MINIATURA - Area bizantina
La m. bizantina, eccezionalmente ricca e complessa, è testimoniata da decine di migliaia di manoscritti prodotti nell'arco cronologico di durata dell'impero bizantino (324-1453). Scritti in greco, tali codici vennero realizzati in un'area geografica vasta ma fluttuante, che coincideva in modo approssimativo (ma non esattamente) con i confini dell'impero e che, in epoche diverse, comprese territori dell'Europa meridionale e orientale, del Vicino Oriente e dell'Africa settentrionale. Inoltre le culture e le società legate al modello bizantino - in particolare la copta, l'etiopica, la siriaca, l'armena, la georgiana, la russa, la bulgara, la serba, la siciliana, nonché quella dei regni latini d'Oriente, detta crociata - produssero manoscritti nella loro propria lingua, ma che testimoniano un chiaro legame con l'arte bizantina; in quale misura tuttavia tale m. debba essere considerata effettivamente bizantina è oggetto di discussione.
Un quarto ca. dei manoscritti bizantini conservati presenta una qualche decorazione e solo una minima parte è caratterizzata da immagini figurate. L'attenzione degli studiosi si è generalmente rivolta a un numero relativamente ridotto di manoscritti particolari, che hanno condotto forse a una percezione non equilibrata del ruolo della m. all'interno della cultura e della società bizantina nel suo complesso.La m. bizantina deve essere esaminata nella sua specificità e non è possibile applicare a essa parametri e metodi che appaiono invece validi nello studio della m. nell'Occidente latino. Molteplici sono i problemi di localizzazione e di datazione dei codici bizantini; mancano per es. in gran parte testimonianze attestanti l'esistenza di scuole regionali o di particolari scriptoria laici o monastici, né si conoscono contratti o documenti di corporazioni concernenti l'attività di singoli artisti o scribi e le indicazioni fornite dai colofoni appaiono di limitata utilità. Le grandi chiese o i monasteri bizantini nella città di Costantinopoli, che fu presumibilmente il più significativo centro di produzione di codici per ca. mille anni, non conservano alcun manoscritto bizantino, né miniato né privo di miniature.La storia della m. bizantina viene generalmente suddivisa in tre grandi periodi. Il primo comprende cronologicamente l'epoca precedente all'iconoclastia (324-726), anche se il materiale conservato è generalmente assegnato a un periodo compreso tra il 475 e il 625, epoca spesso definita come tardoantica o paleocristiana, così come la sua produzione artistica, della quale, nello specifico campo librario, si conserva complessivamente un numero limitato di manoscritti o frammenti di manoscritti. La media età bizantina si estende dall'epoca successiva all'iconoclastia fino alla conquista di Costantinopoli nel corso della quarta crociata (843-1204) e - per indicarne le singole fasi - si adottano i nomi delle principali dinastie regnanti, come la macedone e la comnena. Benché l'occupazione latina di Costantinopoli (1204-1261) non abbia segnato un'interruzione nello sviluppo della m. bizantina - a eccezione forse di quanto riguarda la città stessa di Costantinopoli -, sul modello della storia politica si definisce tradizionalmente tardobizantina l'epoca che va dal 1261 al 1453, chiamata anche paleologa, dal nome della dinastia regnante.Sotto l'aspetto paleografico i manoscritti della prima età bizantina erano scritti in maiuscola. Le immagini comparivano in un'ampia varietà di formati, sia come frontespizi isolati sia come cicli di frontespizi con più scene oppure integrate in vari modi nel testo. Un manoscritto della prima età bizantina poteva essere corredato di una così come di cento m., direttamente illustranti testi a carattere narrativo o con funzione devozionale, simili a icone; scarso era invece l'interesse per la decorazione aniconica, eccetto che per i motivi di inquadramento o per i bordi. Sotto l'aspetto strettamente pittorico dominò lo stile illusionistico tardoantico, anche se talvolta vennero adottati piatti fondi d'oro.
Nella maggior parte dei manoscritti della media età bizantina, certamente a partire dal sec. 10°, venne utilizzata come scrittura la minuscola, a eccezione dei vangeli-lezionari, che potevano essere scritti in una maiuscola arcaizzante, senza dubbio per conferire loro un aspetto anticheggiante. Per ca. un secolo dopo la crisi iconoclasta si assistette a un cosciente tentativo di ristabilire legami con l'epoca preiconoclasta, in particolare con il sec. 6°; tale tentativo era in parte legato all'entusiasmo degli studiosi e degli amanti dell'Antichità per la trascrizione in minuscola di testi di ogni genere e all'epoca ancora conservati. La decorazione a carattere non figurativo iniziò a svolgere un ruolo sempre più importante dopo l'epoca iconoclasta come normale sistema per indicare l'inizio di un nuovo testo o di una nuova sezione di testo all'interno di un manoscritto. Il vocabolario decorativo dell'arte illusionistica tardoantica venne ampiamente sostituito, nella seconda metà del sec. 10°, da un repertorio ornamentale derivato inizialmente, così almeno sembrerebbe, dall'imitazione degli smalti cloisonnés, che quindi dava ampio spazio alla ripetizione di piccoli motivi su fondo in foglia d'oro e pigmenti puri, eseguiti con geometrica precisione. Dal 1050 ca. in poi sembra essersi verificato un rapido incremento nella produzione di manoscritti miniati, per motivi che attendono ancora di essere indagati nel loro complesso; a quest'epoca anche numerosi testi religiosi, che in precedenza non erano stati illustrati, vennero forniti di immagini, tanto è vero che l'epoca compresa tra la metà del sec. 11° e il 1200 ca. appare come la più feconda per la m. bizantina.Nella m. tardobizantina, in particolare in quella costantinopolitana, sembra essere stata adottata una strategia simile a quella dell'età posticonoclasta: artisti e committenti guardavano infatti spesso a opere del sec. 10°, con un 'arcaismo' che però si innestava, in senso più ampio, sulla solida tradizione comnena della produzione libraria. Sebbene lo stile paleologo si distingua per alcune peculiarità - come si evidenzia in particolar modo nella pittura murale e nel mosaico -, i miniatori dell'età paleologa erano in grado di non tenerne conto, per imitare piuttosto stili di epoche precedenti, quando si rivelavano più adatti. Il crescente impoverimento dell'impero bizantino condusse a una repentina contrazione nella produzione dei codici miniati eseguiti dopo il 1350.La società bizantina, nonostante affondasse le proprie radici nell'Antichità greco-romana, era fondamentalmente cristiana e rivendicò in ogni epoca un'ininterrotta continuità con i primi secoli della Chiesa. Poiché la maggior parte dei manoscritti miniati bizantini era di contenuto religioso, sul piano artistico essi dovevano non soltanto essere conformi all'esigenza di rappresentare il dogma e il divino, ma anche evitare elementi innovativi oppure mascherarli come tradizionali.Sul piano dello stile non si può in alcun modo parlare di evoluzione organica nella storia della m. bizantina, che presenta invece uno sviluppo ad andamento tortuoso e che costantemente recupera il passato della propria storia artistica. I periodi più decisamente orientati in tal senso sono stati denominati rinascenza macedone e rinascenza paleologa, ma va osservato che le implicazioni di tali definizioni hanno in realtà un effetto limitante per lo studio del materiale conservatosi. I moderni giudizi di valore basati sulla valutazione del grado di naturalismo ('ellenismo') sono infatti distorti.
Lo studio della m. della prima età bizantina è sostanzialmente incentrato su rarissime sopravvivenze: due manoscritti frammentari della Genesi (Genesi di Vienna, Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 31; Genesi Cotton, Londra, BL, Cott. Otho B.VI) e due, ugualmente frammentari, dei vangeli (Evangeliario di Rossano Calabro, Mus. Diocesano; Vangelo di Sinope, Parigi, BN, Suppl. gr. 1286), nonché l'ampio trattato di farmacologia del De materia medica di Dioscoride (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1). Il Genesi di Vienna e il Genesi Cotton sono gli unici due manoscritti greci in assoluto - miniati o meno - nei quali il libro della Genesi compare come unico testo in un singolo volume. Essi tuttavia differiscono sotto tutti i punti di vista. Il Genesi di Vienna, di cui si conservano solo ventiquattro delle originarie novantasei carte ca., era un libro illustrato su pergamena purpurea: la metà inferiore di ciascuna carta è destinata all'immagine, mentre il testo - talvolta abbreviato - è scritto nella parte superiore, con eleganti lettere d'argento. Il Genesi Cotton invece conteneva il testo completo del libro e, in origine, ca. trecentotrentanove immagini all'interno di spazi, lasciati vuoti dallo scriba o dagli scribi, che variavano nel formato fino a raggiungere le dimensioni dell'intera pagina. La distruzione pressoché completa di questo manoscritto in un incendio, nel 1731, ha reso necessaria la ricostruzione di gran parte del suo aspetto originario. Nei casi rari di immagini conservate illustranti lo stesso brano si è potuta osservare l'assenza di connessioni tra i due codici.Anche i due libri di vangeli differiscono in modo sostanziale tra loro (e anche dai manoscritti della Genesi). L'Evangeliario di Rossano presenta un testo in lettere d'argento su pergamena purpurea e una decorazione comprendente una serie di pagine di frontespizio e una singola immagine dell'evangelista Marco (c. 121r), attualmente ritenuta un'aggiunta successiva. I frontespizi comprendono scene dalla Vita di Cristo nella parte superiore della pagina e raffigurazioni degli autori del Vecchio Testamento con excerpta profetici dei loro testi nella parte inferiore. Il codice dei vangeli rinvenuto a Sinope nel 1899 è più frammentario e non se ne conservano carte prefatorie. Il testo era interamente scritto in oro su pergamena purpurea; cinque delle carte presentano scene della Vita di Cristo nel margine inferiore (cc. 10v, 11r, 15r, 29r, 30v), fiancheggiate dagli autori del Vecchio Testamento con excerpta profetici tratti dai loro scritti. Origine e datazione di questi due libri di vangeli sono discusse: l'area più frequentemente chiamata in causa è la regione tra Antiochia e Alessandria, ma non dovrebbe essere esclusa Costantinopoli o qualche altro centro di produzione.Il trattato del De materia medica rappresenta un genere di codice completamente diverso. Si tratta di un compendio di testi di carattere erboristico e medico, la cui illustrazione è costituita da una serie di immagini di frontespizio combinate con i vari testi e da trecentottantatré raffigurazioni a pagina intera di piante, realizzate in uno stile accentuatamente naturalistico, che accompagnano invece il testo di Dioscoride. Uno dei frontespizi (c. 6v) permette di identificare tale opera come dono di ringraziamento da parte della popolazione del sobborgo di Costantinopoli detto Onoratu ad Anicia Giuliana, nobildonna costantinopolitana legata alla famiglia imperiale; altre m. presentano i vari autori del compendio, certamente prodotto a Costantinopoli intorno al 512-513.
I manoscritti siriaci conservati di quest'epoca, come i Vangeli di Rabbula (Firenze, Laur., Plut. 1.56), datati al 586, e una Bibbia priva di datazione (Parigi, BN, syr. 341), forniscono ulteriori testimonianze sulla m. della prima età bizantina, l'interpretazione della quale resta ciò nonostante controversa. I codici che sono pervenuti potrebbero attestare l'esistenza di ampi cicli biblici illustrati, sul genere del Genesi Cotton, in seguito perduti e non conservati se non in excerpta dei secoli successivi (Illuminated Greek Manuscripts, 1973, pp. 12-16), così come rivelare una pluralità di scelte possibili all'epoca nell'illustrazione dei temi biblici, che poteva essere anche maggiormente articolata rispetto a quanto oggi appare (Lowden, in corso di stampa).
I codici miniati nella media e tarda età bizantina - in notevole contrasto con la prima - si conservano in quantità cospicua. Essi contengono per la maggior parte i quattro testi del vangelo e sono definiti evangeliari o tetravangeli. La struttura dell'evangeliario tipo bizantino seguiva uno schema che comprendeva le tavole dei canoni di Eusebio di Cesarea, all'interno di cornici decorate, collocate come frontespizi - per es. nell'evangeliario del 1100 ca. conservato a Parma (Bibl. Palatina, Pal. 5, cc. 6v-7r) - e, anteposta a ciascuno dei vangeli, sul verso della pagina precedente, una raffigurazione dell'autore, rappresentato generalmente nell'atto di scrivere un libro, secondo la formula iconografica nota come 'ritratto di evangelista'. L'inizio del testo evangelico, sul recto della pagina successiva al ritratto dell'evangelista, era individuato da una testata miniata e da un'ampia iniziale decorata, come nell'Evangeliario di Princeton (Univ. Lib., Garret 2, cc. 125v-126r); spesso compariva anche il titolo, in scrittura a lettere d'oro dal carattere ornamentale. L'evangelista, talvolta stante, era generalmente raffigurato seduto, spesso a uno scrittoio, dotato di tutto l'equipaggiamento per scrivere (calamo, inchiostro rosso o nero). La figura poteva essere collocata su un semplice fondo oro, ma, più comunemente, su sfondi architettonici e, in alcuni casi, davanti a veri e propri paesaggi di carattere illusionistico. Dal sec. 10° la figura di S. Giovanni era talvolta accompagnata da un giovane scriba, Prochoros, a cui il santo dettava; dal tardo sec. 13° vennero inoltre introdotte nuove tipologie iconografiche, quale per es. la raffigurazione dell'evangelista che fa la punta alla penna.Il testo del vangelo cominciava normalmente sul recto della carta, in genere all'inizio di un nuovo fascicolo, perciò i ritratti degli evangelisti potevano trovarsi, anche se non necessariamente, su carte di pergamena singole, la cui superficie di conseguenza non doveva ricevere in questo caso la consueta impostazione che avevano invece le pagine destinate al testo. Un'ulteriore conseguenza era che i ritratti degli evangelisti su carte singole venivano talvolta applicati a testi del vangelo più antichi, come nel caso dell'Evangeliario di Princeton (cc. 44v, 126v, 179v, 267v), oppure, al contrario, potevano essere tolti da un codice più antico per essere aggiunti a uno nuovo (Byzantium, 1994, nrr. 69-70); nell'analisi dei codici si devono sempre prendere in considerazione tali eventualità e meriterebbe di essere studiato più approfonditamente l'atteggiamento di cui sono espressione.Anche quando per i ritratti degli evangelisti sono state utilizzate carte singole, in taluni casi appare fuori di dubbio che lo stesso artista aveva eseguito anche la testata miniata della pagina a fronte, oltre a essere nel contempo lo scriba principale del libro. La procedura tecnica che rendeva possibili una suddivisione del lavoro e una specializzazione delle maestranze non richiedeva tuttavia necessariamente la loro attuazione.Numerose erano le varianti alla struttura tipica dell'evangeliario, sia nel contenuto sia nella quantità delle illustrazioni; talvolta potevano essere aggiunte ulteriori immagini di frontespizio ed essere inserite, prima di ognuno dei vangeli, scene tratte dalla Vita di Cristo, come nel citato evangeliario di Parma (cc. 89v-90v), oppure vi poteva essere inclusa un'immagine dedicatoria a piena pagina, come in un evangeliario del sec. 12° conservato a Melbourne (Nat. Gall. of Victoria, c. 1v; Buchthal, 1983a, fig. 293). Scene della Vita di Cristo potevano inoltre essere collocate all'interno del testo, in spazi lasciati liberi dallo scriba, come in un evangeliario del tardo sec. 13° (Athos, Iviron, 5; Οἱ θησαυϱοί, 1973-1991, II, tavv. 11-40). Estremamente interessante risulta una coppia di evangeliari della seconda metà del sec. 11° e dell'inizio del 12° (Parigi, BN, gr. 74; Firenze, Laur., Plut. 6.23; Velmans, 1971), nei quali vennero inserite centinaia di immagini all'interno di strette fasce. Nonostante si ritenga talvolta che tali evangeliari con illustrazione 'a fregio' potessero derivare da un modello di epoca antica, l'improvviso apparire di questo genere di illustrazione tra il 1050 e il 1070 ca. coincide con una tendenza analoga attestata anche in manoscritti bizantini contenenti altri tipi di testi. La suddivisione dei vangeli in capitoli (kephálaia) e, in misura minore, i loro titoli svolsero un ruolo importante nella selezione e nella disposizione delle immagini, quando queste venivano incluse nel corpo del testo.Il lezionario è considerato una variante particolare del libro dei vangeli e costituisce uno sviluppo di età posticonoclasta. Per la sua funzione esclusivamente liturgica e per il fatto che i teologi bizantini avevano dichiarato i vangeli immagine di Dio, i lezionari della media e tarda età bizantina sono spesso codici particolarmente splendidi, anche se gli esempi miniati conservati sono assai più rari rispetto a quelli degli evangeliari, i quali d'altra parte spesso riportavano le informazioni liturgiche che ne permettevano l'uso come lezionari; per es. il lezionario del tardo sec. 10° custodito a S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 204) venne interamente scritto in maiuscola d'oro. Esso presenta raffigurazioni a piena pagina non soltanto di Cristo (p. 1), della Vergine (p. 3) e dei quattro evangelisti (pp. 8, 10, 12, 14), ma anche di un non meglio identificato Hósios Pétros (p. 5), immagine che testimonia come il libro fosse stato realizzato in origine per essere utilizzato in una chiesa o in un monastero dedicati a tale santo, praticamente ignoto (Weitzmann, Galavaris, 1990, nr. 18, tavv. III-VIII, figg. 92-108).
Poiché i lezionari erano organizzati in base all'anno liturgico, essi iniziavano invariabilmente con il prologo del Vangelo di s. Giovanni, che si legge nella liturgia della domenica di Pasqua. Il rapporto tra gli incipit dei vangeli e specifiche festività suggeriva collegamenti iconografici che spesso si ripercuotevano sull'illustrazione degli evangeliari: Giovanni e l'Anastasi, Matteo e la Natività, Luca e l'Annunciazione, Marco e il Battesimo; la seconda parte del lezionario seguiva il calendario stabilito, a cominciare dal 1° settembre. Poiché in questa data si commemora s. Simeone Stilita, è possibile che a tale santo venisse dedicata un'immagine, come in un lezionario del sec. 11° al monte Athos (Dionisio, 587, c. 116r; Οἱ θησαυϱοί, 1973-1991, I, fig. 237). Sebbene sia stato ipotizzato che i lezionari bizantini fossero una sorta di terreno di cultura delle idee circa l'arte e la liturgia (Weitzmann, 1980), è più probabile invece che essi riflettessero piuttosto in ampia misura gli sviluppi degli altri media artistici.I restanti libri del Nuovo Testamento costituivano spesso un volume separato o, talvolta, venivano uniti ai vangeli. In generale i programmi decorativi adottati seguivano lo schema degli evangeliari. La situazione era invece molto diversa per il Vecchio Testamento. Dopo i vangeli, il libro più frequentemente miniato in area bizantina fu il salterio, del quale si conservano più di ottanta esemplari; nel corso dei secoli tuttavia non si sviluppò un modello standard di salterio illustrato; vi è un cospicuo sottogruppo di salteri con illustrazioni marginali oltre ad altri manoscritti di vario tipo. In area bizantina venne peraltro elaborato anche un tipo di volume maneggevole, contenente sia il Nuovo Testamento sia il salterio, che non ha paralleli in Occidente (Lowden, 1988b, pp. 248-250).Il salterio con decorazione marginale costituisce uno dei prodotti più peculiari e interessanti della cultura bizantina. Il programma decorativo prevedeva che lo scriba lasciasse margini assai ampi ai lati del testo dei Salmi, come per accogliere un commento scritto. Lo spazio lasciato libero veniva invece occupato da immagini collegate al testo in vario modo, che talvolta traducevano una parola o una frase direttamente in un'immagine, talaltra seguivano la narrazione più liberamente oppure, in altri casi ancora, proponevano un parallelismo desunto dai testi profetici cristiani o di teologia dogmatica. Si conservano tre salteri con decorazione marginale della metà del sec. 9°, che rivelano peraltro un evidente intento propagandistico anti-iconoclasta; tra questi il più completo è il Salterio Chludov (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add.gr. 129). Una variante particolare di questo genere di salterio venne realizzata nel monastero di S. Giovanni di Studios a Costantinopoli nel 1066 per l'abate e igumeno Michele Sincello (Londra, BL, Add. Ms 19352) dal monaco Teodoro di Cesarea, che ne fu lo scriba e il miniatore e che nell'apparato iconografico dedicò particolare spazio al ruolo del più noto dei predecessori dell'abate, l'iconodulo s. Teodoro di Studios (m. nell'826). Nel sec. 14° si realizzarono salteri con m. marginali con testi in serbo, in bulgaro, in russo e persino una copia bilingue, in greco e latino (Havice, 1984).Il più famoso e, per molti versi, il più insolito salterio bizantino è un volume di grandi dimensioni, del sec. 10°, conservato a Parigi (BN, gr. 139): la straordinaria qualità dell'immagine raffigurante Davide e Melodia (c. 1v) ha esercitato a lungo una forte attrattiva su coloro i quali misuravano il valore dell'arte bizantina in base alla sua capacità di conservare gli elementi della tradizione classica; altre raffigurazioni a piena pagina del medesimo codice con scene della Vita di Davide (cc. 2v-7v, 136v) appaiono tuttavia notevolmente meno riuscite in termini di illusionismo. L'artista utilizzò probabilmente per la raffigurazione di Davide e Melodia uno specifico modello risalente a epoca precedente, mentre per la maggior parte delle altre immagini dovette evidentemente ricorrere a un complicato lavoro di pastiche. Ancora in discussione è l'ampiezza degli specifici riferimenti imperiali contenuti in queste immagini, come anche nel salterio realizzato per Basilio II, del 976-1025, ovvero di qualche decennio successivo (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 17).Anche gli altri libri del Vecchio Testamento, nella versione dei Settanta, circolavano a Bisanzio in raccolte più brevi, la più nota delle quali è l'ottateuco (dalla Genesi al libro di Rut), conservato in cinque esempi illustrati strettamente imparentati tra loro, oltre a un sesto ottateuco illustrato, di tipo del tutto diverso (Firenze, Laur., Plut. 5.38). Gli ottateuchi contenevano in origine più di trecentosettanta immagini collocate in spazi ricavati all'interno del testo e, benché si tratti indubbiamente di opere dei secc. 11°-13°, sono stati per molto tempo considerati importanti soprattutto per quanto essi rivelavano dell'illustrazione dei Settanta nella prima età bizantina. Sebbene nel realizzarne il primo esemplare (ca. 1050-1070) venissero consultate alcune specifiche fonti antiche, difficilmente si può dubitare del fatto che il ciclo, nella forma in cui è pervenuto, costituisca un'elaborazione dell'età mediobizantina. Piuttosto che una copia di qualche ottateuco precedente andato perduto, in tale contesto potrebbe costituire una fonte plausibile il singolare rotulo di Giosuè, del sec. 10° (Roma, BAV, Pal. gr. 431).Il libro di Giobbe era un testo sufficientemente esteso da occupare un intero volume, nel caso fosse accompagnato da un ampio commentario (catena). I manoscritti miniati conservati che lo illustrano comprendono un gruppo non omogeneo di quattro libri risalenti al sec. 9° o al 10° e una più ampia serie realizzata tra il sec. 12° e il 14°; il primo gruppo concentra le raffigurazioni su eventi narrati all'inizio e alla fine del libro di Giobbe, a differenza dei codici più tardi che presentano anche m. relative alla disputa che occupa la maggior parte del testo (Gb. 3-41). Tra i codici del primo gruppo, quello conservato a S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 3) sembra imitare nello stile un manoscritto di epoca preiconoclasta. Tra gli ultimi, il più riccamente illustrato aveva in origine duecentotrentasette m., molte delle quali più volte ripetute (Oxford, Bodl. Lib., Barocci 201).I libri dei profeti, da Isaia a Malachia, furono ugualmente raccolti in singoli volumi di fogge differenti e forniti di illustrazioni costituite innanzi tutto dai ritratti dei profeti, in quanto autori dei testi, anche se in alcuni dei sette libri conservati, risalenti ai secc. compresi tra il 10° e il 13°, venne inserita qualche scena a carattere narrativo. Si conserva un unico codice illustrato dei quattro libri dei Re, risalente al 1050-1070 ca. (Roma, BAV, Vat. gr. 333), che è stato considerato - senza tuttavia prove stringenti - epigono di un perduto manoscritto della prima età bizantina. Il manoscritto presenta centoquattro immagini distribuite in modo irregolare nel testo, che diminuiscono bruscamente via via che procede la narrazione; evidentemente il progetto originario di illustrare tutti i kephálaia si era rivelato troppo ambizioso.Il primo volume conservato di una Bibbia miniata in due volumi, realizzata intorno al 925-950 ca. per essere donata dal funzionario imperiale Leone sakellários al monastero di S. Nicola (Roma, BAV, Reg. gr. 1), indica come a Bisanzio venissero realizzate anche bibbie complete, sebbene soltanto in rare occasioni. Le m. della Bibbia di Leone, detta della regina Cristina di Svezia, si presentano come frontespizi a pagina intera, che riproducono la donazione del libro e altre dodici immagini a piena pagina dedicate ai libri della Bibbia, in cui vengono adottati diversi generi di raffigurazioni: dalla sequenza di scene narrative disposte su registri (per la Genesi) alle figure stanti, come i ritratti degli autori (per i Salmi). Si è tentato di associare tre manoscritti conservati della Bibbia dei Settanta, risalenti al sec. 10° (Bibbia di Niceta, Copenaghen, Kongelige Bibl., Haun GKS 6; Firenze, Laur., Plut. 5.9; Torino, Bibl. Naz., B.I. 2), a un ipotetico prototipo del sec. 6° con immagini a piena pagina, ma le prove addotte non paiono sufficientemente stringenti (Belting, Cavallo, 1979; Lowden, 1983).
A parte i codici contenenti il testo biblico, i manoscritti bizantini presentano un numero relativamente limitato di tipologie, prodotte però in numerosi esemplari miniati; le testimonianze principali sono costituite dalle collezioni di omelie e da manoscritti basati sul calendario. Tra l'880 e l'883 venne realizzato un codice di eccezionali dimensioni delle Omelie di Gregorio Nazianzeno (m. nel 390 ca.) per l'imperatore Basilio I (Parigi, BN, gr. 510). Oltre alle pagine di frontespizio su fondo in foglia d'oro, dedicate alla famiglia, il codice conteneva un frontespizio a piena pagina per ciascuna omelia; si è cercato di interpretare i legami straordinariamente complessi che uniscono gli elaborati frontespizi al testo delle omelie alla luce del pensiero del colto patriarca Fozio (m. nell'886). Il codice parigino non ha relazioni con un altro manoscritto miniato, all'incirca contemporaneo, delle Omelie di Gregorio Nazianzeno, conservato a Milano (Bibl. Ambrosiana, E.49-50 inf.), né, dal punto di vista iconografico, con raccolte di omelie adattate all'uso liturgico, delle quali si conservano esemplari miniati di altissima qualità, risalenti ai secoli compresi tra l'11° e il 14°, come quello, databile al 1136-1155, custodito a S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 339). Vi sono anche esempi isolati, sebbene superbamente eseguiti, di codici miniati contenenti le opere di s. Giovanni Crisostomo (m. nel 404), quali per es. il volume delle Omelie, che comprende una raffigurazione dell'imperatore Niceforo III Botaniate (1078-1081; Parigi, BN, Coislin 79, c. 2v). Il frontespizio del codice delle Omelie di s. Basilio il Grande (m. nel 379), risalente al sec. 10° (Oxford, Bodl. Lib., Canon gr. 77, c. 2r), mostra l'autore mentre recita i suoi stessi sermoni. Basilio e Crisostomo, in quanto autori delle due principali liturgie in uso a Bisanzio, venivano raffigurati anche su rotuli miniati contenenti il testo della liturgia (per es. Patmo, monastero di S. Giovanni, bibl., 707).
I manoscritti legati al calendario liturgico più frequentemente miniati costituivano parte del Menologio di Simeone Metafraste, comunemente suddiviso in dieci volumi. Sebbene tale testo si fosse affermato sin dalla seconda metà del sec. 10°, tutti e quarantatré gli esemplari miniati conservati risalgono sorprendentemente e inspiegabilmente a un'epoca che va soltanto dal 1050 al 1125. I vari manoscritti adottano diversi schemi decorativi: alcuni presentano pagine di frontespizio sul genere delle icone con calendario. Il più ricco manoscritto illustrato del Menologio di Simeone Metafraste è il volume del mese di settembre (Londra, BL, Add. Ms 11870), che in origine conteneva una grande raffigurazione per ciascuna festività. Senza confronti per l'estensione delle sue m. è il Menologio (non di Simeone Metafraste) di Basilio II, del 1000 ca. (Roma, BAV, Vat. gr. 1613). Un testo poetico prefatorio, scritto in oro, proclama il legame del libro con l'imperatore, che sembra fosse in origine rappresentato in un'immagine sulla pagina a fronte; si tratta di un libro di figure, con ciascuna pagina divisa a metà tra un'immagine e sedici righe di testo. Il volume abbraccia i sei mesi compresi tra settembre e febbraio con quattrocentotrenta immagini per i centottantuno giorni, costituendo così la fonte più ricca, concentrata in un solo codice, per lo studio dell'iconografia dei santi nella cultura bizantina. È da rimarcare il fatto che lo scriba abbia identificato le immagini come opera di otto artisti diversi, sebbene il loro stile sia ovunque assai omogeneo; il significato reale di tali 'firme' resta un enigma.A partire dal 1050 e fino al 1070 sembrano essere state illustrate da vasti cicli figurativi due opere di istruzione devozionale, il 'romanzo' di Barlaam e Iosafat, tradotto in greco forse nel sec. 9°, e la Scala del Paradiso di s. Giovanni Climaco - scritta da un abate del monastero di S. Caterina sul monte Sinai, morto nel 630 - della quale certamente non vennero realizzate soltanto copie destinate all'ambiente monastico. La copia più riccamente illustrata (Roma, BAV, Vat. gr. 394) è opera di alta qualità, nella quale sono comprese illustrazioni che seguono alla lettera il testo e personificazioni accanto ad ampie scene incorniciate per ciascun piolo della scala.Si conservano tre copie della Topographia christiana di Cosma Indicopleuste, singolare opera di spiritualità del sec. 6°, accompagnata fin dall'origine da immagini e da diagrammi, come chiarisce anche il testo stesso: il codice vaticano del sec. 9° (Roma, BAV, Vat. gr. 699) e due esemplari risalenti al sec. 11° (Firenze, Laur., Plut. 9.28; S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 1186) costituiscono così una fonte importante per la storia della m. bizantina anche del 6° secolo.Un chiaro esempio di come un testo nuovo potesse essere illustrato adattando immagini e formule codificate in modo tale da farlo apparire 'tradizionale' è fornito da due manoscritti del secondo quarto del sec. 12° (Parigi, BN, gr. 1208; Roma, BAV, Vat. gr. 1162), contenenti entrambi una raccolta di sei omelie sulla Vergine - composte da un monaco dell'epoca, Giacomo Kokkinobaphos, per una dama dell'aristocrazia probabilmente legata alla famiglia imperiale - e corredati da numerose m. incorniciate, di grandi dimensioni (settantasei nel Vat. gr. 1162).Esistono nella m. bizantina anche casi di testi miniati conservati in un solo esemplare, per es. la Cronaca riccamente illustrata di Giovanni Skilitze (Madrid, Bibl. Nac., 5-3 n. 2). Si tratta di una copia, risalente alla seconda metà del sec. 12°, di un'opera quasi coeva, che presenta un vastissimo ciclo comprendente cinquecentosettantaquattro m. prive di cornice, all'interno di spazi lasciati nel testo, secondo una disposizione che ricorda quella degli evangeliari con illustrazione 'a fregio'. Persino un documento relativo alla fondazione di un monastero, un Typikón, poteva avere un'ornamentazione lussuosa, come per es. in un codice databile al 1327-1342 (Oxford, Lincoln College Lib., gr. 35), che presenta dodici ritratti simili a icone a piena pagina dei membri della famiglia del fondatore, insieme a un ritratto di gruppo delle monache del convento (cc. 1v-12r), figure che nei loro abiti di età paleologa appaiono esotiche a paragone delle ricorrenti fogge classiche.Si conserva un'unica copia riccamente illustrata dei Sacra Parallela di Giovanni Damasceno (Parigi, BN, gr. 923), un'antologia del sec. 9° di testi religiosi in ordine alfabetico, con centinaia di immagini eseguite su fondo in foglia d'oro. Se si accetta l'ipotesi (Weitzmann, 1979) secondo la quale le raffigurazioni di questo manoscritto sarebbero state tratte dai codici che ne costituivano la fonte testuale, esso rappresenterebbe un'importante testimonianza dell'esistenza di numerosi altri testi illustrati altrimenti sconosciuti, ma gli argomenti addotti a riprova non reggono a un'osservazione attenta. Riflessi di un'epoca anteriore sono più plausibilmente i casi isolati di testi non religiosi, quali il trattato sulla caccia (Cynegetica) dello pseudo-Oppiano, del sec. 3°, conservato in un unico esemplare miniato del sec. 11° (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 479). Tra le opere più singolari è una copia, della metà del sec. 10°, del trattato di Sorano di Efeso Perí epidésmon (Firenze, Laur., Plut. 70.7).La tendenza a considerare le opere di m. bizantina che si conservano come di importanza primaria per quanto possono rivelare circa quello che invece si è perso sta gradualmente lasciando il posto a un'impostazione più articolata degli studi, aperta a indagini sugli aspetti della produzione e dell'uso dei manoscritti miniati nel mondo bizantino.
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