Mille giorni per Renzi
Dalle primarie del 2013 alla riforma del lavoro: un anno di strategie, di affermazioni, di annunci e di colpi di fortuna per il premier più giovane della storia d’Italia, che ha bruciato le tappe nelle paludi della politica italiana. Ma non riesce a far ‘cambiare verso’ ad Angela Merkel.
Il 2014 è stato senza dubbio l’anno in cui il renzismo, inteso come declinazione culturale delle attitudini politiche dell’attuale presidente del Consiglio, ha mostrato nel bene e nel male la sua natura più cristallina. Dicesi renzismo quella particolare miscela di populismo democratico temperato da uno slancio riformista che surfa ogni giorno tra dinamismo acuto, rivoluzione simbolica, propaganda pura, innovazione politica, disintermediazione esasperata e spregiudicata ricerca del consenso.
Il 2014 è stato l’anno in cui l’ex sindaco di Firenze è riuscito a capitalizzare in appena 2 mesi la forza che gli è derivata dall’investitura popolare delle primarie del dicembre 2013. A febbraio, il 22, Renzi giura come nuovo presidente del Consiglio e diventa il più giovane premier della storia d’Italia (39 anni), il quarto ad arrivare a Palazzo Chigi senza essere stato parlamentare. Forma il governo più giovane (47 anni di media) e più snello (16 ministri) della storia repubblicana (solo De Gasperi, nel 1947, scelse un numero inferiore di ministri: 15) e succede a Enrico Letta – ex vicesegretario del PD, al quale Renzi aveva chiesto di stare sereno, il 17 gennaio, perché nessuno aveva intenzione di prendere il suo posto – con una mossa spregiudicata ma forse inevitabile: il 13 febbraio la direzione del PD (136 sì, 16 no e 2 astenuti) accetta la proposta di Renzi e la sua autocandidatura («Vi chiedo tutti insieme di uscire dalla palude»); Letta poche ore dopo deciderà di dimettersi e 4 giorni dopo il presidente della Repubblica offrirà al segretario del PD (primo esponente del PD a essere contemporaneamente segretario e presidente del Consiglio) il compito di formare un nuovo governo. La data chiave per capire come Renzi è riuscito ad arrivare in un lampo a Palazzo Chigi è però quella del 18 gennaio 2014. È una data storica: Renzi ospita nella sede del PD, a largo del Nazareno, a Roma, il capo di Forza Italia, il ‘Caimano’, Silvio Berlusconi, per stringere un patto finalizzato a portare a termine alcune riforme cruciali (titolo V della Costituzione, trasformazione del Senato in camera delle autonomie senza elezione diretta dei senatori, riforma della legge elettorale). La novità politica è doppia: da un lato Renzi prova a dimostrare a Napolitano di avere la possibilità di coinvolgere nel processo di riforme un soggetto politico in più rispetto a Letta; dall’altro lato Renzi prova a dimostrare al suo elettorato che ospitare Berlusconi nella sede del PD non è un modo per accogliere le idee del nemico ma è un modo per accogliere gli elettori di Forza Italia.
Entrambi i piani funzioneranno.
Renzi arriva a Palazzo Chigi.
Promette una riforma al mese (poi le cose non andranno così), riesce a far approvare alla Camera prima delle elezioni europee una nuova legge elettorale (l’Italicum, il 12 marzo 2014, legge elettorale ultra maggioritaria, con doppio turno, liste bloccate; dopo il voto avrebbe fatto invece seguito la riforma costituzionale, con prima lettura al Senato l’8 agosto) e si prepara alle elezioni europee. Tira fuori dal cilindro un provvedimento che avrà molto successo sul piano mediatico (80 euro in busta paga ai lavoratori che guadagnano meno di 1500 euro al mese) e meno sul piano economico (i consumi non saliranno nei successivi trimestri e chissà quando si riprenderanno). Si presenta alle europee e ottiene un risultato storico: 40,8 %, miglior risultato della storia per un partito di centrosinistra in Italia, unico partito di governo a guadagnare forti consensi in Europa rispetto alle precedenti elezioni, unico partito di sinistra in grado di respingere l’ondata dei movimenti anti euro e primo partito europeo per numero di votanti (11 milioni il PD, 10 milioni la CDU). Il successo europeo permette a Renzi di cancellare il suo peccato originale (essere arrivato al governo senza passare per le elezioni), di sgonfiare con un ago il palloncino del Movimento 5 Stelle (che dalle elezioni europee in poi non riuscirà più a trovare una sua dimensione) e di ottenere un obiettivo importante dal punto di vista simbolico: la nomina di Federica Mogherini, ministro degli Esteri del governo, ad alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Nomina che ha un forte impatto dal punto di vista simbolico, ma che non ha alcuna ricaduta diretta rispetto al tema centrale della nuova Europa e del nuovo Parlamento: è possibile introdurre dei meccanismi utili a superare il regime dell’austerità? I simboli sono importanti ma i soldi da spendere per far ripartire l’economia lo sono ancora di più. In Europa, dove i socialisti hanno incassato 8 commissari su 28 e dove per questo la guida della Commissione europea è andata a un conservatore (Jean-Claude Juncker), il presidente del Consiglio non riesce, come si dice, a far cambiare verso ad Angela Merkel e per questo, forte anche del suo status di presidente di turno del semestre europeo, si affida alle triangolazioni via via sempre più frequenti con il presidente della BCE Mario Draghi. Problema: cosa può fare l’Italia per guadagnarsi la fiducia dell’Europa e aiutare la BCE a sbloccare il suo programma di acquisto diretto dei titoli di Stato?
Il 13 agosto Draghi e Renzi si incontrano in Umbria a Città della Pieve, dove Draghi incoraggia Renzi sulla necessità di presentare una riforma del lavoro da urlo.
Renzi accetta il consiglio. Il 16 settembre si presenta alla Camera per illustrare il programma di legislatura. Lo chiama ‘Mille giorni’. Annuncia che nella riforma del lavoro farà una cosa che nessun leader di sinistra aveva mai avuto la forza di fare: contratto unico a tutele crescenti e abolizione dell’articolo 18. Sviene la sinistra del PD, svengono i sindacati.
Il 29 settembre Renzi porta la sua proposta in direzione al PD.
Il 9 ottobre il testo arriva al Senato.
Piccole mediazioni, proposta approvata: nuova sinistra tra mille caroselli, vecchia sinistra in tilt.
Renzi esulta. Parla di mille giorni.
Ma chissà alla fine quanto davvero durerà.