MISCELAZIONE
Premessa. - Nell'ambito dei processi industriali e delle applicazioni tecniche si intende per m. l'operazione tramite cui si vuole ridurre al minimo le disuniformità delle variabili di stato (composizione, temperatura, stato di sollecitazione) e delle proprietà chimico-fisiche dei materiali che da queste variabili dipendono. Ciò a prescindere dallo stato di aggregazione e dalle fasi presenti in sede di m. e indipendentemente dal risultato finale, cui potrà corrispondere un sistema omogeneo oppure eterogeneo, in altre parole una soluzione o un miscuglio. I sistemi fisici sui quali si opera sono costituiti da due o più ingredienti (composti chimici o altro) non legati fra loro da alcun rapporto ponderale fisso che, per quanto possano essere intimamente miscelati, conservano la loro individualità. Le miscele, e cioè il risultato finale delle operazioni di m., corrispondono a sistemi distribuiti o dispersi in modo stocastico casuale. Ciò è comprensibile se si pensa a miscele di particelle solide (per es., granelli o ''chips'' di materie plastiche diversamente colorate prima dello stampaggio), per il numero e le dimensioni finite degli ingredienti elementari; lo è al limite per soluzioni di liquidi a bassa viscosità in cui gli individui finiscono per essere le molecole dei componenti. Nelle operazioni di m. gli ingredienti occupano inizialmente ciascuno un certo volume, sono cioè completamente segregati.
La m. si attua tramite il movimento dei materiali in modo che le singole masse vengano frazionate e messe a contatto fra loro così da rendere efficaci i tre meccanismi elementari di m.: diffusione molecolare, diffusione turbolenta, movimento di materia (v. anche trasporto, Fenomeni di, in questa Appendice). Tutti e tre i meccanismi giocano un ruolo (più o meno importante, a seconda delle situazioni) nella m. dei sistemi fluidi. Invece, nel caso di m. di solidi asciutti in forma granulare l'unico meccanismo agente è legato al movimento impresso alle particelle; così anche nel caso di m. di sostanze pigmentanti molto fini sospese in matrici di resine molto viscose (come accade nella preparazione di certi tipi di vernici) l'unico meccanismo attivo è quello connesso al movimento conferito al sistema in quanto la viscosità è tale da rendere inefficaci gli altri due meccanismi (diffusione molecolare e turbolenta). La m. si realizza mediante deformazioni, ottenute tramite sforzi tangenziali, della forma delle masse degli ingredienti, creando striature a lamelle di un costituente entro l'altro, aumentando la superficie interfacciale e riducendo così progressivamente le dimensioni delle zone occupate solamente da uno dei componenti. La frammentazione e la commistura ripetuta dei volumi occupati dai componenti tende a produrre una miscela omogenea almeno dal punto di vista macroscopico.
Uno dei principali problemi delle operazioni di m. è la definizione operativa della qualità della m. stessa. P. V. Danckwerts ha proposto due criteri, sostanzialmente diversi, per la valutazione delle miscele: la scala di segregazione e l'intensità di segregazione.
La scala di segregazione è una misura delle dimensioni medie delle porzioni dei componenti della miscela che non hanno subito sensibili processi di dispersione, e può essere definita in termini di distanza media fra centri che presentano la massima differenza di proprietà. Nel meccanismo di m. turbolento questa scala è legata alla scala dei vortici e si riduce progressivamente per il fenomeno di rottura dei vortici stessi. Nel caso delle emulsioni fra liquidi immiscibili, la scala di segregazione è legata alla distanza media fra le gocce della fase dispersa. Per contro, l'intensità di segregazione è una misura delle differenze (come varianza) nei valori di una qualche grandezza (per es. la composizione) esistenti all'interno di una miscela. È bene sottolineare, però, che i due criteri sono legati alla scelta delle proprietà misurate e alle caratteristiche degli strumenti di misura adottati. Questa arbitrarietà nella definizione della qualità della m. è presente anche nella definizione del parametro tipico che si utilizza, in sede di progettazione o di esercizio, per le apparecchiature destinate a effettuare la m., e cioè il tempo di miscelazione.
In definitiva, la qualità della m. va riguardata principalmente in relazione ai miglioramenti (in termini di resa di reazione, di velocità di trasferimento di materia e/o di energia, di distribuzione di peso molecolare di un prodotto polimerico, ecc.) conseguiti, tramite la m. stessa, nelle operazioni (reazioni, frazionamenti di specie chimiche, ecc.) che la seguono o accompagnano.
Processi di miscelazione. - Vengono classificati in relazione allo stato di aggregazione. I processi di m. di sistemi gas-gas (o gas-vapore) vengono realizzati ai fini della preparazione di miscele gassose destinate a reagire sia in fase omogenea (per es. fiamme premiscelate), sia in fase eterogenea (per es. reazioni catalitiche gas-solido). Rientrano in questa classe anche le miscele gas-vapore, sature o surriscaldate, ottenute per vaporizzazione di liquidi volatili in corrente di gas. Anche i processi di condizionamento dell'aria realizzano m. analoghe. I processi di m. di sistemi gas-liquido vengono utilizzati allo scopo di preparare soluzioni di reagenti (reattori gas-liquido) e per realizzare contatti estesi fra le due fasi e favorire così i processi di scambio di materia. I sistemi gas-solido costituiti da fasi solide e gassose intimamente disperse (strutture porose, polimeri espansi, ecc.), pur rivestendo una notevole importanza industriale non vengono ottenuti coi processi definibili di m., ma generando o creando spazio per la fase gassosa entro l'altra fase. Si fa qui riferimento, invece, ai sistemi in cui la fase solida è in forma di particelle e la fase gassosa è in movimento: si parla allora di letti fluidizzati e di letti trascinati che vengono utilizzati per realizzare molteplici processi (reazioni fra gas e solido, essiccamento e calcinazione di sali e di ossidi minerali, classificazione di solidi per elutriazione, trasporto pneumatico di solidi, ecc.).
I processi di m. di sistemi liquido-liquido sono fra i più importanti e fra i meglio studiati dell'industria chimica. La gamma di situazioni possibili è estremamente ampia: basti pensare che la m. in fase liquida può riguardare anche miscele di soluzioni polimeriche estremamente viscose, e spesso non-newtoniane, e l'agitazione di biomasse in processi fermentativi in cui occorra introdurre anche ossigeno e limitare le velocità degli organi agitanti, per evitare che sforzi di taglio eccessivamente elevati possano danneggiare le colture microbiche. Se le fasi liquide sono due, immiscibili o solo parzialmente miscibili, il processo di m. consiste nel produrre l'emulsione e nel fissarne la scala di segregazione. In qualche caso si possono avere sistemi complessi, o emulsioni multiple, in cui la fase dispersa costituisce a sua volta il mezzo disperdente per goccioline molto più piccole che appartengono alla fase macroscopicamente continua (il burro, per es., è un'emulsione multipla di grassi in soluzione acquosa). Spesso le emulsioni sono stabilizzate da un terzo componente (agente emulsionante), avente caratteristiche liofobe o liofile, o ancora da polveri finissime di sali minerali che si distribuiscono sulla superficie comune fra le due fasi e, macroscopicamente, hanno l'effetto di modificare la tensione interfacciale. Per la formazione di microemulsioni v. micelle e microemulsioni in questa Appendice. I processi di m. di sistemi liquido-solido vengono utilizzati per la dissoluzione, parziale o totale, di un solido (sali minerali, metalli, ecc.) in un liquido, per l'estrazione di componenti in fase solida da parte di liquidi solventi, per la flottazione di solidi, per la preparazione di sospensioni colloidali, per la formazione di miscele fra liquidi altamente viscosi e solidi in polvere, ecc. Anche i processi di m. di sistemi solido-solido possono rivestire una certa importanza in vari settori produttivi (industria alimentare, vetraria, dei coloranti, degli esplosivi, ecc.); la complessità della meccanica del moto di sistemi di particelle, combinata con la difficoltà nel conoscere esattamente le caratteristiche (coesione, sfaldabilità e friabilità, grado di umidità, ecc.) dei solidi manipolati obbligano spesso a ricorrere all'esperienza diretta per risolvere problemi di progetto e conduzione inerenti la m. di tali sistemi. Nella tabella sono riportati i principali tipi di apparecchiature usate per la m. dei sistemi sopramenzionati.
Teoria della miscelazione. - Quasi tutte le apparecchiature utilizzate a scopi di m. rientrano, dal punto di vista geometrico, nelle classi dei tubi e dei recipienti.
Nel caso dei tubi la turbolenza ha origine dal trasporto di quantità di moto trasversalmente al tubo stesso, imposto dall'adesione del fluido alle pareti di quest'ultimo: nella zona centrale del tubo, peraltro assai estesa se il numero di Reynolds è sufficientemente elevato, si sviluppano condizioni di turbolenza piena, con formazione e frammentazione degli aggregati di fluido. Macroscopicamente è definibile un coefficiente di dispersione radiale turbolento analogo e dello stesso ordine di grandezza della viscosità cinematica turbolenta, e quindi stimabile in base a relazioni ben note della fluidodinamica del regime turbolento. Questo coefficiente è peraltro significativo per i processi di m. che hanno luogo su una scala più grande della microscala della turbolenza, e quindi i tempi o le lunghezze di m. calcolati in base a esso risultano inferiori a quelli necessari per assicurare un buon mescolamento, soprattutto se il meccanismo diffusivo molecolare è lento (numero di Schmidt ≫1, come si ha solitamente in fase liquida).
Nel caso dei recipienti, ed è il caso più comune, l'operazione di m. viene realizzata entro recipienti appositamente costruiti, e il modo di generare e sfruttare la turbolenza si modifica alquanto. Per i liquidi a bassa viscosità si utilizzano molto spesso agitatori del tipo a palette o del tipo a elica marina, calettati su alberi rotanti azionati da motori, di solito in posizione centrale sull'asse del recipiente. A velocità di rotazione sufficientemente elevate, l'effetto dell'agitazione è quello di creare brusche discontinuità di velocità in seno al liquido e di esercitare su di esso delle spinte che lo mettono in moto; in altre parole si producono fluttuazioni turbolente di piccola scala e si induce un movimento alla scala dell'apparato.
Il modo di ripartirsi fra i due effetti citati della potenza erogata dal motore dipende primariamente dalla geometria dell'agitatore stesso (tipo: a disco, a elica, a pale; forma, dimensione e numero delle palette, o inclinazione dell'elica, ecc.) e dalla velocità di rotazione dell'albero. L'esperienza mostra che per numeri di Reynolds sufficientemente alti (ReD>300) il numero di potenza, analogo strutturalmente al fattore di attrito nelle condotte, è costante rispetto al numero di Reynolds e dipende solo dalla geometria dell'apparato, cioè dai rapporti fra le sue dimensioni lineari caratteristiche. Questo significa che in condizioni di similitudine geometrica la potenza dissipata è legata al diametro D dell'agitatore e al numero di giri N tramite la relazione:
P'∝ϱN3D5
dove ϱ è la densità del liquido; la costante di proporzionalità, omessa, è di un ordine di grandezza da 1 a 10. La potenza viene fornita al liquido immediatamente attorno all'agitatore, che occupa pertanto un volume il cui ordine di grandezza è D3. Da ciò segue che la potenza dissipata per unità di massa PM è proporzionale a N3D2.
D'altra parte la scala dei vortici creati dall'agitatore, ai quali viene ceduta gran parte dell'energia, è ancora dello stesso ordine di grandezza del diametro dell'agitatore stesso. Come conseguenza, dalla teoria fenomenologica della turbolenza isotropica di A. N. Kolmogoroff, si deduce che, in ordine di grandezza, le fluttuazioni turbolente medie di velocità v′ in vicinanza dell'agitatore sono proporzionali al prodotto ND, cioè che la velocità media è circa dello stesso ordine di grandezza della velocità periferica dell'agitatore.
In effetti, nelle immediate vicinanze dell'agitatore l'intensità della turbolenza è molto più elevata di quanto non lo sia per moti entro condotti; essa, tuttavia, diminuisce molto rapidamente man mano che ci si allontana dall'agitatore. Conseguentemente, a distanza dall'agitatore si sentono solo gli effetti del liquido messo in moto dalle pale. È definibile una portata volumetrica Q del liquido che lascia la zona dell'agitatore e l'esperienza mostra che essa è proporzionale a ND3, dove, anche in questo caso, la costante sottintesa dipende dalla geometria dell'agitatore e presenta valori dell'ordine di 0,5.
Da quanto sopra riportato, risulta allora che il rapporto fra la portata di fluido e il quadrato della fluttuazione media di velocità (Q/v′2) è proporzionale a D/N.
Questa relazione rende conto dei due effetti dell'agitazione, pompaggio di fluido e creazione di turbolenza, e fornisce un criterio per la scelta delle dimensioni dell'agitatore e del numero di giri cui assoggettarlo. Infatti, assegnato il recipiente e la potenza da installarvi e definito il fluido, o i fluidi, da miscelare, resta ancora libera la scelta fra un numero elevato di giri con un agitatore di piccolo diametro o viceversa. Questa scelta, come si è visto, porta come conseguenza a un modo ben definito di utilizzare la potenza.
Così, nel caso in cui è necessario miscelare alla microscala, o favorire i processi con una fase dispersa in gocce, o anche formare la fase dispersa stessa, è preferibile ricorrere a piccoli agitatori ruotanti a grande velocità che tendono prevalentemente a creare turbolenza. Al contrario, quando le esigenze sulla scala della m. sono meno severe, ma è necessario far circolare ampiamente il liquido contenuto nel recipiente per assicurare l'uniformità delle proprietà, è meglio utilizzare agitatori di diametro elevato che ruotano a un numero di giri sufficientemente basso.
Vi è da dire, a questo proposito, che il movimento su larga scala, prodotto dall'effetto di pompaggio dell'agitatore, è spesso quello determinante per la m.; in altri termini, la m. è perfetta nella zona dove la turbolenza è elevata, ma alla scala del recipiente essa dipende dalla velocità di circolazione del liquido nel recipiente stesso; i tempi Θ di m. sono allora proporzionali al rapporto fra il volume del recipiente e la portata di circolazione (Θ∝T2H/Q, cioè Θ∝T2H/ND3, dove T è il diametro del recipiente e H la sua altezza). Per sistemi simili dal punto di vista geometrico, da tale relazione si ricava: NΘ=cost, che è stata anche confermata, con buona approssimazione, dall'esperienza.
Un ulteriore elemento di selezione è fornito dal tipo specifico di agitatore e dalla presenza, o meno, di frangiflutti all'interno del recipiente destinato alla miscelazione. In effetti si distingue fra agitatori o turbine a flusso assiale (propeller o elica marina) e a flusso radiale (agitatore a palette) con riferimento alla direzione prevalente in cui viene spinto il liquido messo in moto. L'accoppiamento delle caratteristiche direzionali dell'agitatore con la presenza dei frangiflutti (o rompivortice) determina grosso modo il regime di moto e le linee di flusso prevalenti nel miscelatore, con la presenza di campi radiali o rotazionali verticali o compartimentati in zone; cosa che, a parte l'effetto diretto sulla m., ha notevole influenza sulla distribuzione dei tempi di permanenza e quindi sulla funzionalità del miscelatore nel caso di impianti continui. In linea affatto generale si può dire che le turbine radiali, dividendo il campo di moto in due zone, sopra e sotto l'agitatore, non sono soggette a bypass (scambi) importanti e quindi sono preferibili per la m. continua; per lo stesso motivo, e per l'intensità della turbolenza, è utile introdurre i frangiflutti che rompono il vortice gravitazionale che tende a instaurarsi attorno all'asse dell'elica; solo nel caso in cui si voglia risucchiare aria o polveri dalla superficie del liquido, il vortice può essere lasciato libero di svilupparsi.
Infine, un altro modo di ricorrere alla turbolenza per realizzare la m. è quello di valersi di un getto sommerso. La sua azione è triplice: raccoglie e convoglia fluido dall'ambiente e lo unisce, mescolandolo, a quello che fuoriesce dall'ugello, genera turbolenza e conseguente diffusione all'interno del getto, sviluppa un'azione di ricircolazione generale del fluido presente nell'ambiente in cui il getto è inserito. La turbolenza è generata dal gradiente di velocità che esiste tra il fluido che corre nel getto stesso e quello in quiete dell'ambiente che ne viene investito; il flusso di quantità di moto che si stabilisce fra le due regioni è responsabile dell'azione di convogliamento e trascinamento all'interno del getto del fluido esterno, azione tanto più intensa quanto più elevata è la portata uscente dall'ugello. La circolazione su grande scala indotta dal getto è responsabile della m. all'interno del recipiente, anche se la scala della m. è in genere abbastanza grossolana: infatti i processi di piccola scala sono limitati al volume occupato dal getto, mentre quelli di grande scala coinvolgono tutto il recipiente. Le caratteristiche descritte rendono vantaggioso questo tipo di m. in casi particolari, quali quelli di aggiunta di additivi a miscele stoccate in serbatoio; un caso tipico è l'addizione di antidetonanti a benzine.
Quando il sistema da miscelare presenta una bassa viscosità è agevole e poco costoso generare al suo interno la turbolenza per ottenere il risultato voluto, come è stato illustrato fin qui. Esistono peraltro processi industrialmente importanti in cui il livello di viscosità è talmente elevato da rendere praticamente impossibile il ricorso alla turbolenza. L'unico sistema possibile di m. è allora quello di suddividere ripetutamente la massa da miscelare, attivando moti relativi di alcune parti rispetto alle altre, e di aumentare progressivamente la superficie che contorna le zone con caratteristiche omogenee; il risultato finale sarà la diminuzione della scala, anche se non dell'intensità, di segregazione. Questo tipo di risultato non può ragionevolmente essere ottenuto con gli agitatori prima considerati. Ciò in quanto le loro dimensioni sono piccole rispetto alle dimensioni del recipiente che li contiene (la dimensione standard del diametro di un agitatore a palette è 1/4 del diametro del recipiente). Data l'alta viscosità del sistema, il movimento resterebbe circoscritto alla zona dell'agitatore, mentre la restante parte della miscela, al di fuori del raggio di influenza dell'agitatore, rimarrebbe praticamente ferma.
Occorre quindi cambiare la geometria dell'agitatore date le particolari esigenze: il fluido dev'essere possibilmente tutto in movimento, con riduzioni al minimo delle zone morte, in modo da mettere a contatto porzioni di fluido con caratteristiche diverse. Gli agitatori, perciò, devono essere grandi e riempire con la loro struttura quasi tutto il recipiente; i vari elementi che li costituiscono devono inoltre indurre un moto d'assieme del fluido sufficientemente intenso e accompagnato da moti secondari che si sovrappongono al primo e aumentano la m.; gli agitatori in questi casi sono del tipo ad ancora, a palette multiple calettate sull'albero a diverse altezze ed estese per buona parte del recipiente (intervallate da pale fisse eventualmente saldate al recipiente), a nastro elicoidale semplice o doppio, a vite elicoidale eventualmente intubata.
Per i livelli di viscosità più elevati (per es. polimeri allo stato fuso) si utilizzano estrusori a vite elicoidale o impastatrici a due alberi sagomati a forma di sigma. In questi casi, ancor più che in quelli prima considerati, la m. è effettuata per deformazione estesa delle masse di fluido, sia in superficie che in volume, operata dagli organi meccanici.
Il tempo di m., che per sistemi molto viscosi è sempre significativo di una macromiscelazione, è legato, grosso modo, al numero di ricircolazioni effettuate dal fluido all'interno del volume del miscelatore. Ciò porta come conseguenza, anche in questo caso, una relazione del tipo di quella già vista a proposito di sistemi simili dal punto di vista geometrico (NΘ=cost).
Da questo punto di vista appare comprensibile come i miscelatori più efficaci siano quelli in grado di far compiere più rapidamente al fluido la circolazione completa del recipiente. Gli agitatori che generano un moto prevalentemente rotazionale o tangenziale, ad ancora o a palette, sono meno efficaci di quelli a nastro elicoidale; fra questi ultimi, quelli che presentano due serie di eliche, una in prossimità della parete e l'altra calettata sull'albero, offrono i tempi di m. minori. Se la relazione che fornisce il tempo di m. è formalmente la stessa che vale per gli agitatori operanti in regime turbolento, nonostante il diverso meccanismo elementare di m., la valutazione della potenza necessaria richiede considerazioni diverse. Tenendo conto del livello di viscosità, i numeri di Reynolds ragionevolmente ottenibili sono relativamente piccoli (ReD〈100) e il regime fluidodinamico nel recipiente è di tipo viscoso. In queste condizioni esiste una proporzionalità inversa fra il numero di potenza e il numero di Reynolds, la cui costante viene a dipendere dalla geometria dell'agitatore; si ottiene: P'ηN2D3, dove η è la viscosità.
Come si vede, la potenza viene dissipata direttamente per azione della viscosità come risultato di tutte le azioni di resistenza esercitate dal fluido sulle parti in movimento dell'agitatore. Deve anche essere tenuto presente che molti fluidi industriali a elevata viscosità, come le soluzioni concentrate di polimeri o i polimeri allo stato fuso, hanno un comportamento reologico non-newtoniano. In questi casi si modifica strutturalmente il legame esistente fra gli sforzi tangenziali applicati al fluido e la velocità con cui il fluido stesso si deforma; se il fluido ha un comportamento viscoelastico, la scelta della velocità di agitazione deve essere effettuata anche sulla base dei tempi di rilassamento caratteristici del fluido, altrimenti si corre il rischio di non riuscire a miscelare affatto.
Bibl.: Z. Sterbacek, P. Taušk, Mixing in the chemical industry, Oxford 1965; V. W. Uhl, J. B. Gray, Mixing, Theory and practice I e II, New York 1967; J. Y. Oldshue, Fluid mixing technology, New York 1983; M. Zlokarnik, H. Judat, Stirring, in Ullmann's Encyclopedia of Industrial Chemistry, Vol. B2, Weinheim 1988; D. B. Todd, Mixing of highly viscous media, ibid.