Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo sviluppo tecnologico del XV secolo non è fatto di clamorose invenzioni da parte di scienziati quanto piuttosto di continui successivi perfezionamenti, frutto della pratica e della assidua sperimentazione di un gran numero di artigiani. Risultato sostanziale di tutto questo complesso movimento di innovazioni è, da un lato, il progressivo aumento della produttività, dall’altro, la necessità di maggiori capitali. Ciò è all’origine del sempre più ampio coinvolgimento di investitori e della trasformazione dei piccoli lavoratori -imprenditori in dipendenti salariati.
Durante il XIV secolo pestilenze, perturbazioni economiche e politiche causano una lunga depressione che rallenta la crescita del commercio, ma già a metà del secolo XV si avvertono segni di ripresa. In campo minerario si apre un periodo di nuove prospezioni che portano alla scoperta della calamina, presente in abbondanti giacimenti in Tirolo e nella Carinzia, che arricchisce il ventaglio di minerali a disposizione e fa crescere considerevolmente la domanda di rame; grazie a questa scoperta si ottiene una lega, l’ottone, che viene largamente prodotta in Germania e nei Paesi Bassi. Se l’area germanica presenta il sottosuolo più ricco di minerali preziosi, una produzione ragguardevole di argento si registra anche in Svezia, Alsazia e nei Balcani.
Dello sfruttamento e del commercio delle miniere serbe e bosniache si occupano principalmente i ragusei che, favoriti dai limiti imposti da Venezia alle altre città dalmate, riescono a creare un vero e proprio monopolio. Insieme all’argento balcanico, scambiato in Italia meridionale con il grano, arrivano alla corte dei sovrani aragonesi anche esperti minatori incaricati di esplorare i giacimenti minerari del regno. L’Italia è al primo posto per la produzione di allume, minerale utilizzato nell’industria tessile per sgrassare i panni lana e fissare le tinte. Nel 1461 ricchi depositi di questo minerale sono scoperti a Tolfa, vicino Civitavecchia. In tutto il continente cresce la domanda di ferro, utilizzato a scopi civili e industriali, insieme con quella di carbone, usato come combustibile, presente in abbondanza in Francia meridionale e centrale ma anche nell’Inghilterra settentrionale, in Carinzia, Carniola, Westfalia, nel Nivernese, in Toscana, in Piemonte, nei Pirenei orientali e nelle province basche della Spagna. Sempre in Spagna, ad Almadén, e a Idria, in Carniola, viene estratto il cinabro, minerale da cui si ricava il mercurio.
Si attribuisce a Johannsen Funcken l’introduzione in Sassonia, nel 1451, dell’importante tecnica che consente, grazie all’ausilio del piombo, di separare l’argento dai minerali di rame argentiferi. Tale invenzione stimola indirettamente anche lo sviluppo delle tecniche di drenaggio e ventilazione necessarie per lo sfruttamento di quei filoni di rame situati a livelli più profondi del sottosuolo. Nella siderurgia l’applicazione dell’energia idraulica ai mantici che soffiano l’aria nelle fornaci permette di raggiungere una temperatura tale da consentire la fusione del ferro che, tenuto a contatto con il carbonio, forma la ghisa, la quale sottoposta poi a decarburazione per ridurre il contenuto di carbonio assimilato, è pronta per essere lavorata.
Questo trattamento definito “indiretto” mette la siderurgia sulla strada della costruzione di un nuovo tipo di fornace, l’altoforno, una costruzione in mattoni alta fino a cinque metri in cui si introducono dall’alto minerale e carbone. Il metallo si raccoglie sul fondo allo stato liquido e viene fatto uscire dal basso senza spegnere mai il forno. Ne deriva un netto incremento della produttività e quindi della disponibilità del metallo lavorabile. Basti pensare che in Stiria la produzione di ferro si quadruplica, per raggiungere intorno alla metà del Cinquecento le 8000 tonnellate annue. I macchinari azionati dall’acqua o da cavalli comportano una crescita dei costi fissi, per affrontare i quali minatori e fonditori ricorrono all’aiuto di creditori, che nei casi di mancata restituzione del prestito e degli interessi si rivalgono sulla miniera, provvedendo poi ad affittarla ad altri per lo sfruttamento. Si realizza così una frattura tra capitale e lavoro che trasforma i piccoli speculatori -imprenditori di un tempo in dipendenti salariati, privi dei privilegi speciali di cui hanno goduto in passato e che ora sono ereditati dai proprietari delle quote delle nuove compagnie minerarie.
Le maggiori difficoltà per l’industria tessile vengono dalla forte interdipendenza che si realizza tra le aree europee nell’approvvigionamento delle materie prime, dalle fibre alle tinture. Le Fiandre, ad esempio, che nel XII secolo non hanno avversari nella produzione di panno, si riforniscono di lana grezza in Inghilterra e quando, con lo scoppio della guerra dei Cent’anni, viene interdetto il commercio tra l’Inghilterra e la Francia, l’industria fiamminga dei tessuti deve cedere il passo. Ne traggono beneficio proprio l’Inghilterra, che alla metà del XV secolo esporta un quantitativo di drappi superiore a quello di lana grezza, e la penisola italiana che, spinta dal capitale dei suoi mercanti, alimentata dalle migliori lane d’Europa e con a disposizione le tinture orientali e del Mediterraneo, va a occupare un ruolo di tutto riguardo in ambito europeo. Tra i centri di maggiore sviluppo vale la pena ricordare Como, Verona, Bergamo, Brescia, Monza, Pavia, Parma, Tortona, Novara e le città toscane di Prato, Pisa, Lucca, Arezzo e Firenze.
Pari successo ottiene la produzione della seta, favorita anche dalla coltivazione del gelso (pianta necessaria all’alimentazione del baco): il livello di perfezione raggiunto nella tessitura è tale che nel XIV e XV secolo la seteria italiana diventa un’agguerrita concorrente dei prodotti orientali sui mercati del Levante. Benché in difficoltà per l’espandersi della produzione di alcune regioni dell’area germanica, ancora di tutto rispetto è la produzione italiana di fustagni, la cui lavorazione è presente a Cremona, Milano, Genova, Savona, Bologna, Rimini e in area toscana. A porre un freno all’ulteriore sviluppo e successo di queste industrie vengono le guerre d’Italia (1494-1559): i fornitori italiani non sono più in grado di soddisfare la domanda estera, che si sposta sui panni reperibili sul mercato di Anversa.
La carta, inventata in Cina e fatta conoscere in Occidente dagli Arabi, viene, già nel corso del Duecento, fabbricata ad Amalfi, a Bologna, nel Friuli, anche se il maggiore centro di produzione è Fabriano, dove nel 1320 sono attive 22 cartiere. Successivamente la lavorazione si diffonde anche in Francia, Germania, Svizzera, Fiandre, Inghilterra, Polonia. Più economica della cartapecora e della pergamena, viene largamente impiegata nella stampa che è in questi anni rivoluzionata da Johann Gutenberg, il quale sostituisce i caratteri mobili in legno con quelli realizzati con una lega di piombo, zinco e stagno che imprimono sulla carta inchiostri a base oleosa grazie alla pressione uniforme esercitata da una pressa a vite.
Se da un punto di vista estetico il codice realizzato dall’amanuense ha un valore molto superiore a quello di un volume stampato, dal punto di vista del numero delle tirature realizzabili in uno stesso lasso di tempo non vi è alcuna possibilità di confronto. Il sistema di Gutenberg si diffonde rapidamente al di fuori della Germania, e una pressa come la sua viene costruita a Venezia nel 1469, nel 1470 a Parigi e nel 1476 in Inghilterra. In Italia all’espansione dell’industria della carta si associa quella dell’editoria; se nel 1471 sono quattro i centri urbani in cui operano tipografie, il loro numero arriva a 63 nel 1500. Notevole la fioritura che tale settore ha a Venezia, che negli ultimi decenni del Quattrocento da sola pubblica circa un quarto dei libri editi in Europa.
Anche nell’edilizia si sperimenta l’impiego di macchine che, azionate da animali, consentono di ridurre il numero degli operai; l’esempio migliore del concreto avanzamento delle tecniche e delle nuove capacità di progettazione è la cupola in muratura della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, opera dell’architetto Filippo Brunelleschi. Le dimensioni, le proporzioni, le difficoltà tecniche, l’impostazione del cantiere, rendono la cupola un’opera assolutamente innovativa.
La lavorazione del vetro è esercitata con grande maestria in Normandia e Lorena, da dove provengono i vetri a smalto che impreziosiscono le cattedrali francesi a Norimberga, in Boemia e in Inghilterra. In Italia i centri di maggiore sviluppo sono Murano, da dove partono le esperte maestranze che aprono botteghe a Vicenza, Treviso, Ferrara, Bologna, Ravenna, e la cittadina di Altare in Liguria da cui vi è un movimento di emigrazione verso la Francia e le Fiandre. Nel Quattrocento particolarmente apprezzate sono le produzioni in vetro soffiato, colorato e decorato, prodotte dagli artigiani di Murano, tra i quali vale la pena ricordare la famiglia Barovier. Né è questa la sola produzione dell’isoletta della laguna veneta, dove con eguale perizia sono realizzati specchi, paste vitree, vetri per occhiali e lastre.