mille [plur. mila, milia]
È concepito da D. quale simbolo del moto accrescitivo, poiché le cifre ad esso superiori si designano con i suoi multipli: Cv II XIV 4 mille significa lo movimento del crescere; ché in nome, cioè questo ‛ mille ', è lo maggiore numero, e più crescere non si può se non questo multiplicando (si veda la nota di Busnelli-Vandelli, che ricordano fra l'altro la testimonianza del Villani circa la scarsa diffusione, ai tempi di D., del termine ‛ milione '). Ricorre con grande frequenza nell'opera di D., che raramente se ne avvale in senso determinato (cfr. Cv I IX 2, II XIV 2, due volte, IV XIII 3, due volte; If XXI 113; Pd XI 65 millecent'anni e più... / si stette), assumendolo, per lo più, in espressioni di valore indeterminato, e spesso iperbolico, per significare " molti " o " moltissimi ".
Tale uso trova ampio sviluppo nella Commedia, soprattutto quando il poeta riferisce il numero delle creature che popolano i mondi del suo mistico viaggio. La voce, quasi sempre rafforzata dall'avverbio ‛ più ', ricorre in If V 67 più di mille / ombre [di lussuriosi] mostrommi; VIII 82 Io vidi più di mille [diavoli] in su le porte; Pd V 103 vid'io ben più di mille splendori (i beati nel cielo di Mercurio). Cfr. ancora Rime LVIII 13; If IX 79, X 118, XVI 102, XX 64, XXVI 66, XXXI 118, XXXII 70, Pg VII 80, XVII 15, XXI 96, XXXI 118, Pd XVIII 103, XIX 80, XXVI 78, XXX 113, XXXI 131; Fiore XLI 5, CLX 5, CCXXII 5. La locuzione mille passi (non necessariamente " un miglio ") è in Cv I XI 9, Pg III 68 e XXIV 131; mille fiate, in If XXXII 102; mille volte, in Pd IV 78. Si noti anche l'espressione mille anni, che D. usa, per lo più, secondo il consueto valore indeterminato (cfr. Cv I V 9) e che ricorre, secondo i significati antitetici di " spazio temporale estremamente breve " (in rapporto all'eternità) e " periodo estremamente lungo ", rispettivamente in Pg XI 106 e XIV 65 (cfr. anche XXVII 26). Frequenti sono poi locuzioni del tipo mille e mille (Cv IV XI 13), o a mille a mille (in If XII 73), sempre per esprimere un numero grande, ma indeterminato; cfr. anche Fiore CCXXXII 10 mille e mille volte.
Di controversa interpretazione il passo di Rime CIII 73: il poeta dice che, se Amore infierisse contro di lui con le sue sferzate, egli se ne vendicherebbe di più di mille. L'espressione (m. è sostantivato, per ellissi del sostantivo) non va interpretata nel senso di " assai di più ", o " mille volte di più ", ma dev'essere integrata, sottintendendo " sferzate " e attribuendo al primo di valore strumentale (" con più di mille sferzate ": cfr. Barbi-Pernicone; così anche Contini).
Il plurale milia è latinismo ampiamente diffuso in tutta l'Italia centrale durante il periodo compreso fra i sec. XIII e XV. È la forma antica del moderno ‛ mila ' (le cui prime testimonianze sono documentate a Firenze nella seconda metà del Trecento), plurale di mille. Cfr. infatti dumilia (Cv IV XI 8), tremilia (II VI 10), cinquemilia (Pg XXXIII 62), semilia (Cv IV VIII 7) e seimilia (Pd XXX 1); ma anche dumila (Cv III V 9), settemila (§ 10), e diecimila (§ 11). Per alternanza -mila / -milia vedi anche Cv II XIII 11 sei milia (cfr. IV VIII 7, citato) IV VIII 7 trentacinque milia, e If XXVI 112 cento milia. La voce occorre anche in Fiore XCVI 1 e CXLIX 5.
Bibl. - N. Zingarelli, in " Studj di Filologia Romanza " I (1884) 36; B. Bianchi, in " Archivio Glottologico Italiano " XIII (1893) 217-220; per Pg III 68: F. D'Ovidio, in " Studi d. " II (1920) 90-92; Parodi, Lingua 251; Castellani, Nuovi testi 136-139.