Abstract
Muovendo dall’inquadramento logico-sistematico, viene analizzato il ricorso (ordinario e per saltum) contro le misure cautelari personali, attraverso l’analisi della natura del mezzo, i provvedimenti controllabili, i soggetti legittimati, il procedimento e i suoi possibili esiti.
Vertendosi in tema di provvedimenti incidenti sulla libertà personale è stato inevitabile prevedere la loro ricorribilità per cassazione (art. 111, co. 7, Cost.): il gravame sarà proponibile tanto nei confronti delle decisioni emesse a seguito della richiesta di riesame, quanto a seguito della domanda di appello.
Il ricorso per cassazione sarà espletabile nei confronti di tutte le ordinanze in tema di libertà personale, anche di quelle adottate dopo la chiusura delle indagini preliminari ovvero contenute nella sentenza pronunciata in dibattimento.
Si è ritenuto, conseguentemente, che siano inoppugnabili il decreto con il quale il g.i.p. può ex art. 104, co. 3, c.p.p. dilazionare, su richiesta del p.m., il colloquio dell’indagato in vinculis con il suo difensore; il provvedimento interlocutorio con il quale il tribunale del riesame, respinta una eccezione di nullità, abbia rinviato ad altre udienze la trattazione della richiesta di riesame; la decisione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’istanza di riesame; i provvedimenti connessi alla perdita di efficacia della misura per violazione dei termini di cui all’art. 309 c.p.p. (sul punto si segnala, tuttavia, un diverso e discutibile orientamento delle Sezioni Unite che pregiudica gravemente il tempestivo diritto alla libertà del soggetto in vinculis: Cass., S.U., 31.5.2000, Piscopo, in Cass. pen., 2000, 2977). Tra i provvedimenti non impugnabili vanno anche ricompresi quelli legati alla sopravvenuta caducazione della misura cautelare per una delle ipotesi di cui all’art. 297, co. 3, c.p.p. e quelli connessi all’invalidità dell’interrogatorio, trovando operatività l’art. 302 c.p.p. A seguito dell’intervento delle Sezioni Unite deve ritenersi superato l’orientamento che riteneva inoppugnabile il provvedimento di diniego o di concessione delle modalità esecutive degli arresti domiciliari (Cass. pen., S.U., 3.12.1996, Lombardi, in Cass. pen., 1997, 1324).
Legittimati al ricorso sono sia il pubblico ministero, sia l’imputato ed il suo difensore.
Più specificamente, con riferimento al p.m., va sottolineato che le negative implicazioni derivanti dalla modifica operata, sul versante dalla competenza, dal d.l. 23.10.1996, n. 553 conv. dalla l. 23.12.1996, n. 652, hanno indotto a modificare il co. 1 dell’art. 311 c.p.p., prevedendo che contro le decisioni emesse a seguito di riesame e di appello è consentito il ricorso sia da parte del p.m. che ha richiesto l’applicazione della misura (anche con riferimento alla competenza individuata nei procedimento per uno dei delitti indicati nell’art. 51, co. 3-bis, c.p.p.: Cass. pen., S.U., 19.1.2000, Zurlo, in Cass. pen., 2000, 1578), sia del p.m. presso il tribunale de libertate, con esclusione, invece, del procuratore generale presso la corte d’appello del distretto ove ha sede il tribunale decidente, salvo il caso in cui non abbia richiesto la misura (Cass. pen., S.U., 28.5.2009, Colangelo, in Cass. pen., 2009, 4603).
Quanto al difensore, si è ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione (così qualificato l’appello proposto ai sensi dell’art. 310 c.p.p.), avverso il provvedimento relativo a misure cautelari applicate ai fini dell’estradizione per l’estero qualora sia stato sottoscritto da difensore non iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, in quanto il principio di conservazione del mezzo di impugnazione di cui all’art. 568, co. 5, c.p.p. non può comunque consentire di derogare alle norme che formalmente e sostanzialmente regolano i diversi tipi di gravame (Cass. pen., S.U., 28.4.2004, Terkuci, in CED Cass., n. 228119).
Il ricorso necessita dell’enunciazione specifica dei motivi: deve escludersi che l’onere possa ritenersi assolto per relationem alle doglianze formulate negli atti difensivi di un altro giudizio. Segnatamente, in tema di ricorso per cassazione incombe su chi denuncia l’inutilizzabilità di determinati atti, l’onere di indicare se ed in quale misura il giudice li abbia posti a fondamento della sua decisione e le ragioni per le quali questa non sia in grado di resistere senza la loro valorizzazione: il relativo onere è adempiuto attraverso l’indicazione degli atti processuali che tale attività rispecchiano (è, ad esempio, insufficiente una generica denuncia di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche).
È inammissibile un ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta nel giudizio di riesame; inoltre, fermo il principio secondo il quale l’impugnante deve specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prova e sulla relativa valutazione) onde provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate, in mancanza di tale devoluzione, non è rituale portare davanti alla Cassazione censure sui punti che non possono trovare risposta per carenza di cognizione in fatto addebitabile all’omessa osservanza dell’onere devolutorio. In ogni caso, non possono essere dedotte le nullità dell’ordinanza applicativa, quando la misura sia stata confermata dal tribunale per il riesame.
È onere dell’interessato produrre direttamente gli elementi a proprio favore nell’udienza camerale; non gli è, invece, consentito dolersi, con il ricorso per cassazione, della mancata acquisizione da parte del tribunale del riesame delle prove indicate dalla difesa.
È invece deducibile in Cassazione sia l’incompetenza funzionale, sia per territorio: il loro riconoscimento determina l’efficacia differita dell’ordinanza ex art. 27 c.p.p.
Motivi nuovi possono essere presentati per iscritto in presenza di un ricorso ammissibile, prima dell’inizio della discussione in camera di consiglio: essi devono riguardare i capi e punti che abbiano formato oggetto del ricorso (Cass. pen., S.U., 20.4.1998, Bono, in CED Cass., n. 210259), escludendosi, da un lato, la deducibilità di “fatti nuovi”, dall’altro lato, l’illustrazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta rivolta al giudice dell’impugnazione. Per la presentazione dei documenti dovranno essere osservati i termini, le forme e le modalità previste dalla legge per il processo davanti alla Cassazione.
Anche per proporre ricorso per cassazione è necessario l’interesse ad impugnare (Cass. pen., S.U., 14.7.2004, Littieri, in CED Cass., n. 228167; Cass. pen., S.U., 18.7.1997, Chiappetta, in CED Cass., n. 208165). Come si è anticipato, è stata risolta dalle Sezioni Unite la questione relativa alle implicazioni della intervenuta revoca della misura: l’interesse dell’indagato ad ottenere una pronunzia, in sede di riesame, di appello o di ricorso per cassazione, sulla legittimità dell’ordinanza che ha applicato o mantenuto la custodia cautelare permane anche nel caso in cui quest’ultima sia stata revocata nelle more del procedimento (Cass. pen., S.U., 13.7.1998, Gallieri, in Arch. nuova proc. pen., 1998, 539; Cass. pen., S.U., 8.7.1994, Buffa, in Cass. pen., 1994, 2982, con nota di D. Potetti). Infatti, la pronunzia inoppugnabile di annullamento della misura adottata nel procedimento incidentale de libertate costituisce decisione irrevocabile, idonea, alle condizioni previste dall’art. 314, co. 2, c.p.p., a fondare il diritto dell’indagato alla riparazione per l’ingiusta detenzione. Le stesse Sezioni Unite hanno successivamente precisato che il riferimento opera nel caso in cui la sola misura applicata o mantenuta sia la custodia cautelare solo in relazione ai presupposti previsti agli artt. 273 e 280 c.p.p. e in carenza di domanda cautelare (Cass. pen., S.U., 22.1.2009, Novi, in Arch. nuova proc. pen., 2009, 305).
L’interesse al gravame è stato escluso se in pendenza del ricorso diventa esecutiva la condanna alla pena detentiva inflitta; se nelle more del ricorso entra in vigore una nuova legge che non consente l’applicazione di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere; se il ricorso riguarda una sola esigenza cautelare, quando l’altra non sia stata esclusa o risulti già provata; se la misura della custodia cautelare in carcere è stata sostituita ex art. 299 c.p.p., con provvedimento successivo al ricorso; in caso di ricorso avverso il provvedimento del tribunale della libertà che abbia disatteso la rinuncia al riesame da parte del difensore dell’indagato; in caso di impugnazione proposta nei confronti di una misura con imposizione del termine ex art. 292 c.p.p., ormai decorso; in caso di ricorso dell’indagato avverso l’ordinanza del tribunale di conferma del rigetto della richiesta del p.m. di applicazione di misure coercitive; in caso di ricorso contro uno solo dei (più) motivi della declaratoria di inammissibilità dell’istanza di riesame.
Nelle situazioni nelle quali è possibile proporre riesame, l’imputato ed il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione. Sotto il profilo sistematico va ricordato, infatti, come in sede di ricorso diretto esula dai compiti della Corte di cassazione ogni apprezzamento circa il venir meno dei gravi indizi posti a base della misura cautelare, a seguito di ulteriori indagini o di elementi offerti dall’indagato o dalla sua difesa dopo l’esecuzione del provvedimento. Tale evenienza può e deve essere presa in considerazione dal giudice di merito a seguito di istanza di revoca o di modificazione del provvedimento cautelare e sulla conseguente decisione le parti possono proporre appello (art. 310 c.p.p.) e non ricorso per saltum (Cass. pen., S.U., 26.11.1997, Nexhi, in CED Cass., n. 209336). Al giudice di legittimità – a differenza di quanto è previsto per il tribunale del riesame dall’art. 309, co. 9, ultima parte, c.p.p. – non è dato il potere di annullare, riformare o confermare l’ordinanza applicativa della misura cautelare «anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza», vale a dire in forza di elementi acquisiti al procedimento, anche successivamente al provvedimento che dispone la misura cautelare. Innanzi al tribunale del riesame, possono farsi valere motivi non solo di legittimità ma anche di merito, nonché elementi emersi o acquisiti dopo l’esecuzione del provvedimento cautelare, proponendo direttamente il ricorso per cassazione. In conclusione, il ricorrente accetta, evidentemente, una verifica limitata al controllo di legittimità del provvedimento impugnato, ciò che può tradursi concretamente in uno svantaggio per l’accusa, non potendo la Corte supplire alle eventuali manchevolezze argomentative dell’ordinanza cautelare emessa dal g.i.p., ovvero in un limite per la difesa, non potendosi far valere elementi acquisiti dopo l’esecuzione del provvedimento.
Il ricorso per saltum è proponibile avverso le ordinanze che dispongono le misure coercitive; è escluso, invece, per i provvedimenti impugnabili con l’appello. Nel caso di impropria proposizione, potrà darsi luogo alla conversione, eccettuata l’ipotesi in cui risulti inequivocabilmente la volontà della parte di proporre ricorso immediato e non appello. Particolare attenzione va posta al caso di contestuale impugnazione della decisione relativa alla convalida ed alla misura cautelare disposta in quella sede.
La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame, trattandosi di mezzi alternativi, senza che rilevi l’inammissibilità del ricorso o la sopravvenuta rinuncia allo stesso.
Sotto il profilo contenutistico, il ricorso per saltum è proponibile solo per violazioni di legge attinenti allo status libertatis e non per asserite invalidità afferenti alla speciale fase delle indagini preliminari o all’assunzione di specifici mezzi probatori, rendendo così problematica l’eventuale conversione dell’impugnazione in istanza di riesame. Un allargamento dell’oggetto cognitivo e decisorio derivante dal ricorso immediato è connesso alla rilevabilità ex officio degli elementi strutturali di cui al co. 2 dell’art. 292 c.p.p. (secondo le modifiche introdotte dalla l. 8.8.1995, n. 332): esclusi i mutamenti per quel che concerne i poteri del giudice del riesame che anche anteriormente poteva rilevare la nullità dell’ordinanza cautelare impositiva a prescindere dalle censure fatte valere con la richiesta, come poteva confermare il provvedimento per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dello stesso, la riforma non può rilevare se non relativamente ai gravami di tipo devolutivo, essendo gli unici rispetto ai quali può porsi l’esigenza di un potere demolitorio, da esercitarsi d’ufficio.
In questo contesto assume un ruolo particolarmente significativo la verifica sulla motivazione, in quanto la scelta del rimedio per saltum circoscrive ulteriormente l’ambito delle censure proponibili poiché, escludendo il filtro del riesame, anche in funzione sanante dell’ordinanza impositiva (arg. ex art. 309, co. 2, secondo periodo, c.p.p.) resta preclusa qualsiasi integrazione dell’originario contenuto eventualmente inadeguato (Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, in Arch. nuova proc. pen., 2008, 547). Nel ricorso immediato, il coordinamento e la contestualità di fatti processuali – quali elementi indicativi in concreto dei reati attribuiti all’indagato e degli indizi a suo carico – concorrono pertanto ad integrare l’esposizione sintetica contenuta nell’ordinanza che ad essi faccia esplicito o implicito riferimento, in vista degli obblighi imposti dall’art. 292 c.p.p.
Secondo le Sezioni Unite è proponibile la censura prospettata sulla base dell’asserita violazione, da parte del g.i.p., dell’obbligo di esporre gli indizi che giustificano, in concreto, la misura disposta e, quindi, di indicare la loro genesi, il loro contenuto e la loro rilevanza; è improponibile, invece, ogni rilievo che, travalicando i limiti del sindacato consentito sulla motivazione del provvedimento impugnato, sconfini nella verifica della fondatezza degli elementi acquisiti ed inutilizzati dal giudice che ha adottato il provvedimento impugnato: in tal caso, dovrà conseguentemente riconoscersi alla Cassazione il potere di individuare la reale intenzione della parte e, qualora risulti la determinazione di proporre istanza di riesame, qualificare l’atto di impugnazione (art. 568, co. 5, c.p.p.) e ordinare la trasmissione degli atti al giudice competente per il riesame (Cass. pen., S.U., 31.10.2001, Bonaventura, in Cass. pen., 2002, 9671). Il meccanismo non opera, naturalmente, quando la parte abbia inteso coltivare coscientemente l’impugnazione non consentita (Cass. pen., S.U., 26.6.2002, Del Re, in CED Cass., n. 222003).
Il ricorso va presentato – entro dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione o dall’avviso di deposito del provvedimento (nell’ipotesi di ricorso per saltum) – nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione (in sede di riesame o di appello) oppure nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento introduttivo della misura coercitiva (nell’ipotesi del ricorso per saltum).
Il giudice sopra indicato avvisa immediatamente l’autorità giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, deve trasmettere gli atti alla Corte di cassazione: nel caso del ricorso immediato si tratterà della documentazione posta dal p.m. a fondamento della propria richiesta ex art. 291 c.p.p.; negli altri casi si tratterà degli atti già presenti nel giudizio di riesame o d’appello, a cui si aggiungeranno quelli propri di questi ultimi giudizi; fino a cinque giorni prima dell’udienza potranno essere presentate memorie in cancelleria; il termine dell’avviso dell’udienza fissata per la trattazione in camera di consiglio è di dieci giorni, così come prescrive l’art. 127, co. 1, c.p.p., in relazione al rinvio di cui all’art. 611 c.p.p. ed ai termini entro i quali deve intervenire la decisione; non trova, invece, applicazione l’art. 584 c.p.p., essendo la regolarità della procedura assicurata dall’avviso notificato al difensore ai sensi dell’art. 613 c.p.p.; il pubblico ministero ed i difensori – qualora siano comparsi – saranno sentiti; la partecipazione all’udienza di discussione è consentita ai soli difensori; il termine di trenta giorni per la decisione, decorrente dalla ricezione degli atti, è puramente ordinatorio e sprovvisto di sanzione processuale, non comportando la decadenza automatica dell’ordinanza impugnata.
In caso di inammissibilità o di rigetto del ricorso, l’impugnante privato deve essere condannato alle spese ed alla sanzione pecuniaria.
In termini generali, i limiti della cognizione della Corte di cassazione, anche in relazione ai provvedimenti riguardanti l’applicazione di misure cautelari, sono individuabili nell’ambito dei motivi oggetto della specifica previsione normativa contenuta nell’art. 606 c.p.p. Ne consegue che, qualora venga denunciato il vizio di motivazione dell’ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati indicati nell’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità. In materia di ricorso per cassazione avverso le ordinanze che dispongono una misura cautelare, le doglianze attinenti il difetto di taluno dei presupposti previsti dall’art. 273, co. 1, c.p.p. (sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza) o dell’art. 274 c.p.p. (esigenze cautelari) intanto possono assumere rilievo in quanto si traducano in motivo di annullamento per vizi di legittimità, motivo che può essere a sua volta individuato solo nella eventuale violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 292, co. 2, lett. c), c.p.p., se ed in quanto la violazione risulti inquadrabile nelle previsioni di cui nell’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p. Pertanto, il riscontro di legittimità deve essere limitato alla verifica della esistenza di una motivazione logica, in ordine ai vari punti del provvedimento impugnato, senza alcun accertamento dell’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è servito per supportare il suo convincimento. In conclusione, il vizio logico della motivazione, nelle sue varie articolazioni, deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali.
La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla correttezza della motivazione non va confusa, tuttavia, con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, né con la possibilità di formulare un giudizio diverso da quello espresso dai giudici di merito, sull’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull’attendibilità delle fonti di prova. Il controllo di legittimità è circoscritto alla congruità e coerenza delle valutazioni compiute, sicché esse si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento negativo di un procedimento induttivo contraddittorio o illogico, ovvero di un esame incompleto o impreciso.
Il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p. legittima il ricorso per cassazione, deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato: è onere del ricorrente dimostrare che l’iter argomentativo seguito dal giudice sia assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità. Per quanto attiene alla qualificazione del fatto, nel procedimento de quo non possono essere dedotte difformità tra la fattispecie legale e la fattispecie reale, fatto salvo il caso in cui tali difformità siano manifeste e riconoscibili ictu oculi.
La particolarità dei provvedimenti cautelari, molto personalizzati, sia in relazione al quadro indiziario, sia con riferimento alle esigenze cautelari, cui si devono aggiungere le difficoltà pratiche e cronologiche di una procedura cumulativa, rendono problematica l’operatività dell’effetto estensivo dei gravami (art. 587 c.p.p.), fermo restando che, ricorrendo le condizioni, sarà possibile estendere ai coimputati non impugnati le decisioni favorevoli non fondate su motivi personali.
Per il giudizio di rinvio v. Misure cautelari [dir. proc. pen.] Impugnazioni 2. Riesame
Art. 5 CEDU; artt. 13, 24, 27, 107 e 111 Cost.; art. 311 c.p.p.
Aprile, E., Le misure cautelari nel processo penale, Milano 2003; Aprile, E., I procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Milano 1999; Aprile, E., Le impugnazioni delle ordinanze sulla libertà personale, Milano 1996; Bassi, A.- Epidendio, T.E. (a cura di), Guida alle impugnazioni dinanzi al tribunale del riesame, Milano, 2002; Ceresa Gastaldo, M., Il riesame delle misure coercitive nel processo penale, Milano, 1993; La Rocca, S.-La Rocca, E.N., Impugnazioni de libertate, in Le misure cautelari personali, a cura di G. Spangher e C. Santoriello, I, Torino, 2009; Polvani, M., Le impugnazioni de libertate: Riesame, appello, ricorso, II ed., Padova, 1999; Vigoni, D., Ricorso per cassazione, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, a cura di A Scalfati, t. II, Le misure cautelari, Torino, 2009, 561.