro monumentale, ad opera di una missione inviata dai Musei di Berlino e diretta da Th. Wiegand: altri saggi furono effettuati nel 1938, nel 1955 e nel 1957. I materiali rinvenuti sono conservati in parte nel piccolo museo di Akkoi, purtroppo reiteratamente danneggiato dagli eventi bellici, in parte nei musei di Berlino, Istanbul e Smirne.
Le alluvioni del Meandro. - In origine il golfo milesio penetrava per circa 25 km nell'entroterra, in direzione N-E, fra i massicci del Micale a N, del Grion e del Latmos a S: uno dei porti più interni era quello di Miunte, che si indicava come la più antica fra le città ioniche. Le alluvioni del Meandro, che è il maggior fiume egeo d'Asia Minore, interrarono lentamente la parte settentrionale del golfo progredendo lungo le pendici del Micale: in età ellenistica la foce era arrivata presso Priene. Successivamente il Meandro piegò il suo corso verso S, venendo direttamente a minacciare M.: al tempo di Strabone sfociava poco a N di Lade, che restò isola ancora per breve tempo. Ormai la parte più notevole del golfo era costituita da quello che prima ne era un ramo laterale, interposto fra il Grion e il Latmos (sinus Latmicus). In età imperiale intervenne un fatto nuovo a ritardare la rovina di M., ossia la nascita del "nuovo" Meandro, staccatosi dal vecchio presso Söke, e sostituitosi ad esso nell'azione costruttiva. Interrata completamente la parte meridionale del golfo, venne sbarrata l'imboccatura del sinus Latmicus, che nel IV sec. d. C. era già un mare chiuso, avviandosi a divenire il lago salato che è ora (Bafa gölü). A partire probabilmente dal VI sec. anche M. era terraferma e le comunicazioni con il mare avvenivano solo per via fluviale.
b) Topografia generale. - La M. post-persiana occupava una penisoletta lunga cirea due km, orientata a N-N-E, frastagliata da tre insenature a O e da due, meno accentuate, a E. Il terreno in prevalenza è pianeggiante e di natura alluvionale nella parte meridionale, accidentato e calcareo in quella settentrionale. La sporgenza finale (Humeitepe) raggiunge i m 27 di altezza, quella di N-O (Kalehtepe) i m 32. La radice della penisoletta è dominata verso S-O dalla collina tondeggiante di Kalabaktepe, alta m 57.
L'abitato miceneo si estendeva sulla sommità della bassa platea calcarea, che costituisce la sporgenza O: ne sono stati scoperti avanzi di case e del muro di cinta nella zona ove poi sorse l'Athenaion. La relativa necropoli, costituita da tombe a camera con ceramica tardo-micenea, inedita, si trovava circa un km e mezzo a S-O, sulle pendici della ripida collina di Deirmentepe.
L'abitato geometrico si sovrappose a quello miceneo, allargandosi nell'VIII sec. lungo il mare, in direzione S-O: il centro di gravità venne a spostarsi su Kalabaktepe, che presentava assai migliori possibilità di difesa.
La città arcaica aveva la sua acropoli, potentemente fortificata, su Kalabaktepe, mentre avanzi di case sono venuti alla luce, oltre che sulla collina stessa, nella pianura sottostante verso N, nella zona dell'Athenaion e in quella alle spalle del Bouleutèrion. Una torre isolata di vedetta sorgeva nei pressi del teatro, mentre la tomba di Talete si è pensato che potesse trovarsi presso il Porto dei Leoni. Non si conosce l'ubicazione precisa dei santuarî di Atena e di Dioniso, menzionati da iscrizioni.
L'esiguità di questi avanzi, nonostante l'intensità delle ricerche finora condotte, ha fatto nascere il sospetto che sia questo il porto della grande M. arcaica (peraltro non menzionato dalle fonti), anziché la città vera e propria. Secondo il von Gerkan essa sarebbe da ricercarsi nell'entroterra, forse ad E del villaggio di Akkoi.
Comunque sia, la città che si decise di ricostruire dopo il 479 a. C. occupava il sito che conosciamo, mentre su Kalabaktepe riprese a vivere un piccolo borgo, che ricalcava all'incirca le linee di quello preesistente. La ricostruzione della città avvenne secondo un piano regolatore, che è stato attribuito alla giovinezza del grande urbanista Ippodamo, nativo di M., famoso per i progetti del Pireo, di Thurii e di Rodi.
Gli assi del reticolato stradale coincidono con quelli della penisoletta, ma la difformità morfologica tra la pianura meridionale e le alture settentrionali ha imposto la creazione di tre sistemi, con orientamento e divisioni lievemente diverse. Alla base di tutti e tre è da porre un isolato di 100 per 175 piedi (m 29,50 × 51,6o), variamente poi suddiviso nel senso della lunghezza. Nel quartiere meridionale, che era il quartiere residenziale per eccellenza, esso sembra rimanere indiviso; nel quartiere di Humeitepe, più popolare, generalmente la divisione è a metà, nel quartiere di Kalehtepe in due parti diseguali. Le strade sono larghe m 4,50, ma si distinguono tre arterie principali, larghe invece m 7,50, una in senso longitudinale (la prima parallela ad E della Porta Sacra - agorà S) e due in senso latitudinale (Porta del Leone - Athenaion e piazza del Bouleutèrion teatro). Una simile divisione è insolita rispetto a quella delle altre città greche pianificate nel V sec. a. C., in cui i lati corti degli isolati sono sempre attestati sugli assi longitudinali, pochi di numero e regolarmente distanziati (Olinto, Rodi, ecc.).
Strabone dice che M. aveva quattro porti, ma solo dei due più importanti, di cui si conosce anche il nome, l'identificazione è indiscussa.
Il Porto dei Leoni era nell'insenatura interposta fra Humeitepe e Kalehtepe, che è la più profonda e sicura, il porto del teatro in quella fra Kalehtepe e la platea dell'Athenaion, che è più ampia ma anche più aperta. Gli altri due probabilmente vanno situati l'uno nell'insenatura a S-O dell'Athenaion lungo cui si estendeva la città arcaica, l'altro nella lieve insenatura E, accanto all'agorà S e al centro della città.
La grande cerchia di mura, su cui tacciono completamente le fonti antiche, fu costruita probabilmente alla fine del V sec. a. C., in relazione agli agitati avvenimenti che riportarono M. sotto il dominio persiano.
Pare che le mura, scavate però solo in minima parte, seguissero in origine tutto il contorno della penisoletta, includendo anche Kalabaktepe. Le porte principali erano solamente due: la Porta Sacra, da cui usciva la via omonima che menava a Didyma, e la Porta del Leone a S-E, non molto distante dall'agorà S, da cui usciva una strada costiera. Agli inizî del II sec. a. C. il settore S-O della cerchia, compresa Kalabaktepe, fu abbandonata: un nuovo tratto di mura andava dritto dalla Porta Sacra al mare.
Molti tratti di mura furono smantellati qua e là in età imperiale, sicché all'approssimarsi del pericolo gotico, nel 263 d. C., si dovette provvedere in fretta a numerose riparazioni, usando materiali di recupero. Il tratto costiero fra l'Athenaion ed il muro ellenistico fu interamente rifatto, e ad esso ci si riferisce in particolare con il nome di muro dei Goti.
La superficie della città è doppia di quella di Pompei. Fin dall'origine appare previsto il sito di tutti gli edifici pubblici, nella forma di una larga fascia ad L, con l'angolo nell'agorà S, il braccio minore, che è di gran lunga il più importante, nella bassura alluvionale che si affaccia sul Porto dei Leoni, il braccio maggiore lungo la sponda S del porto del teatro. Studiata in base alla morfologia del terreno e alle esigenze del traffico, essa costituisce una sorta di cerniera e di legamento nei confronti dei tre quartieri d'abitazione. Alle estremità dei bracci, nei pressi dei porti, sono poste le due agorài commerciali e i due santuari maggiori, nel centro la grande agorà civile, accanto alla sede degli interessi politici e ad una vasta area scoperta, che poteva essere adibita a giardini.
La realizzazione di questo piano grandioso richiese molti secoli d'attività edilizia e l'aiuto economico prima dei sovrani ellenistici, poi dell'Impero romano.
Per primi, nella seconda metà del V sec. a. G., furono edificati i santuari: gli edifici civili dovettero aspettare la liberazione macedone. Alla fine del IV sec. a. C. si costruì il primo teatro in muratura, si aprì la Porta del Leone e si imziò la realizzazione del braccio minore del progetto, con la creazione dell'agorà N e del portico del porto, il rifacimento del Delphìnion, la demolizione delle mura lungo le banchine del Porto dei Leoni. Poco dopo, al principio del III sec., si iniziò la costruzione dell'agorà S. Il II sec. a. C. rappresenta l'apogeo dell'attività edilizia in M., soprattutto nella prima metà. Il braccio maggiore è quasi tutto di quest'epoca (stadio, agorà O, ginnasio di Eumene II, ecc.), il braccio minore, oltre al completamento delle agorà S e N, vide la costruzione del Bouleutèrion, del ginnasio, del grande magazzino. Il II sec. d. C. è l'altro secolo d'oro dell'architettura milesia: si diede un aspetto monumentale alla piazza del Bouleutèrion con le grandi facciate del ninfeo e della porta dell'agorà S, si costruirono le terme di Faustina, si rifecero completamente il teatro e il Delphìnion. Verso il 100 d. C. si sistemò anche la rete stradale, regolando le pendenze, costruendo canali di scolo e collettori sotterranei: data da allora la pavimentazione a grandi lastre di calcare poste obliquamente rispetto all'asse stradale.
In età bizantina la città si venne sempre più riducendo di estensione, come indica il percorso delle mura costruite durante il regno di Giustiniano, sotto la minaccia persiana.
Esse descrivono una sorta di grande 8, recingendo a N la collina del teatro e la zona attorno all'agorà N e alla piazza del Bouleutèrion, a S il settore O e S-O della città, ma il percorso qui è quasi completamente ipotetico. Il fulcro dell'8 è costituito dalla mole delle terme di Faustina, mentre una delle porte principali fu ricavata nella porta monumentale dell'agorà (con iscrizione del 538 d. C.).
Dopo il grande terremoto le rovine del teatro furono trasformate in castello, e tutto il colle del teatro fu recinto di mura: al di fuori, sulle rovine della parte centrale della città, sorse il villaggio di Palatia, che poi si sviluppò nella selgiuchide Balàt, di cui pure restano avanzi interessanti.
c) Descrizione della città. - 1) Kalabaktepe e dintorni. Gli avanzi più cospicui dei periodi geometrico ed arcaico si trovano sulla brulla collina di Kalabaktepe, rimasta fuori del perimetro della città solamente agli inizî del II sec. a. C. Comunque in età postpersiana il carattere provvisorio e modestissimo degli edifici conservati mostra che l'abitato aveva perso ogni importanza.
Mentre sul pianoro terminale l'erosione ha fatto scomparire ogni traccia di manufatti, in migliori condizioni è l'ampio ripiano esposto ad E.
Venendo dalla città vi si sale da N-E per una lunga rampa, aperta perpendicolarmente nel ciglio della terrazza artificiale, tra due scarpate, di cui quella ad E, in opera quadrata di calcare, è arcaica, mentre quella ad O è un rifacimento postpersiano con materiali di recupero. Il muro di terrazzamento, datato al VI sec. a. C. dalla ceramica, descrive un'ampia curva sul lato N del ripiano: nel suo riempimento è venuto a trovarsi inglobato un precedente muro tardogeometrico, in opera poligonale. La terrazza è recinta verso S da un muro di età arcaica, che scendeva verso il basso a collegarsi con le altre opere difensive: nel breve tratto conservato si apre di sbieco una postierla, imposta dall'esistenza di una strada, che scendeva anch'essa verso il piede della collina.
La terrazza, dove il dilavamento non ha tutto asportato, è coperta da un fitto sistema di muri di case, distinguibili in arcaici, tardo-arcaici e postpersiani. Si conserva anche una rampa di scala domestica arcaica, già parzialmente appoggiata ad una parete e fornita di balaustrata lignea verso l'esterno. Manca ogni regolarità nel tracciato stradale, rimasto pressoché inalterato in età postpersiana: le vie sono strette, non pavimentate, ma fornite di canali di scolo. Su quella che doveva essere la piazza sorge l'edificio più notevole, ossia un tempietto ionico in antis (m 6,84 × 8,68), orientato a S: restano parte delle fondazioni in marmo e calcare e molte terrecotte policrome di rivestimento (antefisse, sime, acroterî, ecc.), databili a poco dopo la metà del VI sec. a. C.
La collina era fortificata in basso con un muro di cinta arcaico, di cui si conserva un tratto, di m 250, lungo la pendice S.
Il primo settore a partire da O, lungo m 16o, appartiene alla fase più antica (fine del VII sec. a. C.): è una cortina continua, senza fondazioni, in opera poligonale di gneis. All'estremità O si apre una porta scea, ora in pessime condizioni, larga m 3,50: nei pressi il muro era attraversato da una conduttura di acquedotto. Una seconda porta, questa però perpendicolare, si trova nei pressi dell'altra estremità.
Il secondo settore, pur presentando tracce sia della prima fase che di restauri postpersiani, è nel complesso un rifacimento della metà circa del VI sec., in opera quadrata di gneis, pòros bruno e calcare, con caratteristica bugnatura, a volte asportata: ha una fondazione e disegna in pianta una linea spezzata, per aumentare la propria efficienza difensiva. All'estremità E piega ad angolo retto, segnando l'inizio di un vasto ampliamento della cinta, rimasto incompiuto. Presso l'angolo, ma già sull'ampliamento, si apre tra due bastioni la porta principale dell'intero circuito, larga m 3,90: restano tracce sia degli incassi per gli stipiti lignei della porta che della scala che portava al cammino di ronda.
Lungo tutto il percorso del muro, sia al disotto che alle spalle e davanti, sono frequenti gli avanzi di case di età tardo-geometrica, costruite con pietre di calcare pesto con la superficie di spacco in facciata. In una si è rinvenuta in situ una vasca da semicupio in pietra. Presso l'angolo E si osserva davanti al muro di cinta una bellissima costruzione della stessa epoca.
Nella pianura sita a N della collina, in direzione della città, alcuni saggi hanno rivelato l'esistenza di case arcaiche, con ceramica di Fikellura, rodia e attica a figure nere, e inoltre cocci geometrici: una importante strada, larga m 4,30, comprese le crepidini, conduceva verso l'Athenaion ed il porto del teatro, provenendo forse dalla terrazza di Kalabaktepe. In un secondo momento fu pavimentata con ciottoli in tutta la sua larghezza, seppellendo le crepidini.
2) Zona del Porto dei Leoni. Il Porto dei Leoni era il porto principale della città, che ospitava anche la marina da guerra, sfruttando una insenatura stretta, ma lunga circa m 300.
Demolite alla fine del IV sec. a. C. le mura, che ne seguivano l'intero perimetro, furono sostituite con uno sbarramento di catene presso l'imboccatura (Strabone lo chiama il kleistòs limén), in corrispondenza di due statue di leoni giacenti: quello ad E, che è ancora in situ, reca sulla base un epigramma di saluto al forestiero, verso cui volge la testa. Le mura bizantine tornarono a seguirne la riva, ma solo sui lati O e S.
Nel settore più interno del porto la banchina si allargava, assumendo l'aspetto di una piazza di forma irregolare, chiusa verso E dal santuario di Apollo Delphìnios, dio tutelare della città. Non era un tempio, ma un recinto porticato attorno ad un altare, sede del collegio dei Mòlpoi e insieme dell'archivio di stato.
L'elemento più antico è la fondazione di un altare rettangolare, che le superstiti volute angolari fanno datare al 475-450 a. C.: divergendo lievemente rispetto all'orientamento del cortile, gli è verisimilmente anteriore. Nella seconda metà del V sec. a. C. gli fu costruito all'intorno un recinto, corrispondente ad un isolato del piano regolatore, porticato solo sui lati corti. Alla fine del IV sec. a. C. ebbe luogo una trasformazione radicale, con l'annessione dell'isolato adiacente ad E: la nuova, ampia stoà dorica a due navate, che le iscrizioni chiamano kainè stoà, descriveva un ferro di cavallo opposto al lato di ingresso, cui fu estesa solo in età tardo-ellenistica. In quest'epoca fu costruito anche il monumento o tempietto circolare, periptero, di cui resta la fondazione nel centro del cortile, sovrapposta ad una delle tre esedre semicircolari ellenistiche, che sorreggevano statue. In età adrianea infine il porticato fu ricostruito ad una sola navata, con capitelli compositi, mentre l'accesso fu ornato con un pròpylon corinzio.
Nel cortile si sono rinvenute le basi di venti statue onorarie ellenistiche, tra cui quella colossale di Seleuco I e quella del principe nabateo Obodat. Gran numero di epigrafi, contenenti liste di magistrati, di cittadini, di pròxenoi leggi, trattati, ecc., erano incise parte sulle pareti interne del portico, assieme a pìnakes votivi, parte su stele erette nel cortile (29 di queste, alte fino a m 2,50, furono riadoperate in età romana per la pavimentazione). Elementi erratici sono le cinque basi arcaiche, tra cui una con dedica bustrofedica ad Ecate.
Quando, alla fine del IV sec. a. C., si iniziò la sistemazione dell'agorà N, fu addossata al braccio N di essa una grande stoà dorica a forma di L, accompagnata da botteghe ed aperta con il braccio minore verso la piazza del porto.
Gli intercolumni del braccio minore, che è il meglio conservato, erano chiusi in basso da alti parapetti marmorei, con una soluzione che si ritrova nella stoà maggiore dell'agorà di Priene: il salone risultante era forse adibito a borsa. In età romana vi fu ricavata una serie di camerette, asportando i parapetti, mentre nell'altro braccio fu allogata una grande latrina pubblica.
La piazza ospita nell'angolo N-O un colossale monumento tardo-ellenistico, commemorante qualche vittoria navale.
Ne resta in situ il basamento circolare a gradini, del diametro di m 10. L'alzato comprendeva un basso zoccolo triangolare a pareti rientranti, sormontato da un fregio con coppie di centauri marini contrapposti, terminante agli angoli con prore in aggetto. Al di sopra si innalzava una grande base prismatica, che sopportava un tripode, sorretto da quattro statue di leoni.
Poco distante sorgeva il piccolo monumento onorario di età flavia dedicato ad un certo G. Grattio, anch'esso con zoccolo triangolare a pareti rientranti, ma con sedile sagomato all'intorno. La parte superiore fu demolita nel IV sec. d. C. per far posto alla sinagoga, solo in parte scavata, orientata come di regola verso E. Consta di un atrio a peristilio e di una sala rettangolare a tre navate di nove colonne, la centrale più larga, con pavimento a mosaico bianco.
Sulla sponda opposta del porto, circa m 100 a N del Delphìnion, si trovano le piccole terme, probabilmente private, dette di Humeitepe.
Costruite alla fine del I o al principio del II sec. d. C., occupano la superficie di un isolato. La palestra porticata era circondata da botteghe aperte sulle strade adiacenti: sul lato di fondo si innalzava l'edificio termale, con pianta rigorosamente simmetrica ed assiale. Sull'asse principale sono posti un'esedra di accesso ed il calidario, lateralmente due apodyteria, due tepidaria e due piccoli frigidaria. L'area prospicente alle terme fu sistemata più tardi con un gran porticato a ferro di cavallo aperto verso il porto. Nel IV sec. d. C. le terme furono trasformate in una domus signorile, ornata con mosaici policromi.
3) Zona dell'agorà N. Dalla piazza del porto, dinanzi al Delphìnion, prende inizio la via principale di M., lunga m 100 e larga m 28, che conduce alla piazza del Bouleutèrion: è la via monumentale (la Prachtstrasse degli scavatori tedeschi) percorsa ogni anno dalla processione che si recava a Didyma.
Lo sbocco sulla piazza del porto fu ornato nella prima metà del I sec. d. C. con una porta monumentale, ora completamente distrutta, in cui l'opera cementizia fa una ancor timida comparsa. Il passaggio carrabile era inserito tra due porticati a giorno, ognuno con tre coppie di colonne ed una di semipilastri.
La pavimentazione della strada a grandi lastre di calcare risale alla metà del II sec. d. C.
Il lato E è accompagnato da una lunga stoà ionica con botteghe, costruita in due tempi successivi. Il settore verso il porto fu infatti dedicato a Claudio, assieme alle terme retrostanti, dal prefetto d'Egitto Gn. Virgilio Capitone, gran benefattore di M. (che celebrava feste in suo onore ancora al tempo di Commodo). L'altro settore, addossato al ginnasio ellenistico di cui si parlerà poi, fu aggiunto non molto tempo dopo, grazie alla munificenza di un certo Tib. Claudio Stofane.
Sul lato O, prima chiuso dal disadorno muro di recinzione dell'agorà N, fu costruita in età adrianea, a spese della sede stradale, una serie di spaziosi ambienti, forse adibiti ad opifici, con facciata spartita da semicolonne ioniche, ad imitazione della stoà contrapposta, su una scalinata di sette gradini.
L'agorà N è insieme la più antica e la più piccola delle tre agorài di M. (m 90 × 43).
Nell'angolo N-O si conserva in situ la base della stele con la sentenza di morte in contumacia per gli oligarchi responsabili del tentato colpo di stato del 450 a. C. Come l'altare del Delphìnion, essa è leggermente spostata rispetto all'orientamento del piano regolatore. La sistemazione della piazza fu iniziata solo alla fine del IV sec. a. C., con la costruzione di una stoà dorica ad angolo, che si addossa con il braccio N alla coeva stoà del porto: il solo braccio O è accompagnato da botteghe. Assai più tardi, verso il 150 a. C., fu costruita un'altra stoà angolare, simmetrica alla precedente, ma senza botteghe; nel punto di incontro fu inserito un tempietto ionico tetrastilo, dal pronao molto profondo, che permetteva il collegamento fra i due edifici. L'insieme delle stoài disegnava così un unico ferro di cavallo, aperto verso la grande strada antistante: probabilmente nella prima metà del I sec. a. C. la piazza fu chiusa anche da questo lato mediante la costruzione di un muro con pròpylon ionico. In età adrianea il portico, con le relative botteghe, fu esteso anche a questo lato dando così alla piazza l'aspetto di un forum. Non molto tempo dopo fu aggiunto un secondo piano all'angolo S-O del portico.
Alle spalle dell'agorà si trovano i resti della chiesa bizantina di S. Michele, che un iscrizione ci dice costruita alla fine del VI sec. d. C. È a tre navate, con alta iconostasi e pavimento a mosaici geometrici.
Sull'altro lato della grande strada, alle spalle della stoà di Capitone, si estendono le terme, pure donate da quel personaggio, che occupano l'area di tre isolati contigui.
Dalla stoà si entra per un vestibolo nella palestra quadrata, di m 30 di lato, circondata da un ricco colonnato a due ordini, incurvato sul lato di fondo in un'abside, attorno alla piscina scoperta. I capitelli dell'ordine inferiore presentano un'alta gola fasciata da fogliami di acanto. L'asse dell'edificio termale è segnato da tre grandi sale con impianto di riscaldamento, coperte a vòlta, come tutte le altre stanze, ad eccezione dei due apodyteria, affacciati sulla palestra. In una piccola stanza coperta da cupola emisferica è da riconoscere il laconicum.
Le mura bizantine sfruttavano la mole delle terme, appoggiandosene ai lati N ed E, e descrivendo così un angolo retto.
4) La piazza del Bouleutèrion. Questa piazza è, oltre che il centro politico, anche il centro monumentale della città, grazie soprattutto alle grandi facciate colonnate erette in età romana. Anteriormente l'area scoperta era occupata da molti monumenti minori, di difficile identificazione.
Sul lato O sorgeva l'edificio più importante, il Bouleutèrion, donato ad Apollo Didymàios, ad Hestia Boulàia ed al popolo dai fratelli Timarchos ed Herakleidas, due potenti ministri siriaci di origine milesia, a nome di Antioco IV Epifane (175-164 a. C.).
Per un pròpylon corinzio tetrastilo, a tre fornici fra due ante, si entra in un peristilio ionico a ferro di cavallo, dominato sul quarto lato dalla facciata dell'edificio vero e proprio, il cui ordinamento si ripete anche sugli altri lati dell'edificio: in basso un alto zoccolo, in alto un ordine di semicolonne doriche, inquadrate fra le due lesene angolari. I capitelli mostrano un giro di perle e di ovuli sull'echino, gli intercolumni laterali erano occupati da grandi scudi circolari a rilievo, quelli centrali, tranne che sui lati N e O, da finestre, chiuse dalla parte interna con battenti lignei, facilmente rimovibili.
Quattro porte davano accesso all'interno, occupato, aldilà di un corridoio trasversale, da una gradinata poco più che semicircolare, appoggiata ad un rilievo calcareo opportunamente adattato. I diciotto gradini sagomati, divisi in tre cunei da quattro scalette, potevano ospitare poco più di 1200 persone. Il soffitto ligneo era sorretto con l'aiuto di due coppie di colonne ioniche, impiantate l'una sulla pàrodos della gradinata, l'altra sulla sua parte alta. Il posto di due grandi tripodi marmorei era probabilmente in alto, negli angoli di risulta sopra la gradinata. Le fondazioni dell'edificio sono in gneis, l'alzato in marmo del Micale.
Nella prima età imperiale fu innalzato nel centro del cortile un monumento onorario a pianta rettangolare, con zoccolo ornato con festoni, bucrani e teste leonine, piano superiore con finto colonnato e grandi pannelli a rilievo di soggetto mitologico, sembra con riferimento ad Apollo. Un fregio con armi trovava forse posto su un attico. La presenza di alcuni frammenti di un sarcofago ha fatto pensare ad una destinazione funeraria.
La breve area di risulta fra il Bouleutèrion e l'agorà N fu destinata in età romana a fungere da Sebastèion. Dapprima vi fu solo un'edicola, addossata al Bouleutèrion, forse per una statua imperiale seduta, successivamente, in età traianea o adrianea, fu costruito un tempio entro un recinto porticato, di cui restano scarsissimi avanzi.
Nell'area immediatamente alle spalle del Bouleutèrion recentemente sono stati messi in luce avanzi di case arcaiche (VI sec. a. C.), fra cui un mègaron con focolare nel vestibolo.
Il lato S della piazza è dominato, in posizione lievemente eccentrica verso E, dalla facciata a due piani, alta m 16, eretta in età antonina come ingresso monumentale all'agorà S.
Nel piano inferiore si aprono tre fornici ad arco, fra edicole composite, nel superiore tre nicchie a forma di finestre ad arco, fra edicole corinzie. Lateralmente sporgono due brevi sorte di ante, anch'esse conformate ad edicole. Il coronamento presenta, in corrispondenza loro, due piccoli timpani triangolari, mentre al centro, per sottolineare l'asse della facciata, si innalzava un grande ed unico timpano spezzato, in corrispondenza della nicchia mediana, che ospitava forse una statua di divinità. Nelle nicchie laterali erano poste le statue colossali di M. Aurelio come imperator e L. Vero come genius: la porta valeva probabilmente come monumento onorario per le vittorie sui Parthi (165 d. C.). Demolita dal grande terremoto, se ne sono rinvenuti quasi tutti gli elementi, sicché ha potuto essere ricostruita nel Pergamon Museum di Berlino.
Sul lato E della piazza, nella metà contigua all'agorà S, si affaccia un sontuoso pròpylon tardo-romano, tetrastilo, di ordine composito, a tre fornici e con l'intercolumnio centrale coperto con un arco inquadrato nel timpano. L'area retrostante ha una storia edilizia complessa e in gran parte oscura. In età ellenistica pare vi fosse una piazza con portici su due lati, nel IV sec. d. C. vi fu impiantata una basilica cristiana, a tre navate e con mosaici pavimentali. Il pròpylon fungeva allora da accesso all'atrio della basilica, lungo il cui lato S vennero poi ad appoggiarsi le mura bizantine.
L'area della piazza, nell'angolo N-E, fu occupata, probabilmente in età traianea, da un colossale ninfeo, eretto in onore del padre di Traiano, che era stato proconsole d'Asia nel 79-80 d. C., come mostra d'acqua degli acquedotti milesii, che convergevano nei pressi.
Attorno alla vasca maggiore, che è preceduta da una minore per attingere, si elevava a ferro di cavallo una facciata colonnata, larga m 20, con tre piani di nicchie sulla parete di fondo, appoggiata alla pesante massa del serbatoio, e due piani di colonne sulle ali, che erano a giorno. Le nicchie erano alternativamente incorniciate da edicole, che si dispongono anche sulle ali, sorrette da colonnine di breccia rosa o da pilastri, con capitelli corinzî o compositi, e, nei piani superiori, timpani semplici o a volute. Il movimento e la varietà di tutto l'insieme era accresciuto dal fatto che la posizione delle edicole era studiata in modo che anche verticalmente, tra un piano e l'altro, si ripetesse l'alternanza di nicchie con o senza edicole, come nella coeva Biblioteca di Efeso.
Sotto Gordiano III (241-244 d. C.) fu posta nelle nicchie una serie di statue di divinità in marmo del Micale, di buona esecuzione, copie di note opere di età classica ed ellenistica. Ne restano avanzi di venticinque, fra cui un Ercole del tipo Farnese, un'Artemide del tipo Colonna e un Asklepios del tipo Laterano. Né mancavano, come attestano le basi rimaste, le statue-ritratto dei proconsoli Traiano e Lolliano, quest'ultimo dell'epoca di Gordiano III.
La costruzione del ninfeo venne quasi a nascondere la modesta fronte del ginnasio ellenistico, che si affaccia sul lato N della piazza, occupando un intero isolato.
Sia nella pianta che nei particolari decorativi esso presenta molte affinità con il Bouleutèrion, di cui dev'essere di poco posteriore. Per un pròpylon tetrastilo, di ordine ionico, si accede ad un peristilio dorico, sul cui lato di fondo si innalza, con un imponente portico ionico, l'edificio principale, diviso in cinque sale parallele. Quella centrale, maggiore delle altre, si apriva sul portico con due colonne, i cui intercolumni laterali erano sbarrati da parapetti.
Accanto al ginnasio viene a terminare sulla piazza, con un arcone, la stoà ionica di Tib. Claudio Sofane.
5) Zona dell'agorà S. Dalla piazza del Bouleutèrion, per la porta già descritta, si accede all'agorà S, che è il più vasto edificio di M., occupando la superficie di venti isolati (m 196,45 × 163,50).
Il lato E è costituito da un'enorme stoà dorica, originariamente ad una sola navata, con colonne scanalate, fiancheggiata da una serie di trentanove botteghe, ognuna fornita di retrobottega: altrettante erano poste alle spalle delle prime, con accesso dall'esterno. Con ogni probabilità è questa la stoà donata dal principe ereditario Antioco, regnante Seleuco I, ai primi del III sec. a. C., a condizione che la rendita delle botteghe andasse alla fabbrica del Didymaion.
All'incirca contemporanea, ma originariamente indipendente e isolata, è la stoà dell'angolo N-O, anch'essa dorica, ma a due navate, senza botteghe e con colonne lisce. La stoà S, costruita verso la fine del II sec. a. C., in tutto simile alla precedente, aveva due piani ed una serie di ambienti, probabilmente usati come magazzini o laboratori, aprentisi alternatamente verso l'interno e verso l'esterno. Quale fosse l'aspetto della metà S del lato O non sappiamo, perché qui la presenza della moschea selgiuchide ha impedito l'esecuzione di saggi. Certo questo braccio doveva essere più corto di quello corrispondente a N, poiché si è visto che, per facilitare le comunicazioni dell'agorà verso il porto del teatro e la parte occidentale della città, si apriva sul lato O un largo passaggio, non al centro, ma a spese della metà S. Con questi lavori l'agorà assunse la forma di un gran ferro di cavallo, aperto ad E, e fronteggiato a breve distanza dalla stòà di Antioco. Il passaggio tra questa e la stoà N-O fu chiuso già nel I sec. a. C. con una porta monumentale, di cui restano scarsi avanzi della facciata interna. In età antonina fu innalzata al suo posto la grande porta già descritta; si chiuse anche il secondario passaggio tra la stoà di Antioco e quella S ed infine si estese all'intero perimetro il porticato a due navate.
Le mura bizantine lasciavano interamente fuori l'agorà addossandosi esternamente alla stoà N-O: il fornice centrale della grande porta fu trasformato nella porta principale del circuito, con accanto una torre. Un'altra torre fu costruita nell'entrata O dell'agorà.
La demolizione di quest'ultima torre ha permesso il recupero di un complesso di importanti elementi architettonici, pertinenti ad un grazioso portico corinzio, probabilmente esastilo in antis e a due navate, dedicato alla regina Laodicea, moglie di Antioco II di Siria (probabilmente fra il 258 e il 253 a. C.). Si pensa che potrebbe esser stato un ninfeo.
Aldilà della strada che fiancheggia il lato O dell'agorà S si estende un lunghissimo magazzino ellenistico (m 163 × 13), solo in parte scavato.
Esso venne a tagliare la strada che dalla piazza del Bouleutérion conduceva verso il porto del teatro. Diviso in due navate da una fila di rozzi pilastri, di cui restano le fondazioni, presentava sui lati corti un elegante facciata somigliante a quella del Bouleutérion, con alto zoccolo sormontato da un finto colonnato dorico e capitelli con giro di perle e di ovuli sull'echino: la cronologia deve cadere circa alla metà del II sec. a. C. In età romana fu a sua volta tagliato in due dalla riapertura della strada prima interrotta, mentre una grossa latrina pubblica venne ad occupare la sede stradale fra questo e l'agorà.
Allineata con la testata S del magazzino vi è la facciata del Serapèion (III sec. d. C.), che dà su una piazza di forma irregolare, delimitata in parte dall'agorà S, dalle terme di Faustina e dallo stadio.
L'ingresso è inquadrato in un fastoso pròpylon tetrastilo, composito, donato nella seconda metà del III sec. d. C. da un G. Aurelio Menecle: il centro del timpano è occupato da un busto radiato di Helios; particolarmente notevoli i cassettoni, con busti di muse e di divinità, tra cui una copia dell'Apollo di Kanachos, venerato a Didyma. L'interno consta di una sala rettangolare (m 22 × 12), divisa in tre navate di cinque colonne: nella navata centrale, maggiore delle altre due, è posto sul fondo il basamento di una specie di altare. Incerto è il tipo della copertura.
Alle spalle del Serapèion, un intero isolato è occupato da una sorta di palestra di età romana, con peristilio corinzio di 36 colonne di granito grigio su piedistalli marmorei: l'ingresso è a N, sul lato opposto si apre un'esedra rettangolare, fra due botteghe aperte sulla strada retrostante. Successivamente nel mezzo del cortile fu eretto, un heròon rettangolare, con le pareti articolate in nicchie e coperto a cupola di mattoni: ospitava un grande sarcofago a ghirlande, posto su un alto basamento.
6) Zona del porto del teatro. L'area che si specchiava sulle acque più interne del porto fu occupata in età romana dal maggior complesso termale di M., donato dall'imperatrice Faustina, probabilmente la seconda di questo nome, moglie di M. Aurelio.
Le epigrafi menzionano molti restauri successivi, fra i quali i più notevoli sembrano quelli eseguiti a spese di una certa Eucharia, moglie dell'asiarca Makarios, alla fine del III sec. d. C., e quelli eseguiti a spese dell'oratore Hesychios, che probabilmente è da identificarsi con il grande erudito milesio, vissuto alla fine del V e al principio del VI sec. d. C., o con un suo familiare.
Per adattarsi al pendio della collina l'edificio non rispetta l'orientamento generale della città. La sua pianta non è quella normale per una terma, tanto che si è pensato ad un compromesso fra una terma ed un mousèion, quale ritroviamo ad Efeso ed in altre città dell'Asia Minore.
Precede verso il porto una grande palestra quasi quadrata (m 62 × 64), con colonnato corinzio su piedistalli. Per due doppie porte si entra in un curioso apodyterium, a forma di rettangolo assai allungato (m 63,5 × 11), con tredici grandi nicchie per parte, partenti da uno zoccolo comune ed incorniciate da lesene composite. Il lato corto a N comunica, attraverso un grande arcone corinzio, con la sala absidata, in cui è da riconoscere il Mouseion vero e proprio: dieci nicchie si aprono nelle pareti, altre quattro nell'abside, tutte alternativamente rettangolari e semicircolari. Quelle delle pareti ospitavano le statue di Apollo citaredo e delle nove muse: si sono rinvenuti l'Apollo e sei delle Muse, ora ad Istanbul, copie della serie comunemente attribuita a Philiskos di Rodi e parzialmente riprodotta nel rilievo di Archelaos e nella base di Alicarnasso. Una statua loricata, forse di M. Aurelio, era posta probabilmente in una nicchia dell'abside. Più tardi il piano dell'abside fu rialzato e trasformato in proscenio per rappresentazioni teatrali, cui si accedeva dalle porte aperte entro due delle nicchie.
Dal centro della parete E dell'apodyterium, presso cui si trovavano le statue di Asklepios, Igea e di un atleta, si passa in un primo frigidarium, trasformato poi in serbatoio, ed in un secondo più grande, con piscina alimentata dalle statue giacenti del Meandro e di un leone. Per un piccolo ambiente intermedio si sbocca nell'enorme calidario che, con la sua vòlta alta m 25 circa, torreggiava su tutto l'edificio. Le pareti, rivestite di marmi colorati, sono articolate in nicchioni, sormontati da spaziose finestre. Adiacenti sono altri due calidari minori ed un vasto tepidario, con bacino ornato da un gruppo di Dioniso con satiro.
In età bizantina le terme valevano come caposaldo nel sistema difensivo della città.
La sponda N del porto è dominata dal gigantesco teatro, che con il suo diametro di m 140 è uno dei maggiori d'Asia Minore.
Costruito per la prima volta in muratura alla fine del IV sec. a. C., con la scena addossata alle mura urbane, il cui percorso in questo tratto fu allora espressamente rettificato (precedentemente passava all'altezza del pulpitum romano), come si presenta ora appartiene ad un totale rifacimento, databile forse alla metà del II sec. d. C.
Della cavea restano solo i due diazòmata inferiori, ognuno di diciotto gradini, divisi rispettivamente in cinque e dieci cunei. Il terzo diàzoma, che era interamente artificiale, a differenza degli altri, fu demolito dal terremoto e dal successivo insediamento del castello tardo-bizantino di Palàtia: sembra che in alto fosse coronato da una balaustrata con fregio di armi. Nel mezzo del diàzoma inferiore vi era in basso la loggia imperiale, segnata da quattro colonne: poco distante i posti della comunità ebraica. La facciata delle pàrodoi; è movimentata da una serie di finti pilastri, partenti da un altissimo zoccolo liscio, in cui si aprono in basso le porte ad arco per l'accesso alle gradinate superiori.
Nel balteo dell'orchestra si aprono sette nicchie, forse per ospitare altrettante statue di divinità, sotto la cui protezione erano posti i varî settori della cavea. La fronte del pulpitum conserva ancora la decorazione con semicolonne doriche, in basso di, marmo rosso, in alto di marmo nero, con capitelli ed architrave bianchi. Anche il pavimento dell'orchestra è spartito da fasce di marmo rosso. La stessa vivace policromia ritornava nella superba scenae frons, di cui restano centinaia di elementi: era a tre piani di colonnato conformato ad edicole, con cinque porte ed ampia abside ricurva al centro. Sul retro l'edificio, che aveva avuto ben' cinque fasi precedenti, è chiuso da un alto muro bugnato a speroni. Incerta è la posizione di una serie di rilievi con eroti a caccia di fiere e divinità (tra cui un Apollo, copia della statua di Kanachos). Accanto al prevalente reimpiego di materiali della precedente scenae frons di prima età imperiale, non mancano elementi arcaici, anche decorati, provenienti dallo spoglio di un tempio di Miunte. Il proscenio fu successivamente inserito nel muro bizantino, che è stato demolito dagli scavatori: dalle sue rovine, o da quelle della scena, viene un possente torso virile di stile tardo-arcaico, ora al Louvre, che probabilmente è una copia romana.
Un'epigrafe incisa sul monumento dà notizia di uno sciopero degli operai addetti alla copertura di un settore del teatro, e della sua composizione ad opera dell'oracolo di Didyma.
Davanti alla pàrodos destra si conserva la parte inferiore di una torre arcaica di vedetta, quadrata, in gneis, incorporata più tardi nelle mura di età ellenistica.
Sulla sponda S del porto, a breve distanza dalla riva e all'incirca parallelamente, si estende lo stadio ellenistico, che è stato scavato solo in minima parte a causa della presenza del villaggio turco.
Di forma rettangolare, privo di sphendònai (lungo m 194,5, largo all'arena m 29,5), constava di due gradinate distinte, ognuna di venti gradini (posto per più di 14.000 persone); quella a S era appoggiata alla platea rocciosa che degrada versò il porto, quella a N ad un interro artificiale, cui facevano da sostruzione le stesse mura urbane che correvano lungo la spiaggia. Il lato corto ad O era chiuso da un semplice muro, aperto nel mezzo con un pròpylon ionico, distilo in antis, per accedere ad un vasto ginnasio, non scavato, che un'iscrizione ci dice donato da Eumene II di Pergamo (197-159 a. C.); alla stessa epoca deve risalire anche lo stadio. Il lato di ingresso era ad E, sulla piazza, forse adibita a giardini, su cui affacciano le terme di Faustina e l'agorà S. La facciata della gradinata N verso questo lato fu conformata nel I sec. a. C. come una pàrodos, con l'apertura di due porte ad arco e di una scala voltata per l'accesso ai gradini.
Alla fine del III sec. d. C. l'arena ricevé da questa parte una chiusura monumentale, con la costruzione di un ricco porticato a giorno: otto coppie di colonne corinzie su piedistallo erano collegate a due a due, ma in direzione alternata, dagli architravi, su cui correva una serie continua di arcate. Dietro al portico restano tracce del dispositivo di partenza, consistenti in tredici pietre forate infisse nel terreno, per sorreggere i pali che garantivano l'allineamento e la posizione di ciascun corridore.
7) Zona dell'agorà O e dell'Athenaion. Alle spalle del ginnasio di Eumene II si estende l'agorà O che, come quella N, di cui però è più grande, era soprattutto un mercato.
Per quanto sia stata solo parzialmente scavata, sembra che conservi inalterato l'aspetto originario, risalente forse alla seconda metà del II sec. a. C. Orientata come lo stadio, di cui ha le stesse misure, presenta la particolarità di avere l'ingresso su uno dei lati corti, ossia ad E. Per un pròpylon si accede in un recinto con stoà dorica a ferro di cavallo: non essendoci stanze di sorta, le merci dovevano essere conservate o nel portico o all'aperto.
In corrispondenza del centro del lato lungo S, ma con accesso dalla parte opposta, sulla grande strada che va dalla Porta del Leone all'Athenaion, si innalzava un edificio coevo, probabilmente a destinazione religiosa (la cosiddetta Casa del Peristilio). Nella pianta presenta molta somiglianza con il ginnasio della piazza del Bouleutérion: su un peristilio dorico a ferro di cavallo si alzava sul lato di fondo l'alto porticato ionico, con fregio di bucrani e festoni, da cui si accede a tre sale, la centrale maggiore delle altre. Essa è occupata dal basamento in pòros di un qualche monumento, verso cui è orientato il naìskos, che era al centro del cortile.
In età romana, alla fine del II sec. d. C., l'edificio fu trasformato in domus patrizia, con la demolizione del naìskos, la sistemazione a giardino del cortile, e la costruzione di una serie di stanze in due ampliamenti laterali. Più tardi, alla fine del III sec. d. C., furono aggiunti nel portico mosaici policromi a disegni geometrici ed un fregio con animali fantastici.
Accanto alla cosiddetta Casa del Peristilio, verso E, si trovano gli imponenti resti delle fondazioni dell'Athenaion, costruito nella seconda metà del V sec. a. C.
Era un tempio ionico esastilo, con dieci colonne sui lati lunghi, che aveva la particolarità di sorgere su un podio alto circa m 3,70, con gradinata sul solo lato anteriore: il podio a sua volta era rilevato su una spaziosa terrazza, che comprendeva la superficie di un isolato ed era quindi orientata a S. Gli scarsissimi avanzi della sua decorazione mostrano qualche affinità con il coevo tempio della Marasà a Locri. Il nome gli viene da tre dediche arcaiche alla dea rinvenute nel riempimento di fondazione.
La terrazza fu notevolmente ristretta all'epoca della costruzione dell'agorà O e della cosiddetta Casa del Peristilio: mentre la precedente sostruzione era in gneis, quella di quest'epoca è in pòros. Il lato O fu poi completamente demolito per far posto all'ampliamento romano della Casa del Peristilio. In epoca bizantina fu costruita sulle rovine del tempio una casetta a due stanze, coperta a vòlta e con pavimento di marmo.
Il tempio era stato preceduto da un piccolo edificio in antis, senza pavimento né fondazioni, orientato già secondo il piano regolatore, ma perpendicolarmente al tempio più tardo, ossia ad E. Se ne sono visti avanzi sotto le fondazioni della gradinata e della terrazza: esso poggia su uno strato di argilla, alto cm 15, adagiato sullo strato carbonioso dell'incendio persiano, alto cm 10-15. Questo strato compare in tutta la zona del tempio, ovunque si sono fatti saggi in profondità, sovrapposto ad una rete di case, distinguibili in arcaiche e tardo-arcaiche. Una strada passava all'incirca sotto l'asse del tempio maggiore, in direzione SO-NE, un'altra sotto la parte E della terrazza. I muri sono in blocchetti squadrati, generalmente di calcare: si è rinvenuto anche un interessante magazzino di anfore vinarie. Più in profondità si sono individuate recentemente tracce di muri, che la ceramica fa datare ad età geometrica e protogeometrica: particolarmente notevole, al disotto della fondazione dell'angolo S-O della peristasi dell'Athenaion, una sorta di sacello ovale, lungo circa m 2, entro un tèmenos ricurvo, cui in età arcaica fu data forma quadrata.
Approfondendo lo scavo si è rinvenuto, ma solo nella metà S della zona, uno strato di case tardo-micenee (Tardo-Elladico III B-C), a pianta rettangolare, del tipo a mègaron, costruite con pietre di gneis poste con la superficie di spacco in facciata. Molte conservano ancora i caratteristici pithoi, notevole soprattutto una casa tripartita con fontana nell'ambiente mediano. Il limite N dell'abitato è segnato da un muro di cinta del XII sec. a. C., che correva circa all'altezza della peristasi anteriore del tempio, oltre che sotto la contigua casa del peristilio, descrivendo un'ampia curva aperta verso N esplorata per circa 70 m; largo m 4,40, consta di due cortine elevantisi da un basamento comune, con riempimento di terra e sassi; dalla cortina esterna sporge una serie di bastioni, larghi m 4,75 e aggettanti circa m 1,50, alla distanza di m 14 uno dall'altro. Già alla fine del periodo tardo-miceneo il muro appare smantellato.
Ancora più in profondità i saggi recenti hanno rivelato l'esistenza sia di uno strato medio-miceneo (Tardo-Elladico III A-B) cui spettano anche due forni circolari per cuocere pìthoi ed uno rettangolare assai complesso per vasi più piccoli, sia di uno fine minoico medio-inizio minoico tardo: in ambedue le case sono a pianta irregolare, nel secondo presentano tracce di affreschi. Prevalente in quest'ultimo è la ceramica minoica, accanto a ceramica d'uso, non verniciata, pur essa d'ispirazione cretese.
8) Zona meridionale della città. Le mura. La via sacra. Del quartiere meridionale della città sono state scavate praticamente solo le mura, e anche queste solo in parte. Il percorso delle mura della fine del V sec. a. C., larghe in genere m 4,37, è irregolare e non mostra alcuna connessione con la pianta ortogonale della città.
A S-E dell'agorà S si trova la Porta del Leone, aperta probabilmente alla fine del IV sec. a. C., in un saliente normale al muro, quasi come una porta scea alla rovescia, evidentemente per necessità topografiche. Dal corridoio, largo m 4,78 e forse coperto a vòlta, si accede lateralmente alle due stanze del corpo di guardia. Esternamente aggettano due torri, l'una quadrata e l'altra poligonale. Il nome le viene da una statua arcaica di leone giacente, posta allo esterno su un altare cilindrico anch'esso arcaico.
Andando ancora più a S, quasi sull'asse della penisoletta, si incontra la Porta Sacra, da cui usciva la via per Didyma. Ebbe due fasi, in relazione con lo spostamento di percorso delle mura in questo settore. Nella prima fase, quando le mura recingevano anche Kalabaktepe, la porta, coperta ad arco e con corridoio largo m 4,78, si apriva fra due torri quasi quadrate, esternamente aggettanti. Quando questo tratto del muro fu demolito, probabilmente al principio del II sec. a. C., la porta, rimasta forse isolata, fu sostituita con un'altra più arretrata, che si apre esternamente fra due lesene e due torri quasi in linea col muro, internamente fra i due risalti delle camere del corpo di guardia. Il corridoio, largo m 5,05, conserva ancora in parte il selciato di età romana, con il cippo che ricorda i lavori compiuti sotto Traiano, nel 100 d. C., per sistemare la strada per Didyma.
Coevo con la seconda redazione della porta è il muro trasverso, lungo m 500, che tagliava fino al mare la pianura antistante a Kalabaktepe. Ornato con un bellissimo bugnato, si articola in otto segmenti, che descrivono una linea snodata. Tra l'uno e l'altro si aprono sette postierle, protette esteriormente da altrettante torri quadrate, collegate al muro solo lungo uno degli spigoli. Più tardi furono aggiunte, ad intervalli regolari, rampe o gradinate per l'accesso agli spalti.
Giunte sul mare, le mura piegavano ad angolo retto per seguire la costa. Il primo tratto, lungo m 300, fu interamente ricostruito all'epoca del pericolo gotico, e porta per antonomasia il nome di Muro dei Goti. I materiali impiegati sono tutti di recupero, prevalentemente a spese della vicina necropoli romana. La fondazione consta spesso di una serie di tamburi di colonne posti in piano, il solo paramento esterno appare costruito con una certa solidità. La datazione è confermata dalle monete di Gallieno rinvenute nella malta cementizia.
La via sacra raggiungeva Didyma passando per Pànormos, un porticciuolo posto sulla costa O della penisola milesia. L'intero percorso della strada romana, che è stato ricostruito con sufficiente esattezza, assommava secondo i miliari rinvenuti a undici miglia, ossia poco più di sedici km (la strada moderna ne impiega venti da Balàt a Jeronda). Costruita nel 100-101 d. C. fu restaurata sotto Giuliano l'Apostata (360-363 d. C.).
c) Plastica arcaica in Mileto. - Nei Musei di Berlino si conservano alcuni bronzi orientalizzanti, per lo più inediti, in parte almeno provenienti dai livelli arcaici dell'Athenaion: si notano un paraocchi e due coprimuso da cavallo, sbalzati, di ispirazione fenicia, e una numerosa serie di protomi fuse di grifo, che va dai primi del VII ai primi del VI sec. a. C.
Soprattutto però il suolo di M. e dei suoi immediati dintorni ha restituito alla luce una serie di sculture in marmo, che, sommate a quelle di Didyma, costituiscono si può dire il più ricco ciclo arcaico finora rinvenuto nella Ionia, superiore per quantità anche a quello di Samo. Tali sculture, quasi tutte inedite, sono conservate in maggioranza a Berlino, per il resto a Istanbul e al Louvre: di nessuna si conosce la collocazione originaria, o perché le notizie sul rinvenimento sono imprecise, se non mancano addirittura, o perché erano reimpiegate nel Muro dei Goti o in quello di Giustiniano.
Alla prima metà del VI sec. sono databili sia due piccoli rilievi votivi a nicchia rettangolare, con figure femminili stanti, sia la kòre dedicata da un Anassimandro, di cui si conserva solo l'appiattita parte inferiore (dal cortile del Bouleutèrion), sia infine la superba kòre acefala, che con la sinistra stringe sul petto una pernice, mentre la destra è distesa: lavoro di ottima qualità, che ha un diretto precedente nella Hera di Cheramyes.
Le kòrai più recenti sono anch'esse di fattura assai fine: un torsetto riccamente panneggiato distende ancora la destra, ma già solleva il chitone con la sinistra, un altro torso più grande, dal mantello scalettato, contamina le due iconografie, poiché stringe la pernice con la sinistra e solleva il chitone con la destra (dal Muro dei Goti). Per stile e cronologia esso si avvicina ad una numerosa serie di statue femminili sedute in trono, acefale, con le mani sulle ginocchia ed il capo spesso velato: generalmente di esecuzione piuttosto rozza, sono databili agli ultimi decenni del VI secolo. Quattro, ora al Louvre, furono rinvenute nella "necropoli" da Rayet e Thomas, altre quattro vengono dal Muro dei Goti, tra cui una con tarda e mutila dedica ad Artemide, due dal capo Plaka, circa 9 km a S-O di Mileto. La serie si completa con altri due esemplari conservati a Istanbul, assieme ad un rilievo votivo a forma di naìskos, che riproduce il medesimo tipo, forse come Cibele.
Non sappiamo se appartenevano a kòrai o a statue sedute due teste femminili (a Berlino), l'una, più antica, con capelli a ciocche parallele e treccia sulla nuca (dalla zona del teatro), l'altra sorridente e completamente fasciata dal velo, uno dei più significativi esempi di arte ionica matura.
Un torsetto di koùros, che ha la particolarità di essere rimasto incompiuto, è a Istanbul; una statua maschile stante, vestita, è a Berlino.
Alla fine del secolo sono databili anche alcune statue di leoni giacenti: la più notevole, anche per lo stato di conservazione, volge la testa di lato in atteggiamento di riposo (a Berlino), la più recente, con la testa invece minacciosamente sollevata, viene dalla necropoli ed è al Louvre. Una terza è rimasta a M., dinanzi alla porta urbica cui ha dato il suo nome. Una statua di bue, proveniente dal Muro di Giustiniano, si conserva ad Istanbul, un'altra viene dal Muro dei Goti.
Un'anta di altare (dalla zona del teatro), ornata sulla fronte con rosette, sui fianchi con sfingi su volute, risale circa al 500 a C.
Dalla zona del Bouleuteriòn viene un gruppo di terrecotte votive inedite, a figura femminile, assieme ad una iscrizione dedicatoria in scrittura bustrofedica.
d) Didyma (τὰ Δίδυμα, οἱ Δίδυμοι [?]). - Il santuario di Apollo Philèsios a Didyma, sede di uno degli oracoli più venerati nell'antichità, sia greca che romana, sorgeva in una posizione elevata, a poca distanza dal mare, su di una cresta collinosa, alta circa m 70, degradante da E verso O, in direzione del capo Posèidion (ora Monodendri). La volontà del dio si manifestava tramite una fonte, probabilmente sotterranea, all'ombra di un gruppo di allori, nell'interno della grande cella scoperta: il tempio era infatti ipetrale.
I) Dati storici. - Secondo la tradizione l'origine dell'oracolo, il cui toponimo è probabilmente cario, sarebbe anteriore alla colonizzazione ionica, ma l'archeologia non lo conferma: i trovamenti più antichi, fatti entro il grande altare, non oltrepassano il VII sec. a. C., quando già il culto ci appare affidato alla dinastia sacerdotale dei Branchidi (da cui il nome di Branchödai dato talvolta al santuario). Durante l'arcaismo la sua fama si estese anche presso i "barbari": il faraone Necao II inviò in dono la tunica indossata nella battaglia di Megiddo (6o8 a. C.), i re di Lidia e di Persia, in particolare Creso e Ciro, furono anche essi larghi di doni. Questa situazione ebbe termine nel 494 a. C., quando il santuario fu saccheggiato e incendiato dai Persiani, i Branchidi deportati, il simulacro di culto, opera bronzea di Kanachos di Sicione, trasportato come preda ad Ecbatana. Più tardi si favoleggiò di un tradimento da parte dei Branchidi, che avrebbero consegnato a Serse il tesoro del tempio, sicché i loro discendenti sarebbero stati per questo massacrati da Alessandro al suo arrivo in Sogdiana.
La ricostruzione fu decisa solo all'indomani della liberazione macedone: il progetto grandioso, che faceva del Didymaion uno dei templi maggiori dell'antichità, fu ideato dagli architetti Paionios di Efeso e Daphnis di M., mentre la statua di culto venne restituita poco dopo da Seleuco I di Siria. Il tesoro del tempio subì altri saccheggi nel 277-76 da parte delle orde celtiche, giunte sino a qui, e verso il 70 a. C. da parte dei pirati. Cesare si rese benemerito raddoppiando la superficie del santuario, che aveva diritto di asylum; Caligola maturò il progetto di completare a spese della provincia la fabbrica, che era rimasta incompiuta, ma non riuscì nel suo progetto, poiché tale restava ancora ai tempi di Pausania. A Traiano si deve la trasformazione della vecchia via sacra in una comoda strada romana (100-101 d. C.). Nel 263 d. C. il pericolo gotico fece sbarrare con un muro di fortuna, che poi non fu più demolito, gli intercolumni centrali della fronte: la protezione del dio sembrò manifestarsi in quell'occasione dissetando con una nuova sorgente la popolazione rifugiata nel tempio. Successivamente cominciarono a nascere all'intorno molte cappelle cristiane, che Giuliano l'Apostata, cui si deve anche il restauro della via sacra, fece demolire nel 362 d. C.
Nel tempio, chiuso probabilmente in seguito all'editto di Teodosio (392 d. C.), si impiantò, non molto tempo dopo una basilica bizantina a tre navate, che venne ad occupare, l'àdyton, con la parte anteriore al posto del demolito naìskos e l'abside poligonale costruita sulla scalinata. Sotto Giustiniano la fabbrica, opportunamente rinforzati i muri della cella, fu trasformata in un poderoso castello, che, dopo la devastazione da parte di un incendio, fu restaurato, come attesta una iscrizione, nel 988-989 d. C. Poco dopo però un terremoto, che probabilmente è lo stesso che pose fine alla vita di M., smantellò definitivamente sia il castello che la basilica in esso racchiusa.
Sulle rovine sorsero una piccola cappella ed un modesto villaggio tardo-bizantino, che già doveva avere il nome di Ghèronta, rimasto poi alla località anche dopo che l'invasione turca fece abbandonare il villaggio. Nel 1446 Ciriaco d'Ancona rimase grandemente impressionato dalla visione del tempio, cui solo il terremoto del 1493 inferse il colpo decisivo. Nel 1673 si ebbe la visita del Pickering, nel 1764 la prima spedizione della Società dei Dilettanti, guidata da W. Chandler. Alla fine del XVIII sec. venne a istallarsi sulle rovine, purtroppo a spese dei materiali antichi, il nuovo villaggio greco di Jeronda. Il tempio fu ancora visitato nel 1812 dalla seconda spedizione dei Dilettanti, guidata da W. Gell, nel 1835 da Ch. Texier. I primi scavi furono eseguiti da C. T. Newton nel 1857-1858, seguirono quelli di O. Rayet e A. Thomas nel 1873 e quelli di B. Haussoullier e E. Pontremoli nel 1895-96, che portarono alla liberazione completa della fronte. L'esplorazione totale si ebbe però solo con gli scavi condotti, per conto dei Musei di Berlino, da Th. Wiegand (1906-13 e 1924-25), scavi che non poterono prescindere dalla rimozione degli avanzi bizantini. Resta ancora da affrontare l'esplorazione della kòme circostante, menzionata dalle epigrafi.
Sculture ed elementi architettonici da Didyma si trovano nei musei di Berlino, Istanbul, Smirne, al Louvre e al British Museum. Un piccolo museo allestito a Jeronda andò distrutto durante e dopo la prima guerra mondiale.
II) Il santuario pre-persiano. - Il tempio arcaico era più piccolo e leggermente orientato più a S (circa 1° 30΄) rispetto a quello ellenistico. Restano avanzi delle fondazioni in calcare del naìskos, della cella e del grande altare, in tutto corrispondenti alla seconda redazione.
I finti pilastri dell'àdyton partivano però direttamente da terra. Le misure esterne della cella erano di circa m 4045 (il lato corto E non è conservato) per 20. Se pensiamo che l'altare si trova a m 30 circa di distanza dalla cella dobbiamo supporre l'esistenza di un pronao molto profondo e di una doppia peristasi, probabilmente con otto colonne sui lati corti. La facciata aveva columnae caelatae, come l'Artemision di Efeso, con il rilievo partente però direttamente dalle scanalature: ce ne sono giunti varî frammenti con figure femminili velate. Almeno una parte delle colonne doveva essere in pòros: una base incompiuta fa pensare che il tempio non sia stato ultimato. Della trabeazione restano alcuni capitelli e due frammenti d'angolo dell'epistilio tripartito, che, come nel tempio di Assos, era decorato con figure: si conserva una Gorgone nello schema della corsa in ginocchio, accanto a un leone colossale, il cui busto era lavorato a parte. La copertura del pronao e della peristasi era probabilmente in legno, le tegole di marmo.
Il naiskos (circa m 4 × 8) era probabilmente in antis, con le parti alte della trabeazione in terracotta. La statua di culto, opera di Kanachos, conosciuta, oltre che dalle fonti, da gemme e monete di età imperiale, da un rilievo della scena del teatro di M. e da uno dei cassettoni del Serapeion di M., raffigurava Apollo stante, con un arco nella sinistra e un cerbiatto nella destra.
Sull'asse del tempio sorge il grande altare circolare, che Pausania dice costruito da Eracle con il sangue delle vittime, ricordandolo a proposito del consimile altare del tempio di Zeus ad Olimpia: si tratta in effetti dei due maggiori esempi di altare di ceneri. Il muro di recinzione, del diametro di m 7,89, aveva due ingressi, ad E e ad O: nell'interno si sono rinvenute molte ossa di animali, assieme a ceramica arcaica, bronzi votivi ed astragali di piombo (materiale inedito).
La piazza del santuario, creata artificialmente a spese della collina, ha una forma approssimativamente semicircolare: verso monte è recintata da un muro di sostruzione in opera quadrata di calcare, con cornice ad ovuli, alto m 3,50 ed interrotto da cinque scale, per accedere alla terrazza soprastante. Su di essa trovavano posto due grandi stoài, di cui restano le fondazioni e parte del basamento. Numerosi donarî occupavano invece la piazza.
Reimpiegati in costruzioni posteriori si sono rinvenuti molti elementi architettonici di incerta attribuzione: citiamo superbi complessi capitelli d'anta, forse pertinenti ad altari, ed una serie di antefisse fittili,, per lo più con fiore di loto e treccia, raramente con gorgonèion.
La fama di Didyma nei tempi moderni è affidata soprattutto alle statue votive, chiamate andriàntes da un iscrizione, che fiancheggiavano l'ultimo km della via sacra, prima dell'ingresso nel recinto del santuario: il Gell poté contarne circa 60-70. Si tratta di personaggi seduti, generalmente maschili, a differenza che a M., koùroi e leoni giacenti. Precisamente sono state recuperate nove statue sedute maschili, tra cui una firmata da un Eudemos, e due femminili (a Londra e Istanbul), tutte, meno una, acefale, oltre a otto altre più o meno frammentarie (scavi 1895-96, scavi tedeschi e a Smirne) e ad una base assai antica firmata da un Terpsiches (a Londra). I devoti, a quanto pare appartenenti alla classe aristocratica, detentrice del potere prima dell'avvento dei Persiani (come Chares, archòs della vicina Teichioùssa), sono rappresentati in chitone e mantello, sembra senza barba, le mani sulle ginocchia, la destra generalmente sollevata in segno di preghiera o di offerta.
Di koùroi abbiamo un torso con la testa (a Londra), due torsi acefali (a Smirne) e altri due frammenti già congiungentisi, con iscrizione bustrofedica (scavi 1895). Alla lista si devono aggiungere una testa femminile velata, probabilmente da una statua seduta (a Londra), e una testa maschile (a Istanbul), entrambe danneggiate.
Quanto ai leoni, che rappresentavano l'arma di M., riprodotta anche sulle monete della città, si sono rinvenute due statue intere, di cui una con dedica dei figli dell'archegòs Orion (a Londra), un'altra pure intera, ma tarda e assai rozza (scavi 1895-96), e infine due teste colossali (a Istanbul).
La cronologia va dai primi decennî del VI sec. a. C. fino alla fine: la grande maggioranza dei donarî si pone però verso la metà e nel terzo venticinquennio del secolo. All'inizio della serie troviamo una delle statue sedute (quella che conserva la testa), dalle forme geometrizzate e semplificate all'estremo, assieme al leone dei figli di Orion, che si ricollega direttamente alla tipologia egiziana per le zampe anteriori accavallate. Influssi egiziani rivela anche una statua maschile più tarda (a Istanbul), vestita di un chitone e mantelletto che disegnano plasticamente le forme, con il bastone sotto l'ascella e la mano sinistra tra le ginocchia. Alla fine della serie si pone una statua femminile, molto vicina a quelle da M. (a Londra).
Questa folla di statue era posta in grande disordine, sulla nuda terra, senza traccia di basamenti o di fondazioni. Si è pertanto recentemente pensato che fossero state collocate in origine nell'interno dell'area sacra, e che siano state qui trasportate solo quando, dopo la devastazione persiana, si iniziò la nuova sistemazione del santuario. Comunque il confronto spesso avanzato con le vie monumentali egiziane non sembra abbia ragione di sussistere.
Quasi certamente faceva parte del bottino persiano di Didyma un astragalo di bronzo, con dedica arcaica ad Apollo e firma del fonditore, rinvenuto negli scavi di Susa.
III) Il tempio ellenistico. - Il tempio progettato da Paionios e Daphnis si sovrappose a quello arcaico, ma con un orientamento leggermente diverso, che risultò inclinato di 31° a N, rispetto all'E. Diptero, con dieci colonne sui lati corti e ventuno sui lati lunghi, sorge su un krepìdoma di sette gradini, alto m 3,15, che misura alla base m 118,34 × 60,13, alla sommità m 109,34 × 51,13.
Sulla facciata, per la larghezza della cella, i gradini divengono tredici. Le colonne ioniche, assai slanciate, con base di tipo asiatico riccamente scanalata, sono alte complessivamente m 19,70 e si susseguono ad intervalli uniformi. Si discute se la copertura della peristasi e del pronao fosse a terrazza o a leggeri spioventi. In tutta la costruzione, nonostante la grandiosità delle proporzioni, si constata una notevole accuratezza nelle misure, basate probabilmente sul piede attico di cm 29,5 circa: anche l'esecuzione degli ornati è ovunque di buona qualità. La fondazione dello stilobate è a reticolato, con i vani riempiti fra l'altro con materiali arcaici. Tutte le parti in vista sono in marmo dell'isola di Korassiai (oggi Phourni), le altre nel calcare giallastro delle cave locali.
La cella termina anteriormente con due lunghe ante, ornate, alla pari degli angoli della parete posteriore, con capitelli figurati, che mostrano una figura femminile alata, desinente in un cespo d'acanto. Esse inquadrano un pronao profondo, diviso in tre navate da dodici colonne, che le iscrizioni chiamano dodekàstylos. Nella parete di fondo si apre la grande porta del vestibolo, con la soglia sopraelevata di m 1,46 e senza gradini. Era la porta del dio, perennemente aperta, ma inaccessibile ai fedeli. L'ingresso avveniva invece lateralmente, per due piccole porte, che immettono in due strette gallerie a piano inclinato, coperte con vòlta litica a botte, a ridosso dei muri della cella. Esse permettono di superare il dislivello di m 4,05 esistente fra il piano dello stilobate e l'interno della cella, dovuto al fatto che quest'ultimo, per riguardo alla fonte sacra, è stato mantenuto al piano di campagna, che qui è ancora quello pre-persiano.
L'interno della cella, che le iscrizioni chiamano àdyton, non è altro che un cortile, misurante m 53,94 × 21,71, occupato sul lato di ingresso, fra gli sbocchi coperti delle due rampe, da una vasta scalea di ventidue gradini, che permette di riguadagnare il piano del vestibolo. Le pareti altissime presentano uno zoccolo scorniciato, alto quanto la gradinata, su cui si imposta una serie di colossali semipilastri, in numero di undici sul lati lunghi e cinque sul lato di fondo. I capitelli, ionici, sono decorati alternativamente con motivi vegetali o con grifoni-aquila affrontati a un cespo d'acanto: in corrispondenza corre sulle pareti un fregio con grifi-leoni affrontati a una lyra. Sull'epistilio pare fosse previsto un fregio, che non è mai stato realizzato.
Sulla scalea si aprono tre porte, inquadrate fra due ante e due pilastri con semicolonne corinzie, alte quanto la parete e con capitelli particolarmente interessanti. Da esse si accede al vestibolo, il cui tetto è sorretto con l'aiuto di due colonne, aperto a sua volta sul dodekàstylos per la porta del dio già menzionata. Era qui che probabilmente venivano gridati gli oracoli dalla profetessa. Lateralmente, per due porticine, si accede a due scale a più rampe, che menano verso il tetto, salendo addossate ai muri della cella. La loro ricca decorazione impedisce di credere che si tratti di scale di servizio.
L'àdyton era occupato nella metà anteriore dal boschetto e dalla fonte sacra, nella metà posteriore dal naìskos ionico tetrastilo (m 14,53 × 8,59), in cui era custodita la statua di culto. Demolito per far posto alla basilica bizantina, non ne restano che le fondazioni e le parti alte dell'alzato, decorate con estrema finezza da motivi vegetali: si noti l'alta gola con anthèmion, che corre fra l'epistilio e i dentelli.
Le parti del tempio descritte finora, compresa la parte realizzata della peristasi interna (ossia il lato di facciata e poche colonne degli altri lati, di cui pochissime scanalate), appartengono sicuramente ad età ellenistica, pur dislocandosi variamente fra la fine del IV e il I sec. a. C. Viceversa si discute ancora sull'attribuzione ad età romana, in base a considerazioni stilistiche, della peristasi esterna, innalzata quasi solo sui lati corti e scanalata interamente solo sul lato di facciata. Oltre a differenziarsi, come altrove, nella forma dei capitelli, essa presenta su quest'ultimo lato una decorazione scultorea particolarmente ricca ed interessante.
Le basi delle colonne, ad eccezione di quelle angolari, hanno una forma anomala, monumentale, forse a ricordo delle precedenti columnae caelatae: eguali a coppie, si dispongono simmetricamente rispetto all'asse della facciata. La coppia centrale, di tipo asiatico, al posto del toro ha un plinto circolare con anthèmion; la seconda, di tipo samio, al posto del trochilo ha un plinto dodecagonale con pannelli scorniciati a rilievo (motivi vegetali e gruppi marini d'ispirazione neo-attica); la terza, di tipo attico, al posto del toro superiore ha un punto circolare con fregio vegetale; l'ultima, nuovamente di tipo samio, al posto del trochilo ha un plinto circolare con doppio meandro.
Di età più tarda, forse addirittura traianea o adrianea, sono le parti alte della facciata, ossia i capitelli angolari, che al posto della voluta d'angolo esibiscono una protome di grifone aggettante, mentre dalle volute contigue sporgono busti di divinità (si riconoscono Apollo e Zeus) ed il centro del canale è occupato da una testa di toro; il grande fregio con gorgonèia e tralci fioriti di acanto; i colossali dentelli ornati con motivi vegetali e infine i cassettoni del soffitto, almeno in parte decorati a rilievo con teste di divinità (si riconoscono Zeus ed Helios).
IV) I monumenti minori ellenistici. - Il grande altare, benché non in asse col tempio, fu restaurato e continuò a funzionare. Nei pressi fu eretta una fontana con quattro colonne, attorno ad un pozzo largo m 2 e molto profondo.
Sulla terrazza, al posto delle stoài arcaiche, fu innalzata una selva di donarî votivi, a volte di dimensioni assai notevoli, di cui restano solo le fondazioni e gli zoccoli. In continuazione di essa, parallelamente al lato S del tempio e circa a m 18 di distanza, fu costruita una gradinata di sette gradini, conservata per circa m 32, destinata agli spettatori della gara di corsa, che ogni anno, come in uno stadio, si svolgeva lungo questo lato del tempio, avendo come punto di partenza e di arrivo il grande altare, presso cui restano tracce del dispositivo di partenza.
Dalla demolizione della basilica bizantina vengono molti elementi architettonici ellenistici, pertinenti ad un edificio dorico tetrastilo, sede del collegio dei prophetài: probabilmente era posto all'ingresso dell'area sacra, come la Pinacoteca dell'acropoli di Atene, cui sembra somigliare.
Numerose dediche votive testimoniano che nel santuario avevano un luogo di culto anche Artemide Pythia e Zeus Hyètios, quest'ultimo venerato anche a Coo.
V) Dintorni. - Sul capo Posèidion, circa sette km a S-E di Didyma, in riva al mare, è stato scavato il grande altare di Posidone, databile alla prima metà del VI sec. a. C. Consta di una piattaforma rettangolare (m 11,09 × 9,47), con accesso dal lato lungo O, decorata con una pesante cornice ad ovuli e grandi volute angolari.
Da Teichioùssa (Karaköy), piccolo porto sulla costa S della penisola milesia, viene un rilievo della fine del VI sec. a. C., con danza vorticosa di donne che si tengono per mano: probabilmente è una sima templare (a Londra). Dalla insenatura di Kowella viene un magnifico leone, databile circa al 400 a. C., ora conservato a Jeronda.
Bibl.: Una prima informazione è offerta dalla voce Miletos della Pauly-Wissowa, XV, 1932, in cui la parte storica, particolarmente buona, è dovuta a H. v. Gärtringen, la parte archeologica a M. Mayer. Su Kiliktepe: Th. Wiegand, VII. Bericht über die Ausgrabungen in M., in Abhandl. der k. Preuss. Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, 1911, Anhang, p. 4 s. Su M. Millawanda: S. Lloyd e J. Mellaart, in Anatolian Studies, V, 1955, p. 81 ss. Sulla M. micenea e arcaica: Sp. Marinatos, in Rev. Arch., 34, 1949, p. 12 ss.; F. Cassola, La Ionia nel mondo miceneo, Napoli 1957, passim; M. B. Sakellariou, La migration grecque en Jonie, Atene 1958, passim; C. Roebuch, Jonian Trade a Colonization, New York 1959, passim; G. M. A. Hahmann, Ionia, Leader or Follower?, in Harvard Studies in Classical Philology, LXI, 1953, p. i ss.; C. Weickert, Die Ausgrabung in M. 1955, in Istanbuler Mitteilungen, 7, 1957, p. 102 ss.; M. J. Mellink, in Am. Journ. Arch., LXV, 1961, p. 47 ss.; A. Momigliano, in Studi italiani di filologia classica, X, 1932, p. 259 ss. Su Anax; B. Hemberg, Anax, Anassa u. Anakes, Upsala-Wiesbaden 1955, p. 24 ss. Sulla M. ellenistica: B. Haussoullier, Études suir l'histoire de M. et du Didymeion, Parigi 1902. Sull'urbanistica: R. E. Wycherley, How the Greek Built Cities, Londra 1949, p. 17 ss. e passim; R. Martin, L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, pp. 97 ss.; 274 ss.; F. Castagnoli, Ippodamo di M. e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956, p. 15 ss. Sulla posizione di M. arcaica: A. v. Gerkan, in Bericht über VI. intern. Kongress für Archäologie, Berlino 1940, p. 323 ss.; K. Bittel, in Istanbuler Mitteilungen, 5, 1942, p. 171 ss., n. i. Della grande pubblicazione, Milet, che va sotto il nome di Th. Wiegand, sono usciti finora i seguenti volumi, riguardanti M.: I, i, 1906, Karte der miles. Halbinsel (P. Wilski); 1, 2, 1908, Das Rathaus (H. Knackfuss); I, 3, 1914, Das Delphinion (G. Kawerau); I, 5, 1919, Das Nymphäum (J. Hülsen); I, 6, 1922, Der Nordmarkt u. die Hafen an der Löwenbucht (A. v. Gerkan); I, 7, 1924, Der Südmarkt u. die benachbarten Bauanlagen (H. Knackfuss); I, 8, 1925, Kalabaktepe, Athenatempel u. Umgebung (A. v. Gerkan); I, 9, 1928, Thermen u. Palästren (F. Krischen e A. v. Gerkan); II, i, 1921, Das Stadion (A. v. Gerkan); II, 2, 1929, Die miles. Landschaft (Th. Wiegand); II, 3, 1935, Die Stadtmauern (A. v. Gerkan); III, 4, 1935, Das islamische M. (K. Wulzinger, P. Wittek, F. Sarre); III, 5, 1936, Das südliche Jonien (A. Philippson). La parte epigrafica è stata trattata alla fine di ogni volume, generalmente a cura di A. Rehm. Vedi inoltre: sul Delphìnion: A. v. Gerkan, in Istanbuler di Forschungen, XVII, 1950, p. 35 ss.; sul Bouleutèrion: F. Krischen, Antike Rathäuser, Berlino 1941, p. 7 ss.; sulla porta dell'agorà S: C. Weickert, Antike Architectur, Berlino 1949, p. 5 ss.; sul teatro, che è ancora inedito: Th. Wiegand, III. Bericht, in Sitzungsber. der k. preuss. Akademie der Wissenschaften, 1904, p. 76 ss.; V. Bericht, ibid., 1906, p. 250 ss.; F. Krauss, in Bericht über den VI. Kongress cit.; id., p. 387 ss.; sui recenti scavi sotto l'Athenaion: C. Weickert, art. cit.; id., in American Journal of Archaeology, LXIII, 1959, p. 81 s., tav. 22; in Neue Deutsche Ausgrabvungen in Mittelmeergebiet in Vorderen Orient, Berlino 1959, p. 181 ss., Beil. i. Istanbuler Mitteilungen, 9-10 (1959-60), p. i ss.
Sulla scultura arcaica milesia, in generale: G. M. A. Richter, Archaic Greek Art, New York 1949, pp. 41 ss.; 107 ss.; 169 ss.; G. Lippold, in Handbuch der Archäologie, III, i, Monaco 1950, pp. 47 e 52 ss. Sui bronzi orientalizzanti: R. D. Barnett, The Nimrud Ivories in the British Mus., Londra 1957, p. 101, fig. 38 s.; C. Weickert, in Istanbuler Mitteilungen, cit., p. 126 ss., tav. 40; J. Jantzen, Gr. Greifenkessel, Berlino 1955, p. 105, n. 4. Per le sculture a Berlino: Th. Wiegand, in Antike Denkmäler, III, 1916-17, p. 51 s., fig. 8 s.; id., in Berliner Museum, Beiblatt zum Jahrb. der preuss. Kunstsammlungen, XLVIII, 1927, p. 61 ss., figg. 1-3; id., in Kurze Beschreibung der Staatl. Museen zu Berlin, 3a ed., Berlino-Lipsia 1922, nn. 1574-77, 1599, 1614, 1624 s., 1631, 1634, 1647, 1744; Stephanos, Th. Wiegand zum 60. Geburtstag, Berlino 1924, p. 8 s. (altare con sfingi); C. Weickert, Griech. Plastik, Berlino 1946, p. 12 s., fig. 5, p. 29 s., fig. 15. Per le provenienze, oltre a quanto si ricava dalla Kurze Beschreibung e dal Weickert, importante: Th. Wiegand, II. Bericht, in Sitzungsber., cit., 1901, p. 910 s., 913 e in Arch. Anz., 1901, p. 198. Per le sculture ad Istanbul: O. Mendel, Catal. des sculptures, I-III, Costantinopoli 1912-14, nn. 248 s.; 523; 1358 s.; C. Blümel, Gr. Bildhauerarbeit, 1927 (Jahrbuch, XI. Ergänzungsh.), p. 49, fig. 13. Per quelle al Louvre: S. Reinach, Rép. Stat., II, p. 682, 8; p. 683, 1-3; M. Collignon, Les statues funéraires dans l'art grec, Parigi 1911, p. 68 ss., fig. 36 s.; Encyclopédie photographique de l'art, III, Parigi 1938, tav. 140 s.
Su Didyma, oltre a molte delle opere già citate, si veda un cenno storico in Pauly-Wissowa, V, 1903, cc. 437-41, s. v. Didyma (Bürchner), ed il lavoro, per certi aspetti non superato, di E. Pontremoli-B. Haussoullier, Didymes, fouilles de 1895 et 1896, Parigi 1904. Della grande pubblicazione tedesca, che va sotto il nome di Th. Wiegand, sono usciti finora i seguenti volumi: I, 1941, Die Baubeschreibung, in tre tomi (H. Knackfuss); II, 1958, Die Inschriften (A. Rehm). Vedi inoltre: sulla statua di Kanachos: R. Kekulé v. Stradonitz, in Sitzungsber. cit., 1904, p. 786 ss.; E. Simon, in Charites, Bonn 1957, p. 38 ss.; sugli elementi architettonici arcaici: C. Weickert, Antike Architektur, pp. 26 s., 39 ss., 51 ss.; sulle sculture a Londra: F. N. Pryce, Catal. of Sculpture, I, i, Londra 1928, p. 101 ss., tavv. VI-XVI; su quelle a Istanbul: O. Mendel, op. cit., n. 234 ss.; su quelle a Smirne: A. Aziz, Guide du musée de Smyrne, Istanbul 1933, p. 35, fig. 7; su quelle a Jeronda: G. Kleiner, in Jahrbuch, XV, Ergänzungsh., 1942, pp. 186 e 324, tav. 59.
Sul tempio ellenistico, in generale: W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, 3a ed., Londra 1950, p. 229 ss.; A. W. Lawrence, Greek Architecture, Londra 1957, p. 202 ss. Sul piede metrico e la copertura: A. v. Gerkan, in Österr. Jahresh., XXXII, 1940, p. 127 ss. Sul naìskos: id., in Jahrbuch, LVII, 1942, p. 183 ss. Sulla datazione: C. C. van Essen, in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, p. 607 ss.; G. Kleiner, in 105. Berl. Winckelmannspr., 1949, pp. 32 ss.
Sull'altare del Posèidion: Milet, 1, 4, 1915, Das Poseidonaltar bei Kap Monodendri (A. v. Gerkan); C. G. Yavis, Greek Altars, Saint Louis 1949, p. 102 s. Sul leone di Kowella: C. Weickert, in Ath. Mitt., 71, 1956, p. 145 ss.