MINO da Fiesole
MINO da Fiesole. – Nacque nell’agosto del 1429 da Giovanni di Mino e da una Caterina, come si evince dalla dichiarazione dei redditi resa nel novembre di quell’anno dal padre (Marucchi, p. 324).
Il luogo di nascita permane oggetto di incertezza, a causa delle informazioni parzialmente disomogenee fornite dalle testimonianze archivistiche. L’indicazione relativa all’origine fiesolana, che risale a Vasari (p. 406), è priva di fondamento; ciò nonostante essa è stata conservata dalla moderna letteratura specialistica nel rispetto della ormai cristallizzata denominazione tradizionale. La menzionata denuncia al catasto attesta, infatti, che la famiglia abitava nel «popolo» di S. Caterina a Papiano, nel Casentino. Occorre però osservare che, nell’atto di immatricolazione all’arte della pietra e del legname di Firenze (Sciolla, 1970, p. 26), avvenuta nel 1464, M. dichiarò di essere originario «de Pupio», vale a dire Poppi (Arezzo), località a poca distanza dalla stessa Papiano. Il dato è ribadito in un altro documento di quell’anno, concernente la commessa assegnatagli da Diotisalvi Neroni per la realizzazione di una pala d’altare in marmo, in cui M. è ricordato come «schultore da poppi» (ibid., p. 71).
Vasari (pp. 343-346), d’altra parte, ha contribuito a generare ulteriore confusione nel profilo biografico di M., attribuendo molte opere oggi stabilmente assestate nel suo catalogo a un quasi certamente inventato Mino del Reame, non altrimenti noto artista proveniente dal Regno di Napoli e attivo, secondo lo storiografo aretino, a Napoli e a Roma negli stessi tempi di Mino da Fiesole. Le notizie vasariane, separando in sostanza la carriera di un unico scultore in due personalità distinte, hanno sollecitato, a partire dalla fine dell’Ottocento, una nutrita serie di ricerche dedicate alla definizione di un corpus per Mino del Reame, indagini che hanno finito per tramandare l’errore cinquecentesco anche in tempi relativamente recenti. Spetta a Caglioti (1991) il merito di aver fatto confluire definitivamente, anche attraverso ponderosi argomenti documentari, le opere del presunto artista meridionale nel catalogo di M., rielaborando tra l’altro alcune ipotesi che già in precedenza avevano considerato la possibilità di ritenere i due Mino di Vasari una sola persona (Seymour).
Non si dispone di dati sicuri sulla formazione di Mino da Fiesole. Le opere della prima fase della sua attività del resto, pur connotate da chiara matrice toscana, non presentano elementi stilistici inequivocabilmente riconducibili ad alcuna delle principali botteghe attive a Firenze negli anni della sua giovinezza, non consentendo una ricostruzione circostanziata dell’apprendistato dell’artista. Sono state comunque avanzate varie congetture al riguardo, le principali e più autorevoli delle quali hanno proposto di identificare il maestro di M. in Michelozzo (Michelozzi; Pope-Hennessy, p. 378), Luca Della Robbia (Zuraw, The sculpture …, 1993, pp. 57 s.) o Bernardo Rossellino (Caglioti, 1991, pp. 50-53), senza tuttavia produrre ragioni incontrovertibili o affatto persuasive. D’altronde, i lavori più remoti di cui si abbia conoscenza, datati ai primi anni Cinquanta, appartengono tutti alla ritrattistica in marmo, un genere ripreso dall’antico che non vantava ancora una significativa tradizione moderna, fatto che impedisce di trarre indicazioni precise circa l’officina artistica in cui M. poté studiare i canoni di tale produzione. Egli, in effetti, sembra essere stato tra i primi a praticare in modo sistematico il genere, operando fin dagli esordi conosciuti per committenti molto prestigiosi.
Nel 1453 M. licenziò il Busto di Piero di Cosimo de’ Medici (Firenze, Museo nazionale del Bargello), dando prova di buona cultura delle convenzioni del ritratto classico e di discrete capacità realistiche nel trattamento fisionomico, caratterizzanti del resto la maggior parte delle effigi marmoree realizzate nel corso del sesto decennio. L’anno successivo eseguì, datandolo, il Ritratto di Niccolò Strozzi (Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz), contraddistinto da un forte naturalismo.
L’iscrizione ancora leggibile sul busto rende noto che fu realizzato a Roma, attestando la precoce presenza di M. nella città pontificia, dove peraltro risiedeva il ricco banchiere fiorentino committente dell’opera.
La firma «Opus Nini», che compare anche nel quasi sicuramente contemporaneo Ritratto di Astorgio II Manfredi (Washington, National Gallery), ha creato qualche imbarazzo tra gli specialisti, per la difficoltà di motivare la particolare firma adottata da Mino da Fiesole. Nessun dubbio in ogni caso riguarda l’autografia, da tutti accolta senza riserve.
Tra il 1455 e il 1456 M. fu chiamato a lavorare per la corte aragonese di Napoli; lo testimoniano due pagamenti della Tesoreria reale indirizzati a un «Mjnco» o «Mìnico» da Montemignaio (borgo non distante da Poppi), da tempo identificato con M. (Caglioti, 1991, p. 42). I documenti, datati rispettivamente 20 luglio 1455 e 31 genn. 1456, si riferiscono all’esecuzione di un Ritratto di Alfonso d’Aragona e di una scultura raffigurante S. Giovanni Battista, opere destinate entrambe a Castel Nuovo.
Il Battista è perso, mentre resta aperta la questione dell’individuazione e della sorte del Ritratto. Caglioti (1991, pp. 45 s.), diversamente da una consolidata tradizione critica, ha ipotizzato in modo convincente che esso non sia da riconoscere nel Ritratto di profilo di Alfonso, realizzato probabilmente dopo la morte del re (1458) e conservato al Louvre, ma che l’opera registrata nelle carte napoletane fosse piuttosto un busto, perduto anch’esso come la statua del S. Giovanni.
Già nel 1456, comunque, M. dovette rientrare a Firenze, come indica una missiva inviata il 12 agosto di quell’anno da Giovanni di Cosimo de’ Medici a Francesco Sforza duca di Milano (ibid., p. 44), in cui il notabile fiorentino, pur senza esplicitarne il nome, fa menzione di un artista chiaramente identificabile con M., per raccomandarlo alla corte milanese; a lui, inoltre, Giovanni attribuisce la realizzazione del ritratto suo (Firenze, Museo nazionale del Bargello) e quello del di lui fratello Piero, già citato (Ibid.), oltre a quelli del re di Napoli e di Astorgio (II) Manfredi signore di Faenza, per i quali il 1456 costituisce dunque un fondamentale termine ante quem. Completa l’elenco dei ritratti di questo periodo il Busto di Alesso [sic] di Luca Mini (Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz), databile al 1456 e considerato in genere il più debole del gruppo dal punto di vista qualitativo, tanto da far pensare talvolta all’intervento di un aiuto.
Di datazione incerta, ma riferibile forse alla seconda metà degli anni Cinquanta, è il Busto femminile della National Gallery di Washington, identificabile forse come una Vergine Annunciata, che Sciolla (1970, p. 105), tuttavia, considerava opera estrema.
La scultura, la cui autografia è largamente accolta, presenta in effetti caratteri non facilmente paragonabili al resto della produzione di M., non dissimili peraltro dalla cultura figurativa senese, rendendo ardua una puntuale collocazione temporale all’interno del suo catalogo.
Verso la fine del sesto decennio M. si trasferì nuovamente a Roma, dove si trattenne all’incirca fino al 1464. Tra le prime opere modellate nella città papale si deve annoverare l’Angelo reggistemma che compare nella parte destra del timpano della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli (oggi Nostra Signora del Sacro Cuore).
Il lavoro, firmato, si può collocare plausibilmente in una data posteriore al 1458, anno in cui tornò da Napoli Paolo Romano (Paolo Tacconi), autore dell’Angelo presente nella metà sinistra dello stesso timpano; a quel periodo d’altronde risalgono anche gli interventi costruttivi dell’edificio.
Sempre negli ultimi anni Cinquanta dovette iniziare l’esecuzione del cosiddetto Ciborio della neve, realizzato per l’altare papale in S. Maria Maggiore e consacrato dal committente, il cardinale Guillaume d’Estouteville nell’estate del 1461, come attestava una perduta epigrafe recante anche la firma di Mino da Fiesole.
L’opera, dalla struttura complessa, fu fatta smontare da Benedetto XIV nel 1747 e le sue parti sono oggi conservate in diversi luoghi. S. Maria Maggiore custodisce trentuno rilievi, tra i quali spiccano i quattro pannelli narrativi principali (Natività, Adorazione dei magi, Assunzione della Vergine, Miracolo della neve), collocati nella tribuna. La Madonna col Bambino che campeggiava nel prospetto è custodita invece a Cleveland (Museum of art), mentre i quattro Padri della Chiesa greca, un tempo sul culmine del monumento, si trovano nella cattedrale di S. Venceslao a Olomouc. Scolpite con l’ampio concorso di aiuti, soprattutto le Storie Mariane presentano sul piano stilistico vari debiti con le sculture dell’arco di Alfonso di Aragona a Napoli, denunciando l’importanza dell’esperienza campana di M., e un impianto complessivo che pare esemplato sui modelli della tradizione del rilievo tardoantico, inscrivendosi nel contesto del revival paleocristiano che contraddistinse la produzione artistica romana durante il terzo quarto del Quattrocento.
In ragione delle somiglianze formali con i pannelli del Ciborio della neve è possibile datare intorno al 1460 anche il tabernacolo eucaristico, oggi custodito in S. Maria in Trastevere, ma proveniente da un’altra chiesa, identificabile secondo Caglioti (1988-89, pp. 246 s.) con S. Maria sopra Minerva.
L’opera costituisce un interessante tentativo di fusione del tabernacolo di tipo romano con i caratteri di quello fiorentino, qualificato in particolare dall’illusionismo prospettico dello spazio.
Nel 1461 M. scolpì il Busto di Rinaldo Della Luna (Firenze, Museo nazionale del Bargello), cugino di Niccolò Strozzi e in quell’anno di stanza a Roma, mentre entro i due anni successivi va collocato il Ritratto di Guillaume d’Estouteville (New York, Metropolitan Museum), pensato probabilmente per essere inserito in un’opera monumentale, come suggerisce il taglio particolare del busto, e destinato forse alla chiesa di S. Agostino (Id., 1991, p. 49).
Lo stesso cardinale d’Estouteville gli assegnò anche il compito di realizzare la cosiddetta Arca di S. Girolamo, sita in origine in S. Maria Maggiore e modellata da M. tra il 1461 e il 1464.
Dell’opera, di cui è ignota la forma originaria e che fu smantellata durante il pontificato di Sisto V, rimangono solo quattro rilievi raffiguranti Storie di s. Girolamo (Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia), caratterizzati da un manifesto rimando alla cultura artistica antica e in particolare ai sistemi figurativi degli avori, che li accomuna a quelli stilisticamente affini del Ciborio della neve (Zuraw, 1992, p. 314).
Nell’ambito dei lavori intrapresi da Pio II in Vaticano, M. ottenne nel 1463 l’incarico di scolpire una colossale statua raffigurante S. Pietro destinata al sagrato della basilica petrina insieme con un S. Paolo di Paolo Romano, collocato dal 1534 all’inizio di ponte S. Angelo.
L’opera, tuttavia, oggi nella sagrestia di S. Pietro (aula dei canonici), fu lasciata incompiuta, forse per problemi nell’intaglio, e fu completata solo nel 1565 da Niccolò Longhi da Viggiù. Nel 1465 giunse a M., nel frattempo tornato a Firenze, l’ordine di rendere alla Camera apostolica il denaro che gli era stato anticipato e di consegnare un blocco di marmo in sostituzione di quello impiegato per il S. Pietro, mai terminato (Caglioti, 1995, pp. 128 s.; Id., 1997, pp. 37-43).
Risale inoltre al 5 luglio 1463 un pagamento in favore di M., legato ai lavori per la non più esistente loggia della Benedizione in S. Pietro, voluta anch’essa da Pio II.
Il documento non permette tuttavia di precisare la qualità del contributo di M., che fece parte di un’équipe composta da Paolo Romano, Isaia da Pisa (Isaia Ganti) e Pagno da Settignano. Con ogni probabilità, comunque, dovette trattarsi di un’opera di ornato architettonico.
All’inizio degli anni Sessanta si possono altresì datare alcune opere plausibilmente riconducibili a M., sebbene l’attribuzione dipenda in modo esclusivo dall’analisi morfologica.
Appartengono, per esempio, a questo periodo due lastre tombali: la prima, dedicata all’uditore di Rota Jacques de Pencoëtdic, è oggi murata nel cortile del palazzo di S. Luigi dei Francesi, ma si trovava in origine in S. Ivo dei Bretoni; reca la data di morte dell’effigiato (1462), che si può riferire anche al momento dell’esecuzione sulla scorta dei dati di stile. L’altro sepolcro terragno invece, collocato in S. Maria del Popolo, è dedicato a Filippo di Francesco Della Luna, zio di quel Rinaldo Della Luna raffigurato nel ritratto del Bargello, cugino di Niccolò Strozzi e anch’egli banchiere attivo soprattutto a Roma. Nonostante la lastra esponga nell’epitaffio la data 1449, legata con ogni probabilità alla scomparsa del dedicatario, la realizzazione del monumento è stata posta cronologicamente all’inizio degli anni Sessanta, in ragione tra l’altro delle chiare analogie con la tomba Pencoëtdic (Id., 1991, pp. 40 s.).
È possibile infine congetturare una cronologia agli anni del secondo soggiorno romano anche per una perduta acquasantiera che M. firmò in S. Maria sopra Minerva (ibid., p. 67), per un rilievo marmoreo raffigurante la Crocifissione – inserito in origine in un altare del transetto di S. Pietro, ma trasferito nel XVII secolo nella chiesa di S. Balbina –, per una Madonna col Bambino conservata nella sala capitolare di S. Maria Maggiore, proveniente forse dalla cappella dei Ss. Michele Arcangelo e Pietro in Vincoli nella stessa chiesa, nonché per il Busto di giovinetta in terracotta (New York, collezione privata; Caglioti, 2004, p. 341), rara testimonianza di scultura non in marmo di Mino da Fiesole.
Nel 1464 M. fece ritorno a Firenze, dove operò stabilmente per il successivo decennio. Tra febbraio e marzo di quell’anno si registrano consegne di marmi a M. da parte dell’Opera di S. Maria del Fiore (Haines, p. 182 n. 8). Il 4 giugno acquistò una casa in città (Dorini, 1906, p. 51 n. 6), mentre al successivo 28 luglio è documentata la già ricordata iscrizione all’arte della pietra e del legname. Del 7 novembre, inoltre, è il contratto, anch’esso menzionato, per il dossale d’altare raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Leonardo e Lorenzo, commissionato da Diotisalvi Neroni e destinato alla chiesa di S. Lorenzo.
La pala marmorea era tuttavia ancora nella bottega di M. quando il committente fu costretto all’esilio, nel 1466, e fu quindi acquistata nel 1470 dai monaci della badia fiorentina dove tuttora si conserva. Presumibilmente nel medesimo periodo M. eseguì anche il Busto ritratto di Neroni (Parigi, Louvre).
Nello stesso 1464 o l’anno seguente M. scolpì un angelo sul timpano di un armadio conservato nella sagrestia delle Messe nella cattedrale fiorentina, già attribuito a Desiderio da Settignano per la raffinatezza dell’intaglio. A questo momento si deve datare anche la Madonna col Bambino (Firenze, Museo nazionale del Bargello; Caglioti, 2004, p. 346).
Dopo il rientro in Toscana M. cercò di conformare il suo stile alle tendenze della scultura locale, reagendo evidentemente alle suggestioni del sofisticato realismo di Desiderio e Antonio Rossellino, senza però rinunciare alla tipica maniera, già sviluppata durante i precedenti anni romani e mai abbandonata neppure in seguito, di appiattire un poco le figure e di delineare panneggi piuttosto spigolosi. Esemplari in questo senso sono i lavori svolti per la cappella del vescovo Leonardo Salutati nella cattedrale di Fiesole.
Nel 1466, come si ricava da un’epigrafe sulla tomba, M. diede forma al monumento sepolcrale del prelato, costituito da un semplice sarcofago sotto il quale si trova un Ritratto di considerevole qualità mimetica. M., inoltre, mise in opera di fronte al sepolcro un dossale marmoreo dalla sobria struttura classicheggiante, all’interno del quale raffigurò Maria tra i Ss. Leonardo e Remigio, Gesù Bambino, S. Giovannino e Giuseppe (?), il tutto sormontato da una testa del Salvatore.
Sempre nel 1466 M. scolpì la lastra funebre, perduta, per il primogenito Giuliano nella chiesa fiorentina di S. Maria in Campo e una pila battesimale per l’ospedale di S. Maria Nuova a Peretola.
Due anni più tardi ricevette un pagamento di 20 lire e 12 soldi da parte di Ugolino Giugni, vescovo di Volterra, per l’esecuzione, nella badia di Firenze, del monumento sepolcrale del fratello Bernardo, morto il 5 giugno 1466.
Configurata sul modello della tomba di Leonardo Bruni, che Bernardo Rossellino aveva realizzato in S. Croce intorno al 1450, l’opera dovette costituire per M. l’occasione per la definitiva consacrazione nel mercato artistico cittadino, data anche l’importanza del luogo, e un significativo momento di confronto con la tradizione recente dell’arte funeraria. M., variando sottilmente la struttura del precedente illustre, organizzò la disposizione di un repertorio simbolico concepito per la celebrazione dell’effigiato nel ruolo di gonfaloniere di giustizia, mandato che egli ricoprì nel 1451; la personificazione della Giustizia che, con soluzione compositiva originale, spicca al centro della tomba, rappresenta un chiaro riferimento alla virtù di Giugni e al suo ufficio, cui forse allude anche la forma del sepolcro, prossima nello schema complessivo a quella del trono da cui il gonfaloniere svolgeva la sua funzione nelle cerimonie aventi luogo in palazzo della Signoria (Zuraw, 1998, pp. 459 s.).
Nel 1468 M. partecipò alla riunione degli Operai del duomo che commissionarono la palla della lanterna di S. Maria del Fiore a Verrocchio (Andrea di Michele).
Il compimento della tomba Giugni incontrò il favore dei monaci della badia, che valse a M. il prestigioso incarico di scolpire il Monumento al conte Ugo di Toscana.
M. sottoscrisse un primo contratto, perduto, nel 1469, ma ricordato in un secondo accordo siglato due anni dopo, in cui egli si impegnava a completare il sepolcro entro 18 mesi al prezzo di 1600 lire. Il lavoro però fu portato a termine soltanto all’inizio del 1481, al rientro dall’ennesimo soggiorno a Roma: il 4 gennaio egli risultava creditore di 1777 lire, 14 soldi e 6 denari per aver finalmente completato la struttura con la spalliera di marmo. Articolata anch’essa sul paradigma rosselliniano ma vicina anche alla declinazione datane da Desiderio da Settignano nel mausoleo Marsuppini (Firenze, S. Croce), come testimonia la presenza dei due putti disposti ai lati della struttura analoghi a quelli desideriani, l’opera fu pensata per creare un pendant con la tomba Giugni non solo sul piano formale ma anche dal punto di vista simbolico. Se, infatti, il sepolcro dell’eminente fiorentino insisteva sulla virtù della giustizia, il monumento a Ugo di Toscana pone in rilievo la carità dell’effigiato attraverso la personificazione della virtù teologale rappresentata al centro della composizione. Le due opere furono progettate con ogni probabilità, in accordo con la politica culturale della badia, per avere una dimensione pubblica: esse magnificano infatti le qualità morali, incarnate dai dedicatari, che costituiscono i fondamenti dello stato cristiano ideale (ibid., p. 469).
Negli anni in cui progettò la tomba di Ugo di Toscana M. realizzò anche un tondo raffigurante la Madonna col Bambino (Firenze, Museo nazionale del Bargello), collocato in origine sul portale maggiore della badia fiorentina.
Il 28 dic. 1471 terminò l’esecuzione del tabernacolo della cattedrale di Volterra, il cui contratto di allogazione risaliva al 3 dic. 1467. Nel coro della stessa cattedrale si conservano due Angeli, che in origine, secondo le disposizioni del contratto, dovevano fiancheggiare il tabernacolo.
M. li aggiunse però solo dopo aver consegnato la parte principale dell’opera nel giugno del 1471, a seguito delle pressanti richieste dei committenti che chiedevano di onorare l’impegno sottoscritto aggiungendo le figure mancanti. Per soddisfare i Volterrani entro la fine dell’anno, però, anziché modellare ex novo gli Angeli riutilizzò due sculture trecentesche di Luca di Giovanni da Siena, di cui rilavorò solo le teste (Cassidy).
Entro l’anno seguente quindi, quando ottenne il saldo dell’incarico, concluse anche l’intaglio di due delle cinque formelle del pulpito interno del duomo di Prato (Banchetto di Erode, Decollazione del Battista), collaborando con la bottega di Antonio Rossellino, cui si devono i restanti rilievi. Spedì inoltre a Perugia un altare destinato alla chiesa di S. Pietro, commissionato da un membro della nobile famiglia Baglioni.
Sono forse da ascrivere a questo periodo, infine, i due Busti di giovinetta già a Berlino e oggi distrutti (Caglioti, 2004, figg. 41, 72).
M. dedicò una parte non secondaria della sua attività alla produzione di rilievi con ritratti di profilo di donne e uomini famosi, concepiti alla maniera delle monete e delle medaglie antiche. Tali lavori, in mancanza di appigli documentari, risultano di difficile datazione, ma vengono considerati perlopiù espressione del periodo fiorentino compreso tra gli anni Sessanta e Settanta.
Fanno parte, per esempio, del piccolo corpus, tematicamente e stilisticamente omogeneo, una S. Elena (Avignone, Musée Calvet), una Imperatrice romana (Trieste, Biblioteca civica Attilio Hortis), due ritratti di Faustina Minore (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum; New York, Metropolitan Museum) e un Giulio Cesare (Boston, Museum of fine arts).
Nel 1474 M. fu ancora a Roma, dove all’inizio del suo soggiorno cooperò alla realizzazione del ciborio di S. Pietro che, cominciato verosimilmente nel 1467, non era ancora stato dotato di tutte le statue degli Apostoli previste nel progetto originario, ideato da Paolo Romano. M. eseguì le due figure tradizionalmente identificate con Matteo e Giacomo Maggiore, lasciando a metà, per ragioni rimaste ignote, l’intaglio del cosiddetto Mattia e affidando ad altri (forse Matteo del Pollaiolo) il completamento dell’impresa (Id., 2000, pp. 817-820). Le sculture, un tempo poste sull’attico della struttura, sono oggi conservate nelle Grotte vaticane.
Molto probabilmente entro l’anno successivo M. portò a termine, nel coro della chiesa dei Ss. Apostoli, la Tomba di Pietro Riario, morto il 5 genn. 1474.
L’opera fu completata in collaborazione con Andrea Bregno e i suoi aiuti, secondo una prassi operativa del tutto consueta nel contesto artistico romano del periodo, che prevedeva, soprattutto per ragioni di rapidità esecutiva, la fusione temporanea degli atelier. A M. è da assegnare su base stilistica, tra l’altro, il tondo con la Madonna col Bambino collocato al centro del sepolcro, di cui si conserva un modello in terracotta presso l’Art Museum di Cincinnati.
Durante questo soggiorno romano M. fu impegnato spesso, del resto, nell’ambito della scultura funeraria; a lui, da solo o in collaborazione, si attribuisce piuttosto agevolmente, a dispetto della mancanza di documenti, una serie di opere simili sul piano formale, la cui cronologia risulta però problematica e ancorabile in quasi tutti i casi approssimativamente, in assenza di elementi più determinanti, solo alla data di morte del dedicatario.
Alla metà del decennio, ancora con maestranze della bottega di Andrea Bregno, M. fu responsabile della messa in opera della Tomba di Niccolò Forteguerri, morto nel 1473, in S. Cecilia in Trastevere.
A M. sono in genere ascritte la Madonna col Bambino, la figura del gisant e le decorazioni del basamento. Occorre assegnargli, con ogni probabilità, anche il progetto della struttura che, nonostante le varie ricostruzioni subite nel corso dei secoli, presenta ancora somiglianze con la tomba del conte Ugo di Toscana, al quale doveva essere accomunato anche per la presenza di due putti ai lati del sepolcro.
M. dovette quindi stringere un sodalizio con Giovanni Dalmata (Ducnović), con cui condivise almeno due incarichi importanti ottenuti dal cardinale Marco Barbo.
Tra il 1475 e il 1477 i due parteciparono alla realizzazione del Monumento sepolcrale di Paolo II Barbo, che, smembrato una prima volta già nel Cinquecento e definitivamente all’inizio del XVII secolo, è oggi conservato, frammentario, nelle Grotte vaticane, nell’ottagono di S. Basilio (Vaticano) e al Louvre. È opinione prevalente che la paternità del progetto vada ascritta a Giovanni, in ragione dell’esuberanza ornamentale del complesso, la cui forma generale è nota attraverso un’anonima stampa cinquecentesca, che risulta piuttosto distante dalla propensione alla sobrietà caratterizzante le composizioni minesche. M. in ogni caso contribuì modellando, secondo un’ipotesi largamente condivisa, le sculture del pilastro di destra (stemma, S. Giovanni, S. Luca), tre bassorilievi del podio (Peccato originale, Fede e Carità, quest’ultima firmata), i Cherubini della trabeazione, quattro Angeli a sinistra del fastigio dell’arco, il Giudizio universale, la Colomba dello Spirito Santo e due Angeli ai lati dell’iscrizione sulla fronte del sarcofago.
La coppia di scultori ricevette quindi dallo stesso cardinale Barbo la commissione per il tabernacolo della basilica romana di S. Marco che, secondo la datazione maggiormente accettata, fu intagliato intorno al 1476. M. elaborò la figura del Padreterno e il rilievo con il Sacrificio di Melchisedec.
Tra le tombe risalenti alla seconda metà del decennio è altresì riconducibile all’attività di M. la parte superiore del Monumento funebre di Jacopo Ammannati Piccolomini (1479), in origine nel coro di S. Agostino e oggi nel cortile dell’annesso convento, realizzato in collaborazione con Andrea Bregno, che era forse il destinatario della commissione (Kühlenthal).
Sul finire degli anni Settanta M. dovette poi occuparsi del Sepolcro di Cristoforo e Domenico Della Rovere, nella cappella gentilizia di S. Maria del Popolo, nuovamente con Bregno.
Spettano a M., stando all’opinione preponderante, l’ovato con la Vergine, agevolmente comparabile, d’altra parte, con le Madonne certe dello scultore, e parte del fregio collocato sotto il cornicione.
Nel quadro di questa produzione egli assunse anche l’incarico della Tomba di Giovanni Francesco Tornabuoni (morto nel 1481) nella cappella del Battista in S. Maria sopra Minerva. Nello stesso ambiente si trovava anche il monumento, perduto, di Francesca di Luca Pitti (morta nel 1477), moglie di Tornabuoni.
Sciolla (1970, pp. 130 s.) proponeva di considerare le figure della Fede e della Carità, conservate nella National Gallery di Washington, di pertinenza quasi sicuramente sepolcrale, come provenienti da questa tomba, sia pure senza addurre argomenti decisivi in merito.
Si conservano inoltre, sparse in varie collocazioni museali ed ecclesiastiche, alcune Madonne col Bambino diffusamente e ragionevolmente riferite alla produzione di M. (o della sua bottega) e in prevalenza all’ultimo periodo da lui trascorso a Roma, sebbene anche in questo caso sia da sottolineare la mancanza di solidi sostegni documentari che ne certifichino autografia e cronologia.
Fanno parte del ridotto catalogo di tali opere devozionali, che non si esclude comunque potessero essere legate in origine a monumenti funebri (Zuraw, The efficacious Madonna …, 2001, p. 109), alcuni esemplari romani, tra cui la Madonna col Bambino, conservata nella direzione generale dell’ospedale di S. Spirito in Sassia, e un piccolo quadro marmoreo custodito in S. Maria in Trastevere, nonché la Madonna col Bambino del Metropolitan Museum di New York.
Nel 1480 è di nuovo documentata la presenza di M. a Firenze (Dorini, 1906, p. 52). Il 22 agosto dell’anno successivo gli fu commissionato dalla badessa del monastero di S. Ambrogio un tabernacolo, tuttora collocato in loco, in memoria del miracolo dell’ostia consacrata. Il lavoro fu messo in opera da Lapo d’Antonio, allievo di M., il 21 febbr. 1484 (Zuraw, M. da F.’s lost design, 2001, p. 83). Nello stesso periodo portò a termine la Tomba di Ugo di Toscana.
Il 10 luglio 1484 M. fece testamento. Morì a Firenze l’11 luglio 1484, come riportato nel Libro dei morti di Firenze (Sciolla, 1970, p. 46 n. 2).
Lasciò tra l’altro in eredità un progetto, con ogni probabilità ligneo e realizzato forse nel 1476, per la facciata di S. Maria del Fiore (Zuraw, M. da F.’s lost design, 2001, p. 83), che costituisce l’unica testimonianza nota di una sua attività squisitamente architettonica.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, (testo) III, Firenze 1971, pp. 343-346 (Mino del Regno), 405-412 (M. da F.); C. Guasti, La cupola di S. Maria del Fiore illustrata con i documenti, Firenze 1857, pp. 111-113; C. Ricci, Il tabernacolo e gli angeli di M. da F. in Volterra, in Rivista d’arte, II (1904), pp. 260-267; C. De Fabriczy, Alcuni documenti su M. da F., ibid., pp. 40-45; Id., Portate al Catasto di M. da F., ibid., III (1905), pp. 265-267; U. Dorini, La casa di M. e i disegni murali in essa recentemente scoperti, ibid., IV (1906), pp. 48-51; E. Marucchi, Dove nacque M. da F.?, ibid., XXI (1939), pp. 324-326; W.R. Valentiner, M. da F., in The Art Quarterly (Detroit), VII (1944), pp. 151-178; L. Carrara, La formazione di M. da F., in Critica d’arte, s. 3, III (1956), 13-14, pp. 76-84; M. Pepe, Sul soggiorno napoletano di M. da F., in Napoli nobilissima, s. 3, V (1966), pp. 116-120; C. Seymour, Sculpture in Italy 1400-1500, Harmondsworth 1966, pp. 155-158; G.C. Sciolla, La scultura di M. da F., Torino 1970 (con bibl.); M. Haines, La sacrestia delle Messe nel duomo di Firenze, Firenze 1983, pp. 181-183; F. Caglioti, Per il recupero della giovinezza romana di M. da F.: il ciborio della Neve, in Prospettiva, 1987, n. 49, pp. 15-32; O. Pujmanova, Sculture di M. da F. nel duomo di Olomouc, ibid., pp. 75-79; F. Caglioti, Paolo Romano, M. da F. e il tabernacolo di S. Lorenzo in Damaso, ibid., 1988-89, nn. 53-56; Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, ibid., pp. 245-255; F. Caglioti, M. da F., Mino del Reame, Mino da Montemignaio: un caso chiarito di sdoppiamento d’identità artistica, in Bollettino d’arte, LXXVI (1991), 67, pp. 19-86 (con bibl.); S.E. Zuraw, M. da F.’s first Roman sojourn: the works in S. Maria Maggiore, in Verrocchio and late Quattrocento Italian sculpture. Acts of two conferences … Provo, UT, 1988 - Firenze 1989, a cura di S. Bule - A.P. Darr, Firenze 1992, pp. 303-319; Id., The sculpture of M. da F. (1429-1484), diss., University Microfilms International, Ann Arbor, MI, 1993; Id., The Medici portraits of M. da F., in Piero de’ Medici «il Gottoso» (1416-1469), a cura A. Beyer - B. Boucher, Berlino 1993, pp. 317-339; F. Caglioti, Due «restauratori» per le antichità dei primi Medici: M. da F., Andrea del Verrocchio e il «Marsia rosso» degli Uffizi, in Prospettiva, 1993, n. 72, pp. 17-42 (parte I); 1994, nn. 73-74, pp. 74-96 (parte II); B. Cassidy, Two Trecento angels at Volterra disguised by M. da F., in The Burlington Magazine, CXXXVI (1994), 1101, pp. 802-808; F. Caglioti, Ancora sulle traversie vaticane del giovane M., sulla committenza statuaria di Pio II e su L.B. Alberti, in Dialoghi di storia dell’arte, I (1995), 1, pp. 126-131; C. La Bella, Scultori nella Roma di Pio II (1458-1464). Considerazioni su Isaia da Pisa, M. da F. e Paolo Romano, in Studi romani, XLIII (1995), 1-2, pp. 26-42; J. Pope-Hennessy, Italian Renaissance sculpture, II, London 1996, pp. 378-380 e passim; F. Caglioti, Da Alberti a Ligorio, da Maderno a Bernini e a Marchionni: il ritrovamento del «S. Pietro» vaticano di M. da F. (e di Niccolò Longhi da Viggiù), in Prospettiva, 1997, n. 86, pp. 37-70; S.E. Zuraw, The public commemorative monument: M. da F.’s tombs in the Florentine badia, in The Art Bulletin, LXXX (1998), 3, pp. 452-477; F. Caglioti, in La basilica di S. Pietro in Vaticano. Schede. I monumenti funebri. Dalle origini al Cinquecento, a cura di A. Pinelli, Modena 2000, pp. 816 s., 823-829, 845-848, 886 s.; S.E. Zuraw, M. da F.’s lost design for the façade of S. Maria del Fiore, in S. Maria del Fiore. The cathedral and its sculpture. Acts of the International Symposium …, Firenze 1997, a cura M. Haines, Fiesole 2001, pp. 79-99; Id., The efficacious Madonna in Quattrocento Rome. Spirituality in the service of papal power, in Visions of holiness. Art and devotion in Renaissance Italy, a cura A. Ladis - S.E. Zuraw, Athens, GA, 2001, pp. 101-121; F. Caglioti, Su Matteo Civitali scultore, in Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento (catal., Lucca), Milano 2004, pp. 50, 68 s., 75 n. 34, 77 n. 88, 310 s., 334 s., 340 s.; S.E. Zuraw, M. da F.’s Forteguerri tomb. A «Florentine» monument in Rome, in Artistic exchange and cultural translation in the Italian Renaissance city, a cura di S.J. Campbell - S.J. Milner, Cambridge 2004, pp. 75-95; Id., Vasari’s sculptors of the second period: M. da F., in Reading Vasari, a cura di A.B. Barriault - A. Ladis, London 2005, pp. 63-74; F. Caglioti, Altari eucaristici del primo Rinascimento: qualche caso maggiore, in Lo spazio e il culto. Relazione tra l’edificio ecclesiale e il suo uso liturgico dal XV al XVII secolo. Atti del Convegno …, Firenze 2003, a cura di J. Stabenow, Venezia 2006, pp. 54, 56, 69, 78, 83, 86-89; Id., Desiderio da Settignano. I profili di eroi ed eroine del mondo antico, in Desiderio da Settignano. La scoperta della grazia nella scultura del Rinascimento (catal., Parigi 2006-07 - Firenze 2007 - Washington 2007), a cura di M. Bormand - B. Paolozzi Strozzi - N. Penny, Milano 2007, pp. 93 s.; C. La Bella, Il Monumento funebre del cardinale Niccolò Forteguerri, in C. La Bella et al., S. Cecilia in Trastevere, Roma 2007, pp. 117-119; G.C. Sciolla, La terracotta di M. da F. nel Museo civico di Udine, in Un’identità: custodi dell’arte e della memoria, a cura di G.M. Pilo - L. De Rossi - I. Reale, Mariano del Friuli 2007, pp. 185-189; C. La Bella, in Il ’400 a Roma. La rinascita delle arti da Donatello a Perugino (catal., Roma), a cura di M.G. Bernardini - M. Bussagli, Milano 2008, I, pp. 199-201; II, pp. 218 s.; D. Gallavotti Cavallero, ibid., I, pp. 74 s.; II, pp. 219 s.; F. Negri Arnoldi, L’attività romana di Giovanni Dalmata, ibid., I, pp. 141-147; P. Zander, Angeli e cherubino, ibid., II, pp. 220 s.; M. Kühlenthal, The monument of Raffaele Della Rovere in Ss. Apostoli in Rome, in Andrea Bregno. Il senso della forma nella cultura artistica del Rinascimento, a cura di C. Crescentini - C. Strinati, Firenze 2008, p. 222.
F. Sorce