misura
Nel suo uso proprio il sostantivo equivale a " strumento, mezzo (concreto o astratto) per misurare qualcosa ", come in Cv I II 9, dove il termine compare tre volte: ciascuno ha nel suo giudicio le misure del falso mercatante... e ciascuno con ampia misura cerca lo suo mal fare e con piccola cerca lo bene... 'l peso del bene li pare più che se con giusta misura fosse saggiato, e quello del male meno. Dunque l'uomo, afferma D., è portato a valutare in modo diverso le sue azioni buone e le cattive; cioè, come il commerciante disonesto, ha ‛ due pesi e due misure '. Busnelli-Vandelli citano alcuni passi biblici che possono avere ispirato D.: Matt. 7, 2-3; Deuter. 25, 13-15; Sap. 11, 21.
Si veda poi il passo di Cv I XI 20 con quella misura che l'uomo misura se medesimo, misura le sue cose, che sono quasi parte di se medesimo, in quanto si tratta dei mezzi intellettuali con cui l'uomo giudica sé e le sue cose. A quest'uso va dunque ricollegato quello di Pd XXVIII 74 (se tu a la virtù circonde la tua misura) in cui l'espressione, che forse ha fuor di metafora il già detto significato di " strumento per misurare ", equivale a " misurare ", " giudicare ": le sfere materiali, i cieli e i cerchi angelici si corrispondono, purché si misurino in base alla loro virtù e non alla loro parvenza.
In altre occorrenze, l'ambito semantico del termine si amplia, e m. diventa sempre più un concetto astratto. In Pd XXVIII 112, ad esempio, del vedere è misura mercede va interpretato: " la mercè che parturisse gratia è proportionada, over se mesura cun lo ‛ vedere ', hoc est cun la loro cognitione " (Lana), " l'ampiezza della conoscenza è misurata (dipende) dal merito " (Momigliano).
In Cv IV VIII 3 D. commenta un brano del De Officiis di Cicerone (I XXVIII 99): arroganza e dissoluzione è se medesimo non conoscere, ch'è principio ed è la misura d'ogni reverenza: quasi " è il fondamento e la pietra di paragone per giudicare se una persona è deferente e rispettosa ".
Ancora più comprensivo e generale il valore di m. in luoghi come Pd IV 21 per qual ragione / di meritar mi scema la misura?: " non video causam... quare diminuit mihi modum meriti et minorationem praemii " (Benvenuto): in questo caso, infatti, il sostantivo equivale semplicemente a " quantità ". Sempre piuttosto vago il significato di m. in Pd XIII 28 Compiè 'l cantare e 'l volger sua misura, " tempo che era bisogna al... canto " (Buti), " il canto... e il volger delle due corone finì sua misura; la quale era la volta intera, cioè tornò ciascuna al punto donde era partita " (Vellutello); il Venturi è il primo a comprendere che m. indica sia la durata del canto che il movimento delle corone di santi: " Il suo tempo, tutta l'aria del ballo, ritornando infine ciascuno al punto donde s'era partito ".
Infine si veda Pg XXX 108 perché sia colpa e duol d'una misura, di una " stessa quantità ", cioè siano pari, o meglio " proporzionati ".
Vale " giusto mezzo ", " moderazione ", in Cv I VII 2 obedienza... vuole essere... con misura, e non dismisurata, che D. stesso spiega al § 9 è l'obedienza con misura... quando al termine del comandamento va e non più oltre. Gli avari e prodighi con misura nullo spendio ferci (If VII 42), non fecero nessuna spesa " con equilibrio e moderazione ", cioè spesero troppo, o troppo poco. Le anime della sesta cornice del Purgatorio sono condannate al supplizio della fame e della sete per seguitar la gola oltra misura, per avere seguito l'istinto della gola " in modo sproporzionato " (Pg XXIII 65). Le donne fiorentine del tempo di Cacciaguida non erano fonte di preoccupazione per i padri, perché il tempo del loro matrimonio e la dote non fuggien quinci e quindi la misura (Pd XV 105), " non erano ... aldilà della misura, cioè non si maritavano troppo presto, né con doti eccessive " (Chimenz).
In Cv IV XIII 9 D. traduce un brano di s. Paolo (Rom. 12, 3): Non più sapere che sapere si convegna, ma sapere a misura. Ora, poiché il testo paolino ha " ad sobrietatem ", è probabile che D. sia stato influenzato dal commento di s. Tommaso (cfr. Busnelli-Vandelli) più che da s. Paolo direttamente. Più difficile l'interpretazione del termine in Rime CVI 40, in cui D. si rivolge alla virtù: O cara ancella e pura, / colt'hai nel ciel misura; m. è, " secondo il Contini, che ha presente la mezura provenzale... la ‛ discrezione ', mentre secondo altri è la ‛ forma ' (Di Benedetto), o lo ‛ spazio ' (Zonta). Probabilmente è quel giusto mezzo fra l'eccesso e il difetto che caratterizza la virtù " (Barbi-Pernicone).
In Vn XIX 11 48 è lodato il colore dell'incarnato di Beatrice (Color di perle ha quasi); esso è bello, sì, ma in forma quale / convene a donna aver, non for misura (si noti la locuzione): " in modo che il suo fascino è velato da una spirituale modestia, come in tutte le donne dovrebbe avvenire " (Barbi-Maggini). Si veda, a questo proposito, Cv III VII 13, dove si afferma che gli atti della donna onesta per la loro soavitade e per la loro misura, fanno amore disvegliare e risentire là dovunque è de la sua potenza seminata per buona natura.
Di nuovo nel senso di " giusta misura ", " giusto limite ", in locuzione, m. compare nel Fiore (XXXVIII 10 mi par che 'l tu' consiglio sia / fuor di tu' nome troppo oltre misura).