Abstract
Muovendo da un inquadramento logico-sistematico, viene analizzato il riesame proponibile contro l’ordinanza che dispone la misura coercitiva, analizzandone la natura, i provvedimenti controllabili, i soggetti legittimati, il procedimento e i suoi possibili esiti.
La consapevolezza della incidentalità del procedimento e della variabilità delle situazioni suscettibili di pregiudicare le libertà della persona ha indotto il legislatore, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 5, § 4, CEDU e dagli artt. 13, 24 e 111 Cost., a configurare una pluralità di rimedi proponibili, anche nel merito, avverso i provvedimenti de libertate e di percorsi procedimentali differenziati per la natura delle misure o per la funzione cui tendono. I diversi sviluppi, successivi a quello dell’applicazione, articolati tra quelli estintivi, modificativi, sospensivi e reintroduttivi, hanno imposto la predisposizione di un quadro molto composito di accertamenti e di verifiche variamente strutturato e modulato tra legittimità e merito e tra monocraticità e collegialità.
Tra i rimedi – cui si aggiunge il ricorso per cassazione avverso la convalida dei provvedimenti precautelari (arresto e fermo) – il riesame costituisce il perno del sistema, tanto sotto l’aspetto processuale, quanto ordinamentale (tribunale della libertà).
In linea con quanto stabilito dall’art. 107, co. 3, Cost. il tribunale della libertà ha, infatti, competenza funzionale ed esclusiva nel controllo (anche di merito) dei provvedimenti emessi tanto da un giudice “superiore” quanto da un giudice “sotto-ordinato” (Cass. pen., S.U., 19.6.1996, Di Francesco, in Arch. nuova proc. pen., 1996, 716; Cass. pen., S.U., 2.1.1991, Santucci, in Cass. pen., 1991, II, 142).
Escluse le ipotesi statisticamente marginali del ricorso diretto in Cassazione, il riesame rappresenta, sicuramente, il rimedio privilegiato per una tempestiva verifica e per un pieno scandaglio della legittimità e adeguatezza della misura applicata, tenuto conto del significativo differimento nel tempo – e nei contenuti – del ricorso per cassazione.
L’importanza di tale diversificato strumentario si apprezza non appena si ponga mente al fatto che anche alle ordinanze, non impugnate, adottate dal tribunale in sede di riesame o di appello, nonché alle pronunzie emesse dalla Cassazione, va riconosciuta una sia pur limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale, fondata sul principio del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.), suscettibile di venir meno solo a fronte di un successivo apprezzabile mutamento del fatto (Cass. pen., S.U., 12.10.1993, Durante, in Cass. pen., 1994, 283).
Se la salvaguardia delle esigenze cautelari importa che la misura cautelare sia un atto “a sorpresa”, adottata in assenza di contraddittorio, posto che – come ha affermato il giudice delle leggi nell’esprimersi in merito alla rinnovazione delle misure cautelari – il diritto di difesa potrebbe essere limitato solo in presenza della necessità di evitare l’assoluta compromissione di esigenze prioritarie nella economia del processo, che per loro natura, potrebbero risultare vanificate, qualora l’indagato venisse preavvertito (C. cost., 8.6.1994, n. 219), la legge attribuisce al riesame la funzione di recupero difensivo e di controllo, alquanto agile nell’attivazione, celere nei tempi di espletamento e ampio nei poteri di verifica, rispetto agli atri rimedi.
Strutturato in termini formali e sistematici come un’impugnazione, il meccanismo palesa notevoli peculiarità: se da un lato non gli sono estranei elementi propri della convalida (si pensi alla perdita di efficacia del provvedimento per il mancato rispetto di alcune scansioni temporali), dall’altro lato, il rimedio si caratterizza per le varie implicazioni con gli altri mezzi di gravame (appello e ricorso per cassazione), nonché con la revoca e con i poteri del giudice di merito (artt. 299 ss. c.p.p.).
Motivati dalla medesima ratio e inquadrati nella disciplina delle impugnazioni, il riesame e l’appello si indirizzano a provvedimenti diversi (il riesame riguarda le ordinanze che dispongono le misure coercitive; l’appello quelle riguardanti le misure cautelari diverse da quelle assoggettabili a riesame), dalla diversità del potere del tribunale della libertà (più ampio quello del riesame, in quanto può decidere per ragioni differenti da quelle proposte a sostegno della richiesta e sulla base di elementi emersi dopo la sua applicazione; nell’appello, secondo la fisionomia tradizionale, la cognizione è vincolata ai punti della decisione che hanno formato oggetto di censura, e in conformità all’appello ordinario, può solo confermare o riformare la decisione) (art. 597, co. 1, c.p.p.).
La non necessità dei motivi contestuali alla presentazione del gravame – considerata la loro facoltatività, nel caso del riesame, con conseguente inapplicabilità del principio tantum devolutum quantum appellatum – connota i due rimedi ed assegna al riesame natura e forma sui generis, risolvendolo in una forma atipica d’impugnazione, (Cass. pen., S.U., 5.10.1994, Demitry, in CED Cass., n. 199388). L’istanza origina un giudizio completamente autonomo e a cognizione piena, teso a verificare la correttezza del provvedimento e la congruità della motivazione che lo sorregge, al pari del giudizio formulato dal giudice in sede di prima applicazione (Cass. pen., S.U., 2.5.2000, Audino, in CED Cass., n. 215828); diversamente, l’appello è vincolato ai motivi e il tribunale decide sulla base della sola documentazione su cui si fonda l’ordinanza appellata. Ne discende che, mentre in caso di appello (ammissibile) sarà consentita la conversione nel riesame, un riesame – pur ammissibile – ma mancante dei motivi, non sarà convertibile ex art. 568 c.p.p. in appello. Nel riesame i poteri del giudice (che in ciò si differenzia dall’appello) si articolano fra l’annullamento, la conferma del provvedimento impugnato, o la riforma in senso favorevole all’imputato (modifica della durata e delle altre condizioni della misura, sia la sua sostituzione con altra coercitiva o interdittiva). Diversamente nell’appello i poteri del giudice spaziano tra riforma o conferma dell’ordinanza.
Per quanto attiene ai rapporti con il ricorso per cassazione va precisato che il “riesame di merito” ed il “giudizio di legittimità”, pur presentando in comune il richiamo alle formalità del procedimento camerale previste dall’art. 127 c.p.p., si differenziano tra loro, non solo per la diversa natura dei rispettivi giudizi, ma anche per la natura dei termini finali prescritti per la conclusione dei giudizi medesimi: fissato a pena di perdita di efficacia della misura, nel riesame, quel termine è, nel ricorso per cassazione – inopportunamente e in carenza di una diversa previsione – meramente ordinatorio (Cass. pen., S.U., 25.3.1998, Manno, in Cass. pen., 1998, 2595).
Quanto al rapporto con la revoca, se al tribunale del riesame è attribuito in via esclusiva il controllo sulla validità dell’ordinanza cautelare, rispetto ai requisiti formali (art. 292 c.p.p.) e di legittimità (artt. 273, 274, 275 e 280 c.p.p.), tenuto conto della situazione processuale coeva al provvedimento impugnato e degli elementi sopravvenuti, eventualmente a seguito dell’interrogatorio, purché dedotti nell’udienza camerale da celebrarsi nel riferito termine caducatorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti; la revoca della misura non patisce l’osservanza di termini. Quest’ultima è ammessa in qualsiasi fase del procedimento e mira alla verifica della sussistenza attuale delle condizioni di applicabilità della misura (artt. 273 e 274 c.p.p.) o delle singole misure, avendo riguardo sia ai fatti originari, quanto sopravvenuti all’ordinanza impositiva (Cass. pen., S.U., 28.7.1994, Buffa, in CED Cass., n. 198212).
Il riesame può essere proposto avverso le ordinanze che dispongono una misura coercitiva (art. 309, co. 1, c.p.p.) – fatta eccezione per quelle emesse a seguito di appello del p.m. ex art. 310, co. 2, c.p.p. – e per quelle che applicano in via provvisoria le misure di sicurezza (art. 313, co. 3, primo periodo, c.p.p.); sono escluse le misure interdittive. Esulano dall’ambito del riesame le questioni che non agiscono sul piano dell’applicazione, ma della persistenza della misura (Cass. pen., S.U., 5.7.1995, Galletto, in CED Cass., n. 202015). I provvedimenti riesaminabili sono suscettibili di ricorso per saltum in Cassazione (ex art. 311, co. 2, c.p.p.)
Il tribunale della libertà è individuato nel tribunale del luogo nel quale ha sede la corte d’appello o la sezione distaccata della corte d’appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza (309, co. 7, c.p.p.; v. C. cost., 24.3.196, n. 131).
La legittimazione a proporre il riesame spetta soltanto all’imputato – anche se latitante – ed al suo difensore.
La domanda di riesame va proposta entro dieci giorni, che decorrono per l’imputato dall’esecuzione o dalla notificazione del provvedimento (art. 293 c.p.p.); per il latitante dalla data della notificazione eseguita ex art. 165 c.p.p. ovvero, se l’imputato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento, dall’esecuzione della misura o, se alloglotta, dal momento in cui l’interessato è posto in grado di comprenderne il contenuto (Cass. pen., S.U., 24.9.2003, Zalagaitis, in CED Cass.,n. 226717). Per il difensore il dies a quo decorre dalla notificazione dell’avviso di deposito degli atti ex artt. 293 e 309, co. 1-3, c.p.p. (Cass. pen., S.U., 28.6.2005, Vitale, in Dir. pen. e processo, 2006, 865). Ai fini del decorso temporale non si tiene conto dei giorni nei quali è stato disposto il differimento del colloquio con il difensore ai sensi dell’art. 104 c.p.p., né alcun rilievo assumono gli atti equipollenti, se non “per sostituzione” (Cass. pen., S.U., 26.2.2003, Mario, in Cass. pen., 2003, 2572). La domanda – sottoscritta – va depositata nella cancelleria del tribunale della libertà con le forme previste dall’art. 582 c.p.p. (Cass. pen., S.U., 18.6.1991, D’Alfonso, in Cass. pen., 1992, 48), ferma restando la possibilità dell’inoltro secondo le modalità indicate nell’art. 583 c.p.p.; quando l’imputato si trova in una delle condizioni stabilite all’art. 123 c.p.p., l’atto è ricevuto dal direttore dell’istituto carcerario o dall’ufficiale di polizia giudiziaria ed è come se fosse ricevuto direttamente dall’autorità giudiziaria (Cass. pen., S.U., 22.3.2000, Audino, in Cass. pen., 2000, 2231; Cass. pen., S.U., 22.3.2000, Solfrizzi, in CED Cass.,n. 215827). Si esclude il possibile ricorso al telefax; non trova applicazione il regime previsto all’art. 584 c.p.p., essendo la regolarità della procedura assicurata dagli avvisi, né opera l’effetto estensivo dell’impugnazione (art. 587 c.p.p.) per colui che sia rimasto estraneo al giudizio di impugnazione, salva l’estensione, alle condizioni legalmente stabilite, degli effetti favorevoli della decisione (Cass. pen., S.U., 22.11.1995, Ventura e altro, in Cass. pen., 1996, 1772; nonché, in tema di misure cautelari reali, per il procedimento svolto con modalità unitarie e in modo cumulativo, quando la decisione non sia fondata su "motivi personali" dell’impugnante (v. Cass. pen., S.U., 29.3.2012, Wang Zoujiong).
Per la domanda di riesame l’imputato può chiedere di comparire personalmente (art. 309, co. 6 e 8 bis, c.p.p.).
Peculiarità del riesame è il carattere puramente facoltativo della prospettazione dei motivi di gravame (con conseguente inoperatività degli artt. 581, co. 1, lett. c, e 591 c.p.p. e del meccanismo della conversione ex art. 568, ult. co., c.p.p.). I motivi, anche sotto forma di motivi nuovi, possono essere enunciati davanti al collegio, facendone dare atto a verbale prima dell’inizio della discussione.
Per proporre riesame l’istante deve palesare il vantaggio – giuridicamente apprezzabile – che si ripromette di ottenere dal gravame (cd. interesse all’impugnazione). Sotto tale profilo, è dato consolidato il mantenimento di tale interesse quando la domanda inerisca alla custodia cautelare e attenga all’insussistenza delle condizioni generali (o speciali) previste dagli artt. 273 o 280 c.p.p. (con esclusione, invece, delle esigenze cautelari) allorché, il provvedimento sia, nel mentre, revocato (per tutte, Cass. pen., S.U., 28.3.2006, Prisco, in CED Cass.,n. 234268), posto che la pronuncia inoppugnabile di annullamento del tribunale della libertà costituisce una decisione idonea a fondare il diritto dell’indagato alla riparazione per ingiusta detenzione (ex artt. 314 – 315 c.p.p.) (Cass. pen., S.U., 28.7.1994, Buffa, in CED Cass.,n. 198214; Cass. pen., S.U., 12.10.1993, Stablum e Capitali, in Cass. pen., 1994, 2645).
Nell’ambito della procedura un ruolo centrale è svolto dalla trasmissione degli atti, che, ai sensi del co. 5 dell’art. 309 (v. anche art. 100 disp. att. c.p.p.), come riformato dalla l. 8.8.1995, n. 332, deve avvenire comunque non oltre il quinto giorno dalla presentazione della domanda (tanto se presentata nella cancelleria del tribunale de libertate, quando nella cancelleria della pretura del luogo in cui si trova il richiedente, in relazione all’orario della cancelleria), come – nonostante la lettera della legge – hanno chiarito la Consulta e le Sezioni Unite (C. cost., 23.7.1998, n. 232; Cass. pen., S.U., 22.3.2000, Audino, cit.; Cass. pen., S.U., 16.12.1998, Alagni, in Cass. pen., 1999, 1405): per evitare la caducazione automatica dell’ordinanza è necessario, infatti, che gli atti pervengano entro quel termine, non essendo sufficiente il semplice invio.
Come premesso, per l’imputato detenuto il termine dovrebbe decorrere dal momento in cui la richiesta è ricevuta dal direttore dell’istituto di custodia (Cass. pen., S.U., 22.3.2000, Audino, cit.).
Gli atti da trasmettere solo quelli presentati dal p.m. con la richiesta della misura (art. 291, co. 1, c.p.p.), nonché gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini (art. 309, co. 5 c.p.p.), rispetto ai quali persistono non pochi dubbi d’inquadramento, sia con riferimento al tempo della sopravvenienza, sia con riferimento ad alcuni atti specifici: non deve, infatti, essere obbligatoriamente trasmessa la richiesta della misura cautelare (Cass. pen., S.U., 27.3.2002, Ashraf, in Cass. pen., 2002, 2638), mentre il verbale dell’interrogatorio di garanzia andrà inviato solo in quanto contenga elementi favorevoli all’indagato (Cass. pen., S.U., 26.9.2000, Mennuni, in Cass. pen., 2001, 2652). Persistono, invece, le incertezze con riferimento all’invio dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche. Al riguardo, si ritiene opportuno distinguere tra la mancata trasmissione dei decreti – già prodotti al g.i.p. all’atto della richiesta della misura – che determinerebbe la perdita di efficacia della misura, da altre situazioni, rispetto alle quali sarebbe necessario verificare se con la domanda di riesame la parte abbia eccepito, o meno, la validità dell’attività di intercettazione (in questa evenienza la questione riguarderebbe il merito della questione e i decreti potrebbero essere forniti nel corso del giudizio) (Cass. pen., S.U., 10.2.2003, Torcasio, in CED Cass., n. 224667; Cass. pen., S.U., 5.3.1997, Glicora, in Cass. pen., 1997, 2037; Cass. pen. S.U., 27.3.1996, Monteleone, in Cass. pen., 1996, 2913).
Degli atti trasmessi il difensore potrà estrarre copia (ma non ottenere de plano copia: Cass. pen., S.U., 3.2.1995, Sciancalepore, in Cass. pen., 1995, 2488, con nota di A. Fabbri ), benché il rilievo di tale attività e della loro conoscenza sia venuto meno alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma del 1995 all’art. 293, co. 3, c.p.p., a seguito di C. cost., 24.6.1997, n. 192 e, dopo, C. cost., 10.10.2008, n. 336, che riconosce il diritto di ottenere – a seguito della notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza – la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni delle conversazioni o comunicazioni intercettate e utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, onde valutare l’effettivo significato probatorio delle stesse e per esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali.
L’interesse dell’imputato ed il rilievo per la difesa riguarderà, pertanto, prevalentemente, gli atti “sopravvenuti favorevoli”.
Il procedimento di riesame si svolge in camera di consiglio con le forme dell’art. 127 c.p.p. L’avviso della data fissata per l’udienza va notificato all’imputato e al suo difensore: la relativa violazione integra una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita – pena la sanatoria – da parte del difensore. Due giorni prima dell’udienza l’imputato può chiedere personalmente il differimento della stessa da cinque a dieci giorni, ove sussistano giustificati motivi (art. 309, co. 9 bis, c.p.p.).
Nell’ipotesi in cui si tratti di soggetto già irreperibile o latitante (art. 295 c.p.p.) o che si trovi all’estero, per i quali è adeguata la consegna dell’avviso al difensore e va esclusa – considerato il termine per la pronuncia – la possibilità del rinvio dell’udienza, la notizia dell’udienza va data all’imputato; la relativa violazione integra una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita – pena la sanatoria – da parte del difensore. Se l’imputato è detenuto deve tenersi conto di quanto prevedono gli artt. 127, co. 3-4, c.p.p. e 101 disp. att. c.p.p., anche in relazione a quanto precisato da C. cost., 31.1.1991, n. 45, in ordine ai diritti di traduzione e di ascolto – esercitabili dal detenuto. Come anticipato, l’imputato con la richiesta di riesame può chiedere di comparire personalmente (art. 309, co. 6 e 8 bis, c.p.p.).
Se l’imputato è assistito da due difensori, l’avviso va dato ad entrambi, a pena di nullità (Cass. pen., S.U., 8.10.2009, Aprea, in Dir. pen. e processo, 2009, 1352; Cass. pen., S.U., 27.6.2001, Di Sarno, in Cass. pen., 2002, 67).
L’avviso della data fissata per l’udienza va notificata, a pena di nullità (Cass. pen., S.U., 25.10.2000, Scarlino, in Cass. pen., 2001, 1184) almeno tre giorni prima – da intendersi come unità "intere e libere" – risultando irrilevante la scadenza in giorno festivo e non integrabile attraverso un rinvio dell’udienza. Il mancato rispetto temporale dà luogo ad una nullità che si propaga, ex art. 185 c.p.p., all’ordinanza emessa dal tribunale (Cass. pen., S.U., 30.1.2002, Munerato, in Cass. pen., 2002, 2037), ma non determina la caducazione della misura coercitiva (Cass. pen., S.U., 27.6.2001, Di Sarno, cit.).
L’avviso è comunicato – almeno tre giorni prima – al p.m. presso il tribunale de libertate (Cass. pen., S.U., 31.5.1991, Faraco, in Arch. nuova proc. pen., 1991, 547) e, se diverso, a quello che ha chiesto la misura (d.l. 23.10.1996, n. 553 conv. dalla l. 23.12.1996, n. 652), consentendogli così partecipare all’udienza (art. 309, co. 8 bis, c.p.p.).
Premesso che il giudice del riesame è privo di poteri istruttori, la natura pienamente devolutiva del procedimento gli consente di pronunciarsi anche sulla base degli elementi addotti dalle parti, anche integrativi, vale a dire, acquisiti pure successivamente alla richiesta di riesame, benché la novità del fatto o dell’elemento vada rapportata al dato ontologico, a seconda che esso sia stato o meno, in precedenza, portato a conoscenza del giudice. In tale contesto va collocata la possibilità di produrre nuovi documenti o altri elementi rappresentativi del fatto oggetto della decisione, non assimilabili ai "motivi nuovi".
Pure il p.m. può produrre nuovi elementi di prova, non contenuti nella richiesta presentata al giudice (cautelare) – anche al fine di contrastare la validità delle ragioni della difesa (verbali degli interrogatori di garanzia o dei coimputati e prove acquisite nel corso dell’udienza preliminare) – ma gli è inibito porli a fondamento di una nuova parallela domanda cautelare (Cass. pen., S.U., 16.12.2010, Testini, in Cass. pen., 2011, 3351, con nota di G. Galluccio). Del pari gli è interdetto esibire elementi e documenti a carico dell’indagato, acquisiti precedentemente alla richiesta di misura cautelare e, a suo tempo, non presentati (diversamente si correrebbe il rischio di una disponibilità solo giuridica e non effettiva degli atti, con l’inevitabile pregiudizio, per la parte privata, di non potere esaminare gli atti ed estrarne copia).
Il tribunale deve pronunciarsi, pena la perdita di efficacia della misura, entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, ovvero dalla comunicazione del luogo dove si trovano (fatta salva l’operatività dell’art. 101 disp. att. c.p.p.): per evitare la caducazione della misura è necessario il rispetto del termine per la trasmissione degli atti e quello per la pronuncia della decisione, trattandosi di termini autonomi.
In ogni caso, la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, a norma dell’art. 309, co. 10, c.p.p., si verifica nel solo caso in cui il tribunale non provveda nel termine stabilito e non nel caso in cui la decisione del tribunale sia regolarmente emessa, ma sia, per qualche ragione, annullabile. Muovendo dalla distinzione, di ordine generale, tra nullità e inesistenza di un atto e dalla ratio legis – individuata nell’intento legislativo di evitare che il tribunale, procrastinando indebitamente la propria decisione sulla richiesta di riesame, impedisca il passaggio alla eventuale successiva fase della verifica, in sede di legittimità, del provvedimento cautelare – il termine de quo si considera rispettato qualora la deliberazione – e non anche il deposito del provvedimento o la sua notificazione – sia intervenuta entro le ore 24 del decimo giorno (Cass. pen., S.U., 27.9.1995, Mannino, in Ced Cass.,n. 202901), essendo irrilevante che tale scadenza avvenga fuori dall’orario di apertura al pubblico dell’ufficio giudiziario. Nel caso in cui il giorno di scadenza sia festivo il termine è prorogato di diritto al primo giorno utile non festivo e, in caso di pregiudiziale costituzionale, è sospeso e riprende a decorrere dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Integrando le scansioni temporali della procedura di riesame è previsto che il provvedimento venga depositato entro trenta giorni – elevabili a quarantacinque giorni in caso di motivazione particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. Al fine di rendere effettiva la sanzione della perdita di efficacia della misura, per mancata trasmissione degli atti, per mancata decisione, per mancato deposito del provvedimento, si è previsto che la misura non può essere reiterata salvo che sussistano eccezionali esigenze cautelari (art. 309, co. 10, c.p.p.).
In ragione dell’inoperatività dell’effetto parzialmente devolutivo, il giudice del riesame può: a) dichiarare l’inammissibilità (pure a seguito di rinuncia) della domanda; b) annullare, riformare o confermare l’ordinanza oggetto del riesame, decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza; c) annullare o riformare l’ordinanza, solo in senso favorevole all’imputato, anche per motivi diversi da quelli enunciati con il gravame; d) confermare l’ordinanza per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento gravato.
In caso d’inammissibilità del gravame, il tribunale non è tenuto all’osservanza delle forme previste dall’art. 127 c.p.p. e l’ordinanza non va notificata per intero, ma depositata, con avviso alle parti e conseguente decorrenza dei termini per il ricorso.
Come anticipato, il giudice del riesame è privo di poteri istruttori mentre determinante appare, al riguardo, il potere integrativo e sostitutivo del tribunale del riesame, soprattutto in relazione all’invalidità dell’ordinanza impugnata (art. 309, co. 9, c.p.p.): è dato consolidato che l’ordinanza applicativa della misura e quella emessa dal tribunale della libertà sono tra loro strettamente collegate e complementari. I due provvedimenti, seppur formalmente distinti, sono logicamente e giuridicamente unitari, sotto il profilo motivazionale, in ordine alla gravità degli indizi ed alla sussistenza delle esigenze cautelari. Argomenti sistematici e testuali consentono al giudice de libertate di sopperire all’insufficiente o contraddittoria motivazione del provvedimento genetico della misura, restituendogli completezza e logicità argomentativa, ma anche alla mancanza o apparente motivazione, esplicitando in tal modo, e per la prima volta, le ragioni che giustificano l’applicazione della misura cautelare, posto che il tribunale può confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate in motivazione, ovvero riformarlo, in senso favorevole.
La mancanza di motivazione dell’ordinanza de libertate configura, invece, una nullità che, riguardando un bene di assoluta rilevanza costituzionale (artt. 13 e 111 Cost.) riveste carattere assoluto e non è perciò sanabile attraverso il gravame; quando manchi la motivazione, non si tratta, dunque, di completarla o integrarla, ma di sostituirla, redigendo la motivazione al posto del primo giudice, e privando, oltretutto, l’imputato di un grado del giudizio (de libertate). In tal caso, il giudice, avvalendosi del potere conferitogli dall’art. 185 c.p.p., deve dichiarare la nullità del provvedimento e trasmettere gli atti al giudice a quo. Con la l. 16.4.2015, n. 47, rafforzando i poteri di controllo del giudice del riesame, si è previsto che il tribunale della libertà debba annullare il provvedimento qualora la motivazione non contenga l’autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi addotti dalla difesa (art. 309, co. 9, c.p.p.).
Nel rispetto del principio di legalità, al giudice spetta anche quello di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella formulata dal p.m. (ancorché con effetti limitati al procedimento incidentale), nonché quello di dichiarare l’incompetenza propria e del giudice che ha emesso il provvedimento soggetto a riesame (Cass. pen., S.U., 19.6.1996, Di Francesco, in Arch. nuova proc. pen., 1996, 716). Anche dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, al giudice dell’impugnazione spetta verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (C. cost., 15.3.1996, n. 71; v., anche, Cass. pen., S.U., 30.10.2002, Vottari, in Cass. pen., 2003, 396).
La decisione segue lo schema previsto dall’art. 292 c.p.p. nell’ambito del quale assume rilevanza l’esposizione, a pena di nullità, degli elementi di fatto ritenuti sussistenti e posti a fondamento del giudizio e sui quali si sorreggono le determinazioni assunte, anche in ragione dell’impugnabilità (solo) per cassazione, senza che la Corte possa giudicare nel merito.
Esclusa la possibilità della cd. motivazione per relationem, cioè, di un’acritica adesione al provvedimento impugnato, in quanto l’ordinanza finirebbe per essere carente di autonome e specifiche valutazioni o critiche da parte del tribunale, tanto da risultare censurabile ex art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., andrebbe anche esclusa la possibilità che il tribunale, distaccandosi dalle considerazioni del provvedimento impugnato, ritenga di accogliere le tesi difensive. Invero, il tribunale del riesame può disattendere le argomentazioni contrapposte dell’indagato di una diversa lettura logica dei dati di fatto, ove non siano contestati, e ritenere esaurienti gli apprezzamenti e le valutazioni del g.i.p., senza analizzarle in dettaglio, ma dimostrando, richiamandole, di averle tenute presenti e valutate.
Se deve escludersi la necessità di confutare, punto per punto, qualsivoglia argomento difensivo – investendo, l’obbligo motivazionale, la disamina delle specifiche allegazioni difensive obiettivamente contrastanti con gli elementi accusatori – al giudice non è, in ogni caso, consentito fare generico riferimento “alla motivazione della ordinanza impugnata”. Si tratterebbe di una mancanza di valutazione autonoma.
In caso di rigetto o di inammissibilità dell’impugnazione la parte privata proponente sarà condannata al pagamento delle spese del procedimento (Cass. pen., S.U., 14.1.1997, D’Ambrosio, in CED Cass.,n. 206485; Cass. pen., S.U., 20.7.1995, Galletto, in Cass. pen., 1995, 2874).
Nel caso di annullamento con rinvio da parte della Cassazione, su ricorso dell’imputato di un’ordinanza che abbia disposto (appello) o confermato la misura coercitiva ai sensi dell’art. 309, co. 9, c.p.p., la decisione, pena la perdita di efficacia della misura deve intervenire entro dieci giorni dalla trasmissione degli atti ed il provvedimento deve essere depositato entro trenta giorni e la reiterazione del provvedimento è esclusa salvo la presenza di motivate eccezionali esigenze cautelari (art. 311, co. 5, c.p.p.).
Art. 5 CEDU; artt. 13, 24, 27, 107 e 111 Cost.; art. 309 c.p.p.
Aprile, E., Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2003; Aprile, E., I procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Milano, 1999; Aprile, E., Le impugnazioni delle ordinanze sulla libertà personale, Milano 1996; Bassi, A.-Epidendio, T.E. (a cura di), Guida alle impugnazioni dinanzi al tribunale del riesame, Milano, 2002; Ceresa Gastaldo, M., Il riesame delle misure coercitive nel processo penale, Milano, 1993; Confalonieri, A., I controlli sulle misure cautelari, Le impugnazioni penali, a cura di A. Gaito, Torino, 1998, 883 ss.; Furgiuele, A., Il riesame, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. II, Le misure cautelari, a cura di A. Scalfati, Torino, 2009, 479; La Roccam S.-La Rocca, E.N., Impugnazioni de libertate,in Le misure cautelari personali, a cura di G. Spangher e C. Santoriello, I, Torino, 2009; Polvani, M., Le impugnazioni de libertate: Riesame, appello, ricorso, II ed., Padova, 1999; Spagnolo, P., Il tribunale della libertà. Tra normativa nazionale e normativa internazionale, Milano, 2008.