MILLENARISMO (da millenario; anche chiliasmo, ted. Chiliasmus, dal gr. χιλία [ἔτη]; ingl. millenarianism)
È propriamente la credenza nel millennio, cioè nel regno glorioso e temporale di Cristo prima del giudizio finale e, secondo la maggior parte dei computi, destinato a durare mille anni. Le origini di questa credenza sono da cercare nel messianismo giudaico e specialmente nelle raffigurazioni dell'età messianica, di cui è ricca la letteratura apocalittica (v. apocalittica, letteratura; messianismo). In esse alla felicità del regno messianico sono chiamati a partecipare anche i giusti già morti, e risuscitati a questo scopo; mentre alla fine del regno messianico, cioè (secondo lo schema più comune) dopo annientate le forze dei pagani e del male mosse all'ultimo assalto, si avrà la risurrezione generale e il giudizio finale di Dio. Il millenarismo è dunque legato intimamente, non solo con la fede giudaica nell'avvento del Messia o con quella cristiana nel ritorno glorioso di Cristo, non solo con la fede comune alle due religioni nella risurrezione dei corpi; ma con la credenza in un regno messianico distinto dalla beatitudine celeste e specialmente con quella in una doppia risurrezione. Questi ultimi due elementi sono quelli che servono a caratterizzare il millenarismo vero e proprio: la semplice attesa, anche a breve scadenza, della fine e della parusia non si può senz'altro identificare con esso.
Questa credenza fu molto diffusa tra i cristiani dei primi secoli, e così profondamente radicata, che ad alcuni di essi apparve un dogma vero e proprio e che taluni storici moderni la considerarono un elemento essenziale della fede cristiana dei primi tempi. L'Apocalisse canonica (c. XX) parla di una prima sconfitta di Satana, legato per mille anni, durante i quali i giusti, risorti con la prima risurrezione, regnano con Cristo, fino al nuovo assalto di Gog e Magog, alla sconfitta definitiva delle potenze demoniache, al giudizio finale e alla discesa dal cielo della nuova Gerusalemme. Inteso in un senso strettamente letterale, questo passo contiene gli elementi essenziali del millenarismo e contribuì potentemente a farlo ritenere dottrina rivelata: tanto che troviamo credenze millenaristiche in uno scritto, l'Epistola di Barnaba, accolto qua e là per un certo tempo come canonico, in Giustino martire e, in forma particolarmente viva, in quei circoli cristiani dell'Asia Minore, le cui speranze ingenue e un po' grossolane sono riecheggiate in un celebre frammento di Papia di Ierapoli, che descrisse la straordinaria fecondità del suolo durante il regno millenario. A questa stessa tradizione si riannoda Sant'Ireneo che alla gnosi - la quale avversò e l'escatologia realistica e, pertanto, il millenarismo - oppose la sua Confutazione, riaffermando la fede e nella risurrezione corporea e nel regno millenario dei giusti. E sempre dall'Asia Minore si diffuse, nel sec. II, la predicazione entusiastica del montanismo, che a sua volta, insieme con l'avversione alla gnosi e a Marcione, doveva accrescere in Tertulliano il desiderio di difendere l'escatologia realistica e il millenarismo. Quale sostegno a questi dessero il montanismo e, più ancora, l'autorità dell'Apocalisse, appare dal fatto che contro la "nuova profezia" il prete romano Gaio scrisse un dialogo contro Proclo (capo dei montanisti romani), in cui negava il carattere ispirato dell'Apocalisse medesima, sostenendo che fosse non opera dell'apostolo Giovanni, bensì del suo avversario, l'eretico Cerinto, di cui Gaio fa l'iniziatore del millenarismo, in una forma estremamente grossolana e materialistica. Contro Gaio, Ippolito che già aveva manifestato il suo millenarismo nel commento a Daniele, scrisse dei capitoli, nei quali tuttavia tale credenza appare attenuata e dissimulata: evoluzione analoga a quella che la Dimostrazione della tradizione apostolica ci fa arguire in Ireneo. Quanto poi a Cerinto, la tradizione che lo accomuna a Simon Mago e alla gnosi tenderebbe a farci escludere l'attendibilità della notizia di Gaio, su cui si fonda la tradizione che ne fa un giudaizzante. Infatti le affermazioni di Gaio sono ripetute in forma più attenuata da Dionisio vescovo di Alessandria, il quale scrisse un libro Intorno alle promesse per confutare Nepote (e poi il suo successore Coracio), vescovo egiziano probabilmente di Arsinoe, millenarista e autore di una Confutazione degli allegoristi, nella quale combatteva Origene. Fu questi, nel sec. III, il più fiero avversario del millenarismo, sostenendo un'escatologia tutta spiritualistica e l'interpretazione allegorica della Bibbia. Discepolo di Origene, Dionisio non attribuisce tuttavia più l'Apocaisse a Cerinto né respinge, come gli Alogi, anche il Vangelo giovanneo; bensì distingue quest'ultimo dalla prima, di cui fa autore non l'apostolo, ma un omonimo, morto anch'egli in Efeso.
La storia del millenarismo coincide dunque in gran parte con quella dell'esegesi e dell'ammissione nel canone dell'Apocalisse. Alla quale è ostile in maniera più o meno velata anche Eusebio di Cesarea, cui dobbiamo la maggior parte di queste notizie. Ma, per combattere il millenarismo, Eusebio fece anche più; egli cioè corresse nella sua Cronaca, iniziandola con la nascita di Abramo, il computo della sua fonte, cioè della Cronografia di Giulio Africano, il quale aveva posto la nascita di Cristo alla metà del VI millennio (5500) dalla creazione. Lo stesso computo si ritrova nel Commento a Daniele di Ippolito ed è fondato sull'interpretazione simbolica dei sei giorni della creazione, che rappresenterebbero l'opera divina della conservazione del mondo, cui segue il settimo di riposo, cioè il millennio: perché, per Dio, "mille anni sono come un giorno" (cfr. Salmo XC [Vulgata LXXXIX], 4). Così il millenarismo, che non si può identificare senz'altro con la fede degl'indotti, ma fu senza dubbio più diffuso tra i ceti umili, diede anche un impulso alla cronografia, onde si sviluppò la storiografia ecclesiastica.
Un colpo non meno forte di quello assestatogli da Origene subì il millenarismo in Oriente con la conversione di Costantino e l'adesione data al cristianesimo dall'impero. Di questa nuova situazione è manifestazione anche l'atteggiamento di Eusebio. La fede nel millenarismo che aveva tanto contribuito ad alimentare la resistenza delle masse cristiane durante le persecuzioni, aveva ormai perduto una almeno delle sue ragioni d'essere. Un'altra le doveva essere sottratta ben presto. Infatti, se in Oriente ne troviamo ancora un'eco (benché alquanto affievolita) in Metodio d'Olimpo e in Apollinare di Laodicea (la condanna del quale contribuì ancora ad aumentare i sospetti); se in Occidente il sogno millenarista arrise a Commodiano e a Lattanzio, a Vittorino di Pettau e a Sulpicio Severo, e forse anche a S. Ambrogio che si mostra ancora esitante in proposito, esso tra la fine del sec. IV e l'inizio del V scompare quasi completamente; San Girolamo lo ripudia decisamente e nemmeno la reazione antiorigeniana valse a riacquistargli credito. Il colpo di grazia al millenarismo fu dato da S. Agostino, il quale dopo avere per un certo tempo aderito a questa credenza, sulle orme di Ticonio diede del c. XX dell'Apocalisse un'interpretazione spirituale: i mille anni rappresentano un numero simbolico del tempo durante il quale è possibile compiere la prima risurrezione, che consiste nella remissione dei peccati, sino al giudizio finale: quella che regna con Cristo ora, in questo millennio, è la Chiesa, nei suoi vivi e nei suoi morti.
Da allora, il millenarismo, anche se non scompare interamente, cessa tuttavia di essere una fede veramente viva rimanendo, al più, confinato nel chiuso ambito di sette e conventicole. Ché non si può, a rigore, parlare di un vero e proprio millenarismo a proposito della terza età, dello Spirito, profetata da Gioacchino da Fiore o da altri apocalittisti mistici del Medioevo.
L'attesa dell'imminente fine del mondo fu diffusa e portò seco la credenza nel regno millenario, in alcuni ambienti di entusiasti al tempo della Riforma e, dopo di essa, nelle confessioni riformate, specie dal sec. XVII in poi, stante il turbamento spirituale provocato dalla guerra dei Trent'anni, dalle rivoluzioni inglesi, dalle persecuzioni dei riformati francesi. Così, più o meno millenaristi furono, per es., P. Jurieu, P. Poiret e Antoinette Bourignon; in Inghilterra John Napier, Joseph Mede (Clavis Apocalypsis, 1627), Th. Burnet, Jane Leade, W. Whiston e lo stesso Newton. Nella Germania, dove il millenarismo era stato considerato eretico dalla confessione di Augusta e dalla Confessio helvetica, esso risorse, anche in seguito a influssi inglesi, tra i pietisti, ad opera soprattutto dei seguaci del Weigel, che in tal senso interpretarono le dottrine del maestro: specialmente, tra essi, W. Petersen (Wahrheit des herrlichen Reiches Jesu Christi, 1693). Nel corso del sec. XVIII e del XIX, le idee millenaristiche ebbero pure una certa diffusione nelle sette entusiastiche sorte soprattutto in Inghilterra, ad opera specialmente di E. Irving e J. N. Darby; in America, specialmente con gli Snaker, fondati da Ann Lee, emigrata nel nuovo mondo nel 1774 e poi con i Mormoni; e anche in Germania, con la setta degli Amici del Tempio, o Popolo di Dio, fondata da Christoph Hoffmann; nella Scandinavia, e poi nel mondo anglosassone, con i seguaci dello Swedenborg. Né, in tutti i tempi e in tutte le confessioni cristiane, sono mancati più o meno ingenui e indotti esegeti dell'Apocalisse.
Teologicamente, il millenarismo proprio, che non è stato mai condannato esplicitamente, non viene considerato come un'eresia in senso tecnico, bensì come un errore.
Bibl.: Per la chiesa antica, oltre le voci relative ai diversi autori citati e i trattati generali di storia del dogma (v. dogma), v.: L. Gry, Le millénarisme, Parigi 1904; E. Buonaiuti, Saggi sul cristian. primit., Città di Castello-Roma 1923, p. 212 segg. (Il tramonto del millenar. nella Chiesa d'Oriente). Per il periodo moderno, v.: avventisti, mormoni; ecc., inoltre: Chiliasmus, in Realencyklopädie f. protest. Theol. und Kirche, III, Lipsia 1897, pp. 805-817.