Misura
Il termine misura indica il valore numerico attribuito a una grandezza, ottenuto ed espresso come rapporto tra la grandezza data e un'altra della stessa specie assunta come unità, e determinato mediante opportuni metodi o strumenti di misurazione. Lo studio e la raccolta dei vari sistemi di misura in uso nel tempo e nei diversi paesi costituiscono l'oggetto specifico della metrologia. Nel definire le primitive unità di misura, l'uomo ha adottato come termine di riferimento il proprio corpo o alcune sue parti.
L'introduzione dei riferimenti quantitativi, che al giorno d'oggi chiamiamo unità di misura e che esprimono il peso e la massa degli oggetti, la loro lunghezza e l'area della loro superficie, il loro volume e le varie altre grandezze, è strettamente correlata all'instaurarsi di relazioni sociali fra gli esseri umani di un gruppo e i membri dei gruppi vicini. Quando, passando dalla situazione di cacciatore solitario e autosufficiente nell'ambito del suo ristretto gruppo governato da un'economia di proprietà comune, l'uomo iniziò a barattare con membri di altri gruppi le cose che non era in grado di procurarsi da solo, si presentò la necessità di definire in qualche modo la 'quantità' di queste cose, e nacquero così le unità di misura di quantità di materia. Già in questa fase dello sviluppo della socialità umana si rese necessario quantificare le distanze che si dovevano percorrere per andare nel luogo ove, per es., si potevano barattare le carni della caccia in cambio dei frutti della terra, dapprima nati spontaneamente in determinati luoghi, poi coltivati: di qui l'introduzione di misure itinerarie. Contemporaneamente furono adottate le prime misure di superficie, per i bisogni degli ancora rari agricoltori in relazione all'estensione dei terreni di loro interesse. Un grande sviluppo delle necessità metrologiche venne successivamente determinato dall'apparire di Homo faber, modellatore di pietre per percussione, intagliatore di legno con pietre taglienti e realizzatore di abitazioni per semplice adattamento di strutture naturali, e poi, con l'approfondimento delle tecniche del fuoco, anche forgiatore di oggetti metallici (tra la fine del 2° e l'inizio del 1° millennio a.C.), e in seguito di Homo artifex, al quale si possono ascrivere le prime forme di artigianato. In termini molto schematici si può dire che lo sviluppo primordiale della metrologia dell'Occidente ha avuto la sua origine nel Medio Oriente (assiro-babilonesi e ittiti), espandendosi poi da una parte ai greci e dall'altra parte, ma in misura assai minore, al subcontinente indiano. Nelle civiltà asiatiche si ebbe uno sviluppo largamente autonomo rispetto all'Occidente, seppure con caratteristiche generali assai simili. L'evoluta metrologia greca passò ai romani e ai loro sudditi e poi, dopo la dissoluzione dell'Impero romano d'Occidente, ai popoli che ne avevano conquistato i territori. Si deve ai romani il definitivo consolidamento della metrologia, che nei secoli successivi si è sostanzialmente conservata nei vari paesi dell'Occidente, sia pure con ampie varianti locali. Tale conservazione è stata particolarmente efficiente in Gran Bretagna, sia per l'insularità e la conseguente impermeabilità a influssi esterni di cui questo paese ha goduto, sia per l'importanza che una metrologia coerente e pragmatica, quale appunto era quella romana, aveva in una struttura economica in cui attività primarie erano quelle commerciali - e poi anche manifatturiere e industriali - che appunto di essa abbisognavano. È da ricordare che il Sistema metrico decimale e i sistemi che ne sono derivati per la scienza e la tecnica non sono tuttora in uso nella vita civile dei paesi di lingua inglese, nei quali ci si serve di una metrologia che in molti casi è identica (comprese le denominazioni) e in altri casi è assai simile a quella della tarda romanità. Dal quadro che abbiamo rapidamente tracciato si comprende bene come la metrologia non potesse non nascere e costituirsi con una fortissima 'impronta antropica'. Prima della storica deliberazione dell'Assemblea costituente di Francia del 21 marzo 1791, che dette il via al Sistema metrico decimale, erano in uso un'infinità di unità di misura di origine romana, con forti particolarità di natura strettamente locale, tratte da oggetti della quotidianità umana. Ciò è particolarmente vero per le misure di volume e di capacità, nonché, implicitamente, di peso, sia per liquidi sia per aridi, che possono essere ritenute le più importanti per il commercio: così, per es., nelle varie città e regioni italiane sono state in uso corrente dall'epoca romana fino a circa un secolo fa molte unità di questo tipo, tra le quali ricorderemo le seguenti: l'anfora, il barile, il boccale, la botte, la caraffa, la coppa, il fiasco, il mastello, il sacco, la secchia. Tuttavia, parlando di impronta antropica nella metrologia, non ci si riferisce tanto a questo aspetto quanto piuttosto all'influenza che il corpo umano ha avuto nella definizione, almeno originaria, di alcune importanti misure. Il primo settore in cui ciò è avvenuto su larga e costante scala è stato quello delle misure lineari. È stato, ed è tuttora, istintivo usare la lunghezza del corpo umano come termine di riferimento per qualificare le cose come 'alte' o 'basse' oppure 'corte' o 'lunghe', in rapporto alla dimensione lineare del corpo nella posizione, rispettivamente, eretta oppure distesa in orizzontale. Poiché però tale dimensione corporea è in molti casi troppo grande e soprattutto non di facile comparazione con quella di oggetti, sono stati adibiti a unità di misura gli arti o loro funzioni. Per es., per il venditore di tessuti era molto più comodo utilizzare come unità 'naturale' di lunghezza non la sua statura ma la distanza dalla punta del mignolo alla punta del pollice a mano ben aperta, ed ecco il palmo (circa 25 cm), oppure la lunghezza dal gomito alla punta delle dita a mano tesa, ed ecco l'antichissimo cubito (circa 50 cm), usato in tutto il Mediterraneo fin dagli antichi egizi, oppure ancora la lunghezza del braccio (accanto ai 'bracci mercantili' con un valore, rispettivamente, da 48 a 54 cm e da 96 a 108 cm, a seconda che la misura fosse calcolata dalla punta delle dita al gomito destro, oppure corrispondesse alla lunghezza del braccio teso fino all'orecchio dell'altro lato, vi era un altro e più antico braccio, in uso specialmente nelle città centrosettentrionali, rapportato alla lunghezza tra la punta delle dita delle due mani a braccia distese in croce, pari a circa 180 cm). Un altro settore metrologico sensibilmente influenzato dalla struttura del corpo umano è stato quello delle misure itinerarie, cioè relative alla lunghezza di percorsi, alla distanza da un luogo all'altro e così via. L'unità di misura naturale era in questo caso l'ampiezza del passo, e appunto il passo (latino passus) fu l'unità di base della metrologia grecoromana, intesa però, sia in Italia sia altrove, come lunghezza coperta sul terreno nell'avanzare una gamba e successivamente identicamente l'altra, cioè in una doppia apertura di gambe (circa 1,48 m), il doppio di quello del significato attuale del termine (cui corrispondeva il latino gradus circa 74 cm). Dal passo derivavano poi vari multipli e sottomultipli, mantenutisi di largo uso nel mondo occidentale e formalmente soppiantati, sul finire dell'Ottocento, dall'avvento del Sistema metrico decimale ma in realtà ancora oggi comunemente adoperati non soltanto nei paesi di lingua inglese, ma anche in ambiti particolari: per es., il miglio (latino miliarium), pari a 1000 passi, cioè 1,478 km per i romani, ma 1,524 km per gli abitanti dei paesi inglesi di oggi, e 1,852 km per i naviganti e i geografi (cosiddetto miglio nautico internazionale o miglio geografico). Collegati, già dal tempo dei romani, all'unità itineraria del passo furono poi tre sottomultipli di questa, di cui due, affermatisi come importanti misure lineari, sono pervenuti fino ai giorni nostri. La prima unità è rappresentata dal piede, dapprima inteso, con vari valori nell'ambito dei popoli mediterranei, come la lunghezza media del segmento di arto da cui trae il suo nome e poi rapportato dai romani (pes) al passo, ponendolo pari a 1/5 di questo e quindi pari a circa 29,6 cm (il suo valore odierno nei paesi di lingua inglese è di 30,48 cm e un miglio è posto pari a 5000 piedi). La seconda unità è il pollice, originariamente riferita alla lunghezza media della falangetta del dito pollice, che, piegata a 90°, costituisce una sorta di regoletto naturale per misurare direttamente piccole lunghezze; i romani ne normalizzarono il valore a 1/60 di passo o 1/12 di piede, cioè a circa 2,47 cm (anche nei paesi di lingua inglese vale 1/12 di piede e quindi 2,54 cm). La terza unità, che peraltro non ha avuto la stessa diffusione delle due precedenti, è il dito, rapportato alla larghezza media delle dita della mano verso la punta, fissato dai romani (digitus) a 1/24 di cubito, ossia 1,85 cm. Dalle unità lineari derivarono poi, considerando l'area del quadrato avente per lato una determinata unità lineare oppure quella di un rettangolo di lati con lunghezza data, le misure di superficie, che nei casi delle misure ottenute per quadratura mantenevano lo stesso nome dell'unità lineare da cui derivavano: per es., in molte località del Mezzogiorno d'Italia era molto usato il passo quadrato, chiamato semplicemente passo, con valori oscillanti intorno a 2,5 m2; altrettanto avveniva per il piede nelle regioni centrosettentrionali, con valori però riferiti a un piede lineare che era differente da quello lineare romano e dava luogo a un piede (quadrato) lungo o censorio o agrimensorio, con un valore di qualche metro quadrato, in luogo degli attesi circa 0,09 m2. Oltre a questa notevole varietà di passi e di piedi, sono da ricordare altre misure agrarie di tipo antropico, legate, queste, a certe capacità di lavoro del corpo umano, e precisamente alla capacità di arare il terreno: dallo iugerum dei romani (120∃240 piedi quadrati, pari a circa 0,252 ha) ai vari tipi di giornata (e termini dialettali equivalenti) in alcune delle nostre contrade (con valori intorno a 0,35 ha), nell'un caso e nell'altro riferentesi all'area della superficie di terreno arabile in una giornata di lavoro da un uomo con un aratro al quale fosse aggiogata una coppia di buoi. Relativamente alle unità ponderali, è di natura antropica il talento, unità di base dei sistemi babilonese e attico, definito come il peso (la massa) che un uomo è in grado mediamente di portare sulle sue spalle (circa 30 kg per i babilonesi e 26,2 kg per gli attici); in questo modo risulta indirettamente a base antropica anche l'unità ponderale base dei romani, la libbra (latino libra), assunta pari a 1/80 di talento attico (cioè pari a 327,5 g), con il suo sottomultiplo oncia (latino uncia pari a 1/12 di libbra, cioè 27,3 g), a sua volta diviso in dodicesimi. Il panorama delle unità di misura che sono state sviluppate negli ambiti delle civiltà africane e asiatiche è simile a quello mediorientale-grecoromano, per quanto riguarda l'origine direttamente corporea di alcune unità fondamentali e il forte collegamento con l'ambiente antropico di molte delle misure via via introdotte in conseguenza di esigenze pratiche.
Oltre all'origine antropica di molte unità di misura, deve essere segnalata una nascosta, ma non per questo meno importante, dipendenza del mondo metrologico antico da particolarità del corpo umano. Se si pone attenzione ai rapporti di equivalenza tra unità di misura afferenti alla medesima grandezza, si può notare subito, anche dai pochi esempi citati sopra, la ricorrenza di rapporti a base 2, 5, 6, 8, 12, loro combinazioni (per es., 10=2∃5, 24=2∃12, 60=5∃12, 80=8∃10) e loro reciproci. I fattori 2, 3 e 1/2 derivano semplicemente dal fatto che da un'unità di misura se ne può ottenere facilmente una di valore doppio o triplo, applicandola successivamente due oppure tre volte, o una di valore metà per opportuna riduzione (per es., per un'unità lineare, semplicemente ripiegandola a metà). Assai più interessanti per le considerazioni qui svolte sono altri rapporti, in quanto essi sono in relazione al fatto che il nostro corpo è provvisto di due mani, ognuna con cinque dita articolate in falange, falangina e falangetta, e con un dito, il pollice, opponibile agli altri: intendiamo dire che lo sviluppo della metrologia in antico è stato fortemente influenzato da quel particolare modo di contare i numeri che si chiama, molto espressivamente, indigitazione, o digitazione, per il fatto di basarsi su manovre fatte con le dita delle mani. Il sistema di numerazione per indigitazione più raffinato, e anche il più antico nell'ambito scientifico (quello astronomico), è il sistema duodecimale, probabilmente inventato, ma sicuramente sviluppato dai babilonesi. Si tratta di un sistema di numerazione a base 12, consistente nel contare le unità successivamente sulla falange, sulla falangina e sulla falangetta delle quattro dita dall'indice al mignolo, usando come cursore la punta del pollice e pervenendo così a enumerare con una sola mano fino a 12 unità (3 falangi per 4 dita). Le dita dell'altra mano potevano essere usate in vario modo, dando luogo ad altrettanti sistemi derivati. Così, nel modo più semplice ci si serviva di esse per contare le dozzine (la prima sul pollice, la seconda sull'indice ecc.), per un totale di 12∃5=60 unità (sistema sessagesimale), oppure, nel modo più complesso, contando con esse le dozzine esattamente come le unità con la mano di base, pervenendo al totale di 12∃12=144 unità; sistemi intermedi erano quelli consistenti nel contare le dozzine usando il pollice come cursore sulla punta della altre quattro dita, avendo così una capacità di conteggio fino a 12∃4=48, oppure contando per falangi ma soltanto di una, due o tre dita, per un totale, rispettivamente, di 12∃3=36 unità e, analogamente, 72 e 108 unità. Mentre i babilonesi sviluppavano i loro raffinati sistemi di numerazione digitale (nel significato letterale del termine), sia i greci dell'Attica sia i romani svilupparono i loro, che peraltro - almeno nelle applicazioni metrologiche - erano assai meno evoluti, basati com'erano specialmente sugli accennati rapporti binari: nella metrologia grecoromana sono frequenti i rapporti per potenze di 2 (cioè 4, 8, 16 ecc.) e loro combinazioni con sistemi a base 5 (le dita di una mano), che poi portarono al sistema decimale (10, 20, 80, 100 ecc.). Un rudimentale sistema digitale romano può forse ritenersi quello a base 6, consistente nel contare cinque unità con le dita di una mano e poi portare la sesta unità su un dito dell'altra mano, riuscendo a contare fino a 6∃5=30, numero che compare in certi rapporti metrologici e che sarebbe difficile spiegare altrimenti.
e. arri, s. sartori, Le misure di grandezze fisiche, Torino, Paravia, 1984.