misticismo
Dottrina filosofica o religiosa che afferma la possibilità, nell’uomo, di giungere al possesso dell’assoluto, prescindendo o superando i procedimenti logico-discorsivi, mediante facoltà di cui l’uomo appare ‘misteriosamente’ dotato; il termine greco μυστικός indica, infatti, l’essere connesso o anche iniziato al ‘mistero’ (μυστήριον).
Il m., alimentato dalle religioni di mistero e da influenze orientali, ha agito profondamente sulla speculazione filosofica, in partic. sul neopitagorismo, sul medio- e sul neoplatonismo, rielaborando temi presenti già in Platone, anche in relazione all’«entusiasmo» e alla «mania» (Ione, 533 e - 534 b; Fedro, 244 a, segg.). In Plotino, l’assoluto è l’Uno al di sopra dell’essere e del pensiero; il saggio, per congiungervisi, deve trascendere il mondo sensibile e l’intelligibile, e, rientrando in sé stesso, farsi assolutamente semplice, attingere il proprio centro e così congiungersi con il centro di tutte le cose, con l’Uno. Questo congiungimento non è atto della ragione discorsiva: l’uomo non conosce l’Uno, ma lo coglie in uno slancio (ἐπιβολή) con una presenza più alta della scienza (Enneadi, VI, 9, 4): questo è un vedere senza vedere, un intendere senza intendere (VI 7, 35), è estasi e semplificazione (ἔκστασις καί ἄπλωσις). Proclo sviluppa i motivi plotiniani: al culmine dell’elevazione dell’uomo all’Uno sta la superintellectualis cognitio o entusiasmo (μανία) per cui il fondo dell’anima (imum animae) si unisce all’Uno (coaptare uni) e quasi diviene Dio. Questo m. è tutto schiettamente speculativo in quanto non si pone come effettiva partecipazione a una verità di fede, ma si fonda su una critica della conoscenza. Le dottrine mistiche del mondo ellenistico, tutte attuatesi sotto il segno del platonismo, continuano a vivere in età medievale nel m. cristiano e nella grande mistica islamica.
Questa mistica neoplatonica agì fortemente sulla mistica cristiana, la quale si inserisce però in una fede viva che ha profondamente mutato i rapporti tra Dio e uomo; la loro abissale distanza infatti è colmata dal manifestarsi stesso di Dio attraverso la rivelazione e l’incarnazione del Verbo. Così l’ascesa dell’uomo a Dio non è più riservata a pochi saggi, anzi la visione di Dio, meta della contemplazione mistica, è promessa a tutti i redenti, nella vita futura. Natura e sopranatura non sono più estrinsecamente giustapposte, ma intimamente connesse nella vita cristiana, tanto che alcuni dei primi Padri considerarono la semplice fede come un fatto squisitamente mistico. Così, per es., Clemente Alessandrino che considera la fede come un contatto immediato con le realtà trascendenti, con Dio, che si realizza in una contemplazione interiore dello Spirito divino, il quale si dona a noi con la sua grazia. Come già Filone, Clemente Alessandrino considera la conoscenza religiosa o mistica come un entrare nelle tenebre del mistero divino. Risente dell’influenza del neoplatonismo il m. di Agostino, strettamente collegato alla sua dottrina delle idee e dell’illuminazione divina: brilla nel fondo della nostra mente (abstrusior mentis pars) la luce divina che infonde i principi dell’attività razionale (regulae aeternae), fondamento dei giudizi veri; l’anima che saprà farsi pura e santa potrà, nel suo profondo, cogliere questa luce divina e nella sua contemplazione (che è contemplazione del vero) trovare la sapientia; questa non è tuttavia un atto esclusivamente intellettuale, ma impegna tutto l’uomo che gode e fruisce della verità posseduta (onde la sapienza è un gaudium de veritate; il contatto con la verità è raggiunto ictu cordis). Ma la mistica agostiniana – che in questo riflette la caratteristica peculiare della mistica cristiana – non si esaurisce in uno sforzo del soggetto, bensì si compie per l’ineffabile aiuto di Dio che si dona nella sovrabbondante grazia. La prima e più organica sistemazione della mistica e della teologia mistica cristiana si ha, tuttavia, dopo lo sforzo insigne di Gregorio di Nissa (in partic. nella Vita Moysis), nelle opere dello pseudo-Dionigi Areopagita (De divinis nominibus, II, 7; De theologia mystica, I, 1), che riecheggiano motivi neoplatonici e soprattutto di Proclo. Dio è realtà ineffabile, al di sopra dell’essere e del pensiero, al di sopra quindi delle categorie e degli opposti; salire a lui è possibile solo a quell’anima che, superato il conoscere discorsivo, si raccolga in sé stessa e, fattasi semplice (come per Proclo) e pura, si congiunga (con un atto insieme speculativo e affettivo) con l’Uno assoluto (ἔνωσις, ϑέωσις): ma questo congiungimento (che è un conoscere senza conoscere) non è lasciato alle sole forze umane: esso si corona nell’illuminazione che Dio concede. I temi dell’ineffabilità divina, della «tenebra luminosissima» e dell’unione con Dio al di fuori di ogni conoscenza discorsivo-razionale, nell’unità semplicissima della mente umana, si propagano, mediante il corpus dionisiaco, al pensiero cristiano medievale. Sotto l’influenza dello pseudo-Dionigi, si sviluppa la mistica di Scoto Eriugena, mentre più nettamente collegata all’agostinismo è la mistica dei vittorini, tra i quali Riccardo: l’uomo rientri in sé stesso e superi la sua particolarità empirica (per semetipsum supra semetipsum) per salire più su, alla contemplazione di Dio che realizza sopra la ragione, ma in quanto la ragione stessa è potenziata dall’illuminazione divina; al di sopra di questo momento, ancora speculativo, è l’excessus, che è una alienatio mentis, dono della grazia. Sulla stessa linea è la mistica di Bonaventura, fortemente impregnata della religiosità francescana: al di sopra della ragione, l’apex mentis, in cui brilla la luce divina, ci permette di entrare nell’insondabile mistero divino e di ricevere, pur nell’accecamento di ogni umana facoltà, più luce; la caligo summa, che sta al termine dell’ascesa mistica, è mentis nostrae illuminatio. Accanto a questa forma di m. speculativo va tenuto presente quello che si fonda direttamente su una intensa esperienza religiosa: è quello che trova le sue uniche fonti nella Bibbia e che vive, con semplicità di cuore, in Francesco d’Assisi. Su questa stessa linea, anche se non estraneo a un’influenza agostiniana, è il m. di Bernardo di Chiaravalle quale si delinea nel De diligendo Deo e nei sermoni sul Cantico dei cantici: è mistica squisitamente affettiva, protesa nell’adorazione di Gesù crocifisso; l’anima, fuggendo le cose mondane e fattasi pura, esce da sé, come rapita dalla grazia, possiede Dio in un amore santo. Ancora mistica affettiva è quella di buona parte del m. femminile del Medioevo: vicino infatti al m. più propriamente speculativo di Ildegarda di Bingen e Matilde di Magdeburgo, va ricordato il m. di Margherita Ebner, che, nella sua devozione ingenua verso Gesù Bambino, giunge fino al più alto grado della preghiera mistica, alla preghiera delle nozze mistiche. Sotto taluni aspetti essa può essere in certo modo paragonata a santa Caterina da Siena. Nella mistica tedesca, la più ricca e interessante del Medioevo, occupa un posto primario Eckhart, che inserisce il suo m. in una poderosa metafisica neoplatonico-cristiana; sviluppando motivi di Proclo, di Agostino, dello pseudo-Dionigi, egli ritrova nell’anima dell’uomo, nella sua parte intima e divina, il mezzo per cogliere Dio e per unirsi a lui in un contatto in cui sembra dissolversi la persona stessa del soggetto che perisce in Dio; compiuto l’assoluto svuotamento dell’Io, nel senso di liberazione da ogni pensiero terreno, allora Dio può fluire in lui con tutta la pienezza del suo essere. Enrico Suso esprime l’intensità della sua esperienza mistica superando il momento speculativo in una vibrata lirica, e il suo cuore riboccante si volge all’Eterna Sapienza con cavalleresca gioia d’amore. Questa esaltazione dell’amore di Dio in modi o forme che ricordano i cantori dell’amore cavalleresco, la Minne, fece di Suso l’amico spirituale di tutta una schiera di monache proclivi al m., con le quali egli fu in corrispondenza. Tra Eckhart e Suso sta Giovanni Tauler, la cui attività a Strasburgo esercitò un influsso che sempre meglio si avverte sia tra gli «Amici di Dio» della Renania (Ruysbroeck, Tommaso da Kempis), sia nell’anonimo opuscolo intitolato (da Lutero che lo pubblicò nel 1516) Theologia Deutsch (trad. it. Teologia tedesca) che raccolse i motivi diversi della mistica speculativa medievale e li trasmise alla spiritualità tedesca della Riforma. Il m. di Tauler è etico-volontaristico; non ha cioè come suo fine la mors mystica o annientamento totale dell’uomo empirico nella compiuta visione o nell’amore di Dio come assoluta beatitudine già in questa vita. Egli non crede infatti che l’unione mistica debba produrre uno svuotamento dell’Io, ma piuttosto un suo potenziamento: l’unione con Dio deve significare un nuovo inizio, un nuovo divenire etico. Da qui si diparte una linea che conduce alle idee della Riforma relative alla vocazione come dovere etico. La vita mistica nelle sue più varie sfumature fu sempre viva nell’interno della Chiesa cattolica e specialmente in Spagna, Francia e Italia assunse un colorito particolare, che in alcuni è vero e proprio quietismo; esponenti principali ne furono, in Spagna, Giovanni della Croce, Teresa di Gesù; in Spagna e in Italia, Miguel de Molinos; in Italia, Caterina da Genova; in Francia, Francesco di Sales e Jeanne-Marie Guyon. Teresa è, con Caterina da Siena, una delle figure più importanti del m. cattolico, e va considerata, per le sue penetranti autoanalisi, come la precorritrice della moderna psicologia religiosa; ella illustra i diversi gradi della meditazione, l’ultimo dei quali è descritto come la preghiera del rapimento (oración de arrobamiento), come un breve stato di incosciente estasi, come un’inondazione provocata dai torrenti della celeste pioggia di grazia. Giovanni della Croce e Francesco di Sales resero accessibili alla cerchia dei laici le idee mistiche di Teresa. Evidentemente il difficile equilibrio che nell’esperienza mistica sussiste tra l’Io e Dio, tra contemplazione e azione, portava spesso ad accenti che ora venivano presi per panteistici, ora per quietistici, sembrando messa in pericolo la responsabilità e la personalità del credente. Con la Riforma protestante, e in varia opposizione a essa, compare il m. spiritualistico di S. Franck, Weigel, K. Schwenckfeld. Importante la posizione di S. Franck e la sua influenza: nella sua esaltazione della vita mistica egli riduce tutta la vita religiosa al sentimento di Dio, e, sentendosi membro di una comunità invisibile, nega ogni legame ecclesiastico e ogni autorità esterna.
Ricca dei motivi della mistica medievale, ma carica anche di tutta la metafisica neoplatonico-magica rinascimentale, è l’opera di J. Böhme (1575-1624), che ebbe larga influenza nella formazione del Romanticismo tedesco, insieme a tutta la polemica pietistica contro la teologia illuministica della Chiesa ufficiale luterana. Un chiaro atteggiamento mistico-teosofico si ritrova in Novalis, mentre indubbiamente all’ambiente mistico-teosofico di Tubinga della seconda metà del Settecento si devono molti motivi mistici e antintellettualistici che si ritrovano in Schelling e Hegel. Non va infatti dimenticata, oltre all’importanza del m. sull’approfondimento della vita religiosa, l’importanza della mistica speculativa nella storia della filosofia: con la polemica costante (da Plotino allo pseudo-Dionigi, da Eckhart a Novalis) contro l’intelletto discorsivo, che è organo del finito, la mistica speculativa infatti ha rivendicato una facoltà superiore, capace di cogliere l’assoluto, al di là degli schemi dell’intelletto astratto.
Se già la critica di Marx al «misticismo logico» di Hegel, pur nell’uso polemico, utilizzava la nozione di m. in riferimento alla speculazione hegeliana, ampliata in Feuerbach nella critica alla «rationnelle Mystik», ben altra portata avrà nel dibattito del Novecento presso gli esponenti del neohegelismo italiano di impronta crociana e gentiliana (ostili a vedere in Hegel esiti mistici) l’identificazione della linea di continuità fra pensiero mistico, neoplatonico e romantico tedesco, e filosofia hegeliana, prospettata da Della Volpe (Hegel romantico e mistico, 1929; 2a ed. rivista 1952), curatore di un inedito scritto giovanile di Marx (Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, 1949). In quegli stessi anni in Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion (1932), si ha una ripresa del m. identificato con la religione «dinamica», ossia protesa verso lo «slancio vitale», energia creativa che è alla base di tutto e può essere intesa come amore di Dio. In tale prospettiva il m. non è più attività contemplativa, intuizione intellettuale e distacco dal mondo, ma apertura e accoglimento della pulsione creatrice.
Il m. musulmano, detto sufismo, subisce forti influssi cristiani, oltre che greci, gnostici e buddistici, sotto i quali si sviluppa da un originario movimento ascetico in una pratica estatica mirante all’unione con il Dio dell’Universo mediante l’annullamento della persona, e successivamente in una dottrina panteistica, giustificata da un’eterodossa esegesi allegorica del Corano.