Abstract
Vengono esaminati gli elementi strutturali dell'art. 346 c.p., rubricato Millantato credito, anche alla luce della recente introduzione, ad opera della l. 190/2012, del reato di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.). Viene, altresì, approfondito il rapporto tra il millantato credito e altre fattispecie delittuose.
Il delitto di millantato credito, disciplinato all’art. 346 c.p. vigente, ha ricevuto, nel dibattito dottrinario corrente, nuova linfa dall’introduzione, ad opera della l. 6.11.2012, n. 190 recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione, dell’art. 346 bis c.p. dedicato, come da rubrica, al cd. traffico di influenze illecite.
Tale introduzione normativa non solo porta a rivisitare i confini applicativi delle fattispecie contenute all’art. 346 c.p., co. 1-2, oggetto specifico della nostra attenzione, ma consegna altresì nuove significative riflessioni agli operatori del diritto, derivanti, innanzitutto, dalle puntuali disposizioni di natura internazionale.
Sia la Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione (cd. Convenzione di Merida), adottata dall’Assemblea generale il 31.10.2003 e ratificata con l. 3.8.2009, n. 116, che la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio di Europa, ratificata con la l. 28.6.2012, n. 110, hanno, difatti, posto in nuova luce la figura del millantato credito, sub specie traffico di influenze illecite, sottolineandone l’efficacia ai fini della lotta alla corruzione.
Gli strumenti giuridici di tutela da ultimo varati, invero, appaiono pienamente in linea con l’evoluzione culturale sottesa al nuovo paniere di norme anticorruzione (Seminara, S., La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema giuridico e culturale, in Dir. pen e processo, 2012, 1235), e si pongono senza soluzione di continuità con gli approdi giurisprudenziali e dottrinari maturati proprio in relazione alla fattispecie di millantato credito: l’incedere di dottrina e giurisprudenza che si rassegnerà a breve, difatti, testimoniano con precisione la maturazione del dibattito, facendo del delitto oggetto di analisi una perfetta cartina di tornasole dell’efficacia delle norme anticorruzione nel nostro ordinamento e dell’esigenza di disvelare penalmente anche gli illeciti meandri privatistici dei rapporti con la p.a.
Analizzando compiutamente la storia del reato di millantato credito sino ai giorni nostri, ci si avvede del permanere dell’attualità della norma: già il legislatore del 1930, in virtù della casistica dell’epoca, aveva inteso assorbire quanto già disciplinato dall’art. 204 del codice Zanardelli, scegliendo, tuttavia, la scissione delle condotte punibili in due commi, dando vita così ad una fattispecie multipla e a due autonomi titoli di reato.
Il delitto di millantato credito, unitamente inteso, era denominato già in epoca romana “vendita di fumo”: esso, infatti, si presenta di primo acchito come un inganno teso ad un soggetto privato al fine di ricavare un ingiusto profitto.
Anche se l’assonanza con le condotte truffaldine è palese, non può celarsi che il delitto in parola risponda, come da ultimo più volte sottolineato dalla Suprema Corte (Cass. pen., sez. VI, 23.4.2008, n. 35340), ad un’esigenza di tutela ben diversa da quella assicurata dalla fattispecie di cui all’art. 640 c.p., poiché l’art. 346 c.p. mira a colpire la lesione o messa in pericolo dell’immagine e dell’interesse alla trasparenza della p.a.: la condotta di inganno ai danni del privato, posta in essere adducendo influenze su organi “sensibili” della p.a., finisce inevitabilmente per svelare la malleabilità degli stessi ad “interventi” esterni (Santoro, A., Manuale di diritto penale, II, Torino, 1962, 365) e la lontananza di questi ultimi dal dovuto perseguimento del pubblico interesse.
Non può celarsi, quindi, il danno recato, oltre che al compratore di fumo vittima dell’inganno, all’onore ed al prestigio della p.a., intesa come messa in dubbio della sua trasparenza: ciò vale a giustificare storicamente il nomen di «truffa qualificata dall’offesa al prestigio del principe» (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, pt. spec., I, Bologna, 2001, 309).
L’oggetto di tutela del millantato credito ha abbandonato, così, l’argine della connotazione patrimoniale del danno subito dal privato, traghettando verso le sponde della tutela della p.a.: proprio per questo la più moderna dottrina preferisce usare la calzante espressione di «traffico di influenze illecite» (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, pt. spec., II, Milano, 2003, 398), fatta propria dalla rubrica del reato di nuovo conio di cui all’art. 346 bis c.p.
Uscito dal cono d’ombra del reato l’interesse patrimoniale del beffato aspirante «compratore d’arrosto» (Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, Dei delitti contro la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giustizia, Torino, 1981, 587), il legislatore ha centrato il disvalore sul «mercanteggiamento in sé» (Cass. pen., sez. VI, 22.2.2005, n. 11441, in Riv. pen., 2006, 357) dell’influenza vantata nei confronti del pubblico ufficiale o dell’ impiegato.
Il delitto, per verità, ha registrato diverse e talora contrastanti posizioni interpretative di carattere esegetico e sistematico.
Spesso la dottrina ne ha evidenziato la «nota saliente di ambiguità» (Tagliarini, F., Millantato credito, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, 308) per la posizione di confine tra la più apparentemente simile figura delittuosa della truffa e quella opposta della corruzione, tanto da spingere taluni a richiederne la “morte normativa” ed il passaggio alla storia del diritto (il Progetto Pagliaro di riforma del codice penale del 1992, infatti, nei reati dei privati contro la p.a., non annoverava il delitto di millantato credito).
La rinnovata attenzione, emblematicamente sugellata dalla disciplina da ultimo licenziata, per verità, vale a focalizzare il disvalore dell’illecito sul mercanteggiamento dell’influenza presso il pubblico ufficiale o pubblico impiegato, più che sul prestigio della p.a.: la tutela penale, in un’ottica costituzionalmente orientata, deve garantire i valori di buon andamento, efficienza ed imparzialità dell’attività della p.a. oltre che della probità dei suoi funzionari (artt. 23, 97 e 98 Cost.).
Un’opinione dottrinaria risalente (Riccio, S., Millantato credito, in Nss. D.I., X, Torino, 1964, 695) sosteneva che l’art. 346 c.p. non tutelasse né la persona del pubblico ufficiale o dell’impiegato discreditato né la persona del raggirato che può (ma non deve necessariamente, nel caso della mera promessa), subire un danno patrimoniale, «individuo, quest’ultimo, che è spesso della medesima stoffa del raggiratore» (Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, cit., 578; Carrara, F., Programma del corso di diritto criminale, pt. spec., V, Pisa, 1905, § 2591): tale ultima riflessione è indubbiamente confermata dal co. 2 dell’art. 346 bis c.p., il quale, contrariamente alle condotte di millantato credito di seguito esaminate, sottopone a sanzione anche il privato che dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale (solo in riferimento al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto dell'ufficio).
Il privato dell’art. 346 bis c.p. cessa, così, di essere il malcapitato “compratore di arrosto” beffato nel millantato credito, eventualmente da tutelare sotto il profilo dell’interesse patrimoniale leso, e diviene punibile per il pactum sceleris contratto.
Abbandonata, dunque, del tutto l’idea di un millantato credito a tutela esclusivamente dell’onore e del prestigio della p.a., in linea con la concezione di uno Stato autoritario in cui giammai la venditio fumi doveva far apparire scorretti e venali i suoi funzionari, il più maturo indirizzo dottrinario e giurisprudenziale, oggi fatto proprio dalla normativa nazionale di recente introduzione (Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968, 914 ss.; Tagliarini, F., Millantato credito, cit., 308 ss.; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 309 s.; Semeraro, P., I delitti di millantato credito e traffico di influenza, Milano, 2000, 45; per tutte Cass. pen., sez. VI, 27.6.2005/7.9.2005, n. 33049, in Guida dir., 2005, fasc. 41, 98), ha espunto ogni nota di frode od inganno dalla nozione di millanteria, e ha delineato il delitto non più come vendita di fumo bensì come traffico di influenze illecite polarizzato sul disvalore del mercanteggiamento dell’ingerenza nell’attività della p.a.
Interesse giuridico protetto è il buon andamento e l’imparzialità della p.a., cui fa da sfondo la dovuta probità dei suoi funzionari, in una esegesi costituzionalmente orientata del bene giuridico tutelato guidata dall’art. 97 Cost.
Soggetto attivo del delitto di millantato credito è pacificamente il “venditore di fumo”, mentre non è punibile (a differenza dell’art. 346 bis c.p.) l’aspirante compratore d’arrosto: lo scopo perseguito dal legislatore è quello di facilitare la scoperta di tali episodi delittuosi (Leone, G., Punti fermi e punti in discussione della prossima riforma del codice penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 16).
Soggetto attivo, difatti, può essere qualsiasi privato cittadino ed anche un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, il quale millanti credito o potere d’influenza presso un pubblico funzionario che sia diverso da sé: in questo caso, a differenza dell’art. 346 bis, co. 3, c.p. (che prevede un’aggravante se l’autore è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio) potrebbe ricorrere la circostanza aggravante comune di cui al n. 9 dell’art. 61 c.p.
Nell’ipotesi diversa in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio richiedesse, in virtù delle sue funzioni o servizio, denaro od altra utilità, sarebbe punibile per i diversi reati di concussione (Cass. pen., sez. VI, 3.6.2002, n. 30002, in Dir. e giust., 2002, fasc. 44, 72) o corruzione, ovvero, qualora sfrutti relazioni esistenti con un pubblico ufficiale diverso da sé in relazione ad un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto dell'ufficio, per il diverso reato di traffico di influenze illecite.
Per quanto riguarda l’individuazione del soggetto passivo del millantato credito, occorre dar atto della vivace querelle giurisprudenziale e dottrinaria, che ha preso inevitabilmente le mosse dalla corretta determinazione del bene giuridico tutelato.
Sul punto la Relazione ministeriale al codice penale (Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, 1929, II, 152) precisava che il millantato credito «offende direttamente la pubblica amministrazione»: va da sé che la dottrina più risalente ritenesse che «soggetto passivo del delitto, pertanto, sia sempre ed esclusivamente la pubblica amministrazione, e non la persona del pubblico ufficiale o impiegato (che può essere anche innominata o immaginaria), né quella di chi ha dato il denaro o altra utilità» (Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, cit., 578).
Altra dottrina, più recentemente, ha individuato un soggetto passivo principale, ovvero la p.a., “nella sua globalità” (e non già i singoli uffici e i titolari di essi), qualificando “soggetto passivo secondario” del reato il “soggetto passivo della condotta”, ovvero il privato che ha dato o promesso denaro o altra utilità al venditore di fumo (Riccio, S., Millantato credito, cit., 695).
Autorevole dottrina, invece, ha evidenziato la sussistenza di una pluralità di soggetti passivi, qualificando coma tali si la p.a. sia la vittima della millanteria: ciò perché la fattispecie è deputata a tutelare in egual modo il prestigio della p.a. e l’interesse patrimoniale del privato vittima del raggiro (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, cit., 398; Santoro, A., Manuale di diritto penale, cit., 366; Petrone, M., Il principio di specialità tra millantato credito e truffa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1963, 158; da ultimo anche Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 400).
Taluno ha specificato che l’art. 346 c.p. tutelerebbe la vittima della millanteria «solo in via riflessa quale parte necessaria del rapporto amministrativo di cui è parte anche la pubblica amministrazione, e non quale titolare di particolari situazioni soggettive di carattere privato» (Tagliarini, F., Millantato credito, cit., 316): il cittadino raggirato risentirebbe un danno non ut privatus, sed ut universus, ovvero come parte del rapporto con la p.a.
Tali opinioni, tuttavia, appaiono non reggere a seguito della nuova visione del privato offerta dall’art. 346 bis c.p., che estende, come già detto, a quest’ultimo la punibilità.
La tesi prevalente in dottrina, centrata sulla monoffensività del reato, volto alla tutela del buon andamento e dell’imparzialità della p.a. (Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling”, cit., 914 ss.; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 309 s.; Semeraro, P., I delitti di millantato credito e traffico di influenza, cit., 45), considera condivisibilmente la p.a. quale unico soggetto passivo del millantato credito (Seminara, S., Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, in Commentario breve al codice penale, a cura di A. Crespi, F. Stella, G. Zuccalà, Padova, 1992, 774).
Un indirizzo giurisprudenziale, anche di recente, ha riconosciuto quale unico soggetto passivo del delitto la p.a., motivando in virtù della natura monoffensiva del reato: il funzionario fatto apparire influenzabile o corruttibile (Cass. pen., sez. VI, ord., 3.12.2002, n. 10662, in Riv. pen., 2004, 116) ed il privato raggirato dal millantamento sarebbero meri soggetti danneggiati dall’illecito.
Le condotte di millantato credito sono disciplinate al primo ed al co. 2 dell’art. 346 c.p.
Per quanto attiene la condotta del co. 1, essa si estrinseca in due tempi: l’autore prima millanterà credito per farsi dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della mediazione presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato, poi conseguirà la ricezione o la pattuizione del prezzo della mediazione.
Due distinti step caratterizzano anche la più grave fattispecie di cui al co. 2 dell’art. 346, il cd. millantato credito corruttivo (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 405), che, tuttavia, si avvicina significativamente, in virtù dell’attitudine ingannatoria del pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, al diverso reato di truffa (sul rapporto tra le due norme si dirà dappresso).
Analizzando compiutamente il tatbestand normativo del capoverso dell’art. 346 c.p., però, ci si avvede che il legislatore ha previsto che, in un primo momento, l’autore del reato, senza millantare alcunché, esterni la richiesta di denaro o di altra utilità con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o del pubblico impiegato (falsa rappresentazione di una corruzione propria) o di doverlo remunerare (falsa rappresentazione di una corruzione impropria).
Solo successivamente tra l’ingannatore e la vittima della frode verrà concluso un «negozio bilaterale illecito» (Manzini, V., Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 579): verrà, cioè, determinato dalle parti un corrispettivo in denaro o altra utilità da destinarsi, nella fraudolenta rappresentazione dell’ingannatore, al funzionario corrotto o accessibile, ma, di fatto, destinato a rimpinguare il patrimonio dell’autore.
Non stupirà, dunque, la qualifica del reato in parola come reato plurisoggettivo improprio o a concorso necessario ovvero reato-contratto, nel quale, tuttavia, pur essendo fondamentale la presenza di un altro soggetto contraente (non punibile), il cd. compratore di fumo, sarà perseguibile penalmente solo la condotta del millantatore, al pari della concussione – e non dell’induzione indebita di cui all’art. 319 quater c.p. – o della truffa (nei quali ugualmente le vittime indotte non sono punibili).
Non si può tacere, in questa sede, l’ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale in merito al dettato del co. 2 dell’art. 346 c.p.
Parte autorevole della dottrina, infatti, ed un risalente indirizzo giurisprudenziale (orientamenti minoritari entrambi: Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, cit., 579; Cass. pen., 19.6.1963, in Giust. pen., 1964, II, 179), hanno ritenuto che essa costituisca una mera circostanza aggravante speciale del delitto, in quanto non altererebbe, nei suoi tratti essenziali, la caratteristica fondamentale della condotta di millantare credito per carpire denaro o altra utilità.
Altro condivisibile indirizzo dottrinario (Riccio, S., Millantato credito, cit., 694; Antolisei, F., Manuale di diritto penale, cit., 400; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 310; Tagliarini, F., Millantato credito, cit., 316) e la giurisprudenza maggioritaria (Cass. pen., sez. VI, 20.2.2006, n. 22248, in Riv. pen., 2007, 683, Cass. pen., sez. VI, 1.7.2002, n. 32341, ivi, 2004, 902, Cass. pen., sez. VI, 19.2.2003, n. 17642, ibidem, 2004, 1256) ritengono, invece, che la previsione di cui al co. 2 integri una autonoma figura di reato: l’inganno nel presentare il pubblico ufficiale come persona corrotta o corruttibile, non richiesta come requisito necessario della condotta descritta al co. 1 dell’art. 346 c.p., connota, invece, il comportamento “pretestuoso” di cui al co. 2, rendendo, peraltro, sottile il confine con la fattispecie della truffa.
È palese, pertanto, la distinzione tra le condotte descritte dal primo e dal co. 2 dell’art. 346 c.p., centrata, altresì, sulla diversa rappresentazione della destinazione del denaro o altra utilità proposta dal millantatore al raggirato: se, per il co. 1, la vittima paga (o promette) il prezzo della mediazione dell’agente presso il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio amico, per il capoverso la vittima paga (o promette) quanto falsamente destinato, a dire del millantatore, a comprare il favore o a remunerare il pubblico funzionario del quale egli promette, contrariamente al vero, la corruzione.
Il delitto, in entrambe le declinazioni, è di carattere commissivo, perpetrabile soltanto con un comportamento positivo (Riccio, S., Millantato credito, cit., 695 s.): la condotta, necessariamente attiva (anche quando il millantamento appare implicito per via di significativi atteggiamenti dell’agente), annovera, nella struttura materiale del reato, diversi momenti di esteriorizzazione.
Come anticipato, parte della dottrina (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 310) evidenzia la struttura bifasica della condotta, in quanto l’attività di millanteria dovrebbe precedere necessariamente il momento della ricezione o della pattuizione.
Altro indirizzo dottrinario (Riccio, S., Millantato credito, cit., 696; Santoro, A., Manuale di diritto penale, cit., 368 s.) sottolinea la sequenza di “eventi multipli e successivi”, l’uno legato all’altro da rapporti di causa ad effetto: il primo “evento” consisterebbe nella percezione della vanteria da parte del raggirato, il secondo nella sua induzione in errore, il terzo nella determinazione della sua volontà a dare o promettere (eventi psichici) e, infine, il quarto nei comportamenti contestuali del dare o promettere della vittima e del ricevere o dell’accettare del millantatore (il cd. evento materiale).
Alla fase preliminare di esternazione della millanteria da parte dell’agente, segue una seconda fase rappresentata dalla pattuizione, tra costui e la vittima, del prezzo della mediazione; consuma il delitto la terza fase in cui il millantatore riceve il denaro o altra utilità o ne accetta la promessa.
“Millantare”, per verità, vuol dire accrescere, amplificare, esagerare, magnificare, ostentare o vantare “a mille”, e cioè in maniera assolutamente ingrandita rispetto alla sua reale consistenza e portata, la propria possibilità di influire sul pubblico funzionario, ma non è detto che la vanteria, per ciò stesso, sia falsa ed il millantatore sia necessariamente un “venditore di fumo” (Rampioni, R., Millantato credito, in Dig. pen., VII, Torino, 1993, 686 s.).
Qualora il credito vantato presso il pubblico ufficiale o il pubblico impiegato per le ragioni più disparate (di parentela, di amicizia, di colleganza o affinità politica, ecc.) sia reale e veritiero, e ricorrano gli altri elementi previsti della fattispecie, potrebbe oggi versarsi, per il principio di specialità, nel diverso reato di nuovo conio di cui all’art. 346 bis c.p.
La dottrina dominante, in uno con la giurisprudenza recente, ritengono che al concetto di millantamento di cui al co. 1 dell’art. 346 c.p. sia «estranea ogni nota di frode od inganno» o di mendacio (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 310; Tagliarini, F., Millantato credito, cit., 318; Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling”, cit., 926), preferendo alla storica ed espressiva locuzione “vendita di fumo”, quella più significativa ed attuale di “traffico di illecite influenze”.
La millanteria deve avere un’univoca direzione soggettiva, cioè riferirsi ad un pubblico ufficiale o ad un pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio, non essendo però necessario che il millantatore indichi il nominativo o la funzione specifica svolta dal pubblico ufficiale ovvero il pubblico servizio reso dal pubblico impiegato su cui dovrebbe esercitare efficacemente la sua influenza; né occorre che siano palesati alla vittima i reali o presunti rapporti intercorrenti con il pubblico funzionario (ragioni, cause o cd. aderenze; sul punto Cass. pen., sez. I, 27.1.2000, n. 2645, in Cass. pen., 2001, 153).
La vanteria della propria efficace influenza, oltre che esplicita, può essere anche implicita: è bastevole, invero, anche la mera richiesta del denaro o altra utilità o riceverne la promessa facendo leva sulla corruttibilità del pubblico funzionario, non richiedendosi particolari modalità esteriori di inganno o raggiro (Cass. pen., sez. VI, 4.3.2003, n. 16255, in Riv. pen., 2004, 257).
Occorre sottolineare che l’iniziativa può partire anche dal privato che, avvicinato il millantatore, ne subisca poi l’effetto delle dichiarazioni tendenziose o comunque suadenti: è irrilevante, perciò, accertare chi dei due soggetti abbia preso l’iniziativa (Cass. pen., sez. VI, 22.2.2005, n. 11441, in Riv. pen., 2006, 357).
La seconda fase della condotta del reato è costituita dalla pattuizione che interviene tra i soggetti interessati, “atto esecutivo” nel corso del quale si mercanteggia e si individua il prezzo della simulata mediazione (Tagliarini, F., Millantato credito, cit., 320; Rampioni, R., Millantato credito, cit., 688 s.).
Oggetto materiale dell’illecito contratto è proprio il denaro o altra utilità, che devono essere consegnati o promessi, come prezzo della mediazione, al millantatore.
Occorre specificare che una mediazione professionale lecita, come l’intervento, sui pubblici funzionari e sulla loro attività, svolto da privati professionisti (avvocati, commercialisti, agronomi ecc.) o da società professionali o da associazioni di categoria, nonché fondato su disposizioni di legge o soltanto sul proprio “credito professionale” (cioè avulso da aderenze personali extraprofessionali), non è penalmente perseguibile.
È, altresì, indifferente l’atto amministrativo oggetto della interferenza millantata: lecito, illecito, illegittimo, conforme o contrario ai doveri del pubblico ufficiale o del pubblico impiegato.
Quanto al momento consumativo del delitto, la condotta si esaurisce con la consegna-ricezione o l’accettazione della promessa del denaro o di altra utilità, anche in modeste quantità (cd. munuscula).
Quanto alla diversa condotta descritta al co. 2 dell’art. 346 c.p., di cui si è già detto supra, giova rammentare che, per unanime opinione dottrinaria (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, cit., 400; Riccio, S., Millantato credito, cit., 694; Fornasari, G., Delitti di corruzione, in Bondi, A.-Di Martino, A.-Fornasari, G., Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004, 399), essa si avvicina significativamente alla truffa poiché si incentra sul “pretesto”, comprensivo di un comportamento di falso e di frode: nel corso della contrattazione del prezzo della mediazione, invero, il millantatore artatamente simula l’intenzione e l’esigenza di dover corrompere il pubblico funzionario e, «celando lo scopo di far proprio il denaro ricevuto» (Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling”, cit., 922), inganna il malcapitato che così accondiscende alla falsa promessa di corruzione.
A differenza della meno grave ipotesi di cui al co. 1 dell’art. 346 c.p., in cui il millantatore si presenta a costui come intermediario “efficacemente” influente presso gli organi pubblici, in questa più grave fattispecie l’agente si palesa alla vittima come strumento di corruzione.
Nel primo caso, infatti, egli discredita i pubblici funzionari facendoli apparire deboli e sensibili alle illecite interferenze e pressioni dei privati, nel secondo li fa credere facilmente corruttibili, mediante un particolare raggiro e una volgare frode tesa al privato, col pretesto di una corruzione che il soggetto non ha nessuna intenzione di intraprendere.
Occorre che nessun contatto sia intervenuto tra il millantatore ed il pubblico funzionario, poiché, altrimenti, si graviterebbe nell’orbita del delitto di corruzione (anche nella nuova formulazione di cui all’art. 318 c.p.) ed il “venditore d’arrosto” risponderebbe, a titolo di concorso, unitamente all’acquirente della mediazione (Cass. pen., sez. VI, 27.5.1997, in Riv. pen., 1997, 718).
E, per contro, se l’agente si fa dare o promettere il denaro o altra utilità col sincero proposito di tentare di corrompere il funzionario senza che ciò poi accada, egli non sarà punibile ai sensi dell’art. 346, co. 2, c.p. (Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling” cit., 933; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 313).
Da ultimo giova rammentare che un condivisibile indirizzo dottrinario e giurisprudenziale ritiene che la millanteria non sia elemento costitutivo del reato: sarebbe bastevole che l’agente si presenti al raggirato come mezzo di corruzione.
Il millantato credito è un delitto doloso in entrambe le fattispecie previste all’art. 346 c.p.
Il dolo è generico, anche nelle forme del dolo eventuale, e consiste nella coscienza e volontà di millantare la propria efficace influenza sul pubblico funzionario e, in particolare, nella consapevolezza e intenzione di ricevere o di accettare in promessa il denaro o altra utilità come prezzo della mediazione o come mezzo per corromperlo.
Il millantato credito si consuma, per entrambe le fattispecie previste all’art. 346 c.p., nel momento in cui il soggetto attivo riceve dal privato, per sé o per altri, il denaro o altra utilità o ne accetta la promessa.
Non occorre, a tal fine, che la promessa di denaro o di altra utilità sia nell’occasione precisata in una determinata somma o in una certa specie, sempre che la mediazione non sia gratuita (Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, cit., 586).
Non è, inoltre, necessario che il millantatore espleti un effettivo intervento sul pubblico ufficiale o sul pubblico impiegato.
È configurabile per ambedue le ipotesi delittuose il tentativo (Cass. pen., sez. VI, 12.1.2005, n. 9057, in Guida dir., 2005, fasc. 18, 88).
Occorre in primo luogo ribadire che il pubblico ufficiale o il pubblico impiegato, presso il quale si vende fumo d’aver credito, non possa mai assumere la veste di concorrente nel millantato credito, in quanto un’eventuale condotta consapevolmente collaborante con il millantatore varrebbe a far mutare la qualificazione del fatto delittuoso da millantato credito a corruzione o concussione o induzione indebita a dare o promettere utilità.
Né, tantomeno, è concorrente il privato vittima della millanteria.
La compartecipazione eventuale di terze persone nel delitto in parola, a titolo di concorso morale, implica necessariamente che il compartecipe abbia la consapevolezza che la propria azione rafforzi la credibilità nella possibilità dell’influenza o del favore illeciti, pur sapendo che il rapporto con il pubblico funzionario non esiste; e ciò anche a prescindere dal fine di trarne una utilità in proprio (Cass. pen., sez. VI, 16.1.2009, n. 14196).
In virtù di quanto sin qui detto, non stupisce che il rapporto intercorrente tra il delitto di millantato credito e quello di truffa abbia dato vita ad un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinario.
Da una parte, infatti, si ritiene ammissibile (Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, cit., 588; Riccio, S., I delitti contro la P.A., cit., 586 ss.; Tagliarini, F., Millantato credito, cit., 328; Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling” cit., 936; De Angelis, P., Millantato credito, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; Cass. pen., sez. VI, 23.4.2008, n. 35340; Cass. pen., sez. VI, 24.2.2004, n. 19647, in Riv. pen., 2005, 1254) l’ipotesi di concorso formale di reati.
Si ritiene, per precisione, che i due reati siano caratterizzati da diversa oggettività giuridica e differenti soggetti passivi.
Mentre la truffa è un delitto contro il patrimonio che offende il privato indotto in errore, il millantato credito, invece, lede interessi pubblicistici e vede, come parte offesa, la p.a. (in via esclusiva secondo l’indirizzo che ne sostiene la monoffensività o, comunque, in via prevalente, per chi ne attesta la plurioffensività).
La truffa richiede, ancora, gli artifici e raggiri e l’effettivo perseguimento di un ingiusto profitto; il millantato credito, invece, non presuppone necessariamente la frode, l’inganno o la falsità.
Il profitto, infine, potrebbe non esserci (nel caso della mera promessa) ed il compratore di fumo potrebbe non subire alcun danno patrimoniale.
Altra dottrina (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 313; Mantovani, F., Diritto penale, cit., 470, nt. 90; Romano, M., Delitti contro la Pubblica Amministrazione, i delitti dei privati, le qualifiche soggettive pubblicistiche, Artt. 336-360 cod. pen., in Commentario sitematico, II ed., Milano, 2002, 123; Petrone, M., Il principio di specialità tra millantato credito e truffa, cit., 154; Punzo, M., Truffa e millantato credito: concorso di reato o concorso apparente di norme, in Giust. pen., 1935, II, 661 ss.; Seminara, S., Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, cit., 997; Rampioni, R., Millantato credito, cit., 690) e recenti pronunce giurisprudenziali (Cass. pen., sez. VI, 7.6.2006, n. 30150, in Riv. pen, 2007, 9, 931; Cass. pen., sez. VI, 4.5.2001/17.5.2001, n. 20105, in Giur. it., 2003, 343) propugnano la tesi del concorso apparente di norme e dell’assorbimento della truffa nel millantato credito in virtù dell’omogeneo disvalore penalistico.
Giustificano tale interpretazione con il principio di specialità ai sensi dell’art. 15 c.p., con il principio di specialità in concreto, o, infine, con il principio generale del ne bis in idem sostanziale.
Non si può tacere, per altro verso, il ritenuto concorso apparente di norme con il reato di corruzione nell’ipotesi in cui l’agente, dopo aver ricevuto il denaro o la promessa, sviluppi anche una attività corruttiva (Cass. pen., sez. VI, 2.4.1997, n. 4915, in Riv. pen., 1997, 718).
Giurisprudenza e dottrina hanno, in conclusione, affrontato anche il tema del concorso di reati tra l’art. 346 c.p. e l’art. 382 c.p.
Se l’agente è un avvocato e la millanteria si riferisce ad un magistrato, un testimone, un perito od interprete, sarà configurabile unicamente il reato di millantato credito del patrocinatore trattandosi di titolo specifico di reato (Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, cit., 589, Antolisei, F., Manuale di diritto penale, cit., 402).
Art. 346 c.p.
Antolisei, F., Manuale di diritto penale, pt. spec., II, Milano, 2003; Carrara, F., Programma del corso di diritto criminale. Parte speciale, V, Pisa, 1905, § 2591; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, pt. spec., I, Bologna, 2001; Fornasari, G., Delitti di corruzione, in Bondi, A.-Di Martino, A.-Fornasari, G., Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004; Leone, G., Punti fermi e punti in discussione della prossima riforma del codice penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966; Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, Dei delitti contro la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giustizia, Torino, 1981; Mantovani, F., Diritto penale, pt. gen., Padova, 2001; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2000; Pedrazzi, C., Millantato credito, “trafic d’influence”, “influence peddling”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968; Petrone, M., Il principio di specialità tra millantato credito e truffa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1963; Punzo, M., Truffa e millantato credito: concorso di reato o concorso apparente di norme, in Giust. pen.,1935, II; Rampioni, R., Millantato credito, in Dig. pen., VII, Torino, 1993; Riccio, S., I delitti contro la P.A., Torino, 1955; Riccio, S., Millantato credito, in Nss. D.I., X, Torino, 1964; Santoro, A., Manuale di diritto penale, II, Torino, 1962; Seminara, S., Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, in Commentario breve al codice penale, a cura di A. Crespi, F. Stella, G. Zuccalà, Padova, 1992; Seminara, S., La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema giuridico e culturale, in Dir. pen e processo, 2012, 1235; Semeraro, P., I delitti di millantato credito e traffico di influenza, Milano, 2000; Tagliarini, F., Millantato credito, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976.