Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’XI e XII secolo si assiste a un considerevole incremento quantitativo della letteratura di contenuto teologico dovuto sia al movimento di riforma che anima il mondo monastico sia alla nascita delle scuole cittadine, e poi delle università, dove si elaborano nuove metodologie di insegnamento e di esegesi del testo religioso. Ciò determina la produzione, da un lato, di letteratura polemica e ascetica e, dall’altro lato, di trattati filosofici ed esegetici: una messe di testi che testimonia l’acutizzarsi della tensione fra fede e ragione.
Pier Damiani
Come la santa semplicità sia da preferire alla scienza che gonfia
De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda
Eccoti, fratello: tu vuoi imparar la grammatica? Impara a declinare Dio al plurale. Poiché questo scaltrito maestro [il diavolo], nel momento stesso che getta le basi della nuova arte del disobbedire, introduce altresì nel mondo un’inaudita regola di declinazione, insegnando a onorar molti dei.
[…]
Dio onnipotente non ha bisogno della nostra grammatica per trascinar gli uomini dietro di sé, se è vero che perfino all’inizio dell’umana redenzione, quando pareva più necessario allo scopo di diffondere la semenza della nuova fede, non mandò né filosofi né oratori, ma anzi degli uomini semplici e rozzi pescatori.
P. Damiani, De divina omnipotentia e altri opuscoli, a cura di P. Brezzi, trad. it. di B. Nardi, Firenze, Vallecchi, 1943
Lotario di Segni
La condotta dell’uomo è, essenzialmente, esecrabile
Il disprezzo del mondo
L’uomo è nato per la pena, il timore e il dolore e, ciò che è più miserevole, per la morte. Commette azioni malvagie con le quali offende Dio, il prossimo e se stesso. Commette azioni vergognose con le quali insozza il suo nome, la sua persona e la sua coscienza. Commette azioni vane per cui trascura ciò che è serio, utile e necessario. Diventerà nutrimento del fuoco che sempre arde e brucerà senza mai estinguersi; alimento del verme che sempre rode e divora senza fine; ammasso di putredine che sempre puzza e che orrendamente è sozza.
Lotario di Segni, Il disprezzo del mondo, a cura di R. D’Antiga, Parma, Pratiche Editrice, 1994
Per i pensatori dell’alto Medioevo il termine theologia è sinonimo di speculazione, nel senso di contemplazione, di theoria. Nell’XI e XII secolo il concetto di teologia si trasforma grazie all’applicazione della grammatica e della dialettica alla dottrina cristiana. Si avvia, così, quel processo che porta a considerare la teologia come un’attività intellettuale di carattere razionale, cioè una vera e propria scienza, e che costituisce il momento più importante della teologia del XII secolo.
Nell’XI secolo si apre un ampio dibattito tra i chierici e i monaci riguardo all’impiego, nella trattazione di questioni attinenti alla fede, della logica studiata nelle scuole sotto il nome di dialettica (ars dialectica). Tale disputa solitamente viene riassunta nel contrasto fra dialettici e antidialettici, ma è evidente che le tensioni intellettuali e religiose dell’XI secolo non si esauriscono in questa semplicistica contrapposizione e che l’intreccio di temi e la vivacità delle posizioni è di gran lunga più ricco. Fra gli antidialettici, Otloh di Sankt-Emmeram e Manegoldo di Lautenbach esprimono una forte diffidenza verso tutto ciò che non è pura teologia e insistono sull’impossibilità di sottomettere la fede alle regole della dialettica. Il più strenuo difensore della teologia è Pier Damiani, che rifiuta di accordare alcuna utilità alla cultura profana in quanto strumento del potere mondano, ma che, tuttavia, è un attento conoscitore delle arti liberali (artes liberales), preoccupato, al fine di combattere l’ignoranza dei suoi monaci, di arricchire la biblioteca del convento con testi non soltanto religiosi. Damiani scrive molti opuscoli polemici, spesso sotto forma di lettere indirizzate ai monaci o ai rappresentanti del clero, caratterizzati da uno stile conciso e da un linguaggio incisivo e drastico, come il De vera felicitate et sapientia o il De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda, dove circoscrive l’utilità della cultura letteraria e definisce la dialettica come un’invenzione del diavolo. Il rappresentante principale dei dialettici è Berengario di Tours che considera la dialettica il mezzo per scoprire la verità e, come si legge nel De sacra cena, lo strumento con cui far ricorso alla ragione, cioè alla facoltà secondo la quale l’uomo “è fatto ad immagine di Dio”. Non ricorrervi, dunque, significherebbe non rinnovarsi e non riconoscersi di giorno in giorno come una sembianza di Dio.
Nella convinzione che non ci sia opposizione fra ragione e fede, Anselmo d’Aosta elabora una rigorosa dottrina dell’intelligenza della fede (ratio fidei) chiarendo i contenuti della fede con l’uso della sola ragione (sola ratione).
L’innovazione rappresentata da questo nuovo metodo si esprime anche nello stile usato da Anselmo nelle sue due opere principali, il Monologion e il Proslogion, dove preferisce l’uso della paratassi, cioè l’impiego della congiunzione coordinativa, alla ipotassi, una costruzione caratterizzata da proposizioni subordinate. Egli si propone, infatti, di “dimostrare con ragioni necessarie (necessariae rationes), senza l’autorità della Scrittura, ciò che sappiamo per fede sulla natura divina” (Epistola de incarnatione Verbi, 6) e quindi usa passaggi logicamente molto rigorosi e brevi. La sua esposizione è una dimostrazione che fluisce continua secondo una stretta concatenazione di argomenti, al contrario di quanto accadrà nella scolastica dei secoli successivi con l’uso della quaestio che contrappone ed esamina, determinando una struttura frammentata, varie autorità bibliche e patristiche. Il procedimento dialettico adottato da Anselmo è la conseguenza, sul piano stilistico, della scelta di spiegare in modo razionale la dottrina cristiana.
L’esigenza di rinnovamento che percorre, a partire dall’XI secolo soprattutto sotto il pontificato di Gregorio VII, la vita religiosa e l’istituzione ecclesiastica è vissuta con particolare enfasi dal mondo monastico che promuove il ritorno all’ideale della povertà e della semplicità evangeliche.
Alcune delle discussioni del tempo si incentrano sulla polemica contro la corruzione del clero, accusato di simonia e di nicolaismo, e sulla sua inadeguatezza a ricoprire le cariche ecclesiastiche. Tale polemica fa da sfondo anche alle riflessioni teologiche del tempo, quali le dispute eucaristiche a cui si collega strettamente la questione dei preti simoniaci. Alcuni rappresentanti delle correnti riformiste sostengono, infatti, che tali preti siano indegni e da escludere dalla celebrazione dell’eucarestia poiché durante il sacramento dell’eucarestia “il pane e il vino consacrati sull’altare si trasformano nella carne e nel sangue di Cristo”, secondo la formula promulgata dal concilio romano del 1079.
Rappresentante di spicco del duplice impegno di riforma e di ascesi della teologia monastica è Bernardo di Chiaravalle. Acerrimo avversario dei dialettici – fa condannare Pietro Abelardo nel concilio di Sens del 1140 – e mistico per antonomasia, Bernardo redige alcuni trattati ascetici (De gradibus humilitatis e De diligendo Deo) in cui descrive con enfasi ed eloquenza passionale l’itinerario contemplativo che conduce l’uomo dal peccato all’unione con Dio: assumendo un atteggiamento umile, l’uomo si riconosce misero e incline al peccato e abbandona tutti i legami corporei per identificare la sua vita con l’amore per Dio. I suoi scritti traboccanti di allusioni bibliche e di figure retoriche e lo stile poetico della sua prosa rivelano il suo talento di scrittore e giustificano l’appellativo assegnatogli di doctor mellifluus.
Oltre a Guglielmo di Saint-Thierry, autore di un sofisticato trattato De contemplando Deo, l’ideale mistico della contemplazione viene approfondito da un gruppo di canonici agostiniani riuniti attorno alla scuola di San Vittore, la cui teologia ha la caratteristica di mediare fra l’approccio razionalistico della teologia scolastica e quello affettivo della teologia monastica.
Ugo di San Vittore, infatti, pur sostenendo la necessità del distacco dal mondo e la centralità dell’amore per Dio nella vita spirituale, accorda, nel Didascalicon, un’importanza particolare alle scienze, anche al trivio e al quadrivio, perché tutte sono utili all’ascensione mistica. Parimenti Riccardo di San Vittore ammette la possibilità di esprimere in concetti razionali i dati della Rivelazione, sebbene il suo interesse principale non sia rivolto al rapporto fra ragione e fede, bensì all’“uomo interiore” e alla psicologia della contemplazione mistica che analizza servendosi di un linguaggio lirico ed estatico, raffinato e commosso nell’analisi delle emozioni umane, come mostra il suo De quattuor gradibus violentae caritatis.
In questo periodo fiorisce, accanto alla mistica, la letteratura profetica di cui le opere visionarie di Ildegarda di Bingen, come lo Scivias, sono un esempio emblematico. Direttamente ispirate da Dio, le sue visioni presentano diverse parti del cosmo cristiano e sembrano profetizzare le ultime età del mondo, incluso l’avvento dell’Anticristo.
Lo scrittore profetico più originale è Gioacchino da Fiore che illustra nelle sue opere più importanti di interpretazione delle Sacre Scritture (Concordia Novi ac Veteris Testamenti, Expositio in Apocalypsim e Psalterium decem chordarum) un concetto di destino dell’umanità articolato in tre età, ciascuna delle quali incarna storicamente una persona della Trinità. Al Padre, corrisponde l’età dell’Antico Testamento, il regno della legge, dominato dai laici (Ordo Coniugatorum) e dai sensi, terminato con la venuta del Cristo; al Figlio corrisponde l’età del Nuovo Testamento e della Chiesa (Ordo clericorum) che è il regno in cui Gioacchino ritiene di vivere, già incline a liberarsi dai condizionamenti della carne e prossimo a concludersi con l’avvento dell’Anticristo; allo Spirito Santo corrisponde un’epoca futura che, a partire dal 1260, secondo i calcoli di Gioacchino, vede trionfare completamente lo Spirito e l’affermazione del modello di vita monastica e contemplativa. È l’età dei viri spirituales (appartenenti all’Ordo iustorum), cioè di una società di monaci o eremiti simile a quella dell’ordine florense da lui fondato, che porta il mondo sulla via della redenzione perenne. Le profezie di Gioacchino esercitano un’enorme influenza letteraria nei secoli successivi, come dimostrano i molti scritti apocrifi (pseudo-gioachimiti) a lui attribuiti (ad esempio il Super Hieremiam e il Super Isaiam) dove spesso si strumentalizza il suo pensiero per alimentare la polemica contro la gerarchia papale o il potere imperiale. È il caso dell’ala spirituale dei Francescani che, nel XIII secolo, usa la visione gioachimita dell’avvento di un nuovo ordine di uomini spirituali per presentare il francescanesimo stesso come un segno dell’avvento dell’età dello Spirito.
Il fine del cristiano è la vita futura, dove si compie la comunione con Dio, per questo la vita terrena è un’esperienza provvisoria fatta di sofferenza e di miseria. Alcune delle composizioni più significative su questo tema sono il De contemptu mundi del monaco Bernardo di Cluny o di Morval. che offre, in quasi 3 mila versi ritmati, un’amara satira contro la corruzione morale del mondo ecclesiastico, ma anche una descrizione vivida della condizione dell’uomo peccatore da cui si può uscire soltanto mediante la fede, e il De contemptu mundi, sive de miseria conditionis humanae del cardinale Lotario de’ Conti di Segni, poi papa Innocenzo III che descrive, con un linguaggio asciutto e incalzante, la vita decisamente misera, effimera e fragile dell’uomo, rivolgendosi a un pubblico laico a cui vuole mostrare la sordidezza terrena senza offrire neppure la speranza nella beatitudine eterna.
Le scuole sviluppatesi nelle città, nuovi centri culturali ed economici, del XII secolo svolgono una funzione propulsiva del processo di razionalizzazione della teologia che, sulla strada tracciata da Berengario e da Anselmo, determina, grazie soprattutto al contributo di Pietro Abelardo con cui si assiste al trionfo della dialettica, l’autocostituzione della teologia come scienza, che si affermerà appieno nei secoli XIII e XIV.
Nel XII secolo i maestri della scuola di Laon, riuniti attorno alla figura di Anselmo di Laon, procedono a una lettura sistematica, ossia complessiva e organica, dei testi biblici e patristici. Le quaestiones, frutto del loro insegnamento, sono raccolte, in epoca più tarda, in quelle che spesso sono chiamate Sententiae, in quanto antologie di brani estratti dalle opere dei Padri della Chiesa, con una marcata preferenza per Agostino, che esprimono, in merito ai vari temi teologici, non sempre organizzati con un criterio preciso, un’opinione chiara e definitiva. Questi maestri, benché spesso non brillino per originalità e non confrontino in modo critico le varie autorità, hanno il merito di abbandonare il genere del trattato esegetico e di organizzare in modo tematico e consequenziale le conoscenze teologiche.
Nelle Sententiae o Liber sententiarum di Pietro Lombardo la sistematicità degli argomenti trattati raggiunge un’organizzazione perfetta che ne spiega la fortuna immensa nei secoli successivi e l’adozione come libro di testo nella facoltà di teologia della nascente università. Oltre che al criterio tematico, il Lombardo si ispira sia al criterio storico-biblico delle prime raccolte che a quello logico-argomentativo introdotto dal Sic et Non di Abelardo e rivela una costante preoccupazione didattica nella scelta dei passi e nella spiegazione dei temi. Questa sistematizzazione del sapere teologico apre la strada alla nascita del genere teologico della summa che avrà grande fortuna nei secoli successivi.