MINIATURA
La m., ovvero l'illustrazione del libro manoscritto, fu in Occidente una delle manifestazioni artistiche più importanti del Medioevo e anche nel Rinascimento mantenne intatto il suo ruolo centrale. Essa si trasformò soprattutto quando dovettero essere adottate nuove tecniche adatte alla riproducibilità propria del libro a stampa, quali, all'inizio, la xilografia e la calcografia sino alla moderna fotoriproduzione. Nell'Antichità, i manufatti che resero possibile la trasmissione della parola scritta e delle immagini furono le tavolette, usate in Grecia, ma soprattutto il rotulo di papiro, grande creazione dell'Egitto antico e poi ellenistico, al quale si affiancò, a partire dal sec. 1° a.C., il codice in pergamena, i cui evidenti vantaggi pratici e fisiologici finirono con il decretarne il successo (Weitzmann, 1947). Il rotulo - ormai comunque in pergamena - sopravvisse solo in casi eccezionali.Gli aspetti principali del libro miniato antico furono ereditati dal Medioevo: in primo luogo le tecniche illustrative, che vanno dal disegno a penna con inchiostro bruno, con vari colori ad acquarello, presente sui rotuli in papiro egiziani, alla tecnica dei colori a tempera sui codici in pergamena; in secondo luogo i metodi narrativi simultaneo, monoscenico e ciclico (Weitzmann, 1947), tendenzialmente con un cursus che va da sinistra a destra; in terzo luogo la collocazione, all'interno o all'inizio della colonna di scrittura, delle illustrazioni, che potevano anche essere raccolte per gruppi in una pagina intera; un'altra eredità classica fu la colorazione della stessa pergamena (preferibilmente purpurea).
Alcuni aspetti della spiritualità e della religione cristiana sono stati importantissimi per l'affermazione e lo sviluppo della m. e prima ancora del libro stesso: Cristo è il Lógos, il Verbum. Il libro è il simbolo per eccellenza della parola, e perciò Cristo può avere il libro chiuso (ante Verbum) o può tenere in mano il libro aperto come segno della rivelazione avvenuta (post Verbum). Il libro e la sua ornamentazione svolgono anche dal punto di vista simbolico un ruolo di primo piano (Pächt, 1984).
Periodo paleocristiano. - Oggi si conoscono più o meno bene soltanto pochi centri scrittorî in Italia che abbiano anche prodotto codici miniati fra i secc. 4° e 6°: Roma, Ravenna, Milano e lo scomparso monastero di Vivarium presso Squillace, in Calabria. Il Virgilio vaticano (Roma, BAV, Vat. lat. 3225), celebre manoscritto miniato, è la migliore testimonianza della m. romana del sec. 5° (De Wit, 1959), presentando stretti raffronti sia con i mosaici della navata della basilica di S. Maria Maggiore sia con gli affreschi di alcune catacombe. A Roma doveva essere presente una recensione illustrata della Bibbia e pertanto al medesimo scriptorium cittadino è ascritto (Weitzmann, 1977) il Libro dei Re (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol.485), detto Itala Quedlinburg, che altri collegano invece a Milano (Toesca, 1927). Due fogli di un perduto evangeliario (Roma, BAV, Vat. lat. 3806) con le prime tavole dei canoni di Eusebio di Cesarea furono eseguiti a Roma intorno alla metà del sec. 6°, perché la loro ornamentazione a foglie e frutta ha la raffinata e tenera naturalezza di certa pittura pompeiana. A Roma si trovavano anche quei modelli classici che sarebbero poi stati ampiamente utilizzati nell'iconografia dei libri cristiani: per es. il Calendario di Filocalo, di notevole complessità figurativa, realizzato nel 354 per un cristiano di nome Valentino (oggi perduto, ma noto attraverso disegni a inchiostro del sec. 17°; Roma, BAV, Barb. lat. 2154), che fornì modelli per i ritratti degli evangelisti. Lo splendido Virgilio romano (Roma, BAV, Vat. lat. 3867), risalente a una tradizione iconografica diversa rispetto all'altro esemplare virgiliano, un tempo ritenuto siriaco (Rosenthal, 1972) o prodotto in una provincia dell'Impero romano d'Occidente, forse in Gallia (Weitzmann, 1977), è stato recentemente ricondotto a Ravenna, agli inizi o alla metà del sec. 6°, in età gota (Bierbrauer, 1994). All'Italia risale anche il prototipo perduto dell'illustrazione del testo dell'Apocalisse, che oggi è possibile ricostruire attraverso copie o recensioni tarde realizzate nel sec. 9° a Saint-Amand (Valenciennes, Bibl. Mun., 99; Cambrai, Médiathèque Mun., 386). L'importanza di Ravenna come centro di produzione libraria è ormai riconosciuta (Cavallo, 1990; Bierbrauer, 1994); le sono stati ascritti codici latini miniati di età gota, sia di lusso, purpurei e con scrittura argentea - come i vangeli di Uppsala (Universitetsbibl., DG I) della prima metà del sec. 6°, il vangelo di Luca e quello di Marco, detti Codex Neapolitanus (Napoli, Bibl. Naz., Neap. lat. 3), o i due analoghi purpurei con inchiostro argenteo contenenti i vangeli antegeronimiani, ovvero il Codex Brixianus (Brescia, Bibl. Civ. Queriniana) e il Codex Palatinus (Trento, Mus. Prov. d'Arte) -, sia più modesti (Nordenfalk, 1970), scritti con inchiostro bruno e decorati con iniziali formate con pesci, foglie, cuori e uccelli eseguiti con il medesimo inchiostro e con acquarelli, come l'Historia adversum paganos di Paolo Orosio (Firenze, Laur., Plut. 65.1). A Ravenna in una fase di tensione massima verso Bisanzio (Cavallo, 1990) si scrivevano e si miniavano anche manoscritti greci, come i vangeli di età gota di Vienna, dei quali sono rimaste alcune carte con le tavole eusebiane (Öst. Nat. Bibl., 847), e anche codici laici, come i quattro trattati di Galeno noti tramite una copia del sec. 9° (Milano, Bibl. Ambrosiana, E.16 sup.).
Della produzione di Vivarium poco si possiede: una pagina ornamentale con intrecci di tipo mediterraneo - utilizzata nel sec. 8° come frontespizio per un manoscritto con il De consensu Evangelistarum di Agostino (Parigi, BN, lat. 12190, c. Av) - può essere collegata con il libro di modelli per legature esistente a Vivarium e descritto da Cassiodoro (Inst., I, 30; PL, LXX, coll. 1145-1146; Nordenfalk, 1974).
Nel 596 papa Gregorio Magno (590-604) inviò in Inghilterra una missione capeggiata dal monaco Agostino, divenuto poi s. Agostino di Canterbury (m. tra il 604 e il 609). Nel 601 Agostino ricevette da Roma plurimi codices, oggi per lo più noti attraverso copie più tarde. Uno degli originali è probabilmente da identificare con un vangelo ora a Cambridge (C.C.C., 286), proveniente dall'abbazia di St Augustin di Canterbury, che conserva due m. a piena pagina, una con dodici scene della Vita di Cristo (c. 125r), l'altra con S. Luca seduto in trono e, nei due intercolunni ai lati, sei scene della Vita di Cristo (c. 129v). Si tratta sicuramente di un'opera italiana databile intorno al 590-600, eseguita con la tecnica del disegno a penna e con leggeri acquarelli azzurri e ocra, con grande scioltezza narrativa e senso arioso dello spazio. È oggetto di discussione se questo manoscritto appartenga all'Italia settentrionale (Porcher, 1967) o a quella centrale, in particolare a Roma, come parrebbe più verosimile.La Northumbria divenne sede di una forte tradizione classica. S. Benedetto Biscop (m. nel 689) e s. Ceolfrido (642-716) - il successore di Benedetto a capo dell'abbazia di Wearmouth - acquistarono forse la biblioteca di Cassiodoro a Vivarium. È certo che in Inghilterra si trovava il Codex Grandior di Cassiodoro con la Bibbia, perché da esso derivano il testo e le due m. della copia eseguita in Northumbria (Firenze, Laur., Amiat.1, cc. 5r, 796v), detta Codex Amiatinus, che Ceolfrido portò con sé come dono nel viaggio verso Roma, iniziato il 7 giugno 716, durante il quale egli morì.Chiude il periodo paleocristiano l'importantissimo Pentateuco di Tours (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 2334), detto anche di Ashburnham (v.), che, con le storie disposte in quattro fasce raggruppate in piene pagine, esprime una padronanza assoluta della narrazione continua. Alcune suggestive analogie con manoscritti spagnoli dei secc. 10° e 11° dimostrano la probabile presenza di questo manoscritto, o di uno simile, nella penisola iberica; tuttavia è sempre più forte la tendenza a ricondurlo nell'ambito dell'Africa settentrionale.
Alto Medioevo. - Un evento certamente innovativo fu nel sec. 7° l'affermazione e diffusione del monachesimo e della m. irlandese, che realizzò intorno al 680 uno dei suoi capolavori, il Libro di Durrow (Dublino, Trinity College, 57, già A.4.5; v. Insulare, Arte; Irlanda). I monaci irlandesi si espansero anche sul continente a cominciare dalla Francia settentrionale, lungo il corso del Reno (Evangeliario di Echternach, Parigi, BN, lat. 9389), in Svizzera (Evangeliario di San Gallo, San Gallo, Stiftsbibl., 51.187) e infine in Italia, con i vangeli dello scriptorium di S. Colombano a Bobbio, in parte distrutti (Carta, Cipolla, Frati, 1899). A Bobbio gli esempi irlandesi coesistevano con lo stile ornamentale già usato in Ravenna, basato sui semplici motivi della foglia d'edera, del cuore, del pesce e dell'uccello. Anche due codici non specificamente legati all'ambiente monastico, come i Vangeli detti di Valeriano dal nome dello scriba (St. Paul in Lavanttal, Benediktinerstift St. Paul, Bibl.; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 6224), generalmente considerati prodotti in Italia, recano gli stessi elementi ornamentali. Tale tipologia si diffuse in Francia, probabilmente incoraggiata dalla presenza di prototipi italiani: uno dei migliori esempi è il Sacramentario gelasiano (Roma, BAV, Reg. lat. 316), databile intorno al 750. In Francia all'influsso italiano si associò anche quello irlandese, costituito dai nastri intrecciati, dalla forte stilizzazione degli animali e delle figure umane. Ne sono esempio le Quaestiones in Eptateuchon di Agostino (Parigi, BN, lat. 12168), databili negli stessi anni, e soprattutto i vangeli dell'abbazia borgognona di Flavigny (Autun, Bibl. Mun., 4), della seconda metà del sec. 8°, nei quali l'adesione alla m. irlandese è assai più decisa.La tradizione figurativa classica sopravvisse con grande nobiltà in area italiana sulla base di modelli tardoantichi, come nella Historia Conciliorum (Vercelli, Bibl. Capitolare, CLXV), realizzata con un disegno a penna forte e incisivo, databile nella prima metà del sec. 10°, o sulla base di modelli siriaci - attestati a Roma per i secc. 6°-7° -, dei quali è rievocata anche la tecnica pittorica con l'uso di colori a tempera dalle tonalità cariche e brillanti, come nelle Homiliae di Gregorio Magno (Vercelli, Bibl. Capitolare, CXLVIII). Il Codice di Egino (Berlino, Staatsbibl., Phill. 1676), eseguito nel 798 a Verona per il vescovo Egino (m. nell'802), dimostra la padronanza e la vitalità della tradizione classica in Italia.Influssi copti (Hubert, Porcher, Volbach, 1968), giunti sicuramente attraverso i tessuti, si rintracciano in manoscritti prodotti in Francia, come il Chronicon di Fredegario (Parigi, BN, lat. 10910), databile intorno alla metà del sec. 8°, che utilizza la tecnica antichissima del disegno a penna con inchiostro bruno, e soprattutto il Sacramentario di Gellone (Parigi, BN, lat. 12048), della fine del secolo, che accoglie la corrente tipicamente italosettentrionale di iniziali formate per intero da pesci o uccelli, giungendo a sostituire alla lettera una figura umana. Il Salterio di Corbie (Amiens, Bibl. Mun., 18), databile intorno al 790-795, rivela uno stadio ancora più evoluto nella ricerca dell'iniziale come spazio-struttura, ottenuto attraverso una tipologia e uno stile più raffinatamente classico.
Rinascenza carolingia. - Il libro con la scrittura e la m. ebbe un ruolo importante nel programma di riforma culturale di Carlo Magno. L'Evangelistario di Godescalco (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 1203) venne approntato in occasione del battesimo e dell'incoronazione di Pipino (781-810), celebrati a Roma per la Pasqua del 781. Altri cinque grandi evangeliari purpurei ben testimoniano il messaggio che in termini figurativi Carlo Magno intendeva inviare quale imperatore: sono i Vangeli di Ada (Treviri, Stadtbibl., 22), con un secondo evangeliario di cui rimane una sola immagine (Londra, BL, Cott. Claud. B. V), un evangeliario conservato a Londra (BL, Harley 2788), l'Evangeliario di Saint-Médard a Soissons (Parigi, BN, lat. 8850), l'Evangeliario di Saint-Riquier/Centula (Abbeville, Bibl. Mun., 4) e l'Evangeliario di Lorsch, diviso fra Roma (BAV, Pal. lat. 50) e Alba Iulia (Bibl. Batthyaneum, R.II.1). La tipologia dei volti degli evangelisti divenne riconoscibilmente romana; le figure sono monumentali, lo spazio grandioso; sullo sfondo, costruito con i simboli dei quattro elementi cosmici, si ergono città murate imperiali, simbolo della 'città terrena' e dell'istituzione imperiale.Al regno di Carlo Magno appartiene un altro gruppo di codici purpurei, caratterizzato da un colto recupero della pittura ellenistica. Esso è formato dai Vangeli dell'Incoronazione (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), eseguiti tra il 790 e l'800, dai Vangeli della Cappella Palatina di Aquisgrana (Aquisgrana, Domschatzkammer) e dall'Evangeliario detto di Xanten (Bruxelles, Bibl. Royale, 18723), al quale è stato aggiunto un foglio di pergamena purpurea con un ritratto di evangelista (c. 17r), proveniente da un altro manoscritto. Tale recupero può essere spiegato solo da un diretto apporto di un artista bizantino o dalla presenza di un miniatore di provenienza italiana.La corrente neoellenistica costituì il terreno sul quale fruttificò lo scriptorium dell'abbazia francese di Hautvillers, fondato da Ebbone (m. dopo l'847), arcivescovo di Reims, nell'816: l'Evangeliario di Ebbone (Epernay, Bibl. mun., 1), il Salterio di Utrecht (Bibl. der Rijksuniv., 32) e un altro salterio (Oxford, Bodl. Lib., Douce 59) sviluppano la scioltezza narrativa e la pittura di tocco dei modelli ellenistici, caricandoli però di una forte tensione dinamica ed emotiva. Alla personalità di Ebbone e allo scriptorium di Hautvillers va collegata la rinascita della cultura laica greca e latina: qui si miniò un trattato di medicina con la rappresentazione di Esculapio (Parigi, BN, lat. 6862, c. 18v), nonché un testo antico come il Physiologus (Berna, Bürgerbibl., 318). È a questo ambiente intellettuale, libero dai presupposti ideologici della committenza imperiale, che si deve l'invenzione della drôlerie (v.).
A partire dall'834 con l'abate Adalardo (834-843) e poi con il conte Viviano (843-851) lo scriptorium di Tours (v.) riprese quota e rielaborò in maniera originale lo stile a silhouette, caratterizzato da figurette agili e leggere. Nell'ambito della committenza dell'imperatore Carlo II il Calvo (v.; 823-877) si sviluppò anche una rinascita della m. insulare anglo-irlandese, che prende il nome di stile franco-sassone. La varietà dei codici e la mancanza di sicure notizie hanno finora impedito di localizzarne i luoghi di produzione. Il manoscritto più significativo è la Seconda Bibbia di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 2), lasciata dall'imperatore all'abbazia parigina di Saint-Denis. Nei cento anni nei quali la dinastia carolingia fu al potere la produzione di libri fu assai fervida anche in altri centri scrittorî non legati alla corte, ma appare eterogenea, rispondente a impulsi e tradizioni locali. Fa eccezione San Gallo, posta sotto la diretta protezione imperiale, ma lontana dalla corte, nel cui scriptorium confluirono, tramite l'Italia settentrionale, modelli antichi, indipendenti da quelli carolingi. Anche Salisburgo (v.) da un lato e Saint-Amand nella Francia settentrionale dall'altro - legati per merito di Arnone, abate di Saint-Amand e poi arcivescovo di Salisburgo (785-821) - trassero una comune ispirazione da modelli di età paleocristiana romana.Nelle altre province dell'impero e nei regni barbarici, in età carolingia la produzione di codici miniati fu piuttosto scarsa. Tuttavia, per quanto riguarda la Spagna settentrionale è rimasto uno splendido esemplare nella Bibbia detta visigotica (Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 1), confezionato a Oviedo subito dopo l'830, prendendo a modello le bibbie (Londra, BL, Add. Ms 24142; Parigi, BN, lat. 11934; lat. 9380) rigorosamente aniconiche eseguite per Teodulfo (m. nell'821), vescovo di Orléans (798-817) e poi abate di Fleury (Rotili, 1978). Tale codice è basato su una tipologia ornamentale mozarabica formata da calligrammi astratti, ottenuti con inchiostri di colore diverso.Quanto all'Italia, la produzione libraria in età carolingia sembra concentrarsi in scriptoria monastici, come Bobbio e Nonantola. Un ruolo particolare e molto importante è stato svolto dall'abbazia di Montecassino (v.), la cui decorazione libraria è oggi ben conosciuta per i secc. 8°-10° (Orofino, 1994). Nell'Italia meridionale era attivo tra gli altri lo scriptorium di San Vincenzo al Volturno, dove fu scritto e miniato per ordine dell'abate Attone (739-760) un libro di vangeli (Londra, BL, Add. Ms 5463), le cui tavole canoniche (cc. 1v-4v) sono ornate con grande aderenza ai modelli tardoantichi (Nordenfalk, 1957). Napoli, infine, della cui produzione purtroppo pochissimo è noto, si distingue per le originalissime iniziali istoriate che illustrano un manoscritto di Virgilio (Napoli, Bibl. Naz., ex-Vind. lat. 6) e per le figurine lungo i margini, vere e proprie scene di genere, che commentano il De materia medica di Dioscoride (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 337). Ambedue i codici sono del sec. 10° (Rotili, 1978). Un altro importante centro italiano in età carolingia fu Milano (v.).
Età ottoniana. - In Germania l'atto di nascita della m. ottoniana è generalmente considerato il diploma purpureo miniato con il quale Ottone I (936-973) confermava al papa tutti i privilegi conferitigli dai Carolingi (Roma, Arch. Segreto Vaticano, AA. Arm. LXVIII-XVIII Ottonianum). Il rapido sviluppo della 'cappella' palatina è dimostrato da un altro diploma (Wolfenbüttel, Niedersächsisches Staatsarch., 6 Urk.II), con la lista dei doni in occasione del matrimonio della bizantina Teofano con Ottone II (973-983), nel quale la scrittura si dispone su una finta stoffa serica purpurea a 'rotelle' con animali alati, tipica degli ergastéria imperiali. La splendida corte di Costantinopoli, dove l'imperatore era anche capo supremo della Chiesa, fu il nuovo modello degli Ottoni (v. Ottoniana, Arte). In questa luce è generalmente comprensibile che la committenza ottoniana fosse esclusivamente rivolta ai codici sacri: le poche immagini profane si trovano nei calendari dei sacramentari.
L'influenza carolingia è visibile soprattutto nella prima fase; nei principali centri del potere ottoniano si trovavano del resto celebri libri carolingi, che costituivano modelli imprescindibili per gli artisti e per i loro committenti ottoniani. L'Evangelistario di Gerone (Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibl., 1948) e il gruppo di manoscritti a esso collegati derivano dal Codex Aureus di Lorsch, commissionato da Carlo Magno. Soprattutto importante fu l'influenza dei libri di Carlo il Calvo, che, oltre a essere i più vicini cronologicamente, corrispondevano a un'azione politica per alcuni aspetti simile a quella degli Ottoni. Perfino lo stile franco-sassone, che risale all'ultimo periodo di regno di Carlo il Calvo, venne ripreso dalla m. ottoniana, come dimostrano i vangeli donati dalla famiglia imperiale al monastero sassone di Quedlinburg (New York, Pierp. Morgan Lib., 755) e quelli oggi conservati quasi integralmente a Reims (Bibl. Mun., 10; qualche foglio a Baltimora, Walters Art Gall., Walters 751), probabilmente eseguiti nello scriptorium di Corvey (v.), dove si trovava un vangelo in stile franco-sassone databile all'870 ca. (Praga, Kapitulní Knihovna, Cim. 2). In Sassonia all'inizio del sec. 11° un altro importante scriptorium era quello episcopale di Hildesheim, dove giunse nel 993 una delle personalità più rappresentative dell'età ottoniana: Bernoardo (v.), vescovo di Hildesheim (993-1022), precettore di Ottone III (980-1002), vissuto alla corte di Ottone II come scriba doctus, presso il grande arcicancelliere Villigiso (975-1011) a Magonza. Contrariamente agli imperatori carolingi, che avevano organizzato cancellerie di corte, gli Ottoni si servivano di scriptoria monastici. Uno dei primi era Fulda (v.), con un grande scriptorium adibito alle esportazioni, specializzato, sembra, nella realizzazione dei sacramentari: a uno di questi, scomparso, apparteneva un foglio con la rappresentazione del ciclo annuale (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol.192). Qui furono inoltre miniate le Vite dei ss. Chiliano e Margherita (Hannover, Niedersächsische Landesbibl., 189), primi esempi di un genere di codice agiografico illustrato, che ebbe un grande sviluppo in periodo romanico. Anche la vicina Magonza (v.), con lo scriptorium del monastero di St. Alban, diede il suo contributo allo sviluppo della m. ottoniana: con il libro d'ore per Ottone III (Bamberga, Staatsbibl., Schloss Pommersfelden, 347) si riprendeva una tipologia libraria legata a Carlo il Calvo, che ebbe fortuna nei secoli successivi.
Lo scriptorium più importante del periodo ottoniano era quello della Reichenau sul lago di Costanza (v.) - sviluppatosi per impulso e sotto la direzione culturale di Witigowo, abate a partire dal 985, potente personaggio della corte di Ottone III -, dove furono eseguiti numerosi codici: lo splendido evangelistario detto Codice di Egberto (v.; Treviri, Stadtbibl., 24) dal nome del committente, ex cancelliere imperiale in Italia e arcivescovo di Treviri (977-993), e, legato al medesimo personaggio, il Salterio di Egberto (Cividale, Mus. Archeologico Naz., CXXXVI), ambedue scritti dal monaco Ruodprecht; l'Evangeliario di Poussay (Parigi, BN, lat. 10514), stilisticamente collegato con il Salterio di Egberto; infine, il Sacramentario di Petershausen (Heidelberg, Universitätsbibl., Sal. IX b), vicino al già citato codice di Gerone. La m. del gruppo di Ruodprecht, fortemente legata all'influsso italiano, a sua volta influenzò lo scriptorium di San Gallo e quello di Einsiedeln. Nel Codice di Egberto lavorò un miniatore diverso da quello del Salterio omonimo: il Maestro del Registrum Gregorii (v.).Gli altri centri della m. ottoniana ai tempi della dinastia sassone furono Colonia e Ratisbona. La m. di Colonia (v.) era caratterizzata da formule librarie sontuose, degne dell'imperatore Ottone III, al quale sono legati l'Evangeliario di St. Gereon (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 312) e il sacramentario per la medesima chiesa (Parigi, BN, lat. 817), entrambi databili intorno al 996. Lo stile pittorico di questa città è fortemente compendiario e intriso di influssi ellenistici. Capolavoro della m. coloniense sono i vangeli per la badessa Hitda di Meschede (Darmstadt, Hessische Landes-und Hochschulbibl., 1640), del primo quarto dell'11° secolo. La produzione libraria di Ratisbona ebbe sede nello scriptorium di St. Emmeram, abbazia in cui si conservava il celebre Codex Aureus di Carlo il Calvo (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000), fatto restaurare dall'abate Ramwold (975-1001). Fortissima fu l'influenza di questo codice sull'Evangeliario della badessa Uta (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13601) e sul Sacramentario di Enrico II (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4456), anche se la cromia più chiara e più luminosa testimonia l'ascendenza bizantina.
Con la dinastia salica, che giunse al potere nel 1024, raggiunse l'apogeo lo scriptorium della Reichenau; i suoi codici erano richiestissimi e anche il primo imperatore salico, Corrado II (1024-1039), vi commissionò un libro di vangeli per il monastero di Limburg an der Haardt da lui fondato (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., Metr. 218). Centri importanti del periodo salico furono inoltre Echternach e Salisburgo, il primo dominato dalla personalità del Maestro del Registrum Gregorii. Questo scriptorium, sito nel monastero dedicato a s. Villibrordo, guidato dal 1028 dall'abate Umberto, raggiunse il culmine della sua attività nel quarto e quinto decennio del sec. 11° grazie alla protezione dell'imperatore salico Enrico III (1039-1056). Molto importanti sono i ritratti imperiali che si trovano alle cc. 2v e 3r dell'evangeliario (1043-1046) commissionato da Enrico III per la cattedrale di Spira, per la sua sontuosità detto Codex Aureus di Spira (Escorial, Bibl., Vitr. 17). In questo codice si è supposto all'opera un artista greco itinerante, tanto è forte il classicismo bizantino, tuttavia legato all'arte classica e anche all'opera del Maestro del Registrum Gregorii, l'impronta determinante del quale reca l'evangeliario per l'abbazia di Echternach, detto Codex Aureus Epternacensis (Norimberga, Germanisches Nationalmus., 156142).Fra i centri bavaresi, Tegernsee e Niederaltaich eccelsero sotto l'abate Ellinger (1018-1026, 1032-1041), copista e pittore; i Vangeli di Niederaltaich (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 9476) recano una forte impronta bizantina. Altri scriptoria si trovavano a Frisinga e a Eichstätt, dove venne eseguito il Gundecarianum, un pontificale composto su richiesta del vescovo Gundekar II (m. nel 1075).Dopo la caduta della Grande Moravia, all'inizio del sec. 10°, la Boemia (v.) divenne il centro dei paesi slavi occidentali e Praga fu la residenza dei Přem'yslidi, duchi e poi re di Boemia; la Slovacchia venne unita all'Ungheria, mentre la Boemia e la Moravia furono sempre più separate da Bisanzio e spinte a rinforzare i legami con il mondo occidentale, anzitutto con l'impero germanico. Tutto ciò è testimoniato dalla m.: i rapporti con la corte ottoniana sono documentati dalla leggenda latina della Vita di s. Venceslao (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 11.2 Aug. 4°), eseguita prima del 1006 da Gumpoldo di Mantova per la duchessa Emma, sposa di Boleslao II, duca di Boemia (967-999). Il più notevole e prezioso manoscritto liturgico è costituito dai Vangeli di Vyšehrad (Praga, Státni Knihovna, XIV A 13), eseguiti intorno al 1085 per l'incoronazione del re di Boemia Vratislao II (m. nel 1092): si tratta di un codice di grande ricchezza narrativa, legato alla cultura ottoniana per la profusione dell'oro - nei fondi e anche nelle iniziali e nella scrittura -, stilisticamente influenzato dalla m. di Colonia e, forse per questa via, da quella della regione mosana; le composizioni sono solenni e monumentali. Altri tre manoscritti appartengono allo stesso scriptorium: i Vangeli di Cracovia (Muz. Narodowe, Bibl. Czartoryski), l'Evangeliario della cattedrale di Gniezno (Arch. Archidiecezjalne, 1a) e un altro evangeliario, ora a Praga (Kapitulní Knihovna, Cim. 3).
In Spagna la Bibbia della cattedrale di León (Arch. della cattedrale, 6), datata 920, è una significativa testimonianza di come si fosse creata un'identità culturale spagnola e della sua originalità creativa: essa si ricollega al passato 'visigoto', dal quale riprese i modelli, che poi interpretò con uno stile del tutto nuovo, dominato dal colore. Un manoscritto sicuramente miniato in Andalusia negli stessi anni, la Bibbia di Siviglia (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 13-1), dimostra con i suoi eleganti arabeschi disegnati la scarsa incidenza dell'arte mozarabica sulla m. dei regni del Nord. I Moralia in Iob (Madrid, Bibl. Nac., 80) e la Seconda Bibbia di León (Mus.-Bibl. de la Real Colegiata de San Isidro, 2), miniati nel 945 dal monaco Florentius, utilizzano gli stessi elementi cromatici ed espressivi della Bibbia del 920, ma con maggior forza; nacque così uno stile tanto originale da dover essere definito nazionale spagnolo, che si rivela con particolare intensità nei manoscritti miniati dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana (v.).L'Inghilterra conobbe una notevole fioritura artistica durante i secc. 10° e 11°, favorita dalla riunificazione del territorio nell'871 sotto il regno del Wessex a opera di Alfredo il Grande (m. nell'899), poi di Edoardo il Vecchio (899-925) e infine del figlio Etelstano (925-939), grande collezionista di libri, che divenne re di Northumbria. Determinanti furono la rinascita e la riforma dell'Ordine benedettino. L'inizio di questa golden age può essere indicato negli anni fra il 960, quando s. Dunstano (ca. 925-988) fu eletto arcivescovo di Canterbury, e il 963, anno in cui s. Etelvoldo (ca. 908-984) divenne vescovo di Winchester. Il Benedizionale di s. Etelvoldo (Londra, BL, Add. Ms 49598) è il testimone più significativo di questa nuova arte. Dal punto di vista strettamente artistico furono molto importanti gli scambi con la Francia, che recarono in Inghilterra l'influenza carolingia, nella varietà delle sue tendenze, dallo stile aniconico franco-sassone alla scuola di Reims.Winchester (v.) fu per i codici miniati il centro scrittorio principale, tanto che con la definizione di 'scuola di Winchester' si designano tutti i manoscritti eseguiti nell'Inghilterra meridionale. Essi sono caratterizzati dall'uso di una foglia d'acanto che si dispone in sequenze molto folte, frastagliate ed espanse. Un aspetto caratteristico della m. anglosassone è costituito da un gruppo di codici miniati con disegni condotti a penna e con inchiostri di vari colori. Tale tecnica fu in questo caso sicuramente dovuta all'influenza carolingia, in particolare della scuola di Reims, interpretata in modo originale. Il Salterio di Utrecht arrivò infatti alla fine del sec. 10° a Canterbury, dove fu copiato (Londra, BL, Harley 603), e in questa città tale tecnica fu particolarmente usata. Dopo la metà del sec. 11° e dopo la conquista normanna la m. inglese si evolvette verso un'interpretazione più monumentale della figura umana, con effetti di grande astrazione lineare: per es. nel salterio eseguito intorno al 1087 a Winchester (Londra, BL, Arund. 60), nel Salterio Crowland (Oxford, Bodl. Lib., Douce 296) e nello stupendo Tiberius Psalter (Londra, BL, Cott. Tib. C.VI). Si ricordano infine come importante testimonianza storica dei legami fra l'Inghilterra e la Germania - oltre che per la loro straordinaria qualità artistica - i due vangeli (New York, Pierp. Morgan Lib., M.708; M.709) fatti miniare fra il 1050 e il 1065 in Northumbria per la contessa Giuditta di Fiandra, sposa di Tostig, conte di Northumbria, e da lei donati all'abbazia bavarese di Weingarten.Nel periodo ottoniano in Francia riemersero aspetti precarolingi: ne è prova la produzione di Saint-Martial a Limoges e della regione di Auch, come è evidente in un tropario a Parigi (BN, lat. 1118). In quest'ottica si spiega un caso come l'Apocalisse (Parigi, BN, lat. 8878) eseguita verso la metà del sec. 11° per l'abate Gregorio Muntaner a Saint-Sever in Guascogna da due miniatori, uno dei quali, Stefano Garcia, verosimilmente spagnolo, si rifece a un probabile modello di età tardoantica e visigota. L'abbazia di Fleury nella valle della Loira e i grandi monasteri del Nord - quali Saint-Bertin, Saint-Omer e Saint-Amand - stabilirono stretti rapporti con il mondo anglosassone, chiamando miniatori inglesi a lavorare nel Salterio di Otberto (Boulogne-sur-Mer, Bibl. Mun., 20), databile intorno al Mille, e nei Vangeli di Saint-Bertin (New York, Pierp. Morgan Lib., 333). La commistione fra elementi precarolingi, carolingi e anglosassoni raggiunse il culmine in una Bibbia miniata nell'abbazia di Saint-Vaast nel secondo quarto del sec. 11° (Arras, Bibl. Mun., 559). Lo stesso può dirsi per il monastero di Saint-Amand, come testimonia la Vita sancti Amandi (Valenciennes, Bibl. Mun., 502), anche se fu probabilmente eseguita da un artista venuto da fuori.Rispetto all'età carolingia, la m. italiana dei secc. 10° e 11° è notevolmente documentata. Essa si suddivide in due filoni legati a due grandi aree, l'Italia settentrionale e quella centromeridionale, al cui interno esistevano centri notevolmente differenziati. Nell'Italia settentrionale, Milano acquistò per merito di due grandi arcivescovi, Arnolfo II (998-1018) e Ariberto I (1018-1045), un primato e un ruolo strategico straordinario nei rapporti con l'impero. La riscoperta dell'importanza e della qualità della m. altomedievale lombarda è una conquista abbastanza recente. Ciò che distingue Milano non è soltanto il legame con i centri nevralgici dell'impero, ma è anche un acuto interesse per la cultura bizantina, favorito dal viaggio dell'arcivescovo Arnolfo II a Costantinopoli, per combinare il matrimonio tra Ottone III e una principessa bizantina. Nonostante questi legami, la m. milanese presenta caratteri originali soprattutto nell'uso del disegno a penna e di acquarelli leggerissimi e senza chiaroscuro. Il solo disegno a penna è usato anche per le iniziali a tralci intrecciati di foglie di acanto, di origine germanica, eppure originali e ben riconoscibili.Nell'Italia centromeridionale, Montecassino agli inizi e nel corso del sec. 11°, per merito dei due grandi abati Teobaldo (1022-1035) e Desiderio (1058-1086), raggiunse l'apice della sua produzione. Un altro grande centro meridionale era in questo periodo Benevento, la cui produzione è oggi nota attraverso un gruppo di rotuli: il pontificale e il benedizionale (Roma, Casanat., 724/I; 724/II) forse per la chiesa cittadina di Santa Sofia, databili al 969-970, e l'Exultet (Roma, BAV, Vat. lat. 9820) eseguito per il monastero beneventano di S. Pietro, databile fra il 981 e il 987. I rotuli, e in particolare gli Exultet, rappresentano una committenza di origine episcopale, talvolta con forti valenze politiche, dal momento che sono il testo per la cerimonia dell'accensione del cero pasquale del Sabato Santo alla presenza sia delle autorità religiose e civili sia del popolo. L'attività di un altro scriptorium campano nell'abbazia di Cava de' Tirreni (v.) prese avvio nei primi decenni dell'11° secolo.
Romanico. - Nell'età romanica, nella m., come nelle altre arti figurative, si affermò una visione dell'uomo monumentale, plastica e insieme statica: la figura dimostrava la sua autonomia tentando di staccarsi dal piano di fondo e riemersero aspetti e tipologie addirittura precarolinge come le iniziali figurate istoriate. Quantunque non mancassero elementi comuni a tutta l'Europa occidentale, si evidenziarono anche differenze che vennero più tardi definite nazionali. Per la Francia, l'Italia, la Spagna e la Germania tali differenze furono non solo regionali, ma anche locali; ciò avvenne in misura assai minore per l'Inghilterra, che la monarchia aveva già unificato prima della conquista dei Normanni (1066). Tale conquista non modificò la tradizione anglosassone, tuttavia il rientro a Durham, dopo l'esilio in Normandia, del vescovo Guglielmo di Saint-Calais, che portò con sé una Bibbia, mise in contatto l'Inghilterra con l'iniziale istoriata normanna. Una adesione forte e originale alle concezioni romaniche si manifestò per la prima volta nell'abbazia di St Albans, e in particolare nel Salterio di St Albans (Hildesheim, St. Godehardskirche), ricco di ben quarantadue m. a piena pagina, nelle quali la tradizione lineare e allungata inglese si fonde con la nuova plasticità di importazione europea.Nella Bibbia di Bury St Edmunds (Cambridge, C.C.C., 2), capolavoro eseguito verso il 1135 per il grande abate italiano Anselmo, lavorò un artista italiano - maestro Hugo - su modelli italo-bizantini, anche se contestualizzati all'ambiente artistico inglese. Canterbury, nei primi decenni del sec. 12°, rimase ancorata alle grandi tradizioni di epoca sassone. A Winchester si ebbe, rispetto al periodo sassone, un profondo cambiamento: nel Salterio di Enrico di Blois (Londra, BL, Cott. Nero C.IV) - vescovo di Winchester (1129-1171) e fratello del re Stefano (1135-1154) - fu all'opera un artista profondamente legato all'arte italo-bizantina; ancora di più lo fu colui che eseguì le due piene pagine del medesimo codice, con la Dormitio Virginis e con Maria Regina. Il capolavoro dello scriptorium di Winchester è la Bibbia incompiuta (Winchester, Cathedral Lib., 3), eseguita per la locale cattedrale negli anni fra il 1150 e il 1180, nella quale furono attivi almeno sei miniatori, appartenenti a due diverse generazioni: la prima era legata alle tradizioni lineari e gesticolanti dello stile sassone, e quindi all'influsso di Canterbury; la seconda, che lavorò nei libri di Osea e dei Maccabei, presentava un senso più rigoroso della forma e legami con l'arte di quei territori della Francia sui quali si estese nel 1154 il dominio inglese con l'avvento di Enrico II Plantageneto (m. nel 1189). Negli anni intorno al 1180 chi lavorava al completamento della Bibbia era ormai permeato dall'influsso bizantino, tanto da postulare un diretto apprendistato in Sicilia nei laboratori dei mosaicisti di Monreale, come testimoniano le m. con la Vita di Davide in un foglio staccato (New York, Pierp. Morgan Lib., M.619). Nelle regioni settentrionali dell'Inghilterra la m. mostrò dopo il terzo quarto del sec. 12° un grande vigore creativo del tutto simile a quello del Sud: due salteri - l'uno (Glasgow, Univ. Lib., Hunter U. 3. 2) databile intorno al 1170 e l'altro (Copenaghen, Kongelige Bibl., Thott. 143.2°) intorno al 1180 - interpretano in maniera originalissima e, nel secondo caso, raffinata l'influenza di maestro Hugo e del suo damp fold style. Nel sec. 12° fu molto sviluppato anche il genere dei bestiari (v.), soprattutto nel Nord.
La produzione della Francia in età romanica è legata a numerosi centri monastici e vescovili, per i quali è difficile trovare un denominatore comune. I soli collegamenti sono dovuti in primo luogo all'azione della riforma dell'Ordine benedettino, in secondo alle vie di pellegrinaggio. La tradizione carolingia e le complesse esperienze che avevano caratterizzato l'età ottoniana non scomparvero affatto d'improvviso; fu assai frequente anche il ritorno a modelli tardoantichi e precarolingi, come in un gruppo di codici illustrati con disegni a penna e acquarello, per es. le Vite dei vescovi di Angers (Roma, BAV, Reg. lat. 465) e il Cartulario di Saint-Martin-des-Champs (Londra, BL, Add. Ms 11662), databile ca. fra il 1067 e il 1079. La Francia era anche molto recettiva a influssi esterni: le grandi abbazie del Nord-Ovest, come Saint-Bertin e Saint-Vaast, risentirono a lungo dell'influsso anglosassone, che era operante anche in Bassa Normandia, mentre i codici di Mont-Saint-Michel ne sono generalmente indipendenti, come si vede in una raccolta di diverse opere patristiche (Avranches, Bibl. Mun., 72) databile nella seconda metà dell'11° secolo. Nella Bassa Normandia predominavano le iniziali istoriate realizzate con disegni a penna e acquarelli rosso e verde, come nel De fide di s. Ambrogio (Alençon, Bibl. Mun., 11), miniato a Saint-Evroult alla fine del sec. 11°, nei Moralia in Iob (Rouen, Bibl. Mun., 498), miniati a Préaux all'inizio del sec. 12°, e nei Commentarii in Isaiam di s. Girolamo (Oxford, Bodl. Lib., 717), da attribuire a Jumièges e all'incirca coevo. In Borgogna, a Cîteaux (v.) in particolare, si realizzarono alcuni capolavori legati all'influenza inglese: per es. la Bibbia (Digione, Bibl. Mun., 14) e i Moralia in Iob in quattro volumi (Digione, Bibl. Mun., 168-170, 173), ultimati nel 1111. Il territorio verso il confine orientale della Francia era caratterizzato invece da influssi ottoniani: per es. i Vangeli di Saint-Vanne (Verdun, Bibl. Mun., 43) e la raccolta di testi su s. Martino (Epinal, Bibl. mun., 673), miniata a Saint-Martin di Metz, entrambi della prima metà del sec. 12°, con composizioni e figure classiche raffinatamente disegnate a penna.
In Linguadoca e nei territori vicini - il Limosino da una parte e il Rossiglione dall'altra - si affermarono tendenze tra loro diverse: negli intrecci nastriformi che terminano con una palmetta a ventaglio dentellato (palmetta aquitanica), lasciata a giorno su di un fondo riempito a larghe zone di vario colore, si affacciano influssi visigoti e spagnoli, come nel Graduale di Saint-Michel a Gaillac presso Albi (Parigi, BN, lat. 776). A Fleury, all'inizio del sec. 11° era stato chiamato dall'abate Gauzlin il pittore e miniatore lombardo Nivardus (Nordenfalk, 1953), mentre a Cluny dominavano la pittura e la m. romana della fine dell'11° secolo. Proprio Cluny fu l'epicentro dell'influsso italiano in Francia, come dimostra il De virginitate di Ildefonso, vescovo di Toledo (Parma, Bibl. Palatina, 1650), che è il codice più antico e mantiene ancora molti elementi ottoniani. Stilisticamente più evoluti sono il Lezionario di Cluny (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 2246), dell'inizio del sec. 12°, e un frammento di Bibbia (Cleveland, Mus. of Art., J. H. Wade Fund 68190). Un secondo momento dell'influsso italo-bizantino si manifestò un po' dovunque all'inizio del terz'ultimo decennio del 12° secolo. L'influenza romana giunse nell'abbazia di Saint-Martial a Limoges (v.) al tempo dell'abate Ademaro (1063-1114), come è attestato dalla Seconda Bibbia di Saint-Martial (Parigi, BN, lat. 8). Sulla m. dell'Aquitania si sa ben poco: un manoscritto del De bello Iudaico di Giuseppe Flavio (Parigi, BN, lat. 5058), databile intorno al 1100, sembra appartenere all'area d'influenza del Poitou, nonostante l'uso della tecnica del disegno a penna e inchiostro, mentre intorno alla metà del sec. 12°, o poco oltre, emersero tendenze classiche, che appaiono molto legate all'influenza italiana, come in una Bibbia che proviene da Montpellier (Londra, BL, Harley 4772).Molto diversa era la situazione nei domini capetingi (Ile-de-France, Beauvais, Chartres, Champagne), accomunati dall'influenza classica, come è evidente in una Bibbia (Parigi, BN, lat. 116) e in un antifonario (Parigi, BN, lat. 17296), miniato nella parigina Saint-Denis, databili entrambi alla metà del 12° secolo. Una forte impronta classica e un puntuale collegamento con la pittura monumentale si manifestarono nella Francia occidentale (Poitou, Angiò, Maine, Turenna), che fu caratterizzata, tra la fine del sec. 11° e il terzo quarto del successivo, da una notevole omogeneità, pur senza perdere le tracce del passato carolingio. I rapporti fra gli affreschi della chiesa abbaziale di Saint-Savin-sur-Gartempe e quelli del battistero di Saint-Jean a Poitiers da un lato e i codici miniati - come la Vita sanctae Radegundis (Poitiers, Bibl. Mun., 250), la Vita sancti Albini (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 1390) e la Bibbia di Saint-Aubin (Angers, Bibl. Mun., 4) - dall'altro sono evidenti; questi ultimi, databili all'ultimo quarto o alla fine del sec. 11°, rivelano la densità del rinnovamento classico romanico e una notevole precocità della miniatura.Nella Champagne e forse anche a Parigi, che verso il 1170-1180 si avviava a essere un centro cosmopolita, si assistette a una grande fioritura della m., nella quale convergevano molteplici aspetti, dall'influsso inglese a quello mosano, oltre a una nuova ondata bizantina, come si può vedere per es. nelle Glossae in Epistulas Pauli di Pietro Lombardo (Parigi, BN, lat. 14266), provenienti dal monastero di Saint-Victor a Parigi, e nella Bibbia del 1180-1190 (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 8-10), proveniente da Saint-Loup a Troyes, detta di Manerius (v.). Si può pertanto supporre che i rapporti con la m. anglonormanna fossero ancor più stretti negli scriptoria della Francia settentrionale e in particolare nello Hainaut, a Saint-Omer e Marchiennes, dove furono all'opera miniatori inglesi, come il Maestro della Bibbia di Lambeth Palace. Nella Francia settentrionale era inoltre presente l'influsso mosano, come dimostra la produzione del monastero di Saint-Bertin, per es. i Vangeli di Hénin-Liotard (Boulogne-sur-Mer, Bibl. Mun., 14) e la Vita Lamberti, abate di Saint-Bertin (Boulogne-sur-Mer, Bibl. Mun., 46).In Catalogna (v.) due bibbie di formato monumentale, databili tra il secondo e il terzo decennio del sec. 11° - la Bibbia di Farfa (Roma, BAV, Vat. lat. 5729), sicuramente miniata nello scriptorium di Ripoll, e la Bibbia di Sant Pere de Rodes (Parigi, BN, lat. 6), forse eseguita in questa abbazia -, rivelano modi compositivi, stilistici e morfologici, carolingi e ottoniani. Più decisamente romanici sono i Commentari all'Apocalisse di Beato (Torino, Bibl. Naz., J.II.1), prodotti a Ripoll nell'ultimo quarto del sec. 11°, e il De locis sanctis di Beda (Barcellona, Arx. Cor. Arag., Bibl. Auxiliaria, Ripoll 151), mentre per es. nella Bibbia di Lérida (Mus. Diocesà de Pintura Medieval, 1) sono forti gli influssi anglonormanni, ai quali risalgono le iniziali istoriate e figurate. Fra i manoscritti di argomento e destinazione laici, il Liber feudorum maior (Barcellona, Arx. Cor. Arag., Reg. 1), miniato per Alfonso II il Casto (1162-1196), contiene splendide m. a pennello di stile italo-bizantino.Nelle Asturie proseguì, interpretata alla luce di modelli antichi, la tradizione dei codici dei Commentari all'Apocalisse di Beato, come risulta nel Libro de los testamentos dei re del León nella cattedrale di Oviedo, eseguito fra il 1125 e il 1129, nel quale è visibile la tendenza all'astrazione e al dominio del colore. Modelli francesi e italiani appaiono nella Bibbia conservata a San Isidro a León (Mus.-Bibl. de la Real Colegiata de San Isidro, 3), datata 1162, mentre influenze inglesi sono presenti per es. nel manoscritto con le Glossae in Epistulas Pauli di Pietro Lombardo (New York, Pierp. Morgan Lib., 939), copiato a Sahagún nel 1181, profondamente legato al channel style. Può essere citata a esempio dell'intera m. romanica spagnola la Bibbia di Àvila (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 15-1), influenzata dall'arte del Poitou, ma resa spettacolare, drammatica e vigorosa.Nel periodo romanico in Austria (v.) la m. fiorì a Salisburgo, dove convergevano numerosi influssi provenienti dall'Italia: prima quello romano, poi quello italo-bizantino, che stimolò la creazione di alcuni capolavori, come l'Evangeliario di s. Erentrude (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 15903), databile intorno al 1140, la Bibbia dell'abate Walther (Michaelbeurn, Stiftsbibl., 1), la Seconda Bibbia di Admont (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2701-2702), eseguita intorno al 1150, e l'antifonario di St. Peter a Salisburgo (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2700), attribuibile agli anni intorno al 1160, con cinquantasei illustrazioni disegnate con inchiostro bruno su fondo azzurro, che rivela una notevole trasformazione stilistica in connessione con la corrente disegnativa incentrata sul binomio Ratisbona-Prüfening, rispetto ai colori caldi e pastosi su fondo oro dei codici precedenti. Conclude l'evoluzione stilistica della m. salisburghese l'Evangeliario di Passau (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 16002), che fonde le due tradizioni in una nuova monumentalità.In area tedesca ebbe lunga persistenza la tradizione ottoniana, tanto che solo a partire dal secondo quarto del sec. 12° si può parlare di un rinnovamento stilistico in senso romanico, raggiunto con l'accoglimento di un rinnovato influsso bizantino di origine italiana, interpretato in senso molto astratto e geometrico, come è evidente in una Bibbia della Castorkirche di Coblenza (Bamberga, Staatsbibl., Schloss Pommersfelden, 333-334) e in un lezionario da Siegburg (Londra, BL, Harley 2889), del primo quarto del 12° secolo. In Svevia giunse anche una Bibbia romana (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13001), donata dall'imperatore Enrico IV (1056-1106) all'abbazia di Hirsau, e le conseguenze si manifestarono subito nel Passionario di Hirsau (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Bibl.fol.57). Colonia continuò a essere un grande centro di produzione libraria: l'influsso italo-bizantino venne trasformato in un rigoroso astrattismo o, in altri casi, accolto e interpretato in senso pittorico, per es. nel Lezionario per l'arcivescovo di Colonia Federico (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 59), eseguito nel 1131, e nell'Evangeliario (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 312a) per la chiesa coloniense di St. Pantaleon. L'influenza di Colonia fu certamente assai vasta in Renania, come testimonia il Libro di pericopi (Parigi, BN, lat. 17325), che sviluppa l'armonioso classicismo del Maestro del Registrum Gregorii.Verso la fine del sec. 12°, nel Libro di preghiere di Ildegarda di Bingen (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 935) il classicismo tipico dell'area renana si trasforma in figure più allungate, in un disegno più stilizzato e in un colorito più tenue. Questo gusto per un classicismo elegante e raffinato si ritrova nell'area ratisbonense, in manoscritti quali le Etymologiae di Isidoro di Siviglia (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13031), eseguite a Prüfening intorno al 1160-1165. A partire dal penultimo decennio del sec. 12° una nuova ondata bizantina provocò anche nei territori dell'impero - e in particolare in Alsazia (v.) - un rinnovato interesse per il classicismo, visibile nell'Hortus deliciarum (già Strasburgo, Bibl. Mun., oggi distrutto), composto nel 1165-1185 da Herrada, badessa di Hohenburg.La diocesi di Liegi, nell'area della Mosa (v.), conobbe nel sec. 12° un grande sviluppo artistico, iniziato per la m. nel 1097 con la Bibbia in due volumi (Londra, BL, Add. Ms 28106-28107) per l'abbazia di Stavelot, nella quale si rivela una singolare interpretazione della tradizione grafica carolingia, risalente in ultima analisi alla scuola di Reims. In questa Bibbia l'unica m. a piena pagina raffigurante la Maiestas Domini, eseguita con i colori a tempera, attinge però a modelli ottoniani.Al secondo quarto del sec. 12° appartengono le illustrazioni bibliche di un salterio mosano (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78.A.6), eseguite a Liegi con la tecnica del disegno acquarellato su fondo a grandi riquadri, che manifestano un classicismo degno di Colonia, con una misura più monumentale. A partire da quest'epoca si affermò il metodo tipologico di corrispondenze fra il Nuovo e il Vecchio Testamento, al quale è profondamente legata per es. la Bibbia di Floreffe (Londra, BL, Add. Ms 17737-17738). Le figure classiche, il loro frequente collocarsi in mezzo a un tappeto di tralci acantacei, i colori chiari e brillanti, il disegno preciso dei contorni sono tutti aspetti tipici di questa produzione.Nel sec. 12° la m. ebbe una grande fioritura anche in Boemia e in Moravia, regioni che mostrano rapporti molto stretti prima con Colonia e l'area mosana, poi con Salisburgo.In età romanica l'Italia svolse un ruolo importante nei riguardi dell'Europa, quale fonte inesauribile di influssi classici e anello di trasmissione dell'arte bizantina. L'Italia presenta un quadro molto differenziato, non solo nella suddivisione tra Nord, Centro e Sud, ma anche all'interno di ciascuna zona. La m. a Milano non è legata alle vicende della pittura, ma mostra di discendere dalla grande tradizione libraria altomedievale e alla fine del sec. 11° sviluppò in maniera significativa l'attenzione, già presente in età ottoniana, verso la civiltà bizantina, come mostrano uno splendido antifonario (Monza, Bibl. Capitolare, C. 13/76), che presenta figure esemplate su modelli bizantini, e un sacramentario, nella cui Crocifissione il Christus patiens è un motivo bizantino (Novara, Bibl. Capitolare, 54, c. 7r). Non mancano tracce neppure del Maestro del Registrum Gregorii, per es. nello Hexaemeron di Ambrogio (Milano, Arch. Capitolare di S. Ambrogio, M. 31), commissionato da Martino Corbo, preposito (1135-1152) e bibliotecario di S. Ambrogio, nel quale sono però romaniche le pezzature cromatiche del fondo, che si ritrovano anche nel c.d. Beroldo Vetus (Milano, Bibl. Ambrosiana, I.155 inf.), scritto e decorato con iniziali fitomorfe in uno scriptorium milanese al tempo di Anselmo I della Pusterla (1126-1133). Nel primo quarto del sec. 12° la m. milanese produsse una Bibbia monumentale (Milano, Bibl. Ambrosiana, B.48 inf.), capolavoro pienamente inserito nelle nuove concezioni monumentali e spaziali romaniche, anche se interpretate in modo cromatico e astratto, secondo la propria tradizione.Le ricerche più recenti hanno recuperato scarse ma importanti vestigia di altri scriptoria lombardi. Un graduale domenicale dei santi (Bergamo, Bibl. Civ. A. Mai, MA 150), databile agli inizi del sec. 12°, potrebbe essere stato eseguito presso la cattedrale di Brescia o in un monastero bresciano. Intorno a esso è stato possibile collocare (Maggioni, 1995) altri codici di esecuzione bresciana, nonché l'ottateuco con la Vita sanctae Iulianae (Brescia, Bibl. Civ. Queriniana, A-I-11), le cui bellissime iniziali a nastri e tralci intrecciati sono vicine all'ambiente milanese. Inoltre è stato giustamente proposto di ascrivere all'area bresciana l'importante codice della Bibbia (Brescia, Bibl. Civ. Queriniana, A-II-8) con diciassette libri profetici. Per quanto riguarda Bergamo, un omiliario (Bergamo, Bibl. Civ. A. Mai, MA 607) è stato giustamente supposto esser stato eseguito in uno scriptorium della cattedrale. L'apparato liturgico librario di età romanica delle abbazie cistercensi lombarde è scomparso, a eccezione della Bibbia in cinque volumi di S. Maria di Morimondo, i cui tre volumi superstiti sono oggi divisi tra Como (Seminario Maggiore, Bibl., Fondo Morimondo, 1, 2) e Cambridge (Fitzwilliam Mus., McClean 8). A Cremona (v.) fu eseguito il Martyrologium di Adone (Cremona, Arch. della Curia), trascritto dal presbitero Alberto nel 1181. In Lombardia esisteva un altro importantissimo centro di m., l'abbazia del Polirone a San Benedetto Po, dove già al tempo dei primi abati si realizzarono alcuni codici molto importanti, quali l'Expositio super Mattheum di Remigio di Auxerre (Mantova, Bibl. Com., 342, già C IV 1) e gli scritti di Girolamo e di Isidoro (Mantova, Bibl. Com., 448, già D IV 10), con scene che presentano uno stile classico, non solo per la tipologia dei personaggi ma anche per il tessuto cromatico, e che sembrano anticipare lo stile pittorico di Cluny. Capolavoro dello scriptorium dell'abbazia del Polirone è l'Evangeliario c.d. di Matilde (New York, Pierp. Morgan Lib., M.492), ricco di trentuno splendide 'piene pagine', disegnate a penna e completate con l'oro, e di grandi iniziali fogliacee a pennello. Il messale (Mantova, Bibl. Com., 441), databile nell'ultimo quarto del sec. 12°, ne riassume la complessa cultura e la coerente evoluzione.La notevole omogeneità culturale dell'area padana si rivela sia nel Codice Magno o del Maestro (Piacenza, Bibl. Capitolare) - libro chiave della liturgia piacentina e quindi quasi certamente eseguito in loco negli anni 1120-1140, ricchissimo di illustrazioni che sedimentano complessi strati culturali, alle quali lavorarono diversi artisti - sia in un lezionario-passionario (Piacenza, Bibl. Capitolare, 63), databile verso la metà del sec. 12°, che reca invece l'influsso dello stile transizionale o tardogeometrico toscano. Altri codici piacentini con capilettera vegetali - talvolta antropomorfi, miniati però a pennello - mostrano contatti con la Francia o con la cultura lucchese o comunque centroitaliana, come un messale conservato a Piacenza (Bibl. Capitolare, 42). Piacenza si conferma così come città nella quale confluivano, posta com'è su grandi vie di comunicazione, molteplici tendenze. In Emilia si sviluppò anche una m. a carattere illustrativo e monumentale con caratteri stilistici specifici: è il caso della Vita Mathildis (Roma, BAV, Vat. lat. 4922), miniata tra la fine del sec. 11° e l'inizio del successivo, con immagini-ritratto e scene di corte.Anche nel Veneto la m. aveva forti connessioni con la cultura mediopadana. A Venezia (v.) la m. romanica è rappresentata dai codici provenienti da S. Cipriano a Murano, che dal 1109 al 1118 fu dipendente dall'abbazia del Polirone, come per es. un omiliario in due volumi (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. II, 100-101) e un Tractatus centum viginti tres in Iohannis evangelium di Agostino (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. II, 102), decorati con iniziali fitomorfe, talvolta con uccelli e draghi, a penna e acquarello, eseguiti in prevalenza da scribi e miniatori dell'abbazia del Polirone. A Venezia l'influsso dello stile mediogeometrico centroitaliano si affaccia nel Leggendario marciano (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. Z. 356), databile intorno al 1170 in base al confronto stringente con un evangeliario (Padova, Bibl. Capitolare), sottoscritto dal calligrafo Isidoro e datato 1170, che costituisce l'episodio più importante della m. romanica a Padova.Nel Piemonte forte era l'influsso lombardo nella parte orientale, come dimostra il messale romano (Monza, Bibl. Capitolare, 3-104) proveniente probabilmente dalla canonica di S. Evasio a Casale Monferrato (v. Casale). I nuclei più consistenti degli scriptoria piemontesi sono però quelli dell'abbazia di S. Maria di Staffarda, legata alla linea cistercense di La Ferté, quindi fortemente influenzati dalla Francia, come mostra una Bibbia conservata a Torino (Bibl. Naz., E.IV.15), e quelli di S. Eldrado di Novalesa, il cui scriptorium riprese a lavorare all'inizio del sec. 11° dopo la distruzione saracena, ma i cui codici sono oggi in gran parte dispersi. Si ricordano, fra quelli identificati (Segre Montel, 1977), la Biblia Magna (Torino, Arch. di Stato), attribuita a miniatori francesi, e alcuni messali, di cui uno è oggi a Vercelli (Arch. Capitolare, 124), uno a Torino (Bibl. Naz., I.II.13) e un altro, della prima metà del sec. 12°, conservato nella parrocchiale di Novalesa.
Nell'Italia centrale il nucleo più antico e importante fu Roma, che nel sec. 11° si specializzò nella produzione di bibbie giganti, dette atlantiche, espressione tipica della riforma gregoriana. Queste bibbie hanno una decorazione molto austera, basata esclusivamente su iniziali grandi e medie che Garrison (1953-1962) ha definito di stile geometrico. Nel terzo quarto del sec. 11° esse introdussero le prime illustrazioni, generalmente legate alla Genesi, come nella Bibbia di Füssen (Roma, BAV, Pal. lat. 3). Nella Bibbia a Genova (Civ. Bibl. Berio, R. B. 2554. 2), in quella del Pantheon (Roma, BAV, Vat. lat. 12958) e in quella di Todi (Roma, BAV, Vat. lat. 10405), che sono dell'ultimo quarto del sec. 11°, si utilizzarono per i libri profetici figure isolate nelle iniziali. Nella Bibbia del Pantheon le storie si distribuiscono in quattro registri entro la piena pagina, come nella Prima e nella Seconda Bibbia di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 1; lat. 2). In genere le storie si limitano alla Genesi, per es. nella Bibbia di S. Cecilia (Roma, BAV, Barb. lat. 587), nella quale si riflette il rinnovamento della pittura romana tra il 1120 e il 1130. Poiché alcune di queste bibbie si trovavano in Umbria, esse vengono talvolta definite umbro-romane. A Roma si conosce un solo manoscritto di sicura origine monastica: il lezionario (Roma, BAV, Vat. lat. 1274) prodotto fra il sec. 11° e il 12° nell'antico cenobio dei Ss. Andrea e Gregorio al Celio, con belle m. di gusto antico. Nel Lazio vi erano altri due centri importanti: Farfa (v.) e Subiaco (v.).La Toscana elaborò all'inizio del sec. 12° l'iniziale geometrica transizionale, che condusse verso la metà del secolo a un'originalissima tipologia ornamentale (Garrison, 1953-1962, I; Berg, 1968) comparsa per la prima volta nella Bibbia di Corbolino (Firenze, Laur., conv. soppr. 630). Il merito di questa creazione fu dei centri di Firenze (v.) e di Pisa (v.). I caratteri fondamentali della produzione fiorentina sono testimoniati, oltre che da quella di Corbolino, anche da un'altra Bibbia (Firenze, Laur., Mugel. 2), che unisce alle raffinate iniziali, decorate con classiche volute e cespi di acanto risparmiati, figure dignitose e plastiche per un più consistente pigmento cromatico. All'ambiente fiorentino appartiene anche il miniatore del Sacramentario Morgan (New York, Pierp. Morgan Lib., 737), caratterizzato da uno stile lineare e calligrafico, molto diverso da quello pittorico proprio per es. del Maestro della Bibbia di Corbolino.
La produzione pisana è rappresentata da una serie di codici che appartenevano ai monasteri gemelli di S. Vito a Pisa e dei Ss. Maria e Gorgonio nell'isola di Gorgona. Fra questi, importante è la Bibbia gigante in quattro volumi (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), che reca alla fine un'iscrizione con la data d'inizio della scrittura (1168). Sempre pisano, e legato a questo gruppo, è lo splendido salterio con calendario (Firenze, Laur., Acq.e Doni 181) proveniente da S. Paolo a Ripa d'Arno a Pisa, al quale Garrison (1953-1962, II) unisce una Bibbia purtroppo malamente mutilata (Volterra, Bibl. Guarnacci, LXI. 8. 7). Sebbene Berg (1968) insista nel voler vedere quasi identica la produzione pisana a quella fiorentina, non mancano le differenze, tanto da poter considerare la prima autonoma, anzi in grado di influenzare l'ultima. Per quanto riguarda le lettere decorate, nei manoscritti pisani la distribuzione delle volute, dei caulicoli e dei tralci obbedisce a regole di rigorosa simmetria. Al tempo stesso si tendeva a riempire e a sottolineare il fogliame con il colore.È molto probabile che Siena (v.) possedesse scriptoria propri, o comunque una sua produzione libraria alla fine del primo millennio. Secondo Berg (1968) una scuola senese in età romanica è ravvisabile nelle Lectiones scripturales (Siena, Bibl. Com. degli Intronati, F X 1), databili verso il 1100, legate alla tipologia dell'iniziale a penna tardo-ottoniana, ma eseguite con uno stile indubbiamente peculiare, caratterizzato da un tratto grafico leggero e nervoso, da invenzioni decorative imprevedibili e fantasiose. Nell'ambito dell'influsso umbro-romano la produzione senese è testimoniata da due omiliari, opera di due artisti (Siena, Bibl. Com. degli Intronati, F I 9; G I 1), dei quali il primo è databile alla seconda metà del sec. 12° (Codici miniati, 1987).La m. a Lucca (v.) mostra aspetti e sviluppi completamente diversi dagli altri centri toscani: anzitutto non partecipò all'elaborazione e all'utilizzazione dell'iniziale transizionale, ma rimase legata a quella geometrica, come in una Bibbia gigante (Lucca, Bibl. Capitolare, 124). Le ragioni sono storiche, dovute al profondo legame fra Lucca e Roma. Il risultato artistico è del tutto originale, come attesta una Bibbia (Lucca, Bibl. Capitolare, 2), perché le figure si accampano sul fondo risparmiato della pergamena e si accompagnano a monumentali iniziali geometriche.La m. dell'Umbria (v.) presenta generalmente tratti molto arcaizzanti, come nel manoscritto dei Moralia in Iob (Firenze, Bibl. Naz., Pal. 8), eseguito probabilmente a Città di Castello, che ha una pagina di dedica con disegni a inchiostro. L'Umbria era in parte caratterizzata dall'essere al centro di molte confluenze, in particolare dalla Toscana e dal Lazio, come dimostra il sacramentario proveniente da S. Niccolò ad Assisi (Baltimora, Walters Art Gall., 75), databile alla seconda metà del 12° secolo. Fanno eccezione due centri caratterizzati diversamente: Spoleto (v.) e l'abbazia di Sant'Eutizio presso Preci. Nel sec. 11° lo scriptorium di Sant'Eutizio ebbe una breve ma splendida fioritura, come si vede da alcuni manoscritti oggi a Roma, per es. un omiliario (Roma, Vallicell., A. 9) e un messale (Roma, Vallicell., B. 8). Nelle Marche (v.) il maggior centro fu costituito nell'eremo di Fonte Avellana, presso Serra Sant'Abbondio, a opera di s. Pier Damiani a partire dall'11° secolo.In Abruzzo uno scriptorium fu attivo sicuramente nell'importante abbazia della SS. Trinità, poi di S. Clemente a Casauria. Il suo prodotto più rappresentativo è il Chronicon Casauriense (Parigi, BN, lat. 5411), opera del monaco Giovanni di Berardo, scritto da magister Rustico, che riflette i caratteri del Romanico abruzzese; le illustrazioni sono realizzate con la tecnica del disegno a penna e con l'inchiostro.A Montecassino proseguì la produzione di codici secondo i modelli del tempo dell'abate Desiderio (v.): ne è esempio straordinario il breviario (Parigi, Maz., 364) fatto eseguire alla fine del secolo dall'abate Oderisio. Ciò avvenne negli Exultet (v.) nel corso della seconda metà dell'11° e nel 12° secolo. Anche Sant'Angelo in Formis aveva uno scriptorium influenzato dall'arte di Montecassino, come è evidente nel registrum conventuale (Montecassino, Arch., Regestum XXXIV), databile tra il 1137 e il 1166. A Benevento (v.), in questo secolo centro molto attivo, sono ascrivibili l'Exultet proveniente da Mirabella Eclano (Napoli, Bibl. Naz., Exultet 1), di grande qualità e interamente illustrato a penna e con acquarelli bruni, databile alla metà del sec. 11°, e quello (Roma, Casanat., 724/III), attribuibile al sec. 12°, invece colorato densamente. A San Vincenzo al Volturno il Chronicon Vulturnense (Roma, BAV, Barb. lat. 2754), dell'inizio del sec. 12°, con le sue numerose illustrazioni testimonia i tradizionali punti di riferimento di questo cenobio, e cioè Benevento e Montecassino. Nell'abbazia di Cava de' Tirreni la produzione dello scriptorium risale al sec. 12°: i Moralia in Iob di Gregorio Magno (Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 8; 10), ornati con iniziali a tralcio e intrecci simili a quelle beneventano-cassinesi, sono originali sia nella scelta cromatica sia nella presenza di 'campi' scalati geometricamente. Capua ebbe un'interessante produzione di Exultet, tra i quali si ricordano quello oggi a Pisa (Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana, Exultet 2) e l'altro nel Tesoro della Cattedrale di Capua, ambedue dell'11° secolo. Fu forse eseguito in Campania lo splendido evangeliario (Roma, BAV, Vat. lat. 3741) proveniente da S. Pietro di Alatri e risalente al tardo 11° secolo.A Bari (v.) sorgeva l'importante cenobio di S. Benedetto, che strinse rapporti con Montecassino; qui si eseguivano e si decoravano copie di testi classici latini, soprattutto Virgilio (Oxford, Bodl. Lib., Canon class. lat. 50), Sallustio (Roma, BAV, Vat. lat. 3327) e le Metamorphoses di Ovidio (Napoli, Bibl. Naz., IV F. 3), la cui straordinaria illustrazione, formata da piccole figure nei margini, interpreta i modelli aulici costantinopolitani con tecnica, stile e spirito propri dell'Italia meridionale. Agli inizi del sec. 11° un omiliario (Napoli, Bibl. Naz., VI B. 2), già nella cattedrale di Troia, dimostra come a Bari si fosse in realtà verificato anche un aperto rifiuto delle formule costantinopolitane per un recupero della tradizione artistica beneventana; in particolare nell'Exultet a Roma (BAV, Vat. lat. 9820) le figure e le composizioni, disegnate interamente a penna e con lievi tracce di acquarello, sono monumentali, i gesti decisi e le espressioni intense. Anche Troia possedeva un importante scriptorium, come dimostrano l'Exultet 2 (Troia, Arch. Capitolare), probabilmente del tempo del vescovo Guglielmo II (1108-1137), di grande vivacità rappresentativa anche se di esecuzione poco raffinata, e lo splendido Exultet 3 (Troia, Arch. Capitolare), che risale alla seconda metà del sec. 12°, probabilmente al tempo del vescovo Gualtiero de Palearis.Importantissimo focolaio della m. meridionale fu la Sicilia, nella quale confluirono armoniosamente la cultura bizantina e quella normanna, la prima delle quali promosse e influenzò la produzione a carattere sacro, come si può vedere nei libri del monastero basiliano di S. Salvatore di Messina, per es. il codice delle Omelie di Gregorio Nazianzeno (Messina, Bibl. Univ., F. San Salvatore 29), datato 1151, che presenta qualche assonanza con gli scriptoria latini. Ma l'aspetto nuovo e originale della m. siciliana si realizzò con l'Expositio orationis dominicae (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 1772) di Maione di Bari (m. nel 1160), cancelliere del regno sotto Ruggero II (1130-1154), miniato con motivi rigorosamente aniconici, soprattutto fogliacei, in uno scriptorium palermitano. Durante il regno di Guglielmo II (1166-1189) fu attivo invece uno scriptorium a Messina, per merito dell'inglese Riccardo Palmer, arcivescovo dal 1182 al 1195: nei codici miniati messinesi penetrarono così elementi inglesi, per es. i nastri intrecciati. La complessità della cultura artistica siciliana è pienamente rivelata sia da un sacramentario (Madrid, Bibl. Nac., 52), che unisce all'Initialornamentik due m. a piena pagina - la Madonna con il Bambino (c. 80r), fortemente influenzata dall'arte bizantina e dai mosaici di Monreale, e la Crocifissione (c. 80v) -, sia da un evangeliario e da un epistolario (Messina, Bibl. Painiana, 10; 11), ornati da grandi iniziali figurate, sia infine da una Bibbia in diciassette volumi (Madrid, Bibl. Nac., 31-47), proveniente dalla cattedrale di Messina. La conoscenza della m. siciliana di questo periodo, fino al 1950 praticamente ignorata, è dovuta agli studi di Buchthal (1955; 1956) e di Daneu Lattanzi (1966).
Duecento. - Nel mondo gotico francese, rispetto al passato, mutarono sia i centri di produzione dei codici miniati, divenuti le città o le università, sia la committenza, costituita anzitutto dai monarchi, poi dal poliedrico mondo universitario e dai nuovi Ordini mendicanti. L'illustrazione dei libri subì l'influenza della nuova arte delle vetrate, dalla quale si affrancò completamente solo nel 14° secolo. La cultura gotica trovò la sua manifestazione più compiuta nei codici della Bibbia moralizzata (v.), commissionati dalla corte o per la corte, come quelli di Vienna (Öst. Nat. Bibl., 1179; 2554) e quello di Toledo, eseguito per il re di Francia e oggi conservato quasi integralmente nel tesoro della cattedrale di questa città (gli ultimi otto fogli sono a New York, Pierp. Morgan Lib., M.240), databili fra il 1212 e il 1225 circa. Un altro genere molto amato dalla cultura gotica fu quello dei salteri: a una fase stilistica precoce e alla corrente stilistica citata appartiene il Salterio di Albenga (Bibl. Capitolare, già A.4; De Floriani, 1990), attribuibile al decennio 1215-1225, che bene rappresenta le grandi qualità di fasto decorativo e insieme di notevole densità narrativa, proprie di un manoscritto protogotico parigino di destinazione alta, ma non reale. I Vangeli della Sainte-Chapelle (Parigi, BN, lat. 17326) e il Salterio di s. Luigi (Parigi, BN, lat. 10525), databile tra il 1253 e il 1270, rappresentano un ulteriore perfezionamento stilistico compositivo ed espressivo.
Una produzione caratteristica di questa fase sono le bibbie di grande formato con commento, costituite da molti volumi: uno degli esempi più significativi è la Bibbia in diciassette volumi (Assisi, Bibl. Com., 1-3, 4-6, 7, 9-13, 15; Roma, BAV, Ross. 299-300, 613, 616), probabilmente donata da Luigi IX di Francia al convento di S. Francesco di Assisi (Assirelli, Bernabò, Bigalli Lulla, 1988). Anche i messali assunsero a Parigi un aspetto di straordinaria eleganza e perfezione nella parte ornamentale e in quella figurativa; si veda il messale donato, insieme a un epistolario e a un lezionario, da Luigi IX alla Basilica di S. Francesco ad Assisi (Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco; Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1980). Negli stessi anni in cui le botteghe parigine lavoravano anche codici di soggetto laico, come l'Histoire d'Outremer di Guglielmo di Tiro, confluivano in città, a causa di una notevole mobilità, miniatori da molte regioni.La m. parigina del Duecento si concluse con l'attività di Maître Honoré (v.), autore di un breviario (Parigi, BN, lat. 1023) per Filippo IV il Bello (1285-1314) e di altri codici nei quali il Gotico francese giunse a una grande perfezione stilistica: i contorni sono sottili e armoniosamente ondulati, i colori leggeri e sfumati. La sua bottega fu ereditata dal genero Richard de Verdun, che trasformò lo stile di Maître Honoré in formule eleganti, ma stereotipate, come nella Vie de saint Denis (Parigi, BN, fr. 18437).
Per la nascita del Gotico inglese fu importante l'influsso della m. mosana e della Francia del Nord. Un classicismo pacato e ben delineato caratterizza l'Amesbury Group, che risale ai primi decenni del Duecento (Imola, Bibl. Com., 100; Londra, BL, Royal 1.D.X). Il Salterio di Robert de Lindeseye (Londra, Society of Antiquaries, 59), abate (1214-1222) di St Peterborough, ben rappresenta questa fase iniziale, così come la Vita sancti Cuthberti (Londra, BL, Yates Thompson 26), che apparteneva al priorato della cattedrale di Durham. Ai primi anni del sec. 13° risale un gruppo di bestiari miniati, produzione tipica inglese - per la quale può essere postulata un'origine nel Northmidland oppure a Lincoln -, di cui può essere citato a esempio l'Ashmole Bestiary (Oxford, Bodl. Lib., Ashmole 1511).Verso la metà del secolo la m. evolvette verso uno stile più delicato nel colorito e più elegante nelle linee: i protagonisti sono William de Brailes (v.), operoso tra il 1230 e il 1260 come capo della propria bottega a Oxford, e Matthew Paris (v.). Il patronato della corte non è facilmente individuabile, anche se è molto probabile che alcuni codici prodotti nell'abbazia di Westminster - come La Estoire de Saint Aedward le Rei (Cambridge, Univ. Lib., Ee.3.59) e un'Apocalisse (New York, Pierp. Morgan Lib., M.524) - e a Salisbury - per es. un'Apocalisse (Parigi, BN, fr. 403) e il Messale di Henry di Chichester (Manchester, John Rylands Lib., lat. 24) - fossero legati alle vicine residenze reali. Dal 1260 alla fine del regno di Edoardo I (1239-1307) la Court School si accostò in maniera progressiva alla m. parigina del tempo. Caratteristica produzione inglese sono i codici contenenti l'Apocalisse (v.), come l'Apocalisse Lambeth (Londra, Lamb., 209) e l'Apocalisse Douce (Oxford, Bodl. Lib., Douce 180), vicina all'ambiente di corte, dove l'influenza francese è ancora più forte ed evoluta. Anche i salteri sono molto numerosi e influenzati dai modelli francesi, per es. il Salterio Oscott (Londra, BL, Add. Ms 50000). Prodotti nell'ultimo quarto del secolo alcuni di essi, per es. il Salterio Windmill (New York, Pierp. Morgan Lib., M.102) e il Salterio Ramsey (New York, Pierp. Morgan Lib., M.302), sono vicini allo stile di Maître Honoré, che si diffuse dalla corte anche nella diocesi di York. Ma ancora più aderente allo stile citato è il Salterio Tickhill (New York, Pierp. Morgan Lib., Spencer 26), così chiamato da John Tickhill, priore (1303-1313) del monastero dei Canonici di s. Agostino di Worksop, nella diocesi di York.
A differenza della Francia e dell'Inghilterra, in Germania non esisteva - dopo l'età degli Hohenstaufen - un centro con la presenza di una corte. Erano sempre i grandi monasteri che producevano libri, senza contatti con i fermenti che nascevano e si sviluppavano nelle città. Dominava lo Zackenstil, o stile delle pieghe spezzate, nato sotto l'influenza di modelli bizantini tardi. Nei primi decenni del Duecento a Colonia furono eseguiti codici di grande qualità, come l'evangelistario (Bruxelles, Bibl. Royale, 9222) della chiesa coloniense di Gross St. Martin, nel quale le tendenze protogotiche - evidenti nel Muldenfaltenstil - si fondono con il classicismo ottoniano tipico della Renania. Più avanzata in senso gotico è la Chronica regia Coloniensis (Bruxelles, Bibl. Royale, 4609), eseguita ad Aquisgrana poco dopo il 1238: qui la superficie pittorica è ampia, il contorno disegnativo è netto e il panneggio è spezzato. In Bassa Sassonia nel secondo decennio del Duecento si produssero codici molto raffinati, nei quali l'influsso bizantino si unisce a formule occidentali ottoniane, come in una Bibbia conservata a Halberstadt (Domschatz, 3). Negli anni successivi Brunswick e in genere la regione turingio-sassone raggiunsero una qualità artistica difficilmente superabile, legata all'adesione a un classicismo di influenza italiana, come nel salterio ora a Parigi (BN, nouv.acq.lat. 3102), già nella collezione del duca di Arenberg, nonché in altri tre salteri di lusso (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78.A.7; Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Helmst. 515; Donaueschingen, Fürstliche Fürstenbergische Hofbibl., 309), tutti databili intorno al 1239-1240.Più a N, tra Goslar e Hildesheim (v.) intorno al 1250 un gruppo di codici, fra i quali il Salterio di Hildesheim (Dombibl., Beverinsche Bibl., J. 26), mostra uno stile classico-bizantino più mosso e sciolto, quasi fosse in atto un recupero di alcuni aspetti dell'età carolingia. Lo Zackenstil trova la sua completa definizione in due codici databili fra il 1210 e il 1215: il Salterio di Ermanno di Turingia (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., HB II. 24) e il Salterio di s. Elisabetta di Turingia (Cividale, Mus. Archeologico Naz., CXXXVII). In Baviera verso il 1220-1230 la tradizione romanica evolvette verso figure allungate e panneggi spezzati, come testimonia un codice contenente opere di Boezio (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 2599), proveniente da Alpirsbach, oppure venne interpretata con forza e intensità la tendenza italo-bizantina della m. salisburghese, come nel Messale dell'abate Berthold di Heimburg (New York, Pierp. Morgan Lib., 710), miniato a Weingarten intorno al 1217. Sempre in Baviera, nell'abbazia di Scheyern, sotto l'influsso degli scriptoria del medio Reno e in uno stile più lineare e dai colori più tenui, si assiste al passaggio dal Romanico al Protogotico, come si vede in un codice con i mattutini (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 17401), databile verso il 1220-1230.In Italia il Duecento presenta due fulcri ben distinti cronologicamente e geograficamente, ma che hanno ambedue contribuito in modo essenziale alla nascita della civiltà figurativa italiana all'interno del contesto europeo: nella prima metà del secolo l'Italia meridionale e nella seconda metà Bologna. In realtà anche altri centri collaborarono a tale formazione in modo non meno fattivo: Venezia, Roma, l'Umbria (Gubbio, Perugia, Assisi) e alcune città della Toscana (Arezzo, Siena, Pistoia, Pisa). La m. in questo secolo conquistò un ruolo di grande importanza, creando un tessuto connettivo in gran parte interregionale, dotato di un linguaggio artistico originale, vario e sempre sperimentale.Del Duecento lombardo è noto assai poco, mentre la riscoperta della m. del Duecento a Genova (v.) è dovuta alla pubblicazione dei corali provenienti da S. Domenico e ora nel Mus. di S. Maria del Castello: in particolare l'antifonario E, il graduale A e il graduale D - fortemente legati all'influenza francese, ma interpretata in maniera assai originale e decisamente arcaizzante -, in cui compare tuttavia anche un miniatore di stile o influenza bolognese, operante intorno al 1280. Vale la pena segnalare che è stata attribuita a Genova (Avril, Gousset, Rabel, 1984) una serie numerosa di manoscritti miniati, in taluni casi in modo molto convincente, per es. una Bibbia (Parigi, BN, lat. 42); altri codici invece erano stati in precedenza più giustamente assegnati a Napoli (Perriccioli Saggese, 1979).Alcuni manoscritti, provenienti con grande probabilità dalla basilica veneziana di S. Marco (per es. il libro III del Leggendario marciano, Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. IX, 28), testimoniano lo splendido inizio del sec. 12° a Venezia, vicino allo 'stile prezioso' dei mosaici della basilica di S. Marco, ma con una vena più moderna, espansa e dinamica. La gamma pittorica si basò sull'accordo azzurro-rosa e forte appare l'accento bizantino, ma sempre mescolato a tratti occidentali, a reminiscenze del periodo ottoniano; un realismo espressivo e un nerbo romanico tutti italiani si fondono a un pittoricismo luminoso di impianto bizantineggiante, riconducibile sia alla cultura dei codici costantinopolitani, sia alla conoscenza di un certo bizantinismo provinciale di sapore classicheggiante - come negli affreschi della chiesa dell'Ascensione del monastero di Mileševa presso Prijepolje, in Serbia -, sia alla familiarità con i manoscritti crociati. Questo stile raggiunse la sua maturità nella Bibbia in quattro volumi (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. I, 1-4) per la basilica veneziana, databile al terzo quarto del Duecento, vicina ai mosaici della seconda e terza cupola dell'atrio di S. Marco con le Storie di Giuseppe, che presenta un momento intimamente classicheggiante e nello stesso tempo innovativamente gotico (Mariani Canova, 1995). Dalla fine del sec. 12° a Venezia la m. veniva utilizzata nelle croci in cristallo di rocca, sotto il quale la materia cromatica diventa luminosa e splendida. Per gli effetti di luce-colore che si determinano, queste croci sono forse le più belle produzioni del Duecento in tutta Europa (per es. la croce astile dalla chiesa pisana di S. Nicola, Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo). La situazione non era troppo diversa a Padova, dove un grande miniatore eseguì l'Epistolario di Giovanni da Gaibana (Padova, Bibl. Capitolare), uno dei più splendidi e dei più importanti codici miniati del Duecento, ispirato dall'adesione totale di Venezia all'Oriente bizantino (Bellinati, Bettini, 1968), del quale sapeva ben dare una versione occidentale, raffinatamente laica e 'gotica'.Nell'ambito delle civiltà figurative europee, la m. bolognese nel Duecento fu caratterizzata dall'essere Bologna (v.) l'unica città nella quale al motore principale dell'Università - una delle più antiche e più celebri - si associavano corporazioni e confraternite quali importanti committenti di libri miniati. Oltre ai codici giuridici e alle bibbie, Bologna sviluppò la produzione di grandi libri corali - creazione dell'arte italiana del sec. 13° -, scoprendo improvvisamente una vocazione figurativa ed ereditando molti aspetti della civiltà comunale padana. Rientra in quest'ambito l'importantissima e precoce tradizione di ornare i libri di matricole e statuti delle corporazioni, delle confraternite religiose e del Comune; si ricorda la Matricola dei Falegnami (Bologna, Arch. di Stato, cod.min. 1), risalente al 1248. A questa fase si collegano i miniatori del c.d. primo stile, che lavorarono nei corali delle monache di Vallepietra (Bologna, Mus. Civ. Medievale, 514; 516; 517). Con una Bibbia (Oxford, Bodl. Lib., Canon bibl.lat. 56), scritta da Lanfranco de Pancis nel 1265, ebbe inizio un secondo stile - per Toesca (1927) e Conti (1981) è questo il primo stile - nel quale rifluirono influenze francesi e altre provenienti dall'Italia meridionale. La Bibbia vaticana (Roma, BAV, Vat. lat. 20) la Summa di Raimondo di Penyafort (Parigi, BN, lat. 3253) e le Decretali (Roma, BAV, Vat. lat. 1390) sono gli incunaboli della grande ondata bizantineggiante di radice paleologa che portò alla creazione di alcuni fra i capolavori della m. di tutti i tempi: il Salterio conservato a Bologna (Bibl. Univ., 346), la Bibbia detta di Carlo V a Gerona (Mus. de la Catedral, Arx. i Bibl.), quella all'Escorial (Bibl., a.I.5), la Bibbia di Clemente VII (Parigi, BN, lat. 18) e quella di Londra (BL, Add. Ms 18720). L'artista che miniò questi codici e comunque la sua corrente, nella quale sono comprese alcune personalità abbastanza distinguibili, decorarono anche grandi corali: due conservati a Firenze (Mus. di S. Marco, 561; 562), provenienti dal monastero domenicano di Ripoli presso la città; due a Bologna (Mus. Civ. Medievale, 526; 527), provenienti dal locale convento di S. Francesco; uno, splendido, a Londra (BL, Add. Ms 30084); il primo volume (Bologna, S. Maria dei Servi, A bis) del ciclo corale per S. Maria dei Servi a Bologna; infine un altro corale a Modena (Bibl. Estense, lat. 1016). Qualità artistiche che parrebbero opposte si fondono in maniera mirabile: la plasticità ellenistica si unisce alla scioltezza e all'eleganza gotica; dal punto di vista cromatico si va da una pittura pastosa, per le molteplici velature, a stesure cromatiche chiare e poco chiaroscurate. Questa visione più aulica venne splendidamente adattata alle insopprimibili tendenze bolognesi verso una forte carica espressiva e narrativa.Nell'ultimo decennio del Duecento si assiste all'evoluzione di questa corrente in senso più gotico in opere come il Decretum Gratiani (Roma, BAV, Vat. lat. 1375), firmato da Jacopino da Reggio (v.) e splendidamente miniato, nel quale compaiono, accanto a Jacopino, esponente della corrente bizantineggiante, alcuni collaboratori più gotici e moderni, definiti (Conti, 1981) il Modenese e il Maestro del 1311. In questa fase, rappresentata da un folto gruppo di codici - quali il Digestum Vetus (Bologna, Collegio di Spagna, arch., 285) e il Digestum (Parigi, BN, lat. 4476) -, i volti sono più segnati ed espressivi e assumono una forma più tondeggiante. È in questo aspetto che la m. bolognese si affacciò nel nuovo secolo e perdurò nei primi due decenni del Trecento, accogliendo, talvolta in modo frammentario, istanze nuove, di origine giottesca, per una più certa collocazione delle figure nello spazio e per la valorizzazione della plasticità.
Si è ritenuto (Toesca, 1951) che la Toscana sia stata fortemente condizionata dall'influsso bolognese della prima maniera, ma studi recenti (Degl'Innocenti Gambuti, 1977; Passalacqua, 1980; Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1980) hanno condotto alla valorizzazione di un gruppo importantissimo di codici dai tratti fortemente arcaici, tali da rendere possibile una loro datazione piuttosto alta (Salmi, 1937). Si tratta dei corali (Arezzo, Arch. Capitolare, C; D; E) per il duomo aretino e di un antifonario de tempore (Arezzo, Arch. Capitolare, A; B) per la pieve della stessa città, che rivelano qualità forti, diverse dal modello bolognese, ma piuttosto di estrazione germanica: grandi misure, colori sul verde-azzurro-bruno, volti larghi e occhi incavati.Anche a Pistoia, dove pure era presente l'influsso bolognese, emersero caratteri originali che avevano le radici nella tradizione locale. A Pisa la situazione appare più problematica per la perdita di documentazione. Ciò è vero anche per Firenze, dal momento che non si conosce alcun codice fiorentino del Duecento, con l'unica eccezione, forse (Salmi, 1937), di un evangeliario (Firenze, Bibl. Naz., II.I, 167).A Siena non è noto alcun codice miniato anteriore al 1270, eppure i miniatori dovevano avere un notevole peso. Essi d'altronde, come i pittori, erano in stretto rapporto con il Comune senese, perché dipingevano le legature dell'ufficio della Biccherna e di altri importanti uffici o istituzioni. La presenza delle biccherne costituisce un tratto peculiare della m. senese. La più antica conservata (Siena, Arch. di Stato, Biccherna 1) fu dipinta da Gilio di Pietro nel 1258: essa rappresenta, come tutte le biccherne duecentesche, il ritratto del camarlingo seduto in atto di contare i soldi sparsi sulla tavola. Il primo ciclo corale noto è quello di S. Maria dei Servi a Siena, ancora oggi conservato nel convento servita, datato 1271. Esso appartiene alla più antica fase della m. duecentesca in Toscana, quella influenzata (Toesca, 1927) dal primo stile della m. bolognese. Vi compaiono tratti stilistici tipicamente senesi: colori più brillanti e lumeggiati, figure più piccole e vivaci, un gusto lineare ondulato, predilezione per la drôlerie. Successivamente tale fase venne superata dal pieno consenso verso le novità cimabuesche e romane, quali appaiono nelle Storie del Vecchio Testamento nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, interpretate però con l'eleganza disegnativa e cromatica senese: si vedano due fogli staccati (Venezia, Fond. Cini, 55; 54) con tutti i santi e con la Liberazione di s. Pietro.Nel ciclo duecentesco del duomo di Siena, di cui sopravvivono sette corali (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana, 37 G, 36 F, 33-5, 34 D, 45 I, 46-2), si riflettono le principali tendenze e lo svolgimento del Gotico a Siena, probabilmente con un certo anticipo sui contemporanei fatti pittorici, perché è presumibile che questi corali non siano troppo distanti dal 1259, anno in cui fu terminato il coro della cattedrale. Nel loro ricchissimo corredo di miniature, tutte di eccezionale qualità, si leggono un riflesso, ma anche il rapido superamento, dell'arte bizantineggiante di Guido da Siena, l'accoglienza di un nuovo e più vitale neoellenismo bizantino, una capillare conoscenza del protogiottismo di Assisi e l'influenza o la presenza di Duccio di Buoninsegna. Memmo di Filippuccio (v.; Previtali, 1964), il pittore delle scene di vita coniugale nel palazzo Pubblico di San Gimignano, volse lo stile di Duccio a una più convinta adesione sia al Gotico francese - si pensi al Liber Evangeliorum e al Liber Epistolarum (Siena, Bibl. Com. degli Intronati, F III 6; F V 26) - sia al protogiottismo, concludendo le sperimentazioni duecentesche e preparando lo sviluppo della m. senese del Trecento.A Pisa i pochi codici ascrivibili al sec. 13° appartengono agli ultimi decenni; sono databili nel primo decennio del Trecento i brevi del Comune (Pisa, Arch. di Stato, Com. A. 4; A. 5), preziosa testimonianza della m. pisana e della sua preferenza per il racconto, vivace di gesti e di espressioni.A Lucca la m. a partire dalla metà del Duecento è rappresentata da alcuni cicli corali importanti, come quello (Lucca, Bibl. Statale, 2648; 2654) proveniente dal convento domenicano di S. Romano, legato all'influsso della prima maniera bolognese, ma dotato di sufficiente autonomia, e perciò con un gusto più classicheggiante anche nella gamma cromatica chiara.La principale singolarità della m. umbra è costituita dal fatto che la sua nascita nel sec. 13° non sembra essere legata all'influsso bolognese. Molto forte è invece il legame con l'ambiente romano, saturo di classicismo e di contatti con l'area bizantina e balcanica. Ciò è evidente per es. nella Bibbia (Firenze, Laur., Plut. 5.dex.1) proveniente da Santa Croce, capolavoro umbro degli anni 1270-1280. La m. duecentesca perugina è testimoniata dai corali per S. Salvatore, poi S. Domenico, a Spoleto (Perugia, Bibl. Augusta, 2790; 2792), che rappresentano in m. il parallelo degli affreschi di Cimabue e della scuola romana nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi. Sono invece sicuramente legati a uno scriptorium perugino i cinque corali (Perugia, Bibl. Augusta, 2791, 2793, 2794, 2797, 2798) di S. Domenico di Perugia, datati nell'ultimo decennio del Duecento (Todini, in Francesco d'Assisi, 1982), ma forse di qualche tempo posteriori.
Si conosce la m. romana a partire dalla metà del Duecento: il miniatore Nicolaus firma il Sacramentario di Anagni (Roma, BAV, Chigi C.VI.174), fortemente influenzato dalla m. parigina degli anni 1225-1250. Nella seconda metà del secolo, per quel poco che se ne conosce, la m. romana da un lato rifletteva le tendenze verso il convinto recupero dell'arte classico-bizantina - che si manifestarono nella pittura romana da Cimabue a Pietro Cavallini, a Jacopo Torriti e a Filippo Rusuti -, dall'altro rivelava aspetti che appartenevano alla tradizione quasi esclusiva della m., e quindi legati all'influsso bolognese, diretto o mediato. Del secondo caso è testimonianza la Chronique d'Outremer jusqu'au 1274 (Parigi, BN, fr. 9082), sottoscritta dallo scriba nel 1295; del primo invece i manoscritti miniati contenenti le opere scritte dal cardinale romano Jacopo Stefaneschi, come il Liber de Centesimo (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, A.3), un Exultet (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, B.78) e l'Opus metricum (Roma, BAV, Vat. lat. 4932; Vat. lat. 4933), per la cui scrittura e decorazione egli aveva appositamente organizzato uno scriptorium nell'ultimo decennio del secolo o poco dopo.Tra i manoscritti dell'Italia meridionale degli inizi del Duecento vanno ricordati il Liber astrologiae di Giorgio Zotoro Zaparo Fendulo (Parigi, BN, lat. 7330), il De chirurgia di Rolando da Parma (Roma, Casanat., 1382), due erbari (Firenze, Laur., Plut. 73.16; Vienna, Öst. Nat. Bibl., 93) e, più importante di tutti, il De arte venandi cum avibus (Roma, BAV, Pal. lat. 1071), da molti identificato con la copia eseguita per Manfredi prima del 1258. Al tempo di Manfredi (1258-1266), re di Sicilia, appartengono - oltre alla Historia de proeliis (Lipsia, Universitätsbibl., Rep. II. 4°143) e al De balneis Puteolanis (Roma, Bibl. Angelica, 1474) - anche alcune bibbie (Roma, BAV, Vat. lat. 36; Parigi, BN, lat. 40), nelle quali i miniatori rivolsero la propria attenzione anche ai modelli coevi parigini e della Francia settentrionale.
Dopo l'annessione al regno di Puglia e Sicilia (1139), l'influsso siciliano fu molto forte a Napoli e più in generale in Campania. Tuttavia il momento di maggior rigoglio artistico coincise con il tempo di Manfredi e dell'istituzione a Napoli dello Studio generale (Rotili, 1978). Due codici della Histoire ancienne jusqu'à César (Roma, BAV, Vat. lat. 5895; Parigi, BN, fr. 9685) furono miniati a Napoli, nel 1282-1283 il primo e poco dopo il secondo. Attorno a questi due codici, caratterizzati da un'illustrazione ampia, basata su disegni a penna e acquarello, sono stati raccolti (Perriccioli Saggese, 1979) altri romanzi cavallereschi - peraltro già noti e attribuiti a Napoli da Degenhart e Schmitt (1977) - che si dislocano cronologicamente nel decennio 1282-1292, fra i quali il Guiron le Courtois (Firenze, Laur., Ashb.123). I loro modelli sono certamente francesi, giunti all'inizio del governo angioino e quando la cultura sveva era ancora vitalissima. Anche i trattati scientifici, vanto della cultura e della m. sveva, proseguirono nella seconda metà del Duecento. A Salerno, o piuttosto a Napoli, fu eseguito nel 1282-1283 un messale pontificale (Salerno, Mus. Diocesano) per diretto intervento di Carlo lo Zoppo, ancora permeato di influssi manfrediani da un lato e dall'altro legato alla dirompente m. bolognese, e soprattutto sensibile a modelli francesi, quale il Salterio detto di Bianca di Castiglia (Parigi, Ars., 1186). Anche nel Messale secundum consuetudinem regiae curiae (Napoli, Bibl. Naz., I B. 22) un miniatore napoletano univa la cultura franco-sveva e quella bolognese della cerchia di Jacopino da Reggio all'arte francese con un vivo senso naturalistico e narrativo.La m. in Campania conobbe una grande fioritura agli inizi del Duecento, come si può constatare in uno degli scriptoria più importanti, quello dell'abbazia di Cava de' Tirreni, che nel sec. 13° mostra una costante vitalità continuando ad accogliere e sviluppare elegantemente i modi siciliani (Liber Viatoris, Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 32), ma anche la cultura beneventano-cassinese del sec. 12° proseguì vitalmente, per es. nel De septem sigillis di Benedetto da Bari (Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 18; Rotili, 1976-1978); questi due aspetti convissero a Cava per tutto il secolo, come emerge dall'esame di un manoscritto contenente un Kalendarium, i vangeli e la Regula sancti Benedicti (Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 19), datato quasi certamente al 1280. Il periodo più splendido dello scriptorium fu quello che coincise in gran parte con l'età angioina (Rotili, 1976-1978): a fondamento di questo rinnovamento fu l'incontro, alla luce della tradizione culturale svevo-angioina, con la m. bolognese e con la corrente cimabuesca giunta a Napoli negli affreschi della cappella dell'arcivescovo Filippo Minutolo nel duomo.
Trecento. - La m. inglese del Trecento si apre con il gruppo Fenland, che è molto legato all'arte parigina della fine del Duecento. Esso, formato da codici di lusso databili tra la fine del sec. 13° e il 1330, è collocabile nell'East Anglia e comprende il Salterio Ramsey, diviso tra New York (Pierp. Morgan Lib., M.302) e St. Paul in Lavanttal (Benediktinerstift St. Paul, Bibl., XXV/2, 19), il Salterio di Peterborough (Bruxelles, Bibl. Royale, 9961-62), il Salterio Gough (Oxford, Bodl. Lib., Gough liturg. 8) e il Salterio Barlow (Oxford, Bodl. Lib., Barlow 22). Un altro gruppo, al quale risale, per es., il Salterio Ormesby (Oxford, Bodl. Lib., Douce 366), venne realizzato nei centri di Norwich, Cambridge e Bury St Edmunds: anch'esso è caratterizzato da una forte impronta francese e dalla preferenza per fregi e code grandi e molto decorate con drôleries e fiori. Tuttavia soprattutto nel secondo gruppo il fatto nuovo è offerto dall'influsso italiano e della scuola di Giotto in particolare. Un secondo caso di italianismo è rappresentato dalla Crocifissione aggiunta, probabilmente a Norwich, al Salterio Gorleston (Londra, BL, Add. Ms 49622, c. 7r), eseguito a Norfolk nei primi anni del sec. 14°, che rivela le qualità di raffinatezza stilistica formale e decorativa della m. inglese del Trecento. Nel Salterio di Saint-Omer (Londra, BL, Yates Thompson 14), del 1330-1340, capolavoro della m. dell'East Anglia, la profondità dello spazio e la plasticità dei corpi furono suggerite dall'influsso italiano, più specificamente della scuola senese. Il rapporto con la Francia raggiunse uno stadio molto armonioso ed elegante in un manoscritto piuttosto isolato come il Salterio di Robert De Lisle (Londra, BL, Arund. 83/II), eseguito nel 1330 circa. Intorno al Salterio Queen Mary (Londra, BL, Royal 2.B VII) si raggruppano numerosi codici assai raffinati, come un salterio per Riccardo di Canterbury (New York, Pierp. Morgan Lib., Glazier 53) e un breviario per l'abbazia di Chertsey (Oxford, Bodl. Lib., lat. liturg. d.42; lat. liturg. e.6; lat. liturg. e.37; lat. liturg. e.39; San Francisco, Univ. of San Francisco, Lib., BX 2033 A2).È difficile affermare un ruolo importante della corte nella prima metà del secolo, se non per pochi manoscritti, come un salterio (Londra, Dr. Williams's Lib., Ancient 6) miniato per la regina Filippa di Hainaut o i due trattati di Walter de Milemete (De nobilitatibus, sapientiis et prudentiis regum, Oxford, Christ Church Lib., 92; De secretis secretorum, Londra, BL, Add. Ms 47680) eseguiti per il re Edoardo III nel 1326-1327 da un gruppo di miniatori che lavorava anche per altri committenti. Un salterio (Oxford, Bodl. Lib., Rawlinson G. 185) per Stefano di Derby, priore (1348-1382) della cattedrale di Dublino, mostra scorci e una plasticità tipicamente italiana: fu eseguito dal Maestro di Egerton, che lavorò anche nel Salterio Fitzwarin (Parigi, BN, lat. 765) insieme a un miniatore molto legato invece a modelli fiamminghi. Elementi italiani, oltre che fiamminghi, appaiono nei libri commissionati dalla famiglia Bohum fra il 1361 e il 1399, in particolare in tre salteri (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1826*; Oxford, Exeter College Lib., 47; Oxford, Bodl. Lib., Auct.D. 4.4).
In Francia nei primi decenni del Trecento, sotto il regno di Filippo V il Lungo (1317-1322), la m. produsse codici di grande qualità. Erano presenti due correnti: la prima, legata all'influsso di Maître Honoré, è rappresentata dalla Bibbia di Jean de Papeleu (Parigi, Ars., 5059), datata 1317, dallo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (Leida, Bibl. der Rijksuniv., Voss. gall. fol. 3A) e dal Roman de Fauvel (Parigi, BN, fr. 146), caratterizzati da un disegno sinuoso e flessibile; la seconda corrente è rappresentata dalla Vie et miracles de saint Denis (Parigi, BN, fr. 2090-2092), offerta nel 1317 al re Filippo il Lungo, nella quale alla grazia si sostituiscono la monumentalità e un trattamento quasi scultoreo delle figure. Vi era poi un terzo stile, che conciliava la ricerca dell'eleganza con la solidità formale, rappresentato dal Decretum Gratiani (Parigi, BN, lat. 3893), che raggiunge un risultato quasi classico.Intorno al 1320 comparve Jean Pucelle (v.), del quale testimonianze documentarie e le sue stesse opere dimostrano l'importanza e il ruolo di novatore della m. francese, perché, senza nulla perdere della propria migliore tradizione di eleganza e di complesso fraseggio lineare, accolse le grandi novità dell'arte italiana: l'organizzazione dello spazio e del racconto attraverso la resa della prospettiva, la valorizzazione della plasticità dei corpi, il loro inserimento nello spazio tramite lo scorcio, i nuovi modelli compositivi e narrativi, e infine il paesaggio urbano. Fra le opere della gioventù di Jean Pucelle si ricorda il breviario francescano (Roma, BAV, Urb. lat. 603) destinato a Bianca di Francia, figlia di Filippo V il Lungo; alla maturità sono invece da riferire il Breviario di Belleville (Parigi, BN, lat. 10483-10484), il Breviario di Jeanne d'Evreux (Chantilly, Mus. Condé) e i Miracles de Nôtre-Dame di Gautier de Coincy (Parigi, BN, nouv.acq.fr. 24541), eseguito verso il 1330. Lo stile e l'atelier di Jean Pucelle furono ereditati da un notevolissimo miniatore, riconosciuto responsabile del Libro d'ore di Giovanna di Navarra (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 3145) e dello splendido Salterio di Bona di Lussemburgo (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters, 69.88), prima moglie di Giovanni II il Buono (1350-1364), e del Libro d'ore della contessa Iolanda di Fiandra (Londra, BL, Yates Thompson 27), databili intorno e poco dopo il 1350. Un insieme di significative coincidenze consente di identificarlo con Jean le Noir (v.), che in seguito fu operoso per Carlo V (1364-1380), per il quale eseguì un breviario (Parigi, BN, lat. 1052). Jean le Noir, pur nella fedeltà ai moduli e allo stile di Jean Pucelle, prediligeva tuttavia un'interpretazione più drammatica e più ornamentale.A partire dalla metà del secolo la committenza fu dominata dalla figura del re Giovanni II il Buono (v.) e del figlio Carlo V (v.): quest'ultimo accrebbe il prestigio della dinastia regnante con la propria biblioteca, che fu ritenuta una delle più importanti dell'epoca. Esponente del tempo di Carlo V è il Maestro aux Boqueteaux (v. Maestro della Bibbia di Jean de Sy), interprete della tradizione parigina, come può vedersi da due pagine miniate aggiunte alla raccolta di opere di Guillaume de Machaut (Parigi, BN, fr. 1584, cc. E, D). Un altro miniatore era il Maestro del Livre du Sacre de Charles V, aspro nel disegno e nel colore (Londra, BL, Cott. Tib. B.VIII), mentre il miniatore delle Grandes Chroniques de France (Parigi, BN, fr. 2813) offre figure dai movimenti graziosi e disegni dal tratto fluido. Su tutti questi pur notevoli miniatori si eleva Jean de Bondol (v.), il quale miniò - firmandola e datandola 1371 - la dedica a Carlo V da parte del consigliere Jean de Vaudetar di una Bibbia conservata all'Aia (Rijksmus. Meermanno-Westreenianum, 10 B 23, c. 2r). In questa scena le figure sono di uno straordinario realismo, che anticipa tempi nuovi e valorizza l'apporto fiammingo al rinnovamento della m. francese del Gotico internazionale. Va tuttavia ricordato che i manoscritti commissionati da Giovanni il Buono e da Carlo V recavano già ritratti somiglianti e realistici.Per l'Aragona, dove il libro d'ore non ebbe un grande successo, va ricordato il Libro d'ore della regina Maria di Navarra (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. I, 104), sposa di Pietro III il Cerimonioso, del 1340 ca., attribuito alla famiglia Bassa (v.).In Germania la rottura con il vecchio Zackenstil si verificò, alla fine del Duecento, a Colonia e soprattutto nella regione di Costanza, dove vennero realizzati i codici più originali, nei quali l'influsso francese era del tutto riassorbito e fuso nella tradizione anche stilistica germanica, come si vede in un messale (Karlsruhe, Badische Landesbibl., St. Peter perg. 46) per uno sconosciuto convento domenicano della diocesi di Costanza. Ciò è anche più evidente nel codice di Manesse (Heidelberg, Universitätsbibl., Pal. germ. 848), una raccolta di Minnesänger composta alla fine del Duecento da Manesse e dal figlio Johann, miniata intorno al 1315 per la regina madre Agnese di Ungheria da un maestro principale formatosi nell'ambito della Weltchronik di Rudolf von Ems (San Gallo, Kantonsbibl. Vadiana, 32): sul fondo risparmiato le figure si stagliano eleganti eppure plastiche, disegnate con tratto deciso e molto inchiostrato, ma riempite con acquarelli sciolti e densi. Anche a Ratisbona il Trecento, del quale purtroppo poco o nulla è rimasto, si aprì nel segno di un'elaborazione germanica del Gotico, che fuse nella tipica densità plastica un ritmo più elegante e curvilineo: ne sono esempio il libro di preghiere in tedesco e il messale da Lilienfeld (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Cgm 101; Clm 23057). Più accentuato, anche se in ritardo, era l'influsso francese, che sembra provenire da Maître Honoré, nel perduto Roman de Willehalm (già Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 30.12 Aug. fol.), miniato nel 1334, mentre dall'Inghilterra giunsero modelli per lo stile grandioso, anche se lineare e ondulato, come in un manoscritto (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., Einzelblatt 672) eseguito forse a Colonia intorno al 1330. La piena adesione agli ideali del weicher Stil, che si originò dal rinnovamento stilistico di Jean Pucelle, è testimoniata dal Graduale di Wettingen (Aarau, Aargauische Kantonsbibl., Wett. fol. max. 3), eseguito sempre a Colonia intorno al 1330-1340. Per influsso boemo il weicher Stil raggiunse un risultato maturo nella Leggenda di s. Edvige (Malibu, J. Paul Getty Mus.), miniata per il granduca Ludovico I di Legnica nel 1353.Fin dai primi anni del secolo erano comparsi in Boemia elementi gotici francesi, ma soprattutto inglesi e apporti italiani. Una profonda comprensione del Gotico inglese è testimoniata dal passionario (Praga, Státni Knihovna, XIV A 17) commissionato da Cunegonda, badessa del monastero di S. Giorgio e figlia del re Přemysl Ottocaro II, nel quale un grande miniatore sviluppò i tratti destinati a essere propri della prima fase del Gotico boemo: la resa plastica delle figure con il chiaroscuro, la fusione dell'eleganza delle forme e del disegno con l'intensità dell'espressione. Il codice, che è importante anche come testo per il suo contenuto mistico, venne eseguito fra il 1312-1313 e poco prima del 1321, quando, alla morte di Cunegonda, non era ancora terminato. Numerosi manoscritti boemi furono realizzati con la tecnica del disegno a penna e inchiostro bruno, molto praticata in Inghilterra: il più importante e ricco di miniature è la Bibbia istoriata di Velislav (Praga, Státni Knihovna, XIII C 124), eseguita verso il 1340. In seguito durante il regno di Carlo IV di Lussemburgo (1355-1378), che sposò l'ultima discendente dei Přem'yslidi, Praga divenne una delle capitali europee: il sovrano strinse relazioni con la Francia andando ad Avignone, e quindi moltiplicò i rapporti con l'Italia. Nel Breviario di Leone, Gran maestro dell'Ordine dei Crociferi della Stella Rossa, datato 1356 (Praga, Státni Knihovna, XVIII F 6), le due componenti sono perfettamente fuse in uno stile che fonda le basi del Gotico internazionale boemo ed europeo. La testimonianza più preziosa è offerta dallo splendido Liber viaticus di Giovanni di Neumarkt (v.; Praga, Knihovna Národního muz., XIII A 12), terminato nel 1364, nel quale si impongono la resa prospettica dello spazio e le qualità plastiche naturalistiche e pittoriche dell'arte italiana, ben visibili ad Avignone.
Nell'Italia settentrionale la m. ebbe una particolare e importante fioritura in Lombardia e nel Veneto. Nella prima metà del Trecento queste due regioni svilupparono una tradizione miniatoria piuttosto differenziata, parzialmente contrassegnata dall'influsso della m. bolognese e da quello di Giotto, presente e attivo a Milano e a Padova. Nella seconda metà del secolo il prevalere e il consolidarsi delle signorie determinarono una cultura aristocratica e cortese più omogenea. La dispersione del patrimonio librario miniato non permette invece di avere un esatto quadro della situazione in Piemonte.
Nel Veneto agli inizi del Trecento un antifonario (Cividale, Mus. Archeologico Naz., XXXIII) accolse gli influssi bolognesi, ma ne offrì un'interpretazione squisitamente veneziana: ciò avvenne anche nella Descriptio Terrae Sanctae di Burcardo di Monte Sion (Padova, Bibl. del Seminario Vescovile, 74) e nelle Conditiones Terrae Sanctae di Marin Sanudo (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. Z. 547), databili tra il 1309 e il 1312, che uniscono modi e strutture dei romanzi cavallereschi francesi e lombardi al fasto cromatico e al fondo oro bizantino. Il classicismo ereditato dal Duecento veneziano si fuse con un accentuato influsso bolognese mediato da Padova, come si osserva per es. negli splendidi evangelistario e messale per S. Marco (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. I, 100; lat. III, 111) risalenti al dogato di Andrea Dandolo (1343-1354), nei quali si manifestano il raffinato classicismo nelle figure e il fasto decorativo nei fregi e nelle code, tipicamente veneziani. Su questa linea, ma con uno svolgimento stilistico più gotico - sollecitato sempre da Padova - si pone un foglio staccato di una mariegola della Scuola di S. Giovanni Evangelista (Venezia, Fond. Cini, 2041). Verso la metà del sec. 14°, si verificò una rinascita di gusto neobizantino, di cui è esempio la mariegola della Scuola di S. Teodoro (Venezia, Mus. Correr, IV. 21). Nella seconda metà del secolo ai rapporti con Padova sembrano sostituirsi quelli con la Lombardia, tramite Verona, se è veneziana l'illustrazione della Divina Commedia (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, it. IX, 276; Brieger, Meiss, Singleton, 1969), senz'altro tra le più belle e importanti illustrazioni dantesche intorno al 1370.A Padova il Trecento si aprì con le grandi novità pittoriche portate da Giotto nella cappella degli Scrovegni, che si andarono a sovrapporre al dominante influsso bolognese. L'impresa nella quale si creò questo innesto sono i sei antifonari della cattedrale padovana (Padova, Bibl. Capitolare, A14-16, B14-16), per i quali esistono pagamenti finali nel 1306 allo scrittore e miniatore Gherarduccio o Duccio, e nei quali sono state trovate puntuali derivazioni dagli affreschi giotteschi (Bellinati, 1974). Al miniatore Gherarduccio sono stati assegnati (Conti, 1981) altri bellissimi codici, come il Roman de Troie (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2571), il volgarizzamento di testi classici e del vangelo (Firenze, Bibl. Riccardiana, 1538) e una Divina Commedia (Londra, BL, Egert. 943). Successivamente, lo sviluppo della m. padovana è testimoniato da quattordici antifonari (Padova, S. Antonio, Bibl. Antoniana, A-D; F-H; K-M; O-Q; S), eseguiti nel secondo-terzo decennio per la Basilica del Santo da più artisti padovani o bolognesi trasferitisi a Padova. Gli influssi bolognesi sono comunque riconducibili alle tendenze dei decenni 1315-1335. Nella seconda metà del Trecento furono molto importanti la presenza di Francesco Petrarca e la sua influenza sulla corte dei Carraresi. Anche Verona era un importante centro librario, com'è testimoniato dai diciassette corali per il duomo, forse iniziati nel 1368 - come è attestato in uno di questi (Verona, Bibl. Capitolare 3. MCII), che reca tale data - e proseguiti negli anni successivi. Vi lavorarono miniatori che rappresentano tre correnti: un primo gruppo è stilisticamente vicino al pittore veronese Turone; un secondo, più raffinato, rivela esperienze toscane ed è in accordo con la cultura di Altichiero; un terzo riflette modi emiliani (Mellini, 1962).I decenni centrali del Trecento sono ben rappresentati anche dagli antifonari del duomo udinese (Udine, Arch. Capitolare, 28; 24; 20; Miniatura in Friuli, 1985), nei quali fu all'opera un miniatore di educazione padovana della generazione del pittore Nicoletto Semitecolo; i graduali (Udine, Arch. Capitolare, 23; 19; 29) appartengono invece a un altro grande miniatore, legato all'influenza dell'Italia centrale e in particolare dell'Umbria, anche se le figure risentono di Tommaso Barisini. Per la raffinatezza pittorica e per la caustica bizzarria, di gusto nordico, che manifesta, questo miniatore prelude al Gotico internazionale.In Lombardia, un evangeliario (Bergamo, Bibl. Civ. A. Mai, MA 618), sicuramente databile tra il 1301 e il 1305-1306, è un autorevole testimone delle qualità originali della m. lombarda dei primissimi anni del Trecento, così come il Sermone di Pietro da Barsegapè (Milano, Bibl. Naz. Braidense, AD.XIII.48). In ambedue è presente, anche se in maniera originale, l'adesione a una nuova visione razionale delle composizioni e dello spazio, che può essere stata sollecitata dalla conoscenza delle novità giottesche. A non molta distanza di tempo è da collocare il Roman de Tristan (Parigi, BN, fr. 755), nel quale l'adesione alla nuova sintassi spaziale e al nuovo naturalismo italiano è totale, pur interpretata secondo la raffinatezza tipica della corte viscontea. I legami con la cultura protogiottesca si trovano nel Messale di Roberto Visconti (Milano, Bibl. Ambrosiana, C.170 inf.), canonico del duomo di Milano, probabilmente eseguito intorno al 1327 (De Floriani, 1988); agli anni successivi risale lo splendido Liber Pantheon di Goffredo da Viterbo (Parigi, BN, lat. 4895), scritto a Milano nel 1331 e dedicato ad Azzone Visconti, opera di due miniatori al secondo dei quali si legano un passionario miscellaneo (Milano, Bibl. Ambrosiana, P.165 sup.), una Vita di Cristo (Milano, Bibl. Ambrosiana, L.58 sup.), con una serie di straordinari disegni a penna, e un salterio e martirologio (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78.C.16).
La straordinaria qualità della m. milanese verso e poco oltre la metà del Trecento è testimoniata dalla Chronica Mediolani (Parigi, BN, lat. 4946) e dal codice miscellaneo (Parigi, BN, lat. 7242) - che inizia con gli Strategemata di Frontino - con le armi di Galeazzo Visconti e quindi databile entro il 1378, anno della sua morte. I principali miniatori degli anni 1360-1380 sono il Maestro del Messale Nardini, opera conservata a Milano (Bibl. del Capitolo metropolitano, II, D.2.32), e Giovanni di Benedetto da Como (v.), autore del Libro d'ore di Bianca di Savoia (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 23215). Le Ore della Vergine (Modena, Bibl. Estense, α.S.2.31, già lat. 862), che gli furono attribuite, risalgono al 1383.Nei decenni prima e dopo il 1380 i Lombardi eccelsero nei romanzi cavallereschi e nei tacuina sanitatis: quest'ultima tipologia fu creazione e scoperta tipicamente lombarda. Quanto ai primi, che annoverano alcuni fra i capolavori assoluti della m. europea, si ricordano il Guiron le Courtois (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 5243), per il quale è stata talvolta proposta un'origine veronese, e il Lancelot du Lac (Parigi, BN, fr. 343), stilisticamente molto innovativo nella straordinaria mescolanza di attenzione al reale e di eleganza formale, aristocratica e cortese. Si conoscono altri tacuina coevi, di illustre origine o destinazione, quali il Theatrum sanitatis (Roma, Casanat., 4182), attribuito a Giovannino de Grassi e alla sua cerchia (Toesca, 1912). Con codici come questo si sconfina nel Gotico internazionale, uno stile alla cui formazione la Lombardia diede, insieme alla Francia, un grandissimo contributo, degno dei Visconti e della loro rete di legami matrimoniali con le famiglie regnanti europee e persino con l'impero.A Bologna, che mantenne la sua egemonia in Emilia, il Trecento prese le mosse, come si è già accennato, dalla fase tarda di Jacopino da Reggio e dei suoi collaboratori. Da questo gruppo ebbero origine due correnti: una facente capo a un miniatore operoso nei primi due decenni del secolo, il Maestro del 1314, così chiamato dalla Matricola dell'Arte dei Merciai di quell'anno (Bologna, Mus. Civ. Medievale, 632), che predilesse l'uso di stesure cromatiche piatte e un chiaroscuro ridotto a pennellate filamentose. Della medesima generazione e con caratteri stilistici simili è il Miniatore di Seneca, così denominato da un manoscritto ora a Parigi (BN, lat. 11855). La seconda corrente è impersonata da Nerio, che si firma nel Corpus Iustiniani (Parigi, BN, lat. 8941), dove rivela una profonda e insieme poetica comprensione di Giotto, soprattutto della sua attività padovana. Tale collegamento si accentua nelle bellissime storie evangeliche (Londra, BL, Add. Ms 32058). Alla sua cerchia appartennero molti collaboratori, fra i quali il Maestro del Graziano di Napoli (Napoli, Bibl. Naz., XII A. 1) e i miniatori che lavorarono - collaborando con il Miniatore di Seneca (Conti, 1981) - ai corali (Bologna, convento di S. Domenico, 21; 23) per la chiesa bolognese di S. Domenico. Fra tutti si distacca per la qualità della sua arte il miniatore che lavorò a un graduale (Modena, Bibl. Estense, α.R.I.6, già lat. 1021) nella serie di corali Obizzi del Catajo, e che Salmi (1932) ipotizzava potesse essere identificato con il Franco Bolognese (v.) di dantesca memoria. Nei corali conservati a Bologna (S. Maria dei Servi, A; B; D; F) la maggiore accentuazione dell'influsso porta a ipotizzare una data nel quarto decennio del secolo, in coincidenza con la presenza di Giotto a Bologna. Il Maestro del 1328, così chiamato dalla Matricola dell'Arte dei Merciai di quell'anno (Bologna, Mus. Civ. Medievale, 633), diede inizio a una fase successiva, di cui fu protagonista un miniatore la cui denominazione più nota è l'Illustratore (v.). Il Maestro del 1328 è considerato autore di una serie di codici, tra i quali le Decretali (Padova, Bibl. Capitolare, A 2), il Decretum Gratiani (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 21.2), i quattro fogli delle Decretali (New York, Pierp. Morgan Lib., M.81; M.716), le Decretali (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2047), il Decretum Gratiani (Roma, BAV, Vat. lat. 1366), il Digesto (Torino, Bibl. Naz., E.I.1). Intorno al 1330 iniziò l'attività dell'Illustratore, che trasformò la giottesca gravità dei personaggi e delle composizioni del Maestro del 1328: i gesti sono sciolti, le figure flessibili, le composizioni hanno una concitazione e, al tempo stesso, un'eleganza di gusto gotico. Alla fase matura dell'artista appartengono, tra l'altro, le Decretali Vaticane (Roma, BAV, Vat. lat. 1389), che anticipano il Gotico internazionale.La fioritura artistica della Rimini trecentesca è esempio di un fenomeno caratterizzante la storia dell'arte italiana, nella quale i centri minori presentavano spesso un'eccezionale importanza. L'antica eredità classica, che è sempre una sedimentazione culturale sommersa ma importante, e la presenza di Giotto chiamato dai Francescani determinarono lo sviluppo di una scuola artistica che per tutta la prima metà del secolo produsse straordinari capolavori in pittura e in miniatura. Quest'ultima è rappresentata in definitiva da un solo miniatore oggi noto, Neri da Rimini (v.), da considerarsi tuttavia anche un punto di riferimento per altri miniatori ancora non identificati.All'inizio del secolo il Seguace del Maestro della S. Cecilia (Salmi, 1954b, p. 9) portò nella m. fiorentina le novità giottesche delle Storie di s. Francesco nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, com'è ben visibile negli antifonari conservati a Montevarchi (collegiata di S. Lorenzo, Mus., cor. A; cor. B) e nel laudario (Firenze, Bibl. Naz., B.R. 18), già della Compagnia dei Laudesi di Santo Spirito, eseguito a più mani. Nel primo decennio del Trecento iniziò la sua attività di miniatore nei corali di Santa Croce (Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1984) Pacino di Buonaguida (v.), che lavorò intensamente fino agli anni trenta-quaranta valendosi di una bene organizzata bottega. Poco dopo, vale a dire nel secondo decennio, iniziarono la loro attività, almeno per quanto è noto finora, i due grandi miniatori che diedero un volto specifico alla fase matura del Trecento fiorentino: uno è il Maestro del Biadaiolo, autore sia di uno dei più innovativi codici miniati del Gotico in Italia, il Biadaiolo fiorentino, contenente lo Specchio umano di Domenico Lenzi (Firenze, Laur., Tempi 3), decorato con grandiose rappresentazioni della città e della vita cittadina, sia di altri codici, pochi ma molto belli e importanti, come il Tesoro di Brunetto Latini (Firenze, Laur., Plut. 42.19). Il secondo è il Maestro Daddesco, miniatore grandioso ma raffinato, dalle nobili e 'spaziose' composizioni, veramente degne di Giotto, dai colori cantanti, dall'armoniosa e insieme fastosa decorazione foliacea: è attivo per la prima volta in un corale del 1315 della fiorentina abbazia cistercense di Badia a Settimo (Roma, Santa Croce in Gerusalemme, Bibl. Sessoriana, D; Bertelli, 1970) e nel messale per il duomo di Firenze (Firenze, Laur., Edili 107). Un altro corale per Badia a Settimo, sempre di mano del Maestro Daddesco, è a Firenze (ospedale degli Innocenti, arch.; Salmi, 1954b), mentre capolavoro della sua fase tarda sono tre corali facenti parte sempre del medesimo ciclo, ora a Roma (Santa Croce in Gerusalemme, Bibl. Sessoriana, A; B; C; Guidotti, 1979). Suo coetaneo è il Maestro delle Effigi domenicane, mediocre pittore ma splendido miniatore, attorno al quale è stato riunito (Offner, 1933) un gruppo di codici miniati e di fogli sciolti, compresi quelli attribuiti a Jacopo del Casentino (v.; Salmi, 1954b). Il Maestro delle Effigi domenicane, che è legato anche al Maestro del Biadaiolo, tanto da lavorare in imprese comuni, come nei corali della collegiata di Castelfiorentino, miniò un'importante Divina Commedia (Milano, Bibl. Trivulziana, 1080), datata 1337, con l'incipit delle tre cantiche. Il suo capolavoro è un messale (Firenze, Seminario di Cestello) per le monache di S. Piero Maggiore, forse il più bello e perfetto codice miniato fiorentino del Trecento. La parabola artistica del Maestro delle Effigi domenicane, come quella del Maestro Daddesco, si concluse probabilmente entro il 1350.Dopo la peste nera (1348) il fatto più importante nella m. fiorentina fu il sorgere della scuola degli Angeli, a opera di monaci camaldolesi, come Silvestro dei Gherarducci (Levi D'Ancona, 1957), miniatore del corale (Firenze, Laur., cor. 2) terminato di scrivere nel 1371 per S. Maria degli Angeli, uno dei codici più raffinati del Trecento fiorentino.È noto che a Siena fu costante l'interscambio tra m. e pittura, in misura più intensa che nelle altre città italiane, anche se i maggiori pittori del Trecento senese si dedicarono solo occasionalmente alla m.: di Simone Martini (v.) si conoscono l'incipit di un Virgilio con il commento di Servio (Milano, Bibl. Ambrosiana, S.P.F.I') e il De miraculo gloriosae Dei genitricis (Parigi, BN, lat. 5931); ad Ambrogio Lorenzetti è stata attribuita la biccherna con l'allegoria del Governo (Siena, Arch. di Stato, Gabella del Comune di Siena, Entrata e Uscita, 1344); a Pietro Lorenzetti sono state attribuite due miniature a piena pagina nell'Inferno della Divina Commedia (Perugia, Bibl. Augusta, L.70, cc. 1v, 2r), mentre le più recenti proposte a Pietro Lorenzetti e a Lippo Memmi (Il Gotico a Siena, 1982) non sono convincenti. In definitiva, quanto di più lorenzettiano è stato fatto in m. è opera del Primo Maestro di S. Eugenio. Quest'ultimo è il più importante miniatore della prima metà del Trecento, insieme a Niccolò di Ser Sozzo (v.) e al Secondo Maestro di S. Eugenio, attivo insieme al Primo Maestro nell'antifonario proveniente dall'omonima abbazia (Cava de' Tirreni, Arch. dell'abbazia, B), al quale sono stati attribuiti (Bologna, 1977) alcuni fogli - tra i quali una Natività di Maria e una Pentecoste - a Venezia (Fond. Cini, 2065; 2067). Sia Niccolò di Ser Sozzo sia il Secondo Maestro di S. Eugenio lavorarono in una delle più importanti imprese della m. senese di metà secolo, il ciclo corale della collegiata di San Gimignano: a Niccolò spettano, sebbene in parte, due graduali (San Gimignano, Mus. d'Arte Sacra, LXVIII-1; LXVIII-2) in collaborazione con il Secondo Maestro di S. Eugenio, che lavorò anche in un altro codice (San Gimignano, Mus. d'Arte Sacra, LXVIII-3; De Benedictis, 1976).Un altro miniatore dei decenni centrali del Trecento è Lippo Vanni (v.), documentato come pittore e miniatore nel 1344 e 1345: a partire da questi anni il suo cammino è analogo o legato a quello di Niccolò di Ser Sozzo. Fra le sue opere si ricorda un graduale (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana, 98-4), proveniente dallo Spedale di S. Maria della Scala, che, pur lasciato incompiuto, rappresenta uno dei capolavori dell'artista e di tutta la m. senese.La scoperta della m. pisana, in precedenza ignorata, si deve a Salmi (1954b), a Meiss (1956), a Dalli Regoli (1963) e a Ciardi Dupré Dal Poggetto (1979). Agli inizi del secolo Pisa era sotto l'influenza di Siena e, in particolare, di Duccio di Buoninsegna, anche per la presenza del pittore duccesco senese Memmo di Filippuccio, al quale sono stati attribuiti da Previtali (1964) alcuni raffinatissimi corali (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo, depositi, P; Q; N), provenienti da S. Niccolò. L'adesione dei miniatori pisani al rinnovamento giottesco, e in particolare allo stile maturo del maestro, avvenne nel terzo decennio, almeno per quanto oggi si può valutare. Al 1326 è databile il breviario (Firenze, Laur., Stroz. 11) scritto per la badessa del monastero di S. Stefano a Pisa; ai medesimi anni e alla stessa mano risale il breve del Comune di Pisa (Pisa, Arch. di Stato, Com. A. 6). Il maestro del breviario del 1326 fu il fondatore della m. pisana del Trecento. A questo artista, in una fase più matura, spetta la raffinata e insieme espressiva illustrazione del volgarizzamento del Pater Noster di Zucchero Bencivenni (Firenze, Bibl. Naz., II.VI, 16; Ciardi Dupré Dal Poggetto, 1980). In alcuni corali a Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo, D; B; A; E), che rappresentano uno dei capolavori della m. italiana del Trecento, si affaccia prepotente la personalità del grande pittore Francesco Traini (v.), al quale sono state attribuite (Meiss, 1956) le miniature dell'Inferno della Divina Commedia conservata a Chantilly (Mus. Condé, 597), sicuramente la più bella illustrazione dantesca del Trecento.Nell'Italia centrale un'altra regione svolse in età gotica un ruolo qualitativamente e quantitativamente rilevante, ancora in parte da individuare e definire: l'Umbria. Nel Trecento, rispetto al secolo precedente, la m. si concentrò a Perugia, dove, basando la propria fortuna sulla presenza di numerose botteghe ben organizzate, presentò una fioritura straordinaria dagli inizi del secolo fino agli anni ottanta. Dal punto di vista artistico essa fu sempre caratterizzata dalla presenza e dall'armonioso sviluppo, accanto a un'eccellente componente figurativa e narrativa, di un'ornamentazione di straordinaria eleganza e originalità, che utilizza quasi esclusivamente la foglia di acanto, desunta da esemplari classici di età ellenistica e poi interpretata secondo il gusto gotico italiano. Anche la gamma cromatica è chiara e squillante, tipicamente mediterranea. Dal punto di vista figurativo, in generale i miniatori perugini guardarono con grande attenzione, ma anche in spirito di autonomia, ai fatti pittorici che si verificavano nei principali centri della regione (Assisi, Orvieto, la stessa Perugia). Una prima fase, collocabile nel primo decennio del Trecento, è rappresentata dai corali di S. Domenico, di cui i più antichi - come il graduale C (Perugia, Bibl. Augusta, 2781) - possiedono ancora caratteri duecenteschi, pur nell'adesione al protogiottismo che si impose in modo sempre più incisivo dall'antifonario S (Perugia, Bibl. Augusta, 2782). Si affacciano anche influssi orvietani, per es. nell'antifonario F (Perugia, Bibl. Augusta, 2787).Una tendenza maggiormente filogiottesca si profilò invece nella m. laica, come nello Statuto dei Notai, con il S. Ercolano protettore dei priori perugini (Perugia, Arch. di Stato, Misc. 21, c. 44r), per poi sfociare nell'arte di maestro Venturella di Pietro, che fu camarlingo dei pittori a Perugia nel 1313 (Degl'Innocenti Gambuti, 1977). Nelle Matricole delle Arti lavorò il maggior miniatore e òrafo' (così si firma) perugino della seconda metà del secolo, Matteo di Ser Cambio (v.).Il giubileo del 1300 celebrò il trionfo della Roma papale, già rinnovata culturalmente e artisticamente dai grandi pontefici del Duecento. Fu un trionfo effimero, che si frantumò cinque anni dopo con la morte di Bonifacio VIII e l'esilio avignonese. Un grande personaggio della curia romana, nel periodo che va dal 1300 al 1342 anno della sua morte, resse le fila della committenza artistica: il già ricordato cardinale Jacopo Stefaneschi, che aveva organizzato sin dalla fine del Duecento un suo scriptorium nel quale era prevista la presenza di miniatori. Nel Trecento egli si servì di un unico grandissimo miniatore, il Maestro del Codice di S. Giorgio (v.), così denominato dal nome del suo capolavoro (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, C.129). È da considerarsi un riflesso dell'arte promossa dalla corte papale ad Avignone il più bel codice miniato romano del Trecento, la Regula dell'ospedale romano di Santo Spirito in Sassia (Roma, Arch. di Stato, S. Spirito I), legato all'influsso dell'attività pittorica del viterbese Matteo Giovannetti per il palazzo dei Papi ad Avignone.
A Napoli il passaggio al Trecento coincise con il regno di Roberto d'Angiò (1309-1343). La m. continuò a illustrare romanzi cavallereschi sulla linea dei decenni precedenti (Roman de Meliadus, Parigi, BN, fr. 1463; Roman de Guiron, Roma, BAV, Reg. lat. 1501; Roman de Troie, Tours, Bibl. Mun., 953), ancora con notevole efficacia narrativa e disegnativa. La committenza, da parte di Carlo di Calabria e della moglie Maria di Valois, dello splendido volume con i Faits des Romains (Parigi, BN, fr. 295), eseguito a Napoli da miniatori francesi, fu forse la causa del profondo rinnovamento stilistico e compositivo realizzato nella Histoire ancienne jusqu'à César (Londra, BL, Royal 20.D.I), attribuita a Cristoforo Orimina (v.) e ad altri miniatori (Bologna, 1969). Orimina, il più importante miniatore dei decenni centrali del Trecento (Perriccioli Saggese, 1984), firmò la Bibbia detta di Malines (Lovanio, Universiteitsbibl., Fac.Theol. 1), realizzata per il notaio Niccolò d'Alife, per il quale miniò anche la Bibbia (Roma, BAV, Vat. lat. 3550), poi in possesso del frate celestiniano Matteo di Planisio. Dalla rivisitazione dell'arte cavalliniana attraverso la lezione di Giotto, del Maestro delle Vele e di Maso di Banco, questo miniatore si orientò su Roberto d'Oderisio (v.).Negli anni fra il 1340 e il 1370 fu attivo il Maestro del Seneca dei Girolamini, così chiamato dall'importante manoscritto con le Tragedie di Seneca (Napoli, Bibl. Oratoriana del Monumento Naz. dei Girolamini, CF.2.5), attorno al quale è stato raccolto un piccolo gruppo di opere (Putaturo Murano, 1984), e che è stato riconosciuto operoso insieme a Cristoforo Orimina nella Bibbia di Napoli (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1191), databile negli anni quaranta. Anche questo miniatore si formò su Giotto e Maso di Banco, per poi approdare nel Seneca, che è di poco successivo al 1371, a un suo stile, che tiene conto dell'arrivo a Napoli di Niccolò di Tommaso e che unisce alla perfetta calibratura delle forme e degli spazi di stampo giottesco-masiano una raffinata eleganza e un colorito più sfumato. Uno dei tratti distintivi dell'ambiente napoletano era la predilezione per i testi di carattere storico e letterario, che alimentavano le straordinarie qualità narrative dei miniatori locali, i quali interpretavano anche la Bibbia in senso storico, dotandola di un'eccezionale figuratività. Queste preferenze per i soggetti storici si erano già manifestate con la predilezione per i romanzi cavallereschi e si palesarono nel corso del Trecento con quella per la Divina Commedia.Il regno di Giovanna I d'Angiò (1351-1382) è rappresentato dagli Statuts de l'Ordre du Saint-Esprit (Parigi, BN, fr. 4274), fondato nel 1353, e dallo stupendo Meliadus (Londra, BL, Add. Ms 12228), nel quale lavorarono alcuni miniatori attivi fra il 1362 e il 1375 nell'Offiziolo di Giovanna I (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1921).In Campania agli inizi del Trecento il centro scrittorio forse più importante del regno era l'abbazia di Cava de' Tirreni, che del resto nella seconda metà del secolo precedente aveva vissuto un momento di notevole sviluppo. Nello Speculum historiale in due volumi (Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 25-26), del 1320 ca., compare la componente cavalliniana dovuta alla presenza a Napoli - a partire dal primo decennio del secolo - del grande pittore e della cerchia artistica che intorno a lui si era formata. Questi influssi stilistici esterni si fusero nei due volumi cavensi con un gusto tipicamente napoletano, che divenne sempre più raffinato perché si aggiunsero altri apporti francesi, umbri e romani, anche alla parte ornamentale, vivace, fastosa eppure elegante. Un altro codice di Cava, contenente il Rationale divinorum officiorum di Guglielmo Durando (Londra, BL, Add. Ms 31032), venne miniato tra il 1323 e il 1325 da tre miniatori di formazione francese (Rotili, 1976-1978), che ripresero la stessa linea segnata dall'influsso cavalliniano con risultati di straordinaria ricchezza e spontaneità, eleganza e realismo descrittivo.La Sicilia agli inizi del Trecento, superata la fase di interscambio con le maggiori tradizioni del Tardo Duecento in Italia settentrionale, centrale e meridionale - dall'Umbria a Roma e al Lazio, dal Veneto (Messina, Bibl. Univ., 355) a Bologna (Messina, Bibl. Univ., 347) -, manifestò un forte desiderio di recuperare la propria tradizione duecentesca di carattere bizantineggiante, per es. in una splendida Bibbia (New York, Pierp. Morgan Lib., Glazier 60) e nel leggendario dei santi (Torino, Bibl. Naz., I.II.17), codici di straordinaria bellezza, anche se antichizzanti - se li si confronta con l'arte italiana, ma perfettamente in sintonia con mosaici e affreschi della chiesa del S. Salvatore in Chora a Costantinopoli, tipici della Rinascenza paleologa - sia nella parte narrativa sia in quella ornamentale. I pochi episodi che si verificarono nella seconda metà del Trecento nulla aggiungono al panorama artistico siciliano.Gotico internazionale. - La fase finale del Gotico inglese è legata a tre miniatori che lavorarono in modo instancabile: John Siferwas, di cui si ricordano lo stupendo Messale Sherborne (Alnwick Castle, Lib.), databile tra il 1396 e il 1407, e il Salterio Lovell (Londra, BL, Harley 7026) per la cattedrale di Salisbury; Johannes, che si firma nel codice contenente Li Romans du boin roi Alexandre (Oxford, Bodl. Lib., 264) e di cui devono essere ricordate le Ore della regina Elisabetta (Londra, BL, Add. Ms 50001); infine Herman Scheere, al quale si devono le bellissime Ore di Henry Beauchamp (Londra, BL, Royal 2.A.XVIII), il Breviario Chichell (Londra, Lamb., 69) e le preghiere per le messe e devozioni (Londra, BL, Add. Ms 16998). Si tratta di codici in piena consentaneità con le migliori e le più tipiche realizzazioni del Gotico internazionale franco-fiammingo.Parigi in età tardogotica continuò e anzi accrebbe il suo ruolo di centro di tutte le arti. Vi affluivano artisti da molte parti, soprattutto dalla Gheldria e dallo Hainaut, specie nel primo decennio del 15° secolo. Accanto a quella dei miniatori fiamminghi, grande fu a Parigi l'influenza italiana, soprattutto lombarda: ne è esempio precoce il libro d'ore (Cleveland, Mus. of Art, 64.40) per Carlo III detto il Nobile (1387-1425), re di Navarra, in cui fu all'opera un miniatore italiano, il Maestro delle Iniziali di Bruxelles, così chiamato (Meiss, 1967) per la sua collaborazione alle Très Belles Heures de Notre-Dame (Bruxelles, Bibl. Royale, 11060-11061). Nell'ambiente parigino della fine del Trecento si era già imposta la committenza di Jean de Valois, duca di Berry (v.), che, intorno al 1380-1385, aveva fatto eseguire un salterio (Parigi, BN, fr. 13091), affidando ventiquattro m. a piena pagina con profeti e apostoli ad André Beauneveu (v.) di Valenciennes, rivelatosi grande esponente del Gotico internazionale. Un altro artista, il Maestro del Paramento di Narbona, miniò intorno al 1390 le Petites Heures (Parigi, BN, lat. 18014), e nel 1409 le Grandes Heures (Parigi, BN, lat. 919).Durante gli ultimi anni del sec. 14° cominciarono ad arrivare in Catalogna e nel regno di Aragona manoscritti francesi, che venivano anche da Avignone, fortemente influenzati tuttavia dall'arte italiana (Labande, 1907). Il primo codice importante catalano è il Messale di San Cugat del Vallès (Barcellona, Arx. Cor. Arag., Bibl. Auxiliaria, S. Cugat 14), firmato da "Iohannes Meles presbyter oriundus Britanniae". Il Breviario di Martino I d'Aragona (Parigi, BN, Rotschild 2529) è un testimone del carattere internazionale della m. di questo periodo, in particolare della convergenza di influssi fiamminghi e italiani. Altro capolavoro pressappoco coevo è il Messale di S. Eulalia (Barcellona, Arx. de la Catedral), miniato da Rafael Destorrents, sul quale l'influenza boema e della Francia meridionale sembra molto forte.In Boemia l'epoca del Gotico internazionale coincise con il regno di Venceslao IV di Lussemburgo (1361-1419) e soprattutto con l'arte di corte da lui promossa, legata alle altri corti europee e, in particolare, attraverso legami matrimoniali, con quella d'Inghilterra e con quella di Baviera. L'arte della m. fu prediletta dal sovrano, che in ciò proseguì l'esempio del padre Carlo IV. I codici appartenuti alla sua biblioteca si riconoscono dalla presenza di emblemi (bagnarola, homo selvaticus, nodo, alcione, W iniziale) e di motti. Sono esempi significativi e di grande qualità pittorica e inventiva la Bibbia di Venceslao IV in sei volumi (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2759-2764), il Quadripartitus di Tolomeo (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2352), del 1392-1393, e la Bolla d'oro dell'imperatore Carlo IV (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 338), datata 1400, tutti e tre testimonianza altissima dello schöner Stil boemo, realizzato con una corposità e una vivezza cromatica basata sugli accordi verde-azzurro-rosa-oro che provengono dalle esperienze italiane; e italiani sono anche la foglia di acanto e i tralci dell'apparato ornamentale.In Lombardia la nascita della m. tardogotica coincise con l'attività nota di Giovannino de Grassi (v.), del quale sono stati individuati gli stretti legami con l'arte franco-fiamminga e boema. Se, com'è probabile, la sua formazione fu comunque lombarda, essa va cercata nell'officina che eseguì il mirabile libro d'ore conservato a Parigi (BN, lat. 757). Individuare in tale offiziolo, legato al Maestro del Lancelot e a Giovanni di Benedetto da Como, la presenza di Giovannino de Grassi rappresenterebbe pertanto l'anello di congiunzione con la tradizione lombarda. Le opere certe di Giovannino de Grassi sono anzitutto il taccuino di disegni firmato (Bergamo, Bibl. Civ. A. Mai, Cassaf. 1.21, già Delta 7-14), in verità un libro di modelli, nel quale sono presenti tutti gli aspetti che più caratterizzarono il Gotico internazionale (donne elegantissime, musici, homo selvaticus, studi mirabili sulla natura); in secondo luogo il Breviarium Ambrosianum detto Beroldo (Milano, Bibl. Trivulziana, 2262); infine l'Offiziolo di Gian Galeazzo Visconti (Firenze, Bibl. Naz., B.R. 397; Landau Finaly 22), rimasto incompiuto per la morte dell'artista nel 1398, il più complesso ed enciclopedico libro di preghiere del suo tempo, per questi aspetti addirittura superiore ai libri d'ore eseguiti per il duca di Berry. Da questo gruppo di codici emerge una cultura laica e sacra di grande apertura mentale, spregiudicata e insieme profonda.
Altri protagonisti del Gotico internazionale, vicini ma al tempo stesso ben differenziati da Giovannino, sono sia il miniatore del De natura deorum di Cicerone (Parigi, BN, lat. 6340), di straordinaria eleganza, operoso fra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento, sia il maestro del Libro d'ore di Isabella di Castiglia (Aia, Koninklijke Bibl., 76.F.6), sia infine lo straordinario miniatore dell'Offiziolo di Modena (Bibl. Estense, α.R.7.3), al quale è stata avvicinata una Divina Commedia (Firenze, Bibl. Naz., B.R. 39), da altri attribuita invece ad Anovelo da Imbonate (v.).In Veneto la seconda metà del Trecento vide un fervido crogiuolo di tendenze che sfociarono nel Gotico internazionale a Padova, dovute da un lato alla cultura aristocratica dei Carraresi e alle loro strette relazioni con le signorie dell'Italia settentrionale, dall'altro alla presenza della celebre Università. Il più significativo esempio di tale complessa situazione è certamente offerto dal celebre Erbario carrarese (Londra, BL, Egert. 2020), o Libro agregà de Serapiom, proveniente dalla biblioteca dei Carraresi, che unisce un acuto interesse scientifico a un'elegante presentazione delle illustrazioni (Pächt, 1950a). Il clima del Gotico internazionale, sia pure in un'interpretazione locale, era creato anche da codici come la Novella super sexto Decretalium di Giovanni di Andrea (Padova, Bibl. Capitolare, A 5), terminata di scrivere nel 1396, opera di un anonimo miniatore chiamato Maestro della Novella (Huter, 1971). Fortemente legato all'influsso bolognese di Niccolò di Giacomo è il De principibus Carrariensibus et gestis eorum liber di Pietro Paolo Vergerio (Padova, Mus. Civ., B.P. 158). In quest'ultimo codice domina ancora l'influenza dell'arte di Altichiero, così importante per la cultura padovana dopo il 1370. Alla produzione di corte appartiene la Chronica de Carrariensibus (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. X, 381), che risente anche dell'influsso di Giusto de' Menabuoi.A Venezia, uno degli episodi più raffinati è rappresentato dall'insieme dei codici del patrizio Giacomo Gradenigo, che probabilmente li miniò con arte molto elegante: sono i vangeli concordati in uno (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78.C.18), datati 1399, una copia del poemetto Guerra e pace tra Alessandro III e Federico Barbarossa di Pietro de' Natali (Roma, Casanat., 276), del 1389, e infine la Divina Commedia per i Sanudo (Rimini, Bibl. Civ. Gambalunga, 1162) con il commento di Iacopo della Lana. Questi codici - e in particolare la Divina Commedia, da lui ornata (Toesca, 1951) di disegni acquarellati con grande raffinatezza - rievocano nel paesaggio e nell'intonazione aristocratica e cortese il Tacuinum sanitatis ora a Vienna (Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2644).A Bologna chi operò la trasformazione dal Gotico al Tardo Gotico fu Niccolò di Giacomo (v.), un miniatore operosissimo e in definitiva poco studiato, le cui prime opere datate risalgono al 1353-1354 e le ultime al 1394-1395 (d'Arcais, 1984). La trasformazione in senso aristocratico e cortese del Tardo Gotico si compì presso le corti, come si può vedere nella Nobilissimorum clarissimae originis heroum de Malatestis regalis historia del frate domenicano Leonardo (Rimini, Bibl. Civ. Gambalunga, Sc. 35), databile intorno al 1385 e decorata da un incipit che dimostra l'unione tra lo stile gotico lombardo-veneto e la concretezza espressiva emiliana.
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