MINORENNI
Delinquenza minorile (App. II, 11, p. 330). - Il problema della delinquenza minorile è sempre aperto e diviene sempre più pressante in rapporto al continuo e tumultuoso dinamismo sociale dei nostri tempi e al continuo aumento delle esigenze economiche che incidono sempre più sfavorevolmente sulla formazione e sull'educazione della gioventù. Sicché di questo problema, appunto per il suo particolare valore politico e sociale, si vuol dare qui un quadro organico, considerando tutto il fenomeno, nel suo duplice aspetto criminologico e giuridico, alla luce delle più recenti vedute scientifiche e di tutto il complesso delle disposizioni di legge che ad esso si riferiscono.
Nell'accezione giuridica tradizionale delinquente è l'autore di un fatto qualificato delitto dalla legge penale; nel più recente significato sociologico, invece, la delinquenza è un fenomeno di dissocialità, soggettivamente disancorato dal requisito della capacità d'intendere e di volere e formalmente svincolato dalla legge penale, onde viene considerato delinquente il soggetto socialmente disadattato, colui cioè che difetta delle disposizioni naturali che inducono i più in un determinato ambiente etnico a rispettare le regole del ben vivere sociale.
Il fenomeno della delinquenza minorile va riguardato sotto un duplice aspetto: criminologico e giuridico. Sotto il primo aspetto, vanno considerate le sue cause, ossia i fattori della delinquenza e del traviamento minorili, nonché le provvidenze necessarie per una efficace profilassi sociale; sotto il secondo aspetto, vanno considerate le manifestazioni antisociali ed antigiuridiche dei minori, nonché le opportune provvidenze legislative per prevenirle o reprimerle.
Il problema della delinquenza e del traviamento minorili è posto oggi sul terreno scientifico dell'indagine dei fattori bio-psichici (cause endogene) e dei fattori familiari e sociali (cause esogene), il cui accertamento consente di diagnosticare la personalità del minore e di stabilire, quindi, i rimedî terapeutici, i metodi rieducativi e le provvidenze sociali e legislative più efficaci secondo un criterio d'individualizzazione invalso ormai nella scienza e nella legislazione penali e penitenziarie. Si è oramai d'accordo nel riconoscere efficienza criminogena sia ai fattori endogeni sia ai fattori esogeni: la costituzione bio-psichica, l'ereditarietà, la crisi della pubertà, l'alcoolismo, la prostituzione, la miseria, la denutrizione, gli eccessivi agglomerati urbanistici, la promiscuità delle convivenze, la carenza familiare e sociale, l'analfabetismo, la stampa, gli spettacoli sono tutti tossici che insidiano o possono insidiare l'integrità fisica e morale dei giovani. Il carattere dei giovani, plasmabile e labile per natura, li rende senza dubbio più sensibili all'ambiente, onde la maggiore importanza che in generale si deve attribuire ai fattori ambientali come fattori criminogeni. E sono appunto le reazioni del fanciullo all'ambiente, ricettive o repulsive, che costituiscono il fondamento primo dello sviluppo educativo e plasmano gli aspetti più salienti della personalità, che assai difficilmente saranno modificati nell'ulteriore corso dell'esistenza.
In relazione ai predetti fattori criminogeni (bio-psico-sociologici) possiamo distinguere tre tipi di delinquenti minorenni: delinquenti occasionali, delinquenti di pubertà e delinquenti per tendenza, questi ultimi suddivisi in quelli prevalentemente condizionati dalla disposizione e quelli prevalentemente condizionati dall'ambiente. Rispetto al primo tipo di delinquente il delitto si rivela come un semplice episodio, mentre rispetto agli altri tipi ha valore di sintomo di una tendenza più profonda alla delinquenza, quindi segno di una disposizione delinquenziale che non scompare con la maturazione della personalità oppure col cambiamento delle sue condizioni ambientali. Di fronte alla varietà e complessità dei fattori che concorrono alla formazione della personalità del minore delinquente o in pericolo di delinquere, si rivela la basilare importanza dell'esame scientifico del minore, ai fini di un'opportuna selezione dei soggetti nelle diverse categorie degli irregolari della condotta o del carattere, dei minorati fisici o psichici, degli irrequieti, dei delinquenti occasionali, recidivi o abituali, affinché più appropriato sia per ciascuna categoria il trattamento terapeutico, rieducativo o giudiziario. Il fine ultimo è il recupero dei soggetti suscettibili di rieducazione e di emenda. Donde l'opportunità di una impostazione organica dei servizî di diagnosi bio-psico-sociologica, che segua l'individuo dalla scuola alla maturità.
Sotto la spinta del progresso della criminologia e della scienza di diritto penale e nel fervore di studî e proposte tendenti ad una giustizia speciale per i minori, si determinò, verso la fine del secolo scorso, quel movimento di riforma legislativa a favore dei minori, che portò alla istituzione di giudici minorili (è del 1899 la costituzione della prima Juvenile Courtamericana a Chicago). In tutti i paesi civili si fece strada il principio basilare secondo cui il minore in stato di abbandono materiale o morale, di traviamento o di colpa per violazione della legge penale dovesse divenire oggetto di tutela e di protezione da parte dello Stato. Donde la necessità di una riforma legislativa a favore dei minori, che si venne difatti realizzando nei primi decennî del secolo in corso. I punti essenziali di tale riforma riguardano: il giudice, la sua competenza, la forma del giudizio, i provvedimenti da adottare, la necessità di trattare i minori delinquenti e traviati con il più idoneo trattamento di tutela e di rieducazione in luogo di provvedimenti repressivi e l'eventuale ulteriore attività oltre il giudizio. Il minore delinquente non deve più essere considerato un colpevole da punire, ma come un essere in evoluzione che si deve proteggere e rieducare. In ogni caso, si rende necessario per lui un trattamento giudiziario e penitenziario essenzialmente diverso da quello adottato per il delinquente adulto, siccome assolutamente diversa è la sua personalità fisiopsichica e, quindi, fondamentalmente differente è la sua criminalità rispetto a quella dell'adulto. Onde la necessità di un diritto speciale pei minori. In aderenza ai suesposti principî e sull'esempio della legislazione americana, inglese, francese, spagnola, tedesca e di altri paesi civili, anche l'Italia adottò il Tribunale per i minorenni con il r. decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito in legge 27 maggio 1935, n. 885. Spetta però all'Italia il merito di aver creato un sistema di norme organico e completo, in cui si riconosce che il problema della salvezza del fanciullo è unitario, e che perciò l'organo preposto alla trattazione degli affari che a quel problema ineriscono non può essere che unico, comunque le leggi tutelino il fanciullo: punendolo se colpevole, rieducandolo se traviato, difendendone il patrimonio se insidiato, integrandone la capacità se deficiente, assistendolo nella famiglia e sostituendo a questa, ove occorra, altri organi idonei a compierne la funzione morale, materiale ed economica.
Il decreto del 1934 modificato dal r. decr. legge 15 novembre 1938, n. 1802, e dalla legge 25 luglio 1956, n. 888 - si propone di raggiungere i seguenti scopi: a) specializzare il giudice minorile nella forma più completa e più ampia; b) indirizzare risolutamente la funzione punitiva verso la finalità del riadattamento sociale del minore; c) organizzare un sistema di prevenzione della delinquenza minorile con la rieducazione dei minori irregolari per condotta o per carattere; d) rendere possibile ai minori già delinquenti o irregolari il ritorno alla vita sociale senza che alcuno possa opporre ad essi la squalifica dei precedenti trascorsi. All'uopo, in ciascun distretto di Corte d'appello sono istituiti il Tribunale per i minorenni e la sezione di Corte d'appello per i minorenni, quali giudici specializzati di I e di II grado per la trattazione degli affari penali, civili ed amministrativi riguardanti i minori. Tali giudici sono caratterizzati dalla partecipazione al collegio giudicante di due componenti privati, un uomo e una donna (legge 27 dicembre 1956, n. 1441), benemeriti dell'assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia, ossia di quelle scienze che più direttamente ed efficacemente possono contribuire all'esame scientifico della personalità del minore ed all'indicazione dei rimedî più idonei al riadattamento sociale del minore stesso. In materia penale spetta al Tribunale per i minorenni la cognizione di tutti i reati commessi dai minori degli anni 18, qualunque sia la loro gravità. (Come è noto, il nostro codice penale fissa a 18 anni compiuti la piena imputabilità - art. 98 - ed a 14 anni non compiuti la non imputabilità - art. 97 - mentre per il minore che abbia compiuto i 14 anni ma non ancora i 18, la responsabilità penale può affermarsi solo se sia accertata da parte del giudice la capacità d'intendere e di volere: in caso affermativo, la pena è diminuita in considerazione della giovane età dell'imputato; in caso contrario, il minore sarà prosciolto dal reato, ma può o deve - secondo la gravità del reato - essere sottoposto ad una misura di sicurezza, ossia la libertà assistita o il riformatorio giudiziario).
Solo due limitazioni sono stabilite alla competenza del Tribunale per i minorenni. La prima si concreta nella condizione che nel procedimento non vi siano coimputati maggiorenni, perché, in tal caso, la cognizione del reato spetta al giudice ordinario, salvo al procuratore generale presso la Corte d'appello il potere di chiedere che a carico degli imputati maggiorenni si proceda separatamente, lasciando così al Tribunale per i minorenni il giudizio a carico dei minori. La seconda limitazione riguarda i reati di competenza del pretore, per i quali il procuratore della repubblica presso il Tribunale dei minorenni, in caso eccezionale, può, con provvedimento insindacabile, rimettere il procedimento al pretore.
Ad indirizzare la funzione punitiva del Tribunale per i minorenni verso la finalità del riadattamento sociale del minore, soccorre un gruppo di disposizioni della più alta importanza. Innanzi tutto, l'art. 11 del decreto 1934, in deroga all'art. 314, secondo comma, cod. proc. pen., prescrive che, nei procedimenti a carico dei minori, speciali ricerche devono essere rivolte ad accertare i precedenti personali e familiari dell'imputato, sotto l'aspetto fisico, psichico, morale ed ambientale, perché solo conoscendo pienamente il soggetto, al quale l'azione deve rivolgersi, è possibile adeguare i provvedimenti ai bisogni personali ed alle esigenze ambientali. A tale precipuo fine sono stati creati gli istituti di osservazione, destinati ad ospitare, in distinti padiglioni, i minori degli anni 18 abbandonati, fermati per motivi di pubblica sicurezza, in stato di carcerazione preventiva, o, comunque, in attesa di un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Al fine, poi, di apprestare al minore nel modo più sollecito ed efficace le misure adatte al suo ricupero sociale, è disposta una procedura speciale sia per la fase istruttoria, sia per la fase dibattimentale del procedimento penale davanti al Tribunale per i minorenni.
L'istruzione è eseguita sempre col rito sommario ed è compiuta dal procuratore della repubblica presso il Tribunale per i minorenni. Le udienze si svolgono sempre a porte chiuse, per evitare al minore gli effetti perniciosi della pubblicità, per sottrarlo all'umiliazione ed alla degradazione di un pubblico dibattimento e per dare al giudizio l'atmosfera di distensione e di familiarità che ben si addice alla natura dell'organo giudicante ed alla personalità del giudicabile.
Più direttamente convergono a creare possibilità di rieducazione dei minori attraverso la funzione giudiziaria taluni benefici particolari, quali il perdono giudiziale, la sospensione condizionale della pena, la liberazione condizionale, la riabilitazione speciale, nonché le misure di sicurezza proprie per i minori, quali appunto la libertà assistita ed il riformatorio giudiziario.
La competenza amministrativa del Tribunale per i minorenni comprende i provvedimenti relativi "ai minori irregolari per condotta o per carattere", concetto, questo, più ampio di quello "minori traviati", accolto dal decreto del 1934. La diversa dizione riflette una diversa impostazione tecnico-scientifica del problema dei minori, che, pur non avendo commesso dei reati, si rivelino disadattati alla vita sociale mediante prove manifeste d'irregolarità della condotta o del carattere, in aderenza al moderno indirizzo medico-psico-pedagogico, che addita le cause del disadattamento sociale non solo in quelle di ordine morale o sociale, ma altresì in quelle d'ordine bio-psichico. Il ragazzo irregolare è alle porte della delinquenza: intorno a lui si formano lentamente, si organizzano, ingigantiscono le condizioni favorevoli al delitto, onde si rende necessario provvedere alla sua rieducazione o alla sua cura, indirizzate a conseguire l'armonico sviluppo della personalità fisica, psichica e morale del minore ed a suscitare in lui il senso di responsabilità dei suoi atti e quello dei doveri verso la società. A tal fine è dato al Tribunale per i minorenni il potere di limitare i diritti che altri vantano sul minore, come, per esempio, quelli inerenti alla patria potestà, o di restringere addirittura i diritti fondamentali del minore stesso, quali quelli relativi alla libertà personale, mediante internamento del minore in una casa di rieducazione o in un altro istituto affine: istituto medico-psico-pedagogico, focolare di semi-libertà, pensionato giovanile, ecc.
Le misure di rieducazione sono applicate dal Tribunale per i minorenni con decreto motivato, dietro segnalazione del procuratore della repubblica presso il Tribunale per i minorenni o dell'Ufficio di Servizio sociale minorile o del genitore o del tutore o della polizia minorile o di qualche ente di assistenza e di protezione dell'infanzia e dell'adolescenza.
La cessazione delle misure di rieducazione può essere ordinata in ogni tempo dal Tribunale, allorché il minore appaia interamente riadattato o quando, per le sue condizioni fisiche o psichiche, nessuna misura possa considerarsi idonea alla sua rieducazione; la cessazione è in ogni caso ordinata al compimento del ventunesimo anno di età o per il servizio militare di leva.
Spetta, infine, ai Comitati di assistenza minorile, esistenti in ogni mandamento, il compito di agevolare il reinserimento del minore nella vita sociale ed in particolare di appoggiare il suo avviamento al lavoro. La competenza civile del Tribunale per i minorenni comprende i provvedimenti relativi alla tutela economica, fisica e morale dei minori, a norma dell'art. 32 decreto 1934, modificato dagli articoli 35 e segg. del r. decr. 30 marzo 1942, n. 318, contenente le disposizioni d'attuazione e transitorie del codice civile.
Il complesso degli istituti minorili sopra menzionati costituisce il Centro di rieducazione per i minorenni, esistente in ogni sede di Corte d'appello.
Bibl.: E. Huguenin, Les Tribunaux pour enfants, Parigi 1935; A. Franchini, La delinquenza minorile, Roma 1950; G. P. Carroll-Abbing, I Tribunali dei minori negli Stati Uniti d'America, ivi 1951; U. Radaelli, Delinquenza giovanile e prevenzione giudiziale, ivi 1953; O. Vergani, Ragazzi antisociali, Brescia 1953; F. Exner, Criminologia, trad. it. di V. Kalmar-Fischer, Milano 1953; V. Bersezio, Il problema della delinquenza minorile nella legislazione dei paesi civili ed in relazione all'Organizzazione delle Nazioni Unite, Torino 1954; F. Baviera, Diritto minorile, Milano 1957; G. Velotti, Tribunale pei minorenni, in Enciclopedia Forense, 1960.