Abstract
Viene esaminato l’ordinamento dei ministeri sia in termini generali, sia con riferimento ai singoli dicasteri.
1. L’ordinamento ministeriale
I ministeri sono uffici complessi, dotati di personale e mezzi propri, che operano in settori di intervento omogenei. Essi si diversificano in ordine ai tipi di funzioni, alle soluzioni strutturali, interne e periferiche, alle dimensioni e alla disciplina. Per questa ragione, correttamente si è rilevato che quello dell’amministrazione ministeriale non è un sistema di eguali (Serrani, D., L’organizzazione per ministeri. L’amministrazione centrale dello Stato nel periodo repubblicano, Roma, 1979, 31 ss.).
Per lungo tempo si è ritenuto che l’assetto dell’organizzazione ministeriale repubblicana derivasse in parte dalla riforma attuata da Cavour con la l. 23.3.1853, n. 1483 (per tutti, Scoca, F.G., a cura di, Diritto amministrativo, Torino, 2008, 88). Questa legge si ispirava ai principi e ai criteri dello «Stato minimo» e, conseguentemente, prevedeva che gli uffici della pubblica amministrazione, dovendo esercitare funzioni essenzialmente d’ordine, fossero concentrati in pochi ministeri, strutturati al proprio interno in base al criterio gerarchico e, nella sostanza, privi di articolazione periferica. Un simile orientamento si fondava soprattutto sulla considerazione che, dopo la legge Cavour, non era stato adottato alcun provvedimento generale di disciplina organica dell’organizzazione statale, così come previsto dalla riserva di legge sancita dall’art. 95, co. 3, Cost., con riferimento al numero, alle attribuzioni e all’organizzazione dei ministeri, ma non teneva conto che, nel corso degli anni, il sistema ministeriale era profondamente mutato.
Di solito, si tende non a riflettere sulle differenze esistenti, ma – non essendo del tutto tramontato il mito dell’uniformità – a considerare l’ordinamento dei ministeri come un corpo informato a un identico schema funzionale e organizzativo, probabilmente anche per effetto del principio costituzionale – certamente non più congruo al giorno d’oggi – della pari dignità dei componenti del Consiglio dei ministri.
In realtà, si può soltanto osservare come tendenzialmente in tutti i ministeri ricorrano tre caratteri. Innanzitutto, il vertice è mutuato dal governo, poiché, a norma dell’art. 95, co. 1, Cost., a capo dell’apparato amministrativo viene posto il ministro, membro del Consiglio dei ministri. In secondo luogo, i poteri del ministro e del ministero sono identici, perché il primo opera nei limiti delle attribuzioni del secondo. Infine, l’organizzazione interna è di tipo divisionale, in quanto le unità elementari vengono progressivamente aggregate, sulla base di esigenze funzionali, in uffici intermedi e questi, a loro volta, in uffici generali (di varia denominazione), in molti casi ordinati dal centro alla periferia.
Col tempo, peraltro, questi tre caratteri hanno subito numerose eccezioni e varianti. Quanto al primo, è stato temperato dalla affermazione, ora sancita in termini generali dal d.lgs. 31.3.2001, n. 165, del principio di separazione tra i poteri di definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare e di verifica della rispondenza dei risultati raggiunti, che sono di competenza del ministro, e quelli di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, che vengono riconosciuti ai dirigenti. Quanto al secondo, talvolta, è stata operata una scissione tra i poteri del responsabile politico e i compiti degli uffici, esercitando poteri che superano la sfera di attribuzioni propria dell’apparato cui sono preposti. Quanto al terzo, in alcune ipotesi, sono stati costituiti apparati con funzioni strumentali, al fine di soddisfare esigenze del corpo amministrativo stesso, mentre in altre è stato previsto che alcuni ministeri si avvalgano non di strutture proprie, ma di amministrazioni separate, soprattutto enti pubblici.
Dunque, similmente a quanto si verifica nei rispetti del disegno organizzativo dei pubblici poteri in generale, anche in quello ministeriale si riscontra ora una marcata difformità (sul punto, espressamente Franchini, C., Amministrazione centrale, in Diz. dir. pubbl. Cassese, I, Milano, 2006, 270 ss.).
2. L’organizzazione dei ministeri
Con il d.lgs. 30.7.1999, n. 300, l’ordinamento dei ministeri è stato assoggettato a una profonda riforma che ne ha determinato, tra l’altro, la riduzione del numero. Il nuovo assetto è entrato in vigore nel 2001, anche se con alcune modifiche rispetto al disegno originario.
In precedenza la disciplina si caratterizzava, sul piano funzionale, per l’irrazionale distribuzione dei compiti, che determina duplicazioni e sovrapposizioni, vuoti di competenza, dispersione di risorse, inefficienze, conflittualità e difficoltà di coordinamento; inoltre, mancava di omogeneità, sotto il profilo organizzativo e sotto quello delle dimensioni.
Per questo motivo, a partire dal dopoguerra sono stati operati alcuni tentativi di riforma dell’ordinamento dei ministeri: purtroppo, però, essi non hanno avuto esito positivo (tanto che giustamente Melis, G.-Tosatti, G., Introduzione, in La riforma amministrativa 1918-1992. Gli studi e le proposte, Roma, 1994, 14, osservano che la storia del riformismo amministrativo è stata «una storia di vinti»). Si è trattato di tentativi che hanno inciso in misura irrilevante sui processi reali, in quanto, in linea di massima, hanno avuto il limite di valutare allo stesso modo situazioni diverse tra loro.
Ciò spiega perché per lungo tempo le trasformazioni delle amministrazioni centrali e periferiche dell’amministrazione statale si sono realizzate in via autonoma, indipendentemente le une dalle altre e, soprattutto, al di fuori di un quadro comune di riferimento (Franchini, C., Ipotesi di riforma dei ministeri, in Foro amm., 1995, 745 ss.).
Le esperienze di riordinamento maturate sono state espressione sia di studi, sia di provvedimenti normativi. Pur risultando spesso diverse nella impostazione e nelle soluzioni, esse hanno rivelato un elemento comune: al problema delle funzioni non è mai stata riconosciuta la dovuta centralità. I compiti e le attribuzioni degli apparati ministeriali sono stati considerati esclusivamente al fine di meri aggiustamenti e di variazioni di titolarità. Quasi nessuna influenza hanno assunto, invece, in relazione ai mutamenti delle strutture. È solo nei lavori della «Commissione Medici» (Commissione nominata dal Ministro per la riforma della pubblica amministrazione) e nel «Progetto 80» (Rapporto preliminare al programma economico nazionale 1971-1975) che si è incominciato a individuare la necessità di favorire l’affermazione di modelli funzionali differenziati di organizzazione amministrativa, superando il criterio della uniformità. Soltanto il legislatore della fine degli anni Sessanta e del periodo immediatamente successivo, tuttavia, è riuscito a trarre spunto da questa intuizione, ancorché in modo ancora incompleto. Con le l. 18.3.1968, n. 249, 28.10.1970, n. 775, e 22.7.1975, n. 382, infatti, sono stati previsti nuovi ordinamenti dei ministeri, delegando il Governo a provvedere. L’inadempienza governativa, peraltro, non ha permesso di perfezionare il disegno ovvero lo ha consentito solo in minima parte e, tra l’altro, pure in modo indiretto, attraverso provvedimenti - primo tra tutti il d.P.R. 30.6.1972, n. 748 - concernenti altre materie (e soprattutto quella del personale) i quali, surrettiziamente, contenevano anche norme sull’organizzazione della amministrazione centrale. Ben diverse sono state le conclusioni contenute nel «Rapporto Giannini» e, in particolare, nella relazione della «Commissione Piga», dove, per la prima volta, si è seguito l’approccio funzionale. In ambedue i casi, la rilevanza dei risultati è apparsa subito evidente: di fatto, però, le indicazioni sono rimaste in gran parte lettera morta e hanno prodotto solamente effetti culturali.
Negli anni Novanta, il problema della riforma del sistema ministeriale è stato di nuovo affrontato dal legislatore. Finalmente consapevole dello stretto rapporto che deve intercorrere tra riorganizzazione delle amministrazioni centrali e analisi delle funzioni, quest’ultimo è intervenuto, prima, con la l. 28.12.1993, n. 537 e, poi, con la l. 15.3.1997, n. 59. In particolare, con l’art. 11, l. n. 59/1997 il Governo è stato delegato ad adottare provvedimenti diretti alla soppressione e alla fusione di ministeri (nel primo caso attraverso la razionalizzazione della distribuzione delle competenze, ai fini della eliminazione di sovrapposizioni e di duplicazioni, unificando le funzioni in materia di ambiente e territorio, quelle in materia di economia, quelle in materia di informazione, cultura e spettacolo e quelle in materia di governo della spesa; nel secondo caso in relazione al trasferimento di funzioni e di risorse alle regioni e agli enti locali), nonché diretti alla istituzione di agenzie e alla riforma dell’amministrazione periferica dello Stato.
Alle deleghe è stata data attuazione con il d.lgs. n. 300/1999: con tale provvedimento si è delineato un nuovo assetto dell’organizzazione ministeriale, muovendo in tre diverse direzioni.
Innanzitutto, si è operata una riduzione degli apparati ministeriali. I ministeri da diciotto sono stati ridotti a dodici; sono state limitate le singole unità di comando, identificandole con precisione (segretariati generali, dipartimenti, direzioni generali); si è sancito il principio della flessibilità nell’organizzazione, stabilendo - salvo che per quanto attiene al numero, alla denominazione, alle funzioni dei ministeri ed al numero delle loro unità di comando - un’ampia delegificazione in materia.
Poi, sono state istituite dodici agenzie (sei delle quali con personalità giuridica), con funzioni tecnico-operative che richiedono particolari professionalità e conoscenze specialistiche, nonché specifiche modalità di organizzazione del lavoro (ad esempio, nei settori della protezione civile, della formazione e della istruzione professionale, dei trasporti terrestri e delle infrastrutture o della protezione dell’ambiente e dei servizi sociali).
Infine, si è provveduto alla concentrazione degli uffici periferici dell’amministrazione statale. In particolare, si è previsto che, a completamento della trasformazione in senso autonomista dello Stato, in periferia, accanto ad amministrazioni specializzate che operano nei settori della sicurezza, della difesa, della finanza, della giustizia, della scuola e dei beni culturali, vengano istituite strutture a carattere generale, attraverso la trasformazione delle prefetture in uffici territoriali del governo.
Insieme alla riforma dell’organizzazione dei ministeri, peraltro, si è proceduto anche a quella della Presidenza del Consiglio dei ministri, che è strettamente collegata. Attraverso il d.lgs. 30.7.1999, n. 303, infatti, si è inteso adattare le strutture preordinate alle funzioni di direzione, di indirizzo e di coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri alle recenti modificazioni del sistema sia politico che di governo, specie con riferimento al processo di integrazione europea e a quello di decentramento verso le autonomie locali.
Il nuovo assetto è entrato in vigore nel 2001, seppur con alcune modifiche rispetto al disegno originario (ad esempio, con il d.l. 12.6.2001, n. 217 il numero dei ministeri è stato aumentato a quattordici, mentre con il d.l. 7.9.2001, n. 343, convertito nella l. 9.11.2001, n. 401, sono state apportate modifiche all’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri). In seguito, esso è stato oggetto di una serie di interventi normativi di assestamento per effetto di una ulteriore delega conferita al governo dalla l. 6.7.2002, n. 137 (delega che è stata rinnovata dalla l. 27.7.2004, n. 186 e dal d.l. 9.11.2004, n. 266): il numero dei ministeri, prima, con il d.l. 18.5.2006, n. 181 è stato ulteriormente aumentato a diciotto; poi, con il d.l. 16.5.2008, n. 85 è stato riportato a dodici e si sono fissati, contestualmente, limiti quantitativi alla composizione del governo (non più di sessanta componenti, compresi, quindi, anche i ministri senza portafoglio, i viceministri e i sottosegretari); infine, con la l. 13.11.2009, n. 172 è stato fissato in tredici (sulle tendenze più recenti si veda Franchini, C., La riforma dei ministeri, e Cammelli, M., La riforma dell’organizzazione amministrativa centrale: un discorso difficile ma ancora aperto, in Vesperini, G., a cura di, La riforma dell’amministrazione centrale, Milano, 2005, rispettivamente, 1 ss. e 105 ss., nonché D’Auria, G., a cura di, I nuovi regolamenti di organizzazione dei ministeri, in Giorn. dir. amm., 2009, n. 10, 1025 ss., D’Auria, G., a cura di, La riorganizzazione dell’amministrazione centrale, ivi, 2010, n. 5, 473 ss., e D’Auria, G., a cura di, L’organizzazione amministrativa centrale, ivi, 2010, n. 10, 1001 ss.).
In definitiva, l’ordinamento dei ministeri è oggi disciplinato dai d.lgs. n. 300/1999 e n. 303/1999, che ne definiscono le linee generali del sistema, nonché dai d.l. n. 217/2001, n. 343/2001, n. 181/2006, n. 85/2008 e dalla l. n. 172/2009, che ne regolano aspetti specifici, oltre che da una serie di norme di natura secondaria, che stabiliscono l’assetto interno dei singoli ministeri.
Nel complesso, le riforme di questi ultimi anni hanno introdotto forti elementi di novità nell’organizzazione dell’amministrazione dello Stato, dando vita a un riordino lungamente atteso, perché più volte promosso in passato da leggi e da atti di indirizzo, ma mai realizzato. Tuttavia, per effetto delle diverse scelte operate dai vari governi che si sono succeduti, il riordino è stato attuato in modo disorganico, sicché il principale obiettivo che si voleva perseguire, cioè il passaggio da una situazione di frammentazione delle strutture ministeriali a una situazione di fusione, ai fini della loro diminuzione, nella sostanza è stato disatteso e contraddetto.
3. I singoli ministeri
Attualmente, i ministeri sono tredici. A essi, però, vanno aggiunti quantomeno il Dipartimento per la pubblica amministrazione e l’innovazione (in origine denominato Dipartimento della funzione pubblica) e il Dipartimento Politiche europee (in origine denominato Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie). Si tratta, infatti, di strutture organizzative che sono state istituite con legge in via permanente e autonoma (rispettivamente, l. 29.3.1987, n. 93, e l. 16.4.1987, n. 183), alle quali può essere preposto un ministro. Se ne deduce che quello del numero dei ministeri è un problema che viene risolto in via convenzionale, avendo riferimento ai soli ministeri così denominati dalla legge.
Vi sono, innanzitutto, quattro ministeri che esercitano compiti di ordine e di indirizzo:
a) il Ministero degli affari esteri, che attende ai rapporti internazionali: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di rapporti politici, economici, sociali e culturali con l’estero; di rappresentanza, di coordinamento e di tutela degli interessi italiani in sede internazionale; di rapporti con gli altri Stati e con le organizzazioni internazionali; di stipulazione e di revisione dei trattati e delle convenzioni internazionali, nonché di coordinamento delle relative attività di gestione; di studio e di risoluzione delle questioni di diritto internazionale, nonché di contenzioso internazionale; di rappresentanza della posizione italiana in ordine all’attuazione delle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune previste dal Trattato sull’Unione europea e di rapporti attinenti alle relazioni politiche ed economiche esterne dell’Unione europea; di cooperazione allo sviluppo; di emigrazione e di tutela delle collettività italiane e dei lavoratori all’estero; di cura delle attività di integrazione europea in relazione alle istanze e ai processi negoziali riguardanti i trattati dell’Unione europea, della Comunità europea, della Ceca e dell’Euratom; di assicurazione della coerenza delle attività internazionali ed europee delle singole amministrazioni con gli obiettivi di politica internazionale;
b) il Ministero dell’interno, che ha attribuzioni molto differenziate tra le quali la principale riguarda la pubblica sicurezza: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di garanzia della regolare costituzione e del funzionamento degli organi degli enti locali e funzioni statali esercitate dagli enti locali; tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica; difesa civile e politiche di protezione civile; tutela dei diritti civili; cittadinanza; immigrazione; asilo; soccorso pubblico; prevenzione incendi;
c) il Ministero della giustizia, che si occupa prevalentemente dell’amministrazione degli organi giudiziari, svolgendo anche le funzioni dell’ufficio di Guardasigilli: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti a esso attribuiti dalla Costituzione, dalle leggi e dai regolamenti in materia di giustizia e attività giudiziaria ed esecuzione delle pene; rapporti con il Consiglio superiore della magistratura; attribuzioni concernenti i magistrati ordinari; vigilanza sugli ordini professionali; archivi notarili; cooperazione internazionale in materia civile e penale;
d) il Ministero della difesa, che è preposto alla gestione delle forze armate: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di difesa e sicurezza militare dello Stato; politica militare e partecipazione a missioni di supporto della pace; partecipazione a organismi internazionali di settore; pianificazione generale e operativa delle forze armate e interforze; pianificazione relativa all’area industriale di interesse della difesa.
Ad altri quattro ministeri sono affidati funzioni di natura economico-finanziaria:
a) il Ministero dell’economia e delle finanze, che provvede essenzialmente alla politica di gestione della spesa, di bilancio e fiscale, nonché delle entrate finanziarie dello Stato: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di politica economica, finanziaria e di bilancio; programmazione degli investimenti pubblici; coordinamento della spesa pubblica e verifica dei suoi andamenti; politiche fiscali e sistema tributario; demanio e patrimonio statale; catasto e dogane; programmazione, verifica e coordinamento degli interventi per lo sviluppo economico, territoriale e settoriale; politiche di coesione; vigilanza su enti e attività, nonché le funzioni relative ai rapporti con autorità di vigilanza e controllo previste dalla legge;
b) il Ministero dello sviluppo economico, che esercita le attribuzioni in materia di industria, commercio e artigianato, rapporti commerciali con l’estero: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di industria; artigianato; energia; commercio; fiere e mercati; prodotti agroindustriali (salve le competenze del Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali); turismo e industria alberghiera; miniere, cave e torbiere; acque minerali e termali; politiche per i consumatori; commercio con l’estero e internazionalizzazione del sistema produttivo; poste; telecomunicazioni; reti multimediali; informatica; telematica; radiodiffusione sonora e televisiva; tecnologie innovative applicate al settore delle comunicazioni (salve le competenze della Presidenza del Consiglio dei ministri e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni);
c) il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, che interviene nella cura delle relazioni internazionali, nella partecipazione alla elaborazione delle politiche comunitarie e nella definizione delle politiche nazionali: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia agroalimentare e di foreste; caccia e pesca;
d) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che è competente in materia di lavoro e di previdenza sociale: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di politiche sociali, con particolare riferimento alla prevenzione e alla riduzione delle condizioni di bisogno e di disagio delle persone e delle famiglie, di politica del lavoro e sviluppo dell’occupazione, di tutela del lavoro e dell’adeguatezza del sistema previdenziale.
Un gruppo di tre ministeri, poi, opera nel campo sociale e culturale:
a) il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che amministra il sistema formativo pubblico – scuola e università – e la ricerca scientifica e tecnologica: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di istruzione scolastica e istruzione superiore; di istruzione universitaria; di ricerca scientifica e tecnologica;
b) il Ministero per i beni e le attività culturali, che assicura la tutela, la promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di beni culturali e ambientali; spettacolo e sport (eccettuate quelle attribuite espressamente ad altri soggetti); diritto d’autore e disciplina della proprietà letteraria; promozione delle attività culturali;
c) il Ministero della salute, che è competente in materia sanitaria: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana; coordinamento del Sistema sanitario nazionale; sanità veterinaria; tutela della salute nei luoghi di lavoro; igiene e sicurezza degli alimenti.
Infine, vi sono due ministeri che agiscono nel settore delle infrastrutture e dei servizi:
d) il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che si occupa della politica delle opere pubbliche e dei trasporti: in particolare, esso svolge attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alle reti infrastrutturali e al sistema delle città e delle aree metropolitane; reti infrastrutturali e opere di competenza statale; politiche urbane e dell’edilizia abitativa; opere marittime e infrastrutture idrauliche; trasporti e viabilità;
e) il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, che sovraintende alla promozione, alla conservazione e al recupero delle condizioni ambientali e del patrimonio naturale nazionale, nonché alla politica territoriale: in particolare, esso svolge le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di tutela dell’ambiente e del territorio; identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento ai valori naturali e ambientali; difesa del suolo e tutela delle acque; protezione della natura; gestione dei rifiuti, inquinamento e rischio ambientale; promozione di politiche di sviluppo sostenibile; risorse idriche.
Non può essere assimilata a un ministero la Presidenza del Consiglio dei ministri, per quanto, dal punto di vista strutturale, abbia in parte acquisito alcuni caratteri del modello.
La sua organizzazione è ora disciplinata dalla l. 23.8.1988, n. 400 e dal d.lgs. n. 303/1999, che ne prevedono una articolazione in dipartimenti e uffici posti alle dipendenze del Segretariato generale, con l’eccezione di quelli che di volta in volta vengono affidati a ministri senza portafoglio. L’assetto interno, peraltro, è variabile, perché il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, può istituire altre unità organizzative per l’esercizio di compiti espressamente previsti dalla legge.
Gli aspetti più significativi della nuova regolamentazione sono due. Innanzitutto, in applicazione dell’art. 95 Cost., che prevede una disciplina differenziata per l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, viene ridefinito il centro di direzione del sistema amministrativo, così da assicurare l’unità di indirizzo politico e amministrativo del governo e il potenziamento del ruolo di impulso, indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio, anche in riferimento alle esigenze delle autonomie locali e dell’Unione europea. In secondo luogo, viene introdotto il principio della flessibilità dell’organizzazione, stabilendo un assetto variabile delle strutture e una procedura particolarmente snella ai fini della adozione dei regolamenti amministrativi.
Il d.lgs. n. 303/1999 ha definito le attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri con riferimento alle competenze riconosciute al Presidente dalla Costituzione e dalle altre norme di legge, distinguendo quelle finali, che si concretizzano nell’insieme delle funzioni connesse con l’attività del governo, da quelle strumentali, che sono connesse alla organizzazione e alla gestione degli uffici.
L’assetto strutturale, invece, è articolato secondo due modelli organizzativi: in primo luogo, vi sono i dipartimenti, che svolgono sia attribuzioni connesse alle funzioni politiche del Presidente, sia attribuzioni strumentali relative al funzionamento degli apparati; poi, esistono gli uffici, che possono essere riuniti in dipartimenti ovvero assumere una posizione autonoma. La scelta dell’uno o dell’altro modello dipende dalla natura e dalla ampiezza delle attribuzioni da svolgere.
Al vertice dell’apparato amministrativo, vi è il Segretario generale, con compiti di collaborazione e di supporto politico al Presidente, nonché di gestione amministrativa e contabile delle strutture della Presidenza.
Peraltro, con il d.l. n. 343/2001 sono state apportate alcune modifiche all’ordinamento della Presidenza del Consiglio, soprattutto per quanto riguarda il settore della protezione civile, che sembrano mettere in discussione la scelta, operata dal d.lgs. n. 303/1999, di una struttura «snella», non oberata da compiti di gestione.
4. L’articolazione interna
Sotto il profilo funzionale, i ministeri vengono ora a configurare un ordinamento ben più compatto rispetto al passato: questo perché vi è una migliore distribuzione delle competenze, che ha riferimento ad aree organiche, piuttosto che a interessi settoriali.
Sotto quello organizzativo, invece, essi sono regolati da una disciplina comune che configura l’insieme delle strutture delle amministrazioni centrali come un apparato sostanzialmente unitario, ancorché non uniforme, in attuazione di un modello flessibile a geometria variabile che prevede, salvo che per gli uffici di stretta collaborazione del ministro, la possibilità di scelte diversificate, pur nel rispetto di tipologie predeterminate.
Più specificamente, sul piano della articolazione interna, alcuni ministeri sono strutturati in dipartimenti, mentre altri mantengono la tradizionale suddivisione in direzioni, nella quale, però, viene a inserirsi espressamente la figura del segretario generale, che svolge prevalenti compiti di coordinamento.
I dipartimenti operano in grandi aree di materie omogenee e dispongono di tutte le risorse strumentali necessarie al conseguimento dei propri fini; le direzioni agiscono in settori specifici di competenza di un ministero o si occupano delle attività strumentali necessarie.
Al vertice di ciascun ministero sono collocati organi politici: ministri e, eventualmente, vice ministri (istituiti dalla l. 26.3.2001, n. 81), che si avvalgono di sottosegretari per lo svolgimento di compiti specifici.
Al servizio di tali organi vi sono uffici di diretta collaborazione, con funzioni di supporto e di raccordo con l’amministrazione (gabinetto, ufficio legislativo, ufficio stampa, ecc.). Questi uffici devono assicurare il coordinamento e la sintesi tra gli aspetti politici e quelli amministrativi della gestione ministeriale. Per tale ragione, essi hanno una articolazione organizzativa flessibile, che si differenzia nettamente dagli altri uffici operativi del ministero, di solito strutturati sulla base di una puntuale ripartizione delle competenze.
Negli ultimi anni, gli uffici di diretta collaborazione si sono dilatati eccessivamente nelle dimensioni (ad esempio, il d.P.R. 12.6.2003, n. 208, ha previsto che il contingente di personale destinato agli uffici di diretta collaborazione del Ministero della salute sia di 100 unità, mentre il d.P.R. n. 21.3.2002, n. 98, ha stabilito che quello destinato agli uffici di diretta collaborazione del Ministero dell’interno sia di oltre 350 unità). Si tratta di un fenomeno non positivo perché, per un verso, contrasta con il principio di economicità e di proporzionalità delle strutture amministrative e, per l’altro, determina quantomeno inefficienza: di fronte a questo gigantismo, infatti, si corre il rischio, molto concreto, in primo luogo, che il ministro si distacchi dalla struttura, perché di fatto si trova a governare con un ministero dentro al ministero; in secondo luogo, che si allunghi la catena di comando, perché tendono a formarsi due livelli, quello legato al vertice politico e quello legato alla struttura burocratica; in terzo luogo, che si accentuino le interferenze della politica sull’amministrazione, tanto più in presenza di una disciplina del rapporto di ufficio della dirigenza, relativamente al conferimento e alla revoca degli incarichi, che porta alla affermazione di una relazione fiduciaria fra vertice politico e dirigenti.
5. L’articolazione periferica
Prima della riforma operata dal d.lgs. n. 300/1999, la maggior parte dei ministeri aveva una articolazione periferica estesa su tutto il territorio nazionale. Ciò si spiegava sostanzialmente in vari modi: innanzitutto, con la tendenza dell’amministrazione centrale a controllare l’esecuzione delle decisioni che viene realizzata di solito in periferia; poi, con la sfiducia della classe dirigente nazionale nei confronti di quelle locali, considerate incapaci di gestire funzioni statali insieme alle proprie; infine, con l’aumento dei servizi e con la conseguente necessità di devolvere compiti a soggetti che operino vicino ai destinatari per meglio soddisfare le esigenze di questi ultimi.
Sotto il profilo strutturale, il disegno organizzativo dell’amministrazione periferica si rivelava piuttosto uniforme, essendo ordinato quasi sempre su uffici che operavano in sede territoriale, di vario livello, pur se in stretta dipendenza dal centro in ragione di un rapporto di subordinazione. Sotto quello funzionale, invece, vi potevano essere differenze in ordine alla distribuzione dei compiti, in quanto non sempre quelli degli uffici centrali corrispondevano a quelli degli uffici periferici: questi ultimi potevano esercitare attività proprie di decisione, istruttorie, di controllo, ancorché collegate con quelle del centro.
A fronte di una organizzazione ministeriale articolata su due livelli furono introdotti alcuni uffici di coordinamento e di raccordo dell’azione delle amministrazioni periferiche: i commissari del governo in ambito regionale, nonché i prefetti e i comitati provinciali della pubblica amministrazione in sede provinciale.
Oggi, la situazione è mutata, perché l’articolazione periferica dei ministeri è stata oggetto di specifiche previsioni da parte di tre provvedimenti recenti, che hanno introdotto alcune innovazioni in materia: la l. n. 59/1997, il d.lgs. n. 31.3.1998, n. 112 e il d.lgs. n. 300/1999.
La prima ha disposto il riordino dell’amministrazione periferica dello Stato secondo criteri di omogeneità, complementarietà e organicità. In particolare, essa, ai fini del decentramento delle funzioni statali e per effetto della affermazione del principio di sussidiarietà, ha attribuito agli enti regionali e locali una competenza amministrativa generale, con la conseguenza che all’amministrazione centrale sono state riconosciute solo funzioni tassativamente individuate (pur se – come ha osservato Cassese, S., Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, 417 – sin dall’origine la portata innovativa della legge era apparsa attenuata).
Il secondo, nell’attuare il trasferimento delle funzioni statali in sede regionale e locale, ha stabilito la soppressione di alcuni uffici (ad esempio, gli uffici metrici provinciali e gli uffici provinciali dell’industria, del commercio e dell’artigianato) e la riorganizzazione di altre strutture ministeriali con articolazione periferica.
Il terzo, infine, affrontando per la prima volta in termini generali il problema dell’amministrazione periferica dei ministeri, prevedendo, da una parte, l’istituzione di una serie di agenzie e trasformando, dall’altra, le prefetture in uffici territoriali del governo, concepiti come strutture con competenze generali, in quanto titolari di tutte le attribuzioni non espressamente conferite ad altri uffici.
Attraverso questi provvedimenti si sarebbe dovuto giungere a una eliminazione della articolazione periferica dei ministeri, salvo che in alcuni settori definiti, perché in periferia, a seguito del trasferimento di funzioni dallo Stato conseguente alla attuazione della l. n. 59/1997 e della l. cost. 18.10.2001, n. 3, devono operare gli enti locali. Al posto di vari uffici dipendenti da ministeri differenti con competenza diversificata avrebbero dovuto essere costituiti uffici unici – gli uffici territoriali del Governo – titolari di tutte le attribuzioni dell’amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri uffici. Il fine era quello di fornire una rappresentanza unitaria all’amministrazione centrale nell’ambito di un sistema regionalistico.
Il disegno, peraltro, è stato snaturato per effetto della modifica dell’art. 11 del d.lgs. n. 300/1999 operata dal d.lgs. 21.1.2004, n. 29 (al quale hanno fatto seguito le relative disposizioni di attuazione adottate con d.P.R. 30.6.2006, n. 180). Nella sua nuova formulazione, infatti, tale articolo stabilisce che le prefetture assumono la denominazione di prefetture-uffici territoriali del Governo e che, ferme restando le proprie funzioni, assicurano «l’esercizio coordinato dell’attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato», garantendone la leale collaborazione con gli enti locali. Dunque, le prefetture-uffici territoriali del Governo sono ora concepite come organi con funzioni di coordinamento e non di amministrazione attiva.
Il coordinamento tra le amministrazioni è assicurato da una conferenza permanente presieduta dal titolare della prefettura-ufficio territoriale del governo e composta dai responsabili delle strutture periferiche dello Stato, delle agenzie e degli enti pubblici a carattere nazionale e provinciale, con esclusione di quelli territoriali.
Il raccordo con le amministrazioni regionali e degli enti locali, invece, viene realizzato attraverso convenzioni, per quanto attiene alle modalità di utilizzo da parte dello Stato e delle regioni di uffici statali e regionali, ovvero attraverso conferenze di servizi, in tutti gli altri casi.
Di recente, con il d.l. 25.6.2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6.8.2003, n. 133, il legislatore è tornato ancora una volta sull’assetto dell’organizzazione periferica. Si è previsto, infatti, che nell’ambito delle misure di revisione dei propri assetti organizzativi che la legge stessa impone loro di adottare, le amministrazioni dello Stato possano, in alternativa, rideterminare «la rete periferica su base regionale o interregionale» oppure provvedere «alla riorganizzazione delle esistenti strutture periferiche nell’ambito delle prefetture-uffici territoriali del governo». In questo modo, però, anziché proporre un disegno unitario di riorganizzazione dell’amministrazione periferica dello Stato, si lascia alle singole amministrazioni la decisione di valutare l’assetto più opportuno per i propri uffici con il prevedibile risultato di accrescere la frammentazione del sistema.
Si aggiunga, sotto altro profilo, che, negli ultimi tempi, sono state effettuate scelte in controtendenza rispetto all’idea di ridurre l’organizzazione periferica dei ministeri: ad esempio, quelle che hanno riguardato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dei beni e delle attività culturali.
Fonti normative
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