Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Durante tutto il Medioevo i metalli sono un bene prezioso, anche perché le tecniche di estrazione, ancora molto simili a quelle di epoca romana, rendono la produzione insufficiente a coprire la domanda. A questa congenita scarsità si dà una parziale risposta nel XII e XIII secolo allorquando si assiste a una più intensa ripresa dell’attività mineraria, a causa anche di condizioni generali favorevoli e di fortunose scoperte di filoni minerari in zone facilmente accessibili. Dai signori feudali ai servi, la società del tempo è tutta coinvolta nella rinnovata industria, che tuttavia risulta ancora troppo condizionata dai limiti tecnici che, insieme al cambiamento delle condizioni economico-politiche, producono nel XIV secolo una momentanea battuta di arresto.
Con la scoperta di filoni argentiferi nella zona di Freiberg in Sassonia, intorno al 1170, si apre il primo grande periodo della storia mineraria dell’Occidente; da questo momento fino a tutto il secolo XIV si registra in Europa un sostenuto sfruttamento del sottosuolo, un’ondata di prospezioni che porta alla scoperta di nuove miniere di argento, di oro, ma anche di rame, ferro, stagno, piombo. L’incremento dei metalli pregiati favorisce la crescita della ricchezza accrescendo l’offerta di moneta, quella dei metalli vili contribuisce all’aumento dei materiali destinati a scopi industriali. Sassonia, Boemia, Slesia, Ungheria, ma anche la Foresta Nera e le Alpi orientali riforniscono di argento, di piccole quantità di oro, nonché di rame – quest’ultimo presente in quantità considerevoli in Svezia – pressoché tutta l’Europa. Minerali argentiferi sono portati alla luce anche nel Devon e in Cornovaglia, sebbene l’Inghilterra occupi un ruolo di primo piano soprattutto nella produzione ed esportazione di stagno e piombo. Se nell’estrazione di oro e argento si registra una netta supremazia dei Tedeschi, quella di ferro è fiorente in tutta Europa, in particolare in Stiria, Carinzia, nelle province basche di Biscaglia e Guipuzcoa e, in minor misura, in Ungheria e Westfalia.
Da questi luoghi, dove lo sviluppo delle attività minerarie e metallurgiche è favorito, oltre che dalla ricchezza del sottosuolo, anche dalla presenza di numerosi corsi d’acqua e da abbondanti riserve di legname da ardere (essenziali rispettivamente per muovere le macchine e alimentare il processo di fusione), il ferro parte sulla soma di cavalli da carico, carri, chiatte fluviali e navi, per giungere innanzitutto in Italia, in Francia settentrionale, nei Paesi Bassi, dove pure i minerali ferrosi non mancano, ma le importazioni sono necessarie a integrare le disponibilità locali. Il ferro è fondamentale, infatti, nella costruzione non solo di armi e armature, ma anche in quella di attrezzi agricoli, nelle costruzioni navali, e nell’edilizia ornamentale.
Tra i prodotti di origine minerale grande importanza riveste inoltre il sale che è fondamentale nei processi di conservazione di carne e pesce. Proprio sullo sviluppo delle saline nel IX secolo si costruisce l’ascesa economica di Venezia. Saline e miniere di sale sono adeguatamente distribuite in Europa; in particolare, si devono ricordare i giacimenti delle Alpi orientali, quelli inglesi del Worcestershire, di Lüneburg nella bassa Sassonia e le saline francesi della baia di Bourgneuf a sud ovest di Nantes.
Le attività estrattive del XII e XIII secolo si basano su tecniche rudimentali, addirittura meno complesse di quelle già sperimentate in epoca romana. Modesta è la profondità raggiunta dalle miniere; negli scavi argentiferi l’inadeguatezza dei sistemi di drenaggio costringe ad abbandonare il pozzo non appena l’acqua, che in molti casi è portata in superficie a braccia con l’ausilio di secchi di pelle, interferisce con l’attività di scavo.
Proprio in Boemia, Sassonia e Baviera, dove prima che altrove l’attività estrattiva è cominciata, tra il XIII e il XIV secolo vengono effettuati i primi esperimenti di drenaggio con lunghi condotti o con macchine idrauliche azionate da cavalli. Risalgono allo stesso periodo le prime innovazioni nelle tecniche di lavorazione dei metalli, anch’esse fino a questo momento poco progredite.
L’impiego dell’energia idrica per rompere e frantumare i minerali, oltre che per far funzionare i magli e i mantici, fa da propulsore allo sviluppo di nuove fornaci per la lavorazione del ferro. Sono tre i tipi adottati nel corso del XIV secolo: la forgia catalana, diffusa in Spagna e Francia; la fornace Osmund, diffusa in Scandinavia; la stuckofen, diffusa soprattutto in Europa centrale, più efficace delle prime due e capace di sfornare fino a 40 o 50 tonnellate di ferro in un anno, tre volte quelle prodotte dalle ferriere di tipo tradizionale. I nuovi impianti non sostituiscono tuttavia del tutto le piccole fucine, che continuano a operare per soddisfare il fabbisogno delle città e dei villaggi circostanti.
Alla ricerca dei metalli è associato un ingente flusso migratorio. I minatori sono in questo periodo anche avventurieri e il fatto che in Sassonia e in Slesia siano chiamati hospites ci dice che si tratta per lo più di immigrati che si spostano alla ricerca di terreni da sfruttare. Numerosi sono i gruppi di Valloni e Fiamminghi che si insediano in Sassonia, di Francesi che vanno in Renania, mentre i tedeschi, che in questo settore primeggiano, circolano per tutta l’Europa centrale e si spingono nelle regioni slave e magiare.
I signori feudali interessati ad accrescere i propri redditi concedono con liberalità il diritto di prospezione mineraria in cambio, però, di quello di disporre di minerali contenenti oro o argento, e in alcuni casi anche dei minerali di stagno e rame estratti dai suoli facenti parte del proprio ambito giurisdizionale.
Nel corso del XIII secolo l’attività estrattiva si fa più sostenuta e i signori territoriali che da soli non riescono ad avere un concreto controllo di tutte le miniere cominciano a investire i vassalli dei propri diritti. Se le miniere da sfruttare sono situate su un terreno privato il proprietario è obbligato a consentire ai minatori l’accesso ai giacimenti, l’utilizzo delle acque e di una parte del legname, ricevendo in cambio un compenso e a volte anche il risarcimento dei danni. Nel caso in cui si scoprono miniere di valore, per incentivarne lo sfruttamento, i principi e i signori devono offrire vantaggi equivalenti a quelli garantiti a chi si insedia nelle città. Ecco perché come l’inurbamento è un modo per sottrarsi alla condizione servile, lo stesso vale per coloro che intraprendono il mestiere di minatori.
Là dove l’estrazione e la lavorazione dei minerali richiedono l’impiego di parecchie dozzine di individui, questi formano comunità minerarie separate da quelle locali di agricoltori e pastori. Moltiplicatesi rapidamente tra la fine del XII e il XIII secolo, specialmente in Europa centrale, esse godono di un notevole grado di autonomia amministrativa, di privilegi di foro, esenzione dalle tasse, libertà di macello, di fabbricazione del pane e della birra, prerogative che sono condensate in codici scritti promulgati dai signori. Condizioni geologiche, sociali e lavorative simili in Europa fanno sì che vi sia tra questi regolamenti una certa omologazione; è opportuno menzionare quello di Trento che, promulgato nel 1185, è il più antico conosciuto e quello di Iglau, promulgato in Boemia nel 1249, che è alla base di tutte le successive leggi minerarie boeme del XIII e XIV secolo. A Freiberg, dove la comunità mineraria insediatasi al tempo della scoperta dei filoni argentiferi avvia anche la formazione della città, si registra un contemporaneo sviluppo di legge municipale e mineraria.
Nel XIV secolo, però, le condizioni economiche e politiche generali cambiano e anche l’espansione che caratterizza nei due secoli precedenti le attività minerarie e metallurgiche subisce una battuta di arresto. La produzione di oro e di argento si riduce e lo stesso si può dire per stagno, rame e ferro. Nel cercare di analizzare le cause di questo fenomeno occorre ricordare come nel Medioevo non c’è settore della vita economica e sociale che non sia strettamente legato a quello del reperimento e della lavorazione dei metalli. Una crescita della popolazione più lenta che in passato e l’epidemia di peste bubbonica nella prima metà del secolo (la peste nera del 1348) riducono la popolazione attiva con una conseguente caduta della domanda di metallo per la creazione di utensili da lavoro; l’aumento della conflittualità interferisce con i traffici e spesso minatori e fonditori sono vittime della violenza dei soldati che riempiono i pozzi e demoliscono le fornaci; lo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie rende rari i giacimenti situati in zone facilmente accessibili e la ricerca di nuove miniere comporta costi che i minatori spesso non sono in grado di sostenere; l’esaurimento di molte miniere causa una diminuzione dei redditi di signori, principi ed enti ecclesiastici, da cui dipende per una grossa parte la domanda aggregata.