MINO da Fiesole
Scultore, nato a Poppi in Casentino verso il 1430, morto a Firenze nel 1484. Della sua gioventù non sappiamo nulla. Certo venne presto a Firenze e forse ebbe prima di tutto lunga pratica con scalpellini che gli appresero quella sua mirabile abilità tecnica; ma sembra essersi ispirato soprattutto a Desiderio e ad Antonio Rossellino. È discussa la sua prima attività, testimoniataci da varî busti, il più antico dei quali (a Berlino), eseguito, secondo un'iscrizione, a Roma nel 1454 e rappresentante Niccolò Strozzi, non è considerato unanimemente di lui dalla critica, sebbene ne presenti assai chiari i caratteri. Accettati, ma però non tutti, sono altri ritratti a mezzo busto: quello di Alessio di Luca (1456, Berlino), di Rinaldo della Luna (1461), di Giovanni e Piero de' Medici (intorno al 1463), di una giovane donna, ecc., tutti al Bargello, a Firenze; e così altri, in raccolte pubbliche e private. In questi ritratti, M. arriva forse alle sue cose migliori, perché vi può esplicare appieno la propria maestria tecnica, senza rendere troppo evidenti le sue manchevolezze intrinseche.
Nel 1463 era a Roma a lavorare, con altri, al pulpito della Benedizione per Pio II; ben presto interrotto e oggi disperso. Pressoché contemporanei sono i lavori per il cardinale d'Estouteville, in Santa Maria Maggiore: un pulpito e un altare in onore di San Girolamo, ambedue oggi smembrati. Nel primo erano rappresentati il Miracolo della neve e storie di Cristo e di Maria; il secondo portava scolpiti fatti della vita di San Girolamo. I frammenti del ciborio sono in Santa Maria Maggiore, varî di quelli dell'altare nel Museo artistico-industriale di Roma. Da questi complessi sorge la questione, tanto intricata, su Mino da Fiesole e il suo aiuto Mino del Reame, ricordato dal Vasari, ricostruito dal Venturi e da altri. Probabilmente la collaborazione fu strettissima: e se molte cose sono simili a quelle di Mino, pure in altre si trovano accentuazioni plastiche e grossolanità che non sembrano sue e che parrebbero dovute piuttosto a un rozzo seguace.
Tornato a Firenze, M. verso il 1466 eseguì la tomba e il monumento per il vescovo Salutati nel duomo di Fiesole, fra le sue cose migliori per fine intaglio e per una caratterizzazione eccellente nel ritratto del vescovo. Sono di questo periodo anche la tomba di Bernardo Giugni (circa 1468) e l'altare per Diotisalvi Neroni (1470), ambedue nella Badia di Firenze; e ambedue, memori di Desiderio e del Rossellino, di una tecnica che a tratti giunge a una levità quasi trasparente di piani; però mancano di concezione robusta e di altezza di espressione, per quanto piacevoli per la loro semplice serenità. Qualche ingenuità impacciata si trova anche nel tabernacolo per il duomo di Volterra (1471) e più ancora nel pulpito del duomo di Prato, fra le cose più goffe di Mino, ma non totalmente suo. L'altare Baglioni a Perugia (1473) è pure partecipe dei noti difetti, e anche delle sue buone qualità tecniche.
Dopo questa parentesi toscana, un nuovo viaggio a Roma apre a M. un periodo fecondissimo di opere; tante, anzi, che fu costretto a usare una larga cooperazione di aiuti. Collaborò con Andrea Bregno a varî monumenti funebri, come quello Riario in Ss. Apostoli (circa nel 1474), Ferrici alla Minerva (circa nel 1478), Della Rovere in S. Maria del Popolo (circa 1479): e già prima con un ignoto aiuto aveva lavorato a quello Forteguerri in Santa Cecilia in Trastevere (circa 1473). Con Giovanni Dalmata poi dal 1474 al 1477 scolpì la tomba di Paolo II, i cui frammenti sono oggi al Museo Petriano. Una fra le cose più fini è il monumento funebre al giovane Francesco Tornabuoni alla Minerva (circa 1480). Nelle citate opere le facili qualità creative di Mino, che assimilò in superficie da altri più di quanto non elaborasse e innovasse di suo, portano a sculture d'indubbia raffinatezza tecnica, ma che fanno apparire ancora giuste le parole del Vasari, che lo definì "più graziato che fondato nell'arte". Tuttavia la sua piacevole maniera ebbe a Roma assai risonanza, con diversi accenti, sia nel cosiddetto Mino del Reame, sia in Giovanni Dalmata, sia in Andrea Bregno: e il suo copioso ornare e le sue strutture tombali furono seguite fino a varî decennî dopo.
Di ritorno a Firenze, M. vi scolpì nel 1481 un bel tabernacolo per S. Ambrogio, e finì nel medesimo anno la tomba del conte Ugo, alla Badia, cominciata già nel 1469.
Altre cose non datate, come alcuni busti, varie Madonne (una delle migliori è quella entro un tondo sostenuto da un angelo al Bargello) e bassorilievi, mostrano con le altre che lo stile di M. non subì forti cambiamenti mantenendosi tradizionalista, aggraziato, superficiale, tecnicamente eccellente.
Per tali qualità esteriori, M. fu largamente falsificato: e occorre perciò togliergli opere quali il busto di Diotisalvi Neroni al Louvre (1464) e molti altri busti e rilievi nelle collezioni d'Europa e di America.
Bibl.: G. Vasari, le Vite, ediz. Milanesi, III, Firenze 1876, p. 115 e segg.; F. Baldinucci, Not. dei Prof. del Dis., II, Firenze 1770, p. 157 e segg.; M. Reymond, La sculp. florentine, III, Firenze 1899, p. 93 segg.; C. S. Perkins, Les sculpteurs italiens, Parigi s. a.; W. Bode, Denkm. der Renaissance-Sculptur Toscanas, Berlino 1892-1905, tav. 379 segg.; D. Angeli, M. da F., Firenze 1905; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VI, Milano 1908, p. 634 segg.; P. Schubring, Die Ital. Plastik des Quattr., Berlino 1919, p. 162 e segg. Per una più vasta bibliografia, se pure non completa, v. Schottmüller, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, Lipsia 1930. Inoltre: P. R. Ruggeri, Il più grande monum. sepolcr. del 400 in Roma, in L'Illustraz. Vaticana, 1931 (II), nn. 7, 19 e segg.; F. Valenti, Il modello della Madonna nel monum. Riario ai Ss. Apostoli, in Boll. d'arte, 1933, p. 295 e segg.; F. Schottmüller, Die Bildwerke in Stein, Holz, Ton und Wachs (Bildwerke des Kaiser-Friedrich-Museum), Berlino 1933.