MIMETISMO
(XXIII, p. 338; App. IV, II, p. 477)
Le più recenti e importanti linee di ricerca sul m. hanno riguardato principalmente: 1) la coevoluzione tra piante e organismi fitofagi in relazione all'utilizzazione di sostanze vegetali secondarie (in genere cataboliti) prodotte dalle piante come difesa contro i fitofagi e da questi ultimi (una volta divenuti resistenti a tali sostanze) utilizzate come difesa contro i predatori; 2) l'esistenza di uno spettro pressoché continuo tra m. batesiano e mülleriano; 3) l'evoluzione del m. criptico e dell'aposematismo; 4) la dimostrazione dell'efficacia del m. batesiano e mülleriano in natura; 5) le relazioni esistenti in vari organismi tra m. e riproduzione.
Le sostanze vegetali secondarie comprendono numerosi composti chimici (alcaloidi, chinoni, oli essenziali, glicosidi, flavoni, rafidi); per molto tempo queste sostanze sono state considerate come semplici prodotti di rifiuto delle piante, le quali, essendo prive di sistema escretore, non sono in grado di eliminare i loro cataboliti. Solo recentemente si è cominciato a comprendere il loro ruolo adattativo e le trasformazioni chimiche che, a partire dai cataboliti, determinano la struttura delle sostanze vegetali secondarie.
Il processo di coevoluzione tra piante e fitofagi si è schematicamente realizzato attraverso i seguenti stadi: 1) alcune Angiosperme producono per mutazione nuove sostanze secondarie, di solito a partire da cataboliti normalmente presenti; 2) queste sostanze rendono inappetibili tali piante per i fitofagi; 3) sottratte in tal modo agli attacchi dei fitofagi, le piante presentano radiazione adattativa; 4) per mutazione alcuni fitofagi evolvono meccanismi di resistenza alle sostanze secondarie; 5) i fitofagi, diventati in tal modo capaci di sfruttare una risorsa finora loro esclusa, vanno incontro a loro volta a evoluzione divergente. A modificazioni successive delle sostanze secondarie prodotte dalle piante corrisponde così un numero progressivamente minore di fitofagi che riescono ad adattarsi a esse e un aumento del loro grado di specializzazione.
Come esempi di questo processo citiamo il caso di varie sostanze secondarie che si sono evolute a partire dall'acido paracumarico, un importante prodotto intermedio della biosintesi della lignina, presente in un centinaio di famiglie di Angiosperme. Una prima classe di tali sostanze è costituita dalle idrossicumarine, che possiedono proprietà tossiche assenti nel loro precursore e si trovano in 31 famiglie di Angiosperme. Numerosi gruppi di insetti hanno evoluto meccanismi di resistenza a queste sostanze: per es. specie polifaghe come il Lepidottero Noctuide Spodoptera eridaria presentano una risposta generalizzata utilizzando meccanismi di detossicazione. Alcuni gruppi di fitofagi si sono specializzati nell'adottare come alimento piante che producono idrossicumarine (per es. tra i Lepidotteri la tribù degli Amfisbatini e la sezione ii del genere Papilio). Una nuova mutazione ha portato, a partire dalle idrossicumarine, alla formazione di furanocumarine lineari. L'acquisizione di un anello furanico dà a queste molecole una nuova proprietà tossica: la fototossicità (il doppio legame dell'anello permette alla componente ultravioletta della luce d'inattivare il DNA). Le furanocumarine sono presenti in otto famiglie di Angiosperme, ma diffuse solo in due: le Ombrellifere e le Rutacee. Alcuni insetti hanno sviluppato meccanismi di tolleranza a queste sostanze: per es. tra i Lepidotteri il complesso machaon nel genere Papilio e il genere Agonopterix nella famiglia Ecoforidi; in quest'ultimo caso il meccanismo è legato a un adattamento comportamentale, l'arrotolamento delle foglie, che evolutosi originariamente come difesa contro la disidratazione, protegge anche dalla fototossicità. Questi fitofagi hanno così potuto specializzarsi a nutrirsi di piante contenenti furanocumarine. Una nuova mutazione ha consentito ad alcune Angiosperme, che producevano furanocumarine lineari, di sintetizzare furanocumarine angolari, che possiedono nuove proprietà tossiche. A queste sostanze solo pochi organismi sono riusciti ad adattarsi, grazie a meccanismi non ancora noti: tra questi gli Ecoforidi del genere Depressaria e un membro del complesso Papilio machaon: P. brevicauda (Bullini 1985).
In realtà il quadro è ancora più complesso, come mostra il caso della farfalla monarca Danaus plexippus. In questa specie le larve accumulano cardenolidi emetici da alcune delle loro piante nutrici (Asclepiadacee). Quando le farfalle sono predate da uccelli, questi a causa dei cardenolidi rigettano rapidamente e violentemente le prede. Dopo una o poche prove, gli uccelli imparano a rifiutare a vista le farfalle monarca. Tuttavia le varie specie di asclepiadacee contengono concentrazioni assai diverse di cardenolidi; di conseguenza le farfalle monarca, che si nutrono allo stadio larvale di queste piante, risulteranno da emetiche a commestibili per gli uccelli. Non solo i mimi mülleriani variano nel grado d'inappetibilità, ma alcuni mimi batesiani risultano leggermente nocivi, almeno per alcuni dei predatori. Inoltre i predatori variano nella propensione a mangiare prede aposematiche, e alcuni risultano specializzati a nutrirsi di prede più o meno tossiche. Di conseguenza, il m. mülleriano (aposematismo) e quello batesiano considerati per molto tempo due tipi di m. nettamente differenziati, attualmente vengono ritenuti piuttosto i due estremi di uno spettro, che non categorie completamente distinte.
Ricordiamo qui che il m. in senso stretto si distingue tradizionalmente in m. batesiano e m. mülleriano. Nel m. batesiano organismi commestibili o comunque non protetti assomigliano ad altri, non commestibili o comunque protetti: per es. alcune farfalle e vari Ditteri, tutti innocui, che imitano varie specie di Imenotteri provvisti di pungiglione, o Papilio dardanus, specie non protetta in cui le femmine imitano varie altre specie di farfalle, tutte non appetibili per i predatori. Nel m. mülleriano, invece, varie specie, tutte protette e spesso appartenenti a gruppi sistematicamente lontani, si assomigliano reciprocamente (per es. varie farfalle delle famiglie Danaidi, Itomidi, Acreidi, Eliconidi). In quest'ultimo caso il predatore impara a riconoscere (per evitarlo) un solo modello, e tutte le specie che vi si conformano risultano automaticamente protette, più efficacemente che se il predatore dovesse fare numerose esperienze per riconoscere parecchi modelli diversi. Come s'è visto, la distinzione tra m. batesiano e m. mülleriano non è netta come sembra, in quanto le diverse specie mime mostrano un ampio spettro di commestibilità, che va dalla completa innocuità a un grado d'incommestibilità non molto diversa da quella del modello. Dal punto di vista teorico, tuttavia, i due tipi di m. portano a conseguenze differenti; infatti, mentre il m. mülleriano tende all'uniformità del disegno e della colorazione, il m. batesiano tende al polimorfismo, poiché il vantaggio dei mimi diminuisce con l'aumentare della loro frequenza.
Le specie aposematiche emettono vari segnali allo scopo di aumentare la probabilità di essere evitate dai predatori; oltre che visivi, tali segnali possono consistere in suoni, sapori, odori, ecc. Per es. alcuni Lepidotteri Arctiidi, che sono inappetibili ai pipistrelli, emettono ultrasuoni di frequenza uguale ai richiami dei pipistrelli stessi. I predatori apparentemente percepiscono l'insieme dei segnali come un'immagine complessiva (Gestalt), con un rinforzo reciproco dei segnali stessi. Ciò spiegherebbe perché i mimi batesiani generalmente imitino varie caratteristiche del modello. Per es. il Dittero Sirfide appetibile Spilomia hamifera, mimo batesiano di Imenotteri del genere Vespula, non solo ha una colorazione simile, ma ne imita altri caratteri: nonostante abbia infatti antenne corte e appena visibili, imita le antenne lunghe e mobili degli Imenotteri agitando le zampe anteriori, distalmente nere, davanti al capo; inoltre il disegno a bande marrone scuro che risulta dalle ali ripiegate degli Imenotteri quando si posano su un fiore viene imitato dal Sirfide mediante una banda di pigmento scuro disposta sul bordo costale delle ali; infine, se disturbato, il Dittero emette un suono quasi identico al ronzio emesso da un Vespide quando è disturbato (Waldbauer 1988).
L'evoluzione del m. batesiano e mülleriano è ancor oggi oggetto di discussione, ma due delle principali difficoltà concettuali per la sua comprensione sono state almeno in parte risolte. La prima difficoltà riguarda il fatto che un mimo batesiano, all'inizio della sua evoluzione, deve perdere la colorazione criptica, esponendosi alla predazione prima del completamento della somiglianza mimetica. A questo proposito, R.B. Goldsmidth (1952) aveva ipotizzato la necessità di macromutazioni che producessero un mimo batesiano quasi perfetto in un solo passaggio evolutivo. Oggi sappiamo che l'evoluzione del m. batesiano richiede di norma almeno i due seguenti passaggi: 1) una mutazione che produca una somiglianza sia pure assai grossolana con il modello, tale da ingannare almeno i predatori ''cattivi entomologi'' (che rappresentano una percentuale considerevole dei predatori totali); 2) la successiva selezione di mutanti (''geni modificatori''), che gradualmente aumenti la somiglianza mimetica.
La seconda difficoltà riguarda il modo in cui un predatore inesperto apprende e successivamente evita un modello aposematico; in particolare un animale aposematico non può aumentare il suo valore adattativo (fitness) se viene ucciso durante il processo di apprendimento da parte del predatore. Questa difficoltà può essere in alcuni casi risolta dalla teoria della kin selection, che è stata tuttavia superata da una recente revisione delle teorie sul m. secondo la quale nella maggior parte dei casi gli animali aposematici tendono a sopravvivere agli attacchi dei predatori: infatti è stato dimostrato che molti insetti aposematici (per es. le farfalle dei generi Zygaena e Amata) hanno un esoscheletro straordinariamente elastico che determina un tasso di sopravvivenza molto elevato dopo la cattura, anche se essa ha comportato colpi di becco, morsi, ecc. (Bullini e altri, 1969). D'altra parte il predatore, venuto a contatto con le sostanze emetiche, tossiche o irritanti della preda, la rilascia rapidamente. Infine l'obiezione, più volte fatta in passato, che gran parte delle ricerche sperimentali sul m. erano state condotte in laboratorio con predatori in cattività, o con prede morte, o con mimi artificiali, risulta oggi superata, essendo state ottenute dimostrazioni convincenti dell'efficacia del m. batesiano e mülleriano in natura.
A questo proposito vanno ricordati gli esperimenti di Kettlewell e coll. (1973) sul melanismo industriale, che hanno dimostrato il vantaggio protettivo del criptismo, ricatturando farfalle melaniche o non melaniche o osservandole dopo il loro rilascio sulla corteccia degli alberi. Sono state usate tecniche di marcaggio e ricattura per dimostrare che un mimo mülleriano, il lepidottero Heliconius erato, perde parte della sua protezione se le aree rosse delle ali anteriori sono ricoperte di nero. È tuttavia da notare che l'annerimento delle ali non sempre produce un pattern neutrale. Per es. annerendo le ali della farfalla Amata fatima, a colorazione disruptiva, si ottiene una farfalla dorsalmente nerastra con una larga area mediana di punti rossi sulle ali posteriori e alcuni puntini bianchi o gialli all'apice di quelle anteriori. Tale colorazione è simile a quella di tre specie di Papilionidi del genere Prides, che si nutrono di Aristolochie e sono inappetibili. In tal modo si creano dei mimi artificiali delle specie di Parides, e l'assenza di differenze significative tra gruppo sperimentale e di controllo risulta legata al conferimento al gruppo sperimentale di una protezione mimetica equivalente a quella della colorazione disruptiva.
Mimetismo e riproduzione.−In vari organismi, sia animali che vegeali, il m. è utilizzato con finalità riproduttive. Per es. il maschio del pesce caracinide Corynopoma riisei attira la femmina con un'esca costituita da una protuberanza scura che, posta all'estremità distale della lunga appendice dell'opercolo branchiale, simula una piccola preda. L'esca viene fatta ondeggiare in prossimità della femmina, che si avvicina e cerca di morderla; il maschio utilizza questo momento per accoppiarsi con lei. Anche in alcune Angiosperme il m. è utilizzato con finalità riproduttive; l'impollinazione è infatti basata sull'inganno del pronubo. Sono stati in particolare dimostrati fenomeni di pseudo-copula, pseudo-preda, pseudo-territorialità, falsi nettarii e falsi stami, pseudo-fragranza e imitazione delle forme e dei colori di piante nettarifere (Wickler 1991).
Così più della metà delle orchidee esistenti (cioè circa 5000 specie) non offrono cibo, almeno nel senso usuale del termine, ai loro impollinatori. In molte di queste orchidee i fiori (e in particolare uno dei petali, il labello) imitano nella forma e nella colorazione un determinato insetto (da cui i nomi Ophrys insectifera, O. muscifera, O. aranifera, O. apifera, O. bombyliflora). In particolare viene imitata la femmina del pronubo, vista dorsalmente; gli insetti attratti sono infatti tutti di sesso maschile e l'impollinazione viene compiuta attraverso una pseudo-copula. Mentre i maschi eseguono sui fiori movimenti di corteggiamento e di copula, i sacchi pollinici (che sono dotati di corpi adesivi) aderiscono al loro capo o all'estremità dell'addome, a seconda della posizione della femmina imitata. Quando il maschio riprende il volo, trasporta il polline al fiore successivo, fecondandolo. In alcune orchidee, per es. Ophrys fusca, la superficie del labello presenta una convessità verso l'alto e porta peli di diversa lunghezza in zone ben definite, che ricordano quelli presenti sul dorso della femmina dell'insetto imitato. Tali peli forniscono al maschio gli stimoli tattili necessari perché compia tentativi di copula (questi tentativi non vengono realizzati su un labello che sia stato reso artificialmente liscio). Oltre a segnali visivi e tattili, risulta spesso importante l'imitazione da parte del fiore di segnali olfattori che nella femmina dell'insetto imitato fungono da attrattivi sessuali (feromoni). In alcune orchidee l'odore emesso dal fiore è più efficace nell'attirare i maschi del pronubo di quello delle sue stesse femmine, rappresentando così uno stimolo supernormale. Alcune specie di orchidee del genere Oncidium attirano i maschi degli Imenotteri neotropicali del genere Centris, stimolando reazioni di difesa territoriale. Fotografie a raggi ultravioletti mostrano sui fiori di queste orchidee patterns che somigliano all'insetto. I fiori vengono attaccati quando le infiorescenze sono mosse lievemente dal vento. I colpi inferti da questi Imenotteri ai fiori debbono essere molto precisi affinché i pollinii si attacchino sull'insetto o gli stigmi vengano impollinati. Un caso molto interessante è quello rappresentato dalle popolazioni simpatriche e potenzialmente interfertili di Oncidium bahamense e O. lucayanum delle Bahamas, che in natura sono isolate riproduttivamente. I fiori di queste due specie di orchidee attirano rispettivamente i maschi e le femmine di Centris versicolor. In particolare i fiori di Oncidium bahamense stimolano comportamenti di difesa territoriale nei maschi di Centris versicolor, mentre i fiori di Oncidium lucayanum imitano fiori nettariferi di un'altra pianta, Malpighia glabra, attirando in tal modo le femmine.
Vi sono molti altri casi, non solo tra le orchidee, in cui piante che non producono polline o nettare ne imitano altre che sono abituali fonti di cibo per i pronubi. L'imitazione può riguardare: a) il solo polline (per es. varie orchidee producono masse di una sostanza simile a polline); b) stami e/o nettarii (per es. le orchidee del genere Calopogonon imitano stami per mezzo di peli e ghiandole; c) l'intera pianta (per es. orchidee dei generi Epidendrum, Elleanthus, Odontoglossum imitano Ericacee del genere Gaultheria). Infine vi sono piante che mimano le prede del loro pronubo. Così alcune orchidee dei generi Ada, Brassia e Encyclia imitano le specie predate da alcuni Imenotteri e da loro utilizzate come fonte di cibo per le larve. In questo caso l'impollinazione si realizza quando la femmina dell'insetto si posa sul fiore per pungere la finta preda e paralizzarla. Vedi tav. f.t.
Bibl.: R.B. Goldsmidth, Evolution, as viewed by one geneticist, in Amer. Sci., 40 (1952), pp. 84-98; L. Bullini, V. Sbordoni, P. Ragazzini, Mimetismo milleriano in popolazioni italiane di Zygaena ephialtes (L.) (Lepidoptera, Zygaenidae), in Arch. Zool. Ital., 54 (1969), pp. 181-213; H.B.D. Kettlewell, The evolution of melanism, Oxford 1973; V. Sbordoni, L. Bullini, G. Scarpelli, S. Forestiero, M. Rampini, Mimicry in the Burnet moth Zygaena ephialtes: population studies and evidence of a Batesian-Müllerian situation, in Ecological Entomology, 4 (1979), pp. 88-93; L.E. Gilbert, Coevolution and mimicry, in Coevolution, a cura di D.J. Futuyma e M. Slatkin, Sunderland (Mass.) 1983, pp. 263-81; L.P. Brower, Chemical defense in butterflies, in The biology of butterflies. Symposium of the Royal Entomological Society of London, n. 11, a cura di R.I. Vane Wright e P.R. Ackery, Londra 1984, pp. 109-34; L. Bullini, Evoluzione dei rapporti tra animali e piante, in Acc. Naz. Lincei. Contr. Centro Linceo Interdisciplinare di Scienze Matematiche e loro Applicazioni, 73 (1985), pp. 127-60; T. Guilford, The evolution of conspicuous coloration, in American Naturalist, 131 (suppl. 1988), pp. 7-21; F.H. Pough, Mimicry of vertebrates: are the rules different?, ibid., pp. 67-102; G.P. Waldbauer, Aposematism and Müllerian mimicry, in Evol. Biol., 22 (1988), pp. 228-59; S.B. Malcom, Mimicry: Status of a classical evolutionary paradigm, in Trends in Ecology and Evolution, 5 (1990), pp. 58-61; W. Wickler, Mimetismo animale e vegetale, trad. it., Padova 1991.