MINTURNO (A. T., 24-25-26 bis)
Cittadina della provincia di Roma, che dista dalla capitale 154 km.; si stende sul declivio meridionale dei M. Aurunci, a 140 m. s. m.; il suo nome di Traetto (ad Traiectum, da un traghetto sul Garigliano) fu mutato nel 1879 in quello dell'antica Minturno (v. appresso), che era un po' più a S. Il territorio del comune (kmq. 42,07), ben coltivato, produce principalmente cereali, vino e olio.
Il comune, nel 1931, aveva 12.356 ab. (10.369 nel 1921), distribuiti nel centro capoluogo e in varie frazioni di cui la principale è Scauri, a poco più di 4 km. a O. di Minturno, già piccola stazione balneare, divenuta ora, per il notevole traffico del porto, una frazione di 1000 ab.
Topografia e monumenti dell'antica Minturnae. - La città si estendeva in massima parte sulla riva destra del fiume Liri, a 2 miglia circa dalla foce, e forse solo nel tempo della sua massima espansione, si poteva anche estendere con qualche quartiere suburbano lungo la riva sinistra. La Via Appia attraversandola da una parte all'altra, passando innanzi agli edifici e ai templi del Foro repubblicano e imperiale e valicando il fiume su un gran ponte (il pons Tirenus ricordato da Cicerone: ad Att., XVI, 13 a, I), ne costituiva l'arteria principale. Una via lungo la riva destra del fiume, fiancheggiata da tabernae, conduceva al porto fluviale, e, poco lontano dal porto, era il santuario principale della città e uno dei più importanti di tutta la regione aurunca, il tempio e il bosco sacro della dea Marica (gli umbrosae regna Maricae ricordati da Lucano), divinità italica alla quale dovevano essere sacre le acque del fiume e della palude. Restano tuttora nella località Le Grotte, gli avanzi del tempio; e scavi recenti (1926) hanno messo in luce la ricca stipe consistente soprattutto in terrecotte architettoniche e varie statuette votive di tipo arcaico, di arte italica, etrusca e greca. Non ancora esattamente determinato è tutto l'ampio circuito delle mura, ma della città romana sono tuttora visibili gl'imponenti avanzi: un acquedotto e il teatro di età augustea, un anfiteatro infossato nel terreno, ruderi grandiosi di altri pubblici edifici.
Iscrizioni e pezzi architettonici e decorativi vennero impiegati nella costruzione della grande torre di difesa sul Garigliano e un buon numero di statue, estratte dall'area del Foro negli scavi del conte Nugent (1817) e trasportate prima a Napoli e poi a Venezia, si trovano attualmente nel museo di Zagabria.
Nel 1931, promossi dall'Associazione degli studî mediterranei, vennero iniziati dall'università di Pennsylvania con l'assistenza della Soprintendenza di Napoli, scavi sistematici nel quartiere del Foro della città. Nelle prime due campagne (1931-1933), si è messa in luce gran parte del Foro repubblicano, con tre templi di età repubblicana e imperiale; l'orchestra e la scena del teatro, e, di particolare interesse, tratti della cinta murale poligonale di età preromana e un buon tratto del muro con torri della prima colonia romana.
Iscrizioni, sculture e marmi architettonici vengono conservati nell'antiquario locale.
Monumenti medievali e moderni. - Le più antiche vestigia della medievale Traetto sono forse quei capitelli e quei pilastrini del sec. IX che insieme con avanzi di amboni del '200 e con altri pilastretti cinquecenteschi compongono il pulpito della cattedrale dedicata a S. Pietro, ricostruita nel sec. XII, rimaneggiata e ampliata nel XVII. La colonna del cero pasquale, ornata come i parapetti degli amboni di finissimi mosaici, è del 1270. Nella cattedrale merita d'essere notata anche la cappella del SS. Sacramento costruita nel 1587 e decorata nel secolo successivo. Il castello, rifatto nel secolo XIV, ricorda nella mole poderosa il ricco maniero che fu della famiglia dell'Aquila prima, poi dei Carafa; mentre nella chiesa della SS. Annunziata dal bel portale quattrocentesco, restano cospicui frammenti d'affreschi del sec. XIV e XV nella vòlta absidale (il Redentore, gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa), nelle pareti (la Crocifissione, la Vergine col Bambino, Santi) e altri più rovinati, ma non meno interessanti, nella sagrestia (S. Cecilia, S. Rocco).
Un ricco portale marmoreo, del'500, si trova nella casa comunale e a pochi passi dal paese sorge una graziosa casina del secolo XV che probabilmente apparteneva agli stessi Carafa e serviva come luogo di liete adunate. Ma oltre che per i suoi monumenti, Minturno merita di essere ricordato per l'incantevole bellezza del luogo e per i pittoreschi costumi che le sue donne ancora indossano con grazia e con fierezza.
V. tavv. CV e CVI.
Storia. - L'antica Minturnae nel territorio degli Aurunci e quasi al confine del Latium novum con la Campania, lungo il percorso della Via Appia che l'attraversava al 97° miglio da Roma, fu, dopo la distruzione delle altre due città Vescia e Ausona, compiuta dai Romani nel 314 a. C., e in seguito all'installazione della prima colonia romana del 295 a. C., la città più importante dell'agro vescino e il più ricco centro commerciale e marittimo della regione di confine tra il Lazio e la Campania. Dopo la prima colonia del 295 a. C., una seconda immissione di coloni si ebbe nell'età di Cesare, e una terza, più ampia e con nova adsignatio agrorum, nell'età di Augusto, alla quale più particolarmente si riferisce il gromatico Igino. Menzionata più volte da annalisti e da storici dell'antichità, ricordata frequentemente da Cicerone nelle lettere ad Attico e ai familiari, quando era costretto ad attraversarne il territorio per recarsi alle sue ville predilette di Arpino e di Cuma, non presenta, dopo la conquista romana, avvenimenti di singolare rilievo, se si eccettua la drammatica fuga di C. Mario attraverso le paludi del litorale e gli acquitrini del fiume (a. 88 a. C.). La sua rapida decadenza nell'età imperiale, si dovette soprattutto alla malaria provocata dal ristagno delle acque contro la zona sabbiosa del litorale; e già Strabone accenna al suo depauperamento demografico e Ovidio (Metam., XV, 716) non tralascia di notare la grave pesantezza dell'aria (Minturnaeque graves). Ma la sua fortunata posizione di città di terraferma e di emporio marittimo e fluviale, ne assicurò l'esistenza fino ai più tardi tempi dell'impero e nel primo evo bizantino: cessò di vivere solo dopo quando, crollato il ponte sul fiume, interrotta e malsicura la grande arteria dell'Appia, scomparso o disusato il nome stesso della città, il sito non fu altro che il luogo di traghetto del fiume.
Devastata l'antica città e quasi distrutta nel 590 dai Longobardi, Gregorio Magno aggregò l'antico vescovato minturnese a quello di Formia, e i superstiti cittadini, forse anche per sfuggire l'aria malsana della piana del Garigliano, si ridussero su una vicina collina dove sorse la nuova città di Traetto, dal traghetto sul fiume che era ai piedi del colle, nel luogo dell'antico ponte della via Appia, caduto. Al tempo di Giovanni VIII il patrimonio di Traetto apparteneva alla Chiesa Romana, ma dopo la battaglia del Garigliano del 915 fu concesso a Giovanni ipato di Gaeta. Dopo i duchi di Gaeta, signoreggiarono Traetto i principi normanni di Capua, i conti dell'Aquila, i Caetani, i Colonna. Nel 1691, devoluto al fisco regio per la morte del principe di Stigliano, il ducato di Traetto fu comprato da Antonio Carafa.
Ai piedi della città nella pianura del Garigliano avvenne nel 1503 la famosa battaglia tra i Francesi e gli Spagnoli di Consalvo di Cordova; e il 29 ottobre 1860 il primo scontro tra le milizie italiane e borboniche.
Bibl.: A. De Sanctis, Minturno, in Le Vie d'Italia, settembre 1929; id., L'università baronale di Traetto (Minturno) alla fine del Seicento, Roma 1932; id., I comuni della provincia di Csaerta che hanno cambiato denominazione dopo il 1860, Roma 1924; G. Ciuffi, Memorie della città di Traetto, Napoli 1854; Th. Mommsen, in Corpus Inscr. Lat., X, p. 395; H. Nissen, Ital. Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 662; Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., XV, col. 1935; G. Q. Giglioli, Note archeologiche sul Latium Novum, in Ausonia, VI (1911), p. 39. - Per i recenti scavi, v. Bollettino dell'Associazione degli studi mediterranei, IV (1933), nn. 1-2, e I. Johnson, Excavations at Minturnae, II: Inscriptions, i, 1933.