Mirra
Personaggio della mitologia classica. Figlia di Cinira, re di Cipro, e di Cencreide.
M., innamoratasi follemente del padre, dopo aver inutilmente combattuto contro l'incestuosa passione tentando anche il suicidio, fu confortata dalla vecchia nutrice a ottenere con l'inganno l'amplesso paterno. Approfittando del fatto che per le feste di Cerere la madre si sarebbe astenuta dal letto coniugale per nove giorni, per mezzo della nutrice fece credere a Cinira che una bellissima giovane innamoratasi di lui fosse disposta a concederglisi, purché ciò avvenisse segretamente e senza essere da lui conosciuta. Cinira, riscaldato dal vino, accettò: e M., travestita e fingendosi altra fanciulla, giacque con lui (onde nacque poi Adone). Questo per alcune notti; infine Cinira, curioso di conoscere le fattezze dell'amante, scoprì la verità, e M. per sfuggire all'ira del padre deciso a ucciderla riparò in Arabia: dove gli dei, accogliendo la sua preghiera, la trasformarono nella pianta omonima stillante gocce di resina, le lacrime appunto di M. (la mirra - divenuta nel linguaggio liturgico esempio canonico di cosa preziosa essendo tra i doni recati a Gesù dai Magi: cfr. Matt. 2, 11 - veniva mescolata al vino o adoperata per usi medicinali o anche bruciata come odorifero: come sorta d'incenso è ricordata in If XXIV 111).
D. conobbe il mito soprattutto dalle Metamorfosi ovidiane (X 298-502); ed è notevole che accolga questo, come altri miti analoghi, senza soffermarsi su presunte significanze allegoriche (invece particolarmente care a chiosatori e mitografi: ad esempio, Fulgenzio spiega che l'albero mirra ama il sole padre di tutte le cose, ecc.), e li reciti anzi come fatti storici, quasi il racconto ovidiano fosse narrazione poetica di fatti realmente accaduti, cui solo mancava la vera interpretazione in senso cristiano, come per le leggende dell'antica Roma narrate da Livio (cfr. appunto Mn II IV e passim).
Le cosiddette Chiose selmiane all'Inferno affermano, trattando della metamorfosi di M.: " E anche nota che questa fu permissione di Dio, in però che volse che in perpetuo fosse memoria di sì grande scelleraggine e laida e disonesta lussuria, sì come essere inamorata figliuola di padre, e per che. E però tu lettore che leggi non ti paia questa opera incredibile, né non te ne maravigliare, in però che si legge. Di vero si truova che, quando Iddio padre vuole e permette, esso ha fatto e fa di sì grandi cose come sieno queste, e mostrossi quando, lo comandamento disubidito, que' due che si volsero indietro, quando uscirono di Soddoma e Gomora, diventaro due statue o di sale o di marmo, e anche si dice che vi sono ".
Nell'Inferno (XXX 38) M., bollata - unica fra tutti i dannati - dall'aggettivo scellerata (cfr. Met. X 314-315) a sottolineare la sua violazione delle leggi umane e divine poiché volle essere al padre, fuor del dritto amore, amica, è punita non tra i lussuriosi - come pure ci si sarebbe attesi; ma cfr. vv. 311-312 " Ipse negat nocuisse tibi sua tela Cupido, / Myrrha, facesque suas a crimine vindicat isto " - bensì tra i falsificatori della persona in quanto trasse fraudolentemente in inganno il padre falsificando sé in altrui forma: quasi la fantasia del poeta fosse rimasta colpita più da questa colpa che dalla tragica passione di M. (la quale, d'altra parte, non è tra i traditori in Cocito in quanto il suo propriamente fu inganno, non tradimento). Come Gianni Schicchi, altro falsificatore della persona, M. è dannata a correre per la decima bolgia dell'ottavo cerchio, di quel modo / che 'l porco quando del porcil si schiude, addentando rabbiosamente gli altri dannati (la descrizione della ferina rabbia di quelle due ombre smorte e nude è introdotta da esempi di furiosa follia tratti anch'essi dalle Metamorfosi ovidiane). In Ep VII 24, nell'additare a Enrico VII Firenze come la causa della ribellione e di ogni male, D. denuncia la propria città come una nuova M.: haec Myrrha scelestis et impia in Cinyrae patris amplexus exaestuans: dove l'accento batte sulla scellerataggine ed empietà (cfr. Met. X 366) dell'incesto desiderato con rabbiosa follia, ma in primo piano è pur sempre l'inganno fraudolentemente perpetrato ai danni del padre (anche se qui il contesto lascia intravvedere l'estensione dall'inganno al vero e proprio tradimento).