MIMETISMO (XXIII, p. 338)
Le conoscenze sull'origine, l'evoluzione e il significato biologico del m. si sono grandemente accresciute negli ultimi trent'anni, da quando cioè questo fenomeno ha cominciato a essere oggetto di ricerthe sperimentali sia in natura che in laboratorio. In particolare i genetisti hanno chiarito il determinismo genetico di numerosi caratteri mimetici, hanno dimostrato l'esistenza e il ruolo dei supergeni nell'evoluzione del m. e hanno spiegato il significato adattativo di vari polimorfismi implicanti selezione disruptiva o vantaggio dell'eterozigote. I biochimici hanno affrontato con successo lo studio delle basi chimiche dell'inappetibilità di molte specie mimetiche e i rapporti tra queste e le piante tossiche di cui si nutrono. Gli ecologi hanno studiato i fenomeni di predazione differenziale sia in natura che in laboratorio, dimostrando l'esistenza di pressioni selettive molto maggiori di quelle un tempo ipotizzate. Gli etologi hanno analizzato i comportamenti altamente specializzati di specie criptiche, aposematiche e pseudoaposematiche. L'insieme di queste ricerche non solo ha permesso di dimostrare la fallacia sia delle interpretazioni non adattative del m., sia di quelle di tipo lamarckiano, che fino a non molti anni or sono avevano numerosi e convinti sostenitori, ma ha fornito anche ai biologi alcuni degli esempi più dimostrativi e delle prove più convincenti del ruolo fondamentale della selezione naturale nell'evoluzione biologica.
I casi più noti si riferiscono al m. criptico. Tra questi il più classico è senza dubbio il caso del melanismo industriale, particolarmente studiato nella farfalla Biston betularia. Questa specie ad attività notturna presenta una colorazione grigia con macchiette più scure che si armonizza perfettamente con quella dei tronchi e dei rami degli alberi, prevalentemente coperti di licheni, su cui essa sta posata durante il giorno. Oltre alla forma tipica ne esiste un'altra melanica, detta varietà carbonaria, di colore scuro, quasi nero. Dalle raccolte eseguite dagli entomologi nel secolo scorso risulta che fino alla metà dell'Ottocento esisteva praticamente soltanto la forma tipica. A quell'epoca comparve con una certa frequenza nei dintorni di Manchester la forma carbonaria che in seguito si diffuse in numerose aree industriali dell'Inghilterra sostituerido quasi completamente la forma tipica. Poiché l'industrializzazione comporta la contaminazione atmosferica con scorie di carbone e altre sostanze che provocano l'annerimento dei tronchi e del fogliame degli alberi, la causa del fenomeno fu in un primo tempo attribuita a un'azione diretta dell'ambiente sull'organismo. Secondo questa ipotesi l'inquinamento dell'aria avrebbe modificato alcuni processi fisiologici della farfalla in modo da provocare una produzione anomala di melanina, il pigmento che determina la colorazione nerastra della forma carbonaria. Quando questa spiegazione risultò falsa e fu dimostrato che la forma melanica di Biston betularia era il risultato di una mutazione genica, si suppose che alcune sostanze contenute nella fuliggine, depositata sulle foglie di cui le larve di questa specie si nutrono, aumentassero il tasso di mutazione e che da ciò derivasse un numero molto elevato di forme geneticamente nere. Ma anche questa ipotesi non resisté al vaglio di un'accurata analisi sperimentale.
J. B. S. Haldane, R. A. Fisher ed E. B. Ford sostennero un'ipotesi del tutto diversa, che cioè individui melanici, originatisi in seguito a mutazione casuale, fossero favoriti dalla selezione naturale in quanto, risultando meglio mimetizzati rispetto alla forma tipica nelle regioni industrializzate, ove i tronchi degli alberi sono anneriti dalla fuliggine e mancano i licheni, più facilmente potevano sfuggire alla vista dei predatori. In particolare Haldane in base al tasso di diffusione della forma melanica nella zona di Manchester tra la metà e la fine dell'Ottocento calcolò che la forma melanica doveva godere di almeno 30% di probabilità di sopravvivenza in più rispetto alla forma tipica. La dimostrazione che gl'individui della forma tipica e quelli della forma melanica sono soggetti a predazione differenziale, dipendente dal grado d'inquinamento atmosferico della regione in cui vivono, fu ottenuta da H. B. D. Kettlewell sia mediante osservazione diretta che con esperimenti condotti con la tecnica del marcaggio e della ricattura. In particolare egli dimostrò che le farfalle poste su fondo omocromo sono molto meno soggette alla predazione da parte degli uccelli insettivori di quelle poste su fondo eterocromo. Nei distretti industriali la selezione naturale opera pertanto a favore della forma melanica; in quelli non industrializzati, invece, a favore della forma tipica. Questa interpretazione è stata recentemente confermata da osservazioni condotte in varie zone dell'Inghilterra in cui sono state attuate misure legislative contro l'inquinamento atmosferico. In seguito a tali provvedimenti a Birmingham, Manchester, Liverpool, Londra e in altre aree dell'Inghilterra gli alberi sono ritornati più chiari e sulle cortecce sono ricomparsi abbondanti i licheni. In tali località la frequenza della forma melanica ha cominciato ad abbassarsi, mentre è aumentata la frequenza della forma tipica.
Biston betularia è stata probabilmente la prima specie in cui il melanismo si è evoluto come adattamento all'annerimento dell'ambiente provocato dall'inquinamento atmosferico. Molte altre specie hanno subito un'analoga evoluzione sia in Inghilterra sia in altri paesi, particolarmente nelle aree industriali del nord America e dell'Europa continentale. Limitatamente all'Inghilterra vi sono attualmente più di cento specie di farfalle che presentano il fenomeno del melanismo industriale, generalmente allo stato adulto, come in Biston betularia, ma in alcuni casi anche allo stadio di bruco. Le ricerche condotte in questi ultimi anni sia su Biston betularia che su altre specie con melanismo industriale hanno rivelato che l'evoluzione di questo adattamento è assai più complessa di quanto si ritenesse in passato. In particolare la selezione naturale non sembra aver agito su un'unica coppia genica, facendo variare la frequenza di un allele rispetto all'altro, ma su un complesso di geni che influenzano non solo la colorazione dell'insetto, ma anche il suo comportamento. È stato, infatti, dimostrato in varie specie che le forme chiare si posano di preferenza su substrati chiari e le forme scure su substrati scuri. Inoltre in molte specie esistono più forme melaniche, con gradi diversi di annerimento. Man mano che nell'ambiente il tasso d'inquinamento atmosferico diviene più elevato le forme meno scure vengono gradualmente rimpiazzate da forme più scure. Questo adeguamento del grado di melanizzazione dell'organismo rispetto a quello del substrato può realizzarsi attraverso due meccanismi genetici distinti. Il primo meccanismo è legato alla presenza di più alleli, a ciascuno dei quali corrispondono gradi diversi di melanizzazione e (almeno in alcuni casi) livelli diversi di dominanza rispetto all'allele della forma tipica. Il secondo meccanismo è legato alla presenza nel pool genico delle varie popolazioni di geni modificatori, generalmente dominanti, che aumentano il grado di melanizzazione degl'individui attraverso l'eliminazione delle residue zone chiare. Questi due meccanismi coesistono non di rado nella medesima specie, partecipando entrambi all'evoluzione del melanismo industriale.
Un altro caso di m. criptico in cui il ruolo della selezione naturale è stato bene analizzato è quello della chiocciola Cepaea nemoralis. Questa specie presenta un polimorfismo cromatico molto accentuato. Il colore di fondo della conchiglia può essere giallo, rosa o bruno e su di esso spicca un disegno consistente in fasce scure longitudinali in numero variabile, talora del tutto assenti. P. M. Sheppard ha dimostrato che le frequenze delle varie forme sono diverse nei diversi ambienti. Così nei boschi predominano le forme rosa o brune senza fasce, mentre nei prati e tra i cespugli predominano le forme gialle con fasce. La forma predominante è di regola quella che meglio si dissimula sul substrato. Alla base di questo fenomeno vi è la predazione selettiva operata dai tordi, come si può constatare contando le conchiglie rotte appartenenti alle varie forme raccolte presso le "incudini dei tordi", cioè le pietre su cui questi uccelli spezzano le conchiglie degl'individui catturati per cibarsene. In ogni località sono più frequenti gl'individui uccisi la cui conchigìia presenta un disegno e una colorazione diversa da quella del substrato. La selezione opera pertanto in Cepaea nemoralis con lo stesso mezzo e nella medesima direzione che nel melanismo industriale.
Non meno ricco di risultati è stato lo studio dell'evoluzione del m. batesiano, condotto soprattutto in specie del genere Papilio. I complessi mimetici batesiani sono costituiti, nella loro forma più semplice, da due specie diverse, dette rispettivamente modello e mimo. Il modello è incommestibile almeno per una parte dei potenziali predatori e questi imparano a evitarlo associando l'incommestibilità a certe sue caratteristiche (per es. una determinata colorazione, oppure l'emissione di suoni od odori particolari). Il mimo è invece commestibile per i predatori, ma ha evoluto una tale somiglianza con il modello che i potenziali predatori ne risultano ingannati e non lo attaccano. Di norma i mimi vivono nelle stesse regioni in cui sono presenti i modelli e sono generalmente meno abbondanti di questi. Spesso la somiglianza mimetica è limitata al solo sesso femminile, ciò che permette di abbassare il rapporto numerico mimi-modelli. Un ulteriore vantaggio legato a questa situazione è che le femmine riconoscono più facilmente i maschi se questi hanno mantenuto la forma tipica della specie. È da notare, infatti, che i vantaggi delle forme mimetiche a livello della predazione sono spesso controbilanciati da svantaggi a livello della selezione sessuale, che tende a favorire gl'individui non mimetici. L'interazione di queste due forze selettive è stata brillantemente dimostrata da J. M. Burns nella farfalla diurna Papilio glaucus. Le femmine di questa specie sono dimorfiche: una forma è gialla con macchie nere, come sono tutti i maschi, l'altra è tutta nera e imita Battus philenor, una specie altamente incommestibile e protetta. La distribuzione della forma femminile nera di Papilio glaucus è limitata all'America Settentrionale e in particolare all'area di distribuzione del modello Battus philenor. Ove questo è assente, come in Florida, le femmine di Papilio glaucus presentano disegni giallo-neri, come i maschi. Questi ultimi si accoppiano di preferenza con le femmine che hanno il loro stesso colore; tuttavia nelle zone dove vive Battus philenor questa preferenza sessuale risulta soverchiata dall'azione selettiva degli uccelli che divorando le femmine preferite dai maschi ed evitando quelle della forma nera, favoriscono quest'ultima, che ha così probabilità assai maggiori di riprodursi. Molti mimi batesiani, specialmente nel genere Papilio, presentano più forme mimetiche, assai diverse tra loro e geneticamente determinate, ciascuna delle quali imita un particolare modello. Grazie a questo adattamento tali specie mantengono la protezione mimetica anche se la loro area di distribuzione comprende regioni in cui manca un certo modello e ne è, invece, presente un altro. Ove poi coesistano in una stessa area geografica più modelli diversi, il polimorfismo mimetico risulta del pari vantaggioso, in quanto la presenza di più forme mimetiche in una stessa specie non protetta permette di abbassare sensibilmente il rapporto numerico mimo-modello.
Incroci e reincroci realizzati in laboratorio con la tecnica della copulazione indotta tra le varie forme mimetiche e non mimetiche di una stessa specie hanno fornito dati di eccezionale interesse sulle basi genetiche dell'evoluzione del m. batesiano. I risultati di dettee ricerche, condotte soprattutto da C. A. Clarke e P. M. Sheppard su varie specie del genere Papilio e in particolare su Papilio dardanus, sono tanto complessi da non poter essere qui esposti neppure per sommi capi. Basterà ricordare che essi mostrano senza possibilità di dubbio come la somiglianza mimetica sia un adattamento che si è realizzato gradualmente nel corso dell'evoluzione sotto lo stretto controllo della selezione naturale, confermando in tal modo l'ipotesi avanzata fin dal 1927 da Fischer e sviluppata in seguito da Ford. Il primo passo di questo processo evolutivo è rappresentato, analogamente a quanto avviene nel melanismo industriale, dalla comparsa e dalla successiva diffusione di una mutazione. Quando in una specie non protetta compare in seguito a mutazione un carattere che produce una certa somiglianza con una specie protetta, le probabilità di sopravvivenza del portatore aumentano e la frequenza del gene mutato nella popolazione tende ad accrescersi di generazione in generazione, almeno fino a quando la frequenza del mimo non diviene troppo elevata rispetto a quella del modello. La somiglianza tra mimo e modello è inizialmente solo assai approssimativa. Un importante meccanismo genetico attraverso il quale l'evoluzione perfeziona la somiglianza mimetica è rappresentato da geni modificatori che regolano l'espressione dei geni principali, responsabili delle varie forme di colore e di disegno, migliorando così la concordanza tra mimo e modello. In ciascuna popolazione geni modificatori e geni principali risultano strettamente coadattati. Nelle varie razze geografiche gli adattamenti mimetici sono il risultato della selezione di peculiari geni modificatori. Ciò è dimostrato chiaramente dall'incrocio d'individui di diversa origine geografica. Così se s'incrocia una forma mimetica di Papilio dardanus del Sudafrica con individui del Madagascar, dove il m. non si è evoluto, si osserva la scomparsa quasi completa del m. nella progenie. Ciò è dovuto al fatto che la razza del Madagascar manca dei geni modificatori necessari a regolare l'espressione dei geni principali in modo da completare il disegno e la colorazione in senso mimetico. Analogamente se la forma mimetica hippocoonides del Sudafrica viene incrociata con la forma hippocoon dell'Uganda (queste due forme sono fenotipicamente molto simili, imitando entrambe lo stesso modello Amauris niovius) la progenie mostra una parziale scomparsa della somiglianza mimetica perché i pools genici di ciascuna popolazione mancano dei particolari geni modificatori necessari per regolare l'espressione di un gene principale dell'altra popolazione.
Un secondo meccanismo d'importanza fondamentale nell'evoluzione del m. batesiano è rappresentato dal supergene, che può essere definito come una serie di geni con funzioni spesso correlate, legati così strettamente su un cromosoma che virtualmente non v'è tra essi alcuna ricombinazione. Così i vari tipi di disegno e di colorazione che si osservano tra le femmine di Papilio dardanus sono controllati da una serie di geni principali tanto strettamente associati da comportarsi di regola come una singola unità di ricombinazione, simulando in tal modo una serie di alleli multipli. Anche in Papilio memnon i principali caratteri implicati nel m. (disegno e colore delle ali, sviluppo delle "code", colore dell'addome, ecc.) sono in genere determinati da alleli compresi in un supergene formato da almeno cinque loci strettamente associati, fra i quali si verificano occasionali crossing-over.
Assai più scarse sono le conoscenze sull'evoluzione del m. mülleriano, tranne che in alcune farfalle dei generi Heliconius e Zygaena. Ciò non sorprende se si considera che questo tipo di m. è stato scoperto più tardi rispetto agli altri ed è ancor oggi oggetto di controversie. I complessi mimetici mülleriani comprendono due o più specie, tutte incommestibili o comunque protette, che si somigliano reciprocamente. La somiglianza mülleriana, come quella batesiana, può basarsi su segnali visivi (per esempio colorazioni vistose), olfattivi (emissione di odori sgradevoli) e acustici (produzione di suoni particolari). I segnali visivi risultano efficaci contro gli animali che predano a vista, quelli olfattivi e acustici (spesso associati a segnali visivi) servono soprattutto per difendersi da predatori con abitudini notturne, o incapaci di distinguere i colori. Il significato adattativo del m. mülleriano può essere esemplificato nel modo seguente. È stato dimostrato che i predatori imparano a riconoscere (e quindi a evitare) le specie incommestibili attraverso una o più esperienze negative. In questo processo di apprendimento una parte (n individui) della popolazione di ciascuna specie incommestibile viene sacrificata. Quando più specie incommestibili si assomigliano, in modo da essere confuse almeno da una parte dei potenziali predatori, diminuisce il tributo pagato da ciascuna di esse alla predazione. Così se in una data regione convivono due specie incommestibili (le cui popolazioni abbiano rispettivamente dimensioni a1 e a2) sufficientemente simili da non essere distinte dai predatori, le due specie sacrificheranno rispettivamente soltanto a1n/a1 + a2 e a2n/a1 + a2 individui. Ne consegue che tanto più numerose sono le specie appartenenti a un medesimo complesso mimetico mülleriano, tanto minori saranno le perdite causate dalla predazione in ogni singola specie.
La distinzione tra m. mülleriano e m. batesiano è in realtà assai meno netta di quanto si sarebbe portati a ritenere in base alla loro definizione. Da un punto di vista strettamente teorico si dovrebbe parlare di m. mülleriano solo nel caso di specie ugualmente inappetibili per i loro potenziali predatori. In realtà tutte le volte che il grado di commestibilità dei membri di un complesso mimetico viene studiato accuratamente ci si trova di fronte a un ampio gradiente di appetibilità, che va dalla commestibilità (mimi batesiani) all'incommestibilità (modelli) passando attraverso numerosi gradi intermedi. Le due situazioni estreme sono molto rare. Molti supposti mimi batesiani sono risultati più o meno inappetibili almeno per una parte dei predatori. All'opposto classici modelli, come per es. la farfalla Danaus plexippus, presentano accanto a individui del tutto inappetibili altri perfettamente commestibili. Ciò è dovuto al fatto che l'incommestibilità di un animale è in genere determinata da particolari sostanze chimiche (per esempio glicosidi cardiaci) che sono presenti nelle piante alimentari, ma in misura molto diversa da specie a specie. Così L. P. Brower e collaboratori hanno dimostrato che individui di Danaus plexippus allevati su Asclepias curassavica (una pianta che contiene vari glicosidi cardiaci) sono inappetibili ed emetici per gli uccelli, mentre individui allevati su un'altra asclepiadacea, Gonolobus rostratus, risultano perfettamente commestibili per i medesimi predatori.
Un'importante differenza tra m. mülleriano e m. batesiano sta nel fatto che la selezione naturale nel primo caso favorisce l'accentuarsi della somiglianza dei segnali di avvertimento nelle specie appartenenti a un medesimo complesso mimetico, mentre nel secondo caso rende vantaggiosa la presenza nelle specie appetibili di più forme, che imitino ciascuna un modello differente. Il m. mülleriano tende perciò a produrre uniformità nel disegno e nella colorazione, mentre il m. batesiano favorisce il polimorfismo.
Le basi genetiche dell'evoluzione del m. mülleriano sono ancora relativamente poco conosciute e non sappiamo inoltre se esso si realizzi essenzialmente attraverso supergeni - come nel m. batesiano - oppure attraverso loci non associati. Così nella farfalla inappetibile Zygaena ephialtes, che nella parte settentrionale della sua area di distribuzione appartiene a un complesso mülleriano a colorazione rosso-nera comprendente varie specie di lepidotteri, coleotteri ed emitteri e nella parte meridionale a un complesso mülleriano distinto a colorazione nerastra e macchie bianche comprendente varie specie di Ctenuchidi del genere Amata, L. Bullini e V. Sbordoni hanno dimostrato che l'evoluzione del m. è legata alla selezione di alleli di due geni autosomici non associati, che controllano rispettivamente la colorazione e il tipo di disegno. Tuttavia in alcuni incroci tra razze geografiche diverse sono comparsi nella progenie individui con colorazione e disegno non mimetico, analogamente a quanto si verifica in Papilio dardanus. Non si può escludere, pertanto, che i due loci che sono alla base del m. di Zygaena ephialtes non siano, in realtà, due supergeni.
Vedi tav. f. t.
Bibl.: H. B. Cott, Adaptive coloration in animals, Londra 19572; W. Wickler, Mimetismo animale e vegetale, Milano 1968; C. W. Rettenmeyer, Insect mimiery, in Annual Review of Entomology, vol. 15, 1970; R. Creed, Ecological genetics and evolution, Oxford, Edinburgo 1971; O. von Frisch, I trucchi degli animali, Milano 1972; G. Pasteur, Le mimétisme, Parigi 1972; H. B. D. Kettlewell, The evolution of melanism, Oxford 1973; E. B. Ford, Ecological genetics, Londra 19754; M. P. Fogden, Il colore degli animali, Milano 1976; Autori vari, Il significato biologico del mimetismo, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1976.