FERRO, Minerali di (XV, p. 68)
I recenti sviluppi della siderurgia hanno avuto profonde ripercussioni sull'industria estrattiva e sul mercato mondiale dei m. di ferro. Nel periodo 1945-50 l'offerta si presentava molto concentrata poiché i quattro maggiori produttori, nell'ordine Stati Uniti (49,2%), Unione Sovietica (15,7%), Svezia (7,9%) e Francia (7,3%), fornivano oltre i quattro quinti della produzione mondiale. Il rilancio dell'industria siderurgica negli anni Cinquanta agisce nel senso di aumentare la dispersione produttiva.
Numerosi paesi, quasi tutti in via di sviluppo, dell'America latina (Brasile, Chile, Messico, Perù), dell'Africa occidentale (Liberia e Mauritania) e dell'Asia (India), i quali non producevano che modestissimi quantitativi, grazie alla scoperta di ingenti giacimenti di minerali a tenore elevato, moltiplicano le loro offerte a ritmi notevolissimi e sono entrati, data l'inesistenza della domanda interna e il più alto valore metallurgico, nel commercio internazionale.
In Canada, poi, dove nuovi gruppi minerari americani agiscono sempre più intensamente, la produzione raggiunge nel 1963-65 circa 18 milioni di t scavalcando e soppiantando al quarto posto della graduatoria la Svezia che, pur caratterizzata da un discreto aumento produttivo in valore assoluto, vede decrescere il suo apporto percentuale al 5,2%.
Gli Stati Uniti registrano contemporaneamente un brusco calo produttivo che porta la produzione da oltre 51 milioni di t nel 1953-55 a poco più di 44 milioni un decennio dopo, anche in seguito all'esaurimento dei giacimenti ad alto tenore.
Al contrario la produzione sovietica si espande fortemente e con gli 87,3 milioni di t offerti nel 1963-65 (28,4%) si pone, e di gran lunga, al primo posto tra i produttori. In conseguenza di questo sovvertimento del mercato, l'offerta dei quattro produttori suaccennati, che negli anni 1953-55 rappresentava il 75% della produzione mondiale, dieci anni dopo costituiva poco più della metà (54,8%).
Gli anni Sessanta e quelli successivi portano un rallentamento del ritmo generale di crescita della produzione che, a causa di un più pacato dinamismo della domanda, si stabilizza su valori intorno al 5% annuo circa; tuttavia l'apporto dei nuovi produttori è in continuo aumento in ragione della migliore qualità delle loro offerte (più alto tenore in f.), cosicché anno dopo anno gli altri paesi produttori vedono ridursi la propria quota percentuale.
Tale tendenza ha nel boom produttivo australiano l'esempio più evidente: nuove miniere vengono aperte nell'Australia occidentale e in Tasmania, dimostrando l'esistenza di riserve ingentissime di minerale molto ricco (tenore superiore al 60%). La produzione dai 4 milioni di t in contenuto di f. degli anni 1963-65 raggiunge, appena un decennio dopo, i 47 milioni inserendo il paese al terzo posto tra i produttori mondiali e ai primissimi nel commercio estero.
Per gli altri produttori le tendenze evidenziatesi nel decennio precedente si rafforzano e il quadro produttivo attuale ne dà conferma: ancora saldamente al primo posto l'Unione Sovietica che riesce a mantenere inalterata la propria posizione, grazie alle nuove risorse scoperte e solo in parte sfruttate, con una produzione che tocca i 100 milioni di t per la prima volta nel 1968, e supera nel 1973 i 118 milioni (24,5% della produzione mondiale).
L'offerta degli Stati Uniti, al secondo posto, praticamente stabilizzata intorno ai 50 milioni di t annue dal 1950 a oggi, vede il suo apporto percentuale cadere all'11% nel 1973.
Continuano le forti ascese del Brasile, quarto produttore con oltre 39 milioni di t (8,1%) contro i 9 milioni del 1963-65, della Cina (8,1%) del Canada (6,3%), della Liberia (4,9%), e in genere di quasi tutti quei paesi, africani, sudamericani e asiatici, che avevano mostrato un certo dinamismo nel decennio precedente.
L'importanza delle riserve accertate soprattutto nei paesi in via di sviluppo, permette di scartare ogni ipotesi di difficoltà di approvvigionamento futuro; tuttavia in certi paesi, soprattutto i produttori tradizionali, i giacimenti ad alto tenore vanno esaurendosi mentre le esigenze di contenimento dei costi negli altiforni ha elevato il tenore minimo accettabile dei minerali dal 50% al 60% e un interesse crescente è volto ai processi di arricchimento.
Già dalla metà degli anni Sessanta infatti alcune società minerarie, nordamericane prima, ed europee poi, che producevano minerali poveri non hanno potuto sostenere la concorrenza dei minerali ricchi importati, e hanno cominciato a migliorarne il contenuto con processi di arricchimento, soprattutto l'agglomerazione e la pellettizzazione. Quest'ultima tecnica che ha dimostrato, oltre a una maggiore economicità (minor consumo di combustibile), la possibilità di accrescimenti di oltre il 50% dei rendimenti in ghisa degli altiforni, porta il tenore del prodotto trasformato su valori intorno al 90%. Questi processi hanno interessato anche i paesi dell'America latina, dell'Africa occidentale, dell'Asia, nonché l'Australia, le cui produzioni, già particolarmente apprezzate, sono ancor più convenientemente utilizzate una volta trasformate, a costi ovviamente ridotti dato l'alto tenore di partenza, in agglomerati o pellets.
Quanto al mercato internazionale del minerale di f. c'è da sottolineare che la maggior parte dei paesi consumatori, grazie all'alto grado di dispersione della produzione, è in grado di coprire in tutto o in parte i propri fabbisogni, salvo rare eccezioni, come il Giappone e l'Italia; il tasso di autoapprovvigionamento è infatti del 60% per i paesi della CEE, del 78,5% per gli Stati Uniti e quasi del 100% per i paesi del COMECON. Ciò ha determinato nel passato un livello degli scambi internazionali piuttosto ridotto; tuttavia, dalla metà degli anni Cinquanta il ritmo di accrescimento dei commerci internazionali risulta più elevato di quello delle produzioni, e le quantità commerciate, che rappresentano attualmente circa un terzo di quelle prodotte, continuano a crescere a ritmi sostenuti. Le cause più evidenti di tale andamento risiedono nel progressivo esaurimento delle produzioni ad alto tenore nei maggiori paesi consumatori, che, solo in parte controbilanciato dalla crescente capacità di arricchimento dei minerali poveri, costringe a importazioni crescenti soprattutto dai nuovi produttori, le cui offerte presentano più elevati contenuti in ferro. Cosicché la dipendenza dei primi dai secondi, il che equivale a dire il ritmo di accrescimento delle esportazioni dei paesi in via di sviluppo, cresce a un tasso del 7,5% negli anni Cinquanta, dell'11% nel decennio successivo, contro il 5% dei paesi esportatori sviluppati. In dipendenza di questa evoluzione quantitativa dei traffici si è resa necessaria tutta una serie di investimenti volti alla strutturazione internazionale del settore (attrezzatura delle miniere, infrastrutture di trasporto, porti minerari) che ha indirizzato l'evoluzione dei trasporti verso un aumento delle dimensioni delle navi porta-minerali, mentre sempre più numerose risultano le localizzazioni costiere degl'impianti siderurgici dei paesi importatori (Giappone, Italia, Francia). I maggiori produttori, Unione Sovietica e Stati Uniti, sono anche i maggiori consumatori e quindi non figurano ai primi posti del commercio estero; l'Australia viceversa, caratterizzata da uno sviluppo produttivo senza eguali e da un assorbimento interno molto relativo, detiene attualmente il primato delle esportazioni (che fu negli anni Cinquanta e parte degli anni Sessanta del Canada) con oltre 74 milioni di t di concentrati di f., diretti, per la maggior parte, verso il Giappone, il cui sviluppo siderurgico ha fortemente incentivato l'offerta australiana; il minerale, già caratterizzato da un alto tenore, è ulteriormente arricchito per comprimere gli alti costi di trasporto.
Il Brasile, al secondo posto con 42 milioni di t di concentrati, esportati per la maggior parte verso i paesi della CEE e in parte verso il Giappone, possiede riserve tra le più consistenti del mondo.
Anche le esportazioni canadesi si sono molto accresciute passando da 17 milioni di t nel 1960 a 38 milioni nel 1973, per la maggior parte (60%) assorbite dagli Stati Uniti, data la vicinanza ed essendo le miniere in gran parte sotto il controllo di gruppi minerari americani; il resto giunge in Europa, soprattutto nel Regno Unito e nella Rep. Fed. di Germania.
In Europa occidentale la Svezia e la Francia esportano esclusivamente verso i paesi europei, ma in condizioni totalmente diverse: il minerale svedese, ricco, unica eccezione con la Norvegia in tutta l'Europa, ha, grazie a tale sua dote, un ampio mercato (Rep. Fed. di Germania, Belgio, Regno Unito, ecc.); quello francese, povero e proveniente dalla Lorena, ha sbocchi limitati alle regioni limitrofe (Belgio e Lussemburgo). In Africa la produzione si concentra nei paesi del golfo di Guinea: le esportazioni della Liberia, al quinto posto nella graduatoria dei paesi esportatori, sono passate da 3 milioni di t nel 1960 a 25,6 milioni nel 1973, in seguito alla scoperta e alla valorizzazione di nuovi giacimenti; sono dirette essenzialmente verso i paesi europei come anche quelle della Mauritania, secondo esportatore africano, con 9,6 milioni di t esportate nel 1973. In Asia l'India è il principale fornitore della regione con circa 20 milioni di t esportate nel 1973 (contro i 10 milioni esportati dieci anni prima), tutte o quasi assorbite dal Giappone, mentre scompare dal mercato internazionale la Malesia, per anni secondo esportatore asiatico. In America latina forti le esportazioni del Venezuela, per molti anni primo produttore sudamericano scavalcato poi dal Brasile, e attualmente sesto produttore mondiale con 21 milioni di t, e quelle del Perù (circa 9 milioni di t).
Tra gl'importatori il Giappone, che assorbe circa il 40% delle correnti di traffico internazionale, specie dall'Australia (48%) e dal Sudamerica (Brasile e Perù), è di gran lunga il maggiore; le sue importazioni, che ammontavano a 5 milioni di t nel 1955, a 15 milioni nel 1960 e che raggiungono oggi i 135 milioni di t, crescono a ritmi sostenutissimi per effetto del travolgente sviluppo siderurgico che caratterizza il paese in tutto questo periodo. Gl'invii della Malesia e dell'India, principali fornitori della siderurgia giapponese dal dopoguerra fino alla metà degli anni Sessanta, vengono nel giro di pochissimi anni affiancati e sostituiti dai più concorrenziali prodotti australiani e sudamericani. La domanda internazionale statunitense, viceversa, al primo posto fino al 1966-67, e caratterizzata da una crescita sostenuta che porta i 25 milioni di t del 1955 a 43 milioni del 1964, presenta in seguito una stasi notevole e finisce oggi al terzo posto con un apporto percentuale solo del 13,2%; il Canada con oltre la metà degl'invii e il Venezuela (30%) rimangono i suoi fornitori principali.
La Rep. Fed. di Germania è il maggior importatore di f. europeo e, attualmente al secondo posto tra gl'importatori mondiali, vede espandere la propria domanda internazionale dai 21 milioni di t del 1955, per due terzi di provenienza svedese e francese, ai 51 milioni di t nel 1973, solo per un terzo provenienti da quei paesi e per il resto dal Brasile (22%) e dalla Liberia (17%). Forti ancora le importazioni del Belgio e del Lussemburgo (33 milioni di t circa nel 1973), della Francia (11,6 milioni di t), dei Paesi Bassi (7 milioni di t); l'Italia è al sesto posto della graduatoria con oltre 14 milioni di tonnellate. L'Europa orientale continua a essere un mercato autarchico nel quale l'Unione Sovietica, fortissimo esportatore, approvvigiona gli stati satelliti, soprattutto Cecoslovacchia e Polonia.
Riguardo ai prezzi è difficile dare indicazioni a causa della grande eterogeneità dei minerali in quanto a contenuto e proprietà fisico-chimiche (valore metallurgico), caratteristiche che, determinando diversi costi di lavorazione, ne influenzano il valore.
Una gran parte delle quantità commerciate sul mercato internazionale, mercato molto simile a quello dell'alluminio e del petrolio in quanto dominato da società multinazionali integrate verticalmente, rappresenta veri e propri trasferimenti tra consociate, effettuati dunque a prezzi artificiosi, e in ogni caso stabiliti da esse; in altri settori del commercio internazionale, inoltre, i prezzi possono essere notevolmente influenzati da accordi bilaterali conclusi nel quadro dei contratti a lungo termine tra paesi produttori e consumatori.
In ogni caso dalla fine degli anni Cinquanta, dopo un periodo di relativa stabilità, l'offerta eccedentaria, seguita al boom produttivo verificatosi specie nei paesi in via di sviluppo, ha avuto ripercussioni negative sull'andamento dei prezzi. Dal 1958 al 1969 si verifica, sui vari mercati e per i vari minerali, un decremento medio dei prezzi di oltre il 40% che crea una situazione particolarmente delicata per i paesi in via di sviluppo esportatori, i quali vedono deteriorare a un ritmo del 4% annuo il valore unitario delle loro esportazioni, e dunque un'espansione del valore globale di esse inferiore a quella del volume.
Dalla fine del decennio tuttavia tale tendenza s'inverte e gl'incrementi, dapprima lievi, ma che nel 1974 sono di circa il 27%, controbilanciano in parte la situazione precedente, risultando tuttavia piuttosto relativi nell'ambito di quelli registrati, specie negli ultimi anni, dai prodotti di base.
La necessità della stabilizzazione del mercato dei m. di f. (come del resto degli altri prodotti di base) è stata da tempo avvertita, e in sede internazionale, specie ONU e CEE, ha costituito oggetto, da qualche anno, di un'intensa attività di studi e proposte che non ha tuttavia finora conseguito risultati concreti.
Una presa di posizione da parte dei paesi produttori ed esportatori in via di sviluppo si è però evidenziata recentemente con la nascita di un' "Associazione dei paesi esportatori di ferro" che avrebbe come scopo principale appunto quello della stabilizzazione dei ricavi da esportazione; la politica futura di tale organismo influenzerà senza dubbio il mercato, ma difficilmente in maniera drastica, data l'accentuata dispersione produttiva e l'abbondanza delle risorse che lo caratterizzano: tuttavia la crescente quota di mercato internazionale nelle mani di questi paesi, la migliore qualità delle loro produzioni e il discreto accrescimento dell'industrie locali di arricchimento potrebbero nel futuro, aumentando consistentemente il loro potere di mercato, rendere maggiormente probabili politiche più dure; molto dipenderà dal dialogo futuro tra paesi sviluppati e no, nell'ambito del più ampio problema del sottosviluppo.