MINUCCI, Minuccio
– Nacque il 17 genn. 1551 a Serravalle (oggi – unita con Ceneda – comune di Vittorio Veneto) da Girolamo e Franceschina Raccola. Si ha notizia di un fratello di nome Andrea.
Studiò dapprima con Giambattista Brancaccio, poi nell’accademia fondata a Sacile da Bernardino Partenio, infine con lo zio Andrea, che seguì a Zara nel 1567, allorché questi divenne arcivescovo della diocesi dalmata. Dopo gli studi di diritto a Padova, conclusi con il dottorato utriusque iuris, nel 1573 entrò al servizio del suo compatriota Bartolomeo Porcia, che in quell’anno fu inviato da Gregorio XIII nunzio nella Germania meridionale per sostenere la Riforma cattolica. Fu il giurista Giovanni Piazzoni, conterraneo del M., a raccomandarlo a Porcia: nel Carminum liber primus di Piazzoni, pubblicato a Ceneda nel 1600, nove componimenti sono dedicati a Porcia e cinque al Minucci. Negli anni seguenti il M. viaggiò al seguito del nunzio nei territori dell’Impero: nel 1576 prese parte alla Dieta di Ratisbona, nel 1577 fu a Colonia per seguire l’elezione dell’arcivescovo dopo che Salentino di Isenburg aveva rassegnato l’incarico, nel 1578 soggiornò presso la corte imperiale a Praga. Ebbe così modo di formarsi un quadro approfondito dei rapporti confessionali e politici all’interno dell’Impero e quando Porcia venne a morte improvvisamente nell’agosto 1578 il nuovo nunzio presso Rodolfo II, Orazio Malaspina, si adoperò per mantenerlo presso di lui come segretario. Il M. preferì però passare al servizio del vescovo di Trento, il cardinale Ludovico Madruzzo, che, in qualità di protettore della Nazione germanica e prefetto della Congregatio Germanica, in quegli anni aveva contribuito in maniera determinante a impostare la politica imperiale della Curia. Nel 1582 il M. lo accompagnò alla Dieta di Augusta. Negli anni successivi, tuttavia, operò anche come corrispondente del duca di Ferrara Alfonso II. Sono conservate sue lettere al duca dall’Impero (1583-87), da Madrid (1584), da Venezia (1586) e da Roma (1587-89). Anche il fratello del M., Andrea, militò nella diplomazia estense per un periodo più lungo.
Quando a Colonia l’imminente conversione al protestantesimo dell’arcivescovo Gebhard Truchsess von Waldburg fece paventare una grave crisi, Gregorio XIII, anche in considerazione dell’esperienza maturata nel soggiorno del 1577, decise di inviare il M. nella città renana per risolvere la delicata situazione e mantenere l’arcidiocesi nell’obbedienza alla Chiesa cattolica romana. Il M. lasciò Roma il 7 dic. 1582 e, al termine di un viaggio difficile e non privo di pericoli, dopo aver fatto tappa a Innsbruck, Coblenza e Treviri, arrivò a Colonia il 20 genn. 1583. Durante la sua permanenza, protrattasi fino al luglio 1583, assieme con i nunzi Giovanni Francesco Bonomi e Germanico Malaspina, giunti nell’aprile 1583, riuscì a imporre l’elezione di Ernesto di Baviera a nuovo arcivescovo, assicurandosi il favore del casato dei Wittelsbach, che non gli sarebbe più venuto meno. In segno di riconoscenza per il successo conseguito, gli furono assegnate le due prepositure di S. Maria ad Gradus e dei Ss. Apostoli a Colonia, alle quali si aggiunse un ricco beneficio bavarese, quando l’arcivescovo di Salisburgo Wolf Dietrich von Raitenau trasferì a lui la prepositura di S. Maria di Altötting (di patronato del duca Guglielmo V di Baviera), divenuta vacante dopo le dimissioni di Zbynko Berka.
Ernesto di Baviera, a seguito dell’acuirsi della crisi renana che si andava trasformando in conflitto armato, subito dopo la sua elezione (22 maggio 1583) nominò il M. consigliere e gli diede l’incarico di chiedere sostegno finanziario e militare a Roma e Madrid. Dopo avere ricevuto ulteriori istruzioni da Guglielmo V duca di Baviera nell’agosto a Monaco, il M. presentò con successo le richieste a Gregorio XIII in settembre e in novembre a Filippo II a Madrid. Accordando l’aiuto al principe elettore arcivescovo Ernesto, il quale oltre a Colonia possedeva il vescovato di Liegi, la Spagna confidava in ripercussioni positive per il conflitto nei Paesi Bassi. Nella primavera del 1584 il M. ritornò a Monaco, passando per Barcellona, Arles, Nizza, Genova e Tortona, dove si fermò alcuni giorni presso la regina Cristina di Danimarca, suocera del duca Guglielmo di Baviera. Nello stesso anno Guglielmo V lo nominò consigliere segreto, mentre il fratello del M., Andrea, divenne camerlengo del duca (fu poi inviato in missioni diplomatiche a Venezia e a Firenze). Dal 1584 al 1586 il M. risedette a Monaco. Il 4 nov. 1585 fu nominato da Sisto V protonotario apostolico.
Tra il 1585 e il 1592 stilò vari importanti memoriali sulla situazione confessionale nell’Impero. In particolare, per rafforzare il cattolicesimo in quell’area, consigliò di non ricorrere a mezzi autoritari, quanto piuttosto di procedere a un rinnovamento generale di tutti i settori della Chiesa cattolica in Germania conforme ai decreti tridentini, nonché alla conversione di principi dell’Impero passati al protestantesimo. Secondo il suo parere, il casato di Wittelsbach avrebbe dovuto svolgere un ruolo di particolare rilievo in questo ambito. Per i suoi contatti e per le esperienze personali in loco il M. era considerato allora tra i più competenti specialisti della Curia romana per la Germania («et si enim Germanus ille non est nativitate, Germanus tamen est animo, amicitia, convictu, praxi, usu rerum», così i duchi Guglielmo ed Ernesto di Baviera in una lettera a Clemente VIII il 7 sett. 1594, in Altan, p. 25).
Il 9 marzo 1587 fu ordinato sacerdote a Praga dal nunzio alla corte imperiale Filippo Sega. Fu quindi per un periodo a Roma; nell’estate del 1590 si recò a Monaco e a Colonia per alcune consultazioni su questioni di diritto imperiale e sulle misure da prendere per recuperare alla fede cattolica alcuni principi imperiali luterani. Nel 1591 Gregorio XIV lo nominò segretario della Congregatio Germanica, presieduta dal cardinale Madruzzo. Il 30 ottobre dello stesso anno Innocenzo IX lo chiamò, insieme con Gian Andrea Caligari e Giovanni Francesco Zagordi, a gestire la segreteria di Stato, da poco riformata, affidandogli la competenza per le questioni germaniche. Il nuovo pontefice Clemente VIII, lo confermò nella carica e nei primi anni del pontificato il M. poté ancora influenzare in buona misura la politica pontificia per la Germania e l’Europa orientale. In Curia faceva parte del partito dei cosiddetti navarristi, i quali si adoperavano per la revoca della scomunica di Enrico IV di Francia. Il 13 giugno 1594 nell’Accademia delle Notti vaticane che si teneva tutte le settimane nell’appartamento del cardinale Cinzio Aldobrandini, tenne una lezione sulla neutralità che suscitò il risentimento dei Veneziani e dell’imperatore Rodolfo II per le critiche che conteneva sulla politica turca della Serenissima e sull’impresa di Algeri di Carlo V (Roma, Istituto stor. Germanico, Codd. Min., 9, 263-278).
Nell’agosto 1594 mostrò segni di stanchezza. Il suo abbandono della segreteria di Stato sembrava allora già deciso, tanto che dopo un periodo caratterizzato da tensioni e da un forte carico di lavoro, nell’estate del 1595 si ritirò a Capranica per riposarsi. Gli venivano comunque spediti i dispacci da Roma. Dopo che già nel 1593 gli era stato assegnato un beneficio a Zara (l’abbazia di S. Crisogono), il 7 febbr. 1596 fu nominato arcivescovo della diocesi dalmata. Il 10 marzo, nella chiesa romana di S. Girolamo degli Illirici, il cardinale Sega lo consacrò vescovo e il 3 aprile il M. ricevette il pallio. Partito per la sede, transitò per Loreto e Ancona, dove fu costretto a trattenersi a lungo per una malattia, e vi giunse a metà settembre.
Gli esordi nella nuova carica avvenivano sotto auspici tutt’altro che favorevoli. La diocesi di Zara si trovava al margine dell’Europa cattolica, in una regione scossa da continue crisi; inoltre, a causa dell’occupazione turca di buona parte del territorio e per le conseguenze di una lunga siccità, le finanze del vescovato erano allo stremo. Sicché il M. dovette condurre una vita molto austera per un prelato dell’epoca, mentre lo svolgimento del suo ufficio era reso più difficile dal fatto che non padroneggiava la lingua illirica.
Si dedicò intensamente alla riforma della sua Chiesa, dove i costumi dei fedeli e del clero non si erano ancora adeguati, se non in minima misura, ai precetti del Tridentino. Visitò due volte la diocesi, dall’aprile 1597 all’agosto 1598 e nel 1599-1601, comportandosi con molta austerità: per non far pesare i costi della sua presenza alle parrocchie, consumava una sola volta al giorno un pasto frugale. Nel 1598 tenne un sinodo diocesano. Non effettuò personalmente le due visite ad limina durante il suo mandato, affidando il compito ai canonici Pietro Rodoteo, Giovanni Milasseo (1599) e Giovanni Blado (1601). Nelle sue relazioni sullo stato della diocesi, richiese alla Sede apostolica l’invio di sacerdoti con conoscenza della lingua illirica per l’evangelizzazione e suggerì anche metodi per la conversione dei maomettani. L’educazione religiosa dei giovani costituì uno dei suoi principali impegni, testimoniato dal suo carteggio con Antonio Possevino, che inviò all’arcivescovo le sue (e di Pietro Canisio) Instruttioni alla dottrina catolica et alla pietà e al quale il M. chiese 23 esemplari del suo Soldato cristiano. Per la precaria situazione finanziaria del vescovato, il M. non poté tuttavia realizzare il suo progetto di fondare un seminario in cui formare i giovani sacerdoti. Fu fermo nel difendere l’autonomia del proprio arcivescovato in occasione di un contenzioso con il patriarca di Venezia, che ebbe inizio con l’appello al patriarca del canonico zaratino Simone Begna, colpito dai provvedimenti disciplinari dell’arcivescovo. Nel battistero del duomo fece erigere due altari marmorei e un’iscrizione dedicata allo zio Andrea.
Da Zara continuò a mantenere i contatti con la Curia romana, soprattutto con il cardinale Aldobrandini, al quale inviava avvisi e memoriali. Tuttavia, una promozione al cardinalato, ripetutamente caldeggiata dai duchi di Baviera durante il pontificato di Clemente VIII, non si realizzò per la contrarietà degli esponenti del partito asburgico a Roma. Questi consideravano il M. un agente della casa Wittelsbach (in concorrenza con gli Asburgo per questioni ecclesiastiche nei territori dell’Impero) e non esitarono a insinuare che egli avesse parteggiato per la Serenissima, dopo essere intervenuto nel 1598, su incarico del pontefice, come mediatore tra Venezia e gli Asburgo per la risoluzione del conflitto degli Uscocchi.
Nel 1600, con il benestare del pontefice, il M. tornò per qualche mese nella natia Serravalle. Nello stesso anno Massimiliano I di Baviera gli chiese di accettare la nunziatura di Colonia e altrettanto fece nel 1602 Aldobrandini, ma entrambe le volte il M. rifiutò. Nel 1603, come incaricato della Curia, ma senza il titolo di nunzio, si recò a Monaco e poi a Colonia (inverno 1603-04), per conferire con il principe elettore Ernesto e il nunzio Coriolano Garzadoro su questioni di politica imperiale e sul conflitto nei Paesi Bassi e per esortare il principe a uno stile di vita più conforme a un alto prelato cattolico. Nel 1603 è testimoniato anche un soggiorno ad Altötting, dove intervenne nella riforma del clero locale e per incoraggiare la devozione popolare. Poco prima della partenza, il 27 marzo, presso il santuario di S. Augusta, patrona di Serravalle, aveva dettato il suo testamento, che integrò lo stesso giorno con un codicillo.
Il M. morì a Monaco il 7 marzo 1604. Fu sepolto nella cappella di S. Andrea della chiesa di S. Michele dei gesuiti, a cui era legato, come dimostrano gli sforzi compiuti per incorporare il convento di Ebersberg nel collegio della Societas di Monaco.
Lasciò numerosi scritti teologici e storico-politici, che testimoniano un’ampia formazione umanistica. Il primo testo dato alle stampe è l’agiografia De s. Augusta virgine martire Serravalli (in L. Surius - J. Mosander, De probatis sanctorum historiis, VII, Coloniae 1581, pp. 225 s.; Acta sanctorum, IX [= Martii III], pp. 686 s.). Altra opera dello stesso genere è la Storia del martirio della legione de’ Tebei e delle 11.000 vergini. Nell’ambito degli scritti teologico-filosofici vanno menzionati due dialoghi Della prudenza, un trattato Sopra l’umiltà e uno Intorno alle detrazione (cioè la calunnia) e qualche predica (per questi testi, manoscritti, cfr. I codici Minucciani dell’Istituto storico germanico. Inventario, cit., passim). La sua opera più famosa è la Historia degli Uscochi (Venezia 1602), che fu aggiornata da Paolo Sarpi al 1615 ed ebbe numerose ristampe e traduzioni in altre lingue. In tre brevi trattati latini, rimasti inediti e pubblicati solo nel XX secolo da A. Marani, dedicò la sua attenzione ad alcuni popoli che vivevano ai margini dell’Europa o addirittura in altri continenti, teorizzando, in concordanza con la politica internazionale di Gregorio XIII e Clemente VIII, il loro coinvolgimento nella scena politica contemporanea. Nel De novo orbe (a cura di A. Marani, Roma 1966), scritto nel 1595 a Capranica, il M. si applicò alla storia del Nuovo Mondo, soprattutto del Messico e del Perù. Egli aveva in mente un’ampia indipendenza come modello politico per questi paesi: gli Spagnoli non dovevano tiranneggiare questi popoli, bensì indirizzarli alla civiltà cristiana. Nel De Aethiopia, del 1598 (a cura di A. Marani, Roma 1968), trattò la storia dell’Abissinia, descrivendo i riti, usi e costumi dei cristiani del luogo e i loro contatti con Roma; il trattato aveva anche lo scopo di presentare gli Abissini come naturali alleati dell’Occidente nella difesa dai Turchi. Nel trattato sui Tartari del 1598 (A. Marani, Storia inedita dei Tartari …, in Il Mamiani, II [1967], pp. 1-32), il M. si rammarica invece della mancata cristianizzazione di questo popolo: così come gli Abissini, anche i Tartari avrebbero dovuto fare parte di un grande progetto di alleanze contro l’Impero turco. Già nel 1585, a Monaco, il M. aveva redatto uno studio in lingua italiana sui Tartari precopensi, che abitavano nella penisola di Crimea, e sul loro conflitto con i Turchi negli anni 1582-84, dedicandolo a Federico Contarini, procuratore di S. Marco a Venezia (A. Marani, Relazione inedita sui Tartari precopensi scritta nel 1585 da M. M., poi arcivescovo di Zara, in Il Mamiani, IV [1969], pp. 213-228). Per gli inediti è consultabile I codici Minucciani dell’Istituto storico germanico. Inventario, a cura di A. Koller - P.P. Piergentili - G. Venditti, Roma 2009 <http://www.dhi-roma.it/codici_minucciani.html>.
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A. Koller