Misure cautelari personali e giurisprudenza di legittimità
L’inefficacia dell’ordinanza che dispone la misura custodiale determinata dall’inosservanza dei termini stabiliti dall’art. 309 c.p.p. per la fase di riesame non preclude la reiterazione del provvedimento coercitivo1.
Tuttavia, a partire da questo principio consolidato, è sorta la necessità di chiarire se tale ripristino debba essere preceduto da un previo interrogatorio di garanzia nel caso di emissione di una nuova misura custodiale in seguito alla dichiarazione di inefficacia di quella precedente, per mancato rispetto dei termini imposti nell’ambito della procedura di riesame. L’orientamento nettamente prevalente, invero, ha escluso che, in relazione al nuovo provvedimento, il g.i.p. debba procedere al previo interrogatorio dell’indagato; si è affermato, in particolare, che la previsione contemplata dall’art. 302 c.p.p., secondo cui non è consentito disporre la custodia cautelare se non dopo la effettiva cessazione del precedente stato detentivo, nonché dopo l’interrogatorio o la mancata comparizione dell’indagato, non è suscettibile di interpretazione analogica e, di conseguenza, essa non opera al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate di estinzione della misura per omesso interrogatorio2. Per questi casi, dunque, la funzione di garanzia è assolta dal precedente interrogatorio che, ove regolarmente espletato, rende del tutto ingiustificata la reiterazione dell’atto3 perché, laddove la nuova ordinanza custodiale non contenga elementi nuovi o diversi rispetto a quella precedentemente emessa, l’esigenza di difesa dell’indagato è stata già assicurata4.
Le Sezioni Unite hanno riaffermato la validità di tale opzione ermeneutica, ribadendo che l’atto di cui all’art. 294 c.p.p. «è posto a garanzia dell’imputato, sicché tale garanzia non ricorre ove lo stesso sia stato messo nelle condizioni di esprimere in precedenza le sue difese sulla medesima imputazione»5. A conforto della soluzione si ritiene deponga, da un lato, la prospettiva delineata in relazione a fattispecie analoghe, come quella in cui il giudice, ricevuti gli atti da quello dichiaratosi incompetente, abbia provveduto, ex art. 27 c.p.p., a rinnovare l’ordinanza cautelare precedentemente emessa, ipotesi rispetto a cui si è escluso l’obbligo di interrogare nuovamente l’indagato, ove non siano contestati elementi nuovi o diversi. Dall’altro, depone l’orizzonte disegnato dalla Corte costituzionale6 quando, a più riprese, ha qualificato l’interrogatorio di garanzia come lo strumento di difesa più efficace per la persona attinta da provvedimento cautelare, «implicitamente ribadendo la assoluta necessità dell’espletamento tempestivo di tale atto e la inutilità, una volta che sia stato validamente effettuato, di una sua ripetizione in presenza di un compendio indiziario e cautelare del tutto immutato»7.
Suscitando non poche riserve, la stessa soluzione si ritiene operante nei casi in cui la nuova misura cautelare sopraggiunga quando l’indagato sia stato effettivamente rimesso in libertà. Tenuto conto di molte variabili – tra le quali, non ultima, il tempo trascorso dal primo provvedimento – è da ritenersi pienamente condivisibile la posizione della dottrina più autorevole8 quando considera non inopportuna, nel contesto della riforma operata con l. 16.4.2015 n. 47, la previsione che correla alle scansioni temporali della procedura di riesame la sanzione della perdita di efficacia e, nel contempo, preclude – fatte salve eccezionali esigenze cautelari, specificamente indicate e motivate – che la misura cautelare possa essere rinnovata.
Chiamate a pronunciarsi in ordine ai criteri di computo dei termini di durata massima della custodia cautelare, le Sezioni Unite hanno stabilito che «nel caso di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare – disposta in base all’art. 304, co. 2, c.p.p. nell’ipotesi di dibattimento o di giudizio abbreviato particolarmente complesso relativo ai reati previsti dall’art. 407, co. 2, lett. a – il limite del doppio del termine di fase (previsto dal comma 6 dell’art. 304) non può essere ulteriormente superato in forza del n. 3bis dell’art. 303, co. 1, lett. b che prevede (sempre nel caso dei processi per i delitti di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) un ulteriore aumento fino a sei mesi del termine di fase da imputarsi o alla fase precedente (qualora il termine di quella fase non sia stato completamente utilizzato) ovvero ai termini di cui alla lett. d del medesimo art. 303 (relativo al giudizio di legittimità)»9.
La soluzione offerta dal Supremo Collegio è il risultato di un percorso ermeneutico che ha aderito all’indirizzo maggioritario espresso in giurisprudenza10, sviluppandosi a partire dalla genesi delle norme oggetto di contrastanti interpretazioni nonché dalle differenze riscontrabili tra il d.l. 24.11.2000, n. 341 e le previsioni contemplate in sede di conversione dalla l. 19.1.2001, n. 4. È, infatti, proprio in tale ultimo contesto che si aumentano di sei mesi i termini di fase (art. 303, co. 1, n. 3-bis, lett. b), c.p.p.) e che, con un intervento di segno opposto a quello profilato con il richiamato d.l., si introduce nell’art. 304, co. 6, c.p.p., l’inciso «senza tenere conto dell’ulteriore termine», con l’evidente scopo di eliminare un aggravamento eccessivo della custodia cautelare di fase11. Si ritiene deponga in tal senso la scelta di collocare la frase «senza tenere conto» dopo l’espressione «non può comunque superare il doppio»; la sistemazione del dato letterale consente, in altri termini, di porre un divieto il quale non può che essere riferito al verbo superare contemplato in premessa. Sotto questo profilo – sottolinea la Corte – le soluzioni prescelte dalla legge di conversione escludono quelle problematiche di stratificazione normativa evocate a sostegno dell’indirizzo minoritario ed, al contrario, fanno emergere il disegno lineare perseguito dal legislatore, caratterizzato da una flessibilizzazione dei termini di fase, da un aumento «recuperabile» fino a sei mesi dei predetti termini per i delitti di maggiore allarme sociale e da una previsione con cui si dispone espressamente che l’aumento per le sospensioni non può essere cumulato, ove si pervenga al doppio del termine di fase, con l’ulteriore aumento previsto nell’art. 303, comma 1, n. 3-bis, c.p.p.
Anche gli approdi della Corte costituzionale risultano valorizzati ai fini della prospettazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite. Rilevano, in particolare, le decisioni in cui la Consulta si è pronunciata nel senso che, laddove siano previsti, anche i termini di fase – come quelli complessivi – devono essere ispirati ai principi di proporzionalità e adeguatezza12; pronunce che hanno condotto, peraltro, ad affermare che il limite del doppio dei termini di fase è funzionale ad individuare «il limite estremo, superato il quale il permanere dello stato coercitivo si presuppone essere “sproporzionato” in quanto eccedente gli stessi limiti di tollerabilità del sistema»13.
Infine, vi è l’ulteriore conforto derivante dalla prospettiva che emerge in ambito convenzionale. A tal proposito, nonostante il testo della CEDU non contempli espressamente una previsione volta a disciplinare i termini di custodia cautelare, si ricava comunque l’esistenza di un vincolo a limitare il più possibile nel tempo la privazione della libertà personale perché, a mente dell’art. 5, co. 3, CEDU, ogni persona arrestata o detenuta «ha diritto di essere giudicata in un tempo congruo, o liberata durante il corso del procedimento».
Il tema dei termini di durata della custodia cautelare è stato affrontato dalle Sezioni Unite14 anche in relazione ad un ulteriore profilo emerso a seguito della declaratoria di incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-ter d.l. 30.12.2005, n. 272, convertito con modificazioni dall’art. 1, co. 1, l. 21.2.2006, n. 4915.
In particolare, la sentenza n. 32/2014 ha determinato il venir meno della parificazione di trattamento sanzionatorio tra “droghe leggere” e “droghe pesanti” postulato dalla novella del 2006, ed ha conseguentemente fondato le premesse per la reviviscenza della diversificazione di trattamento posta dalla normativa previgente; nel contempo, la pronuncia ha fatto emergere un problema legato alle ricadute della disciplina anteriore, sotto il profilo della retroattività della lex mitior, sui termini di fase delle misure cautelari in atto. Si è posta, dunque, la necessità di stabilire se sia possibile invocare la perdita di efficacia della misura cautelare per intervenuta decorrenza del termine di fase rideterminato alla luce della decisione costituzionale, nel caso in cui il suddetto termine sia riferito ad una fase processuale precedente e diversa da quella in cui si trovava il processo al momento della pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità.
Si tratta di un tema, quello dei rapporti tra l’istituto disciplinato dall’art. 303 c.p.p. e l’efficacia temporale delle declaratorie di incostituzionalità, già affrontato dalla giurisprudenza di legittimità. L’orientamento maggioritario, infatti, muove dal presupposto secondo cui le disposizioni che regolano il tempus custodiae hanno natura processuale con la conseguenza che l’efficacia retroattiva di una loro eventuale declaratoria di incostituzionalità è sottoposta al generale limite dei cd. rapporti esauriti, tra i quali deve annoverarsi anche il rapporto cautelare relativo ad una fase processuale ormai conclusa; in tale ottica, pertanto, si esclude che l’interessato possa invocare la perenzione del titolo nei casi in cui il termine, «che per effetto della nuova commisurazione risulti inutilmente decorso, si riferisca ad una fase processuale non più pendente nel momento in cui la sentenza della Consulta sia stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale»16.
A tale approdo aderiscono le Sezioni Unite nel momento in cui affermano che la sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 «non comporta la rideterminazione retroattiva, ora per allora dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, ormai esaurite prima della pubblicazione della sentenza stessa, attesa l’autonomia di ciascuna fase». La soluzione è stata offerta considerando che il principio di retroattività della lex mitior – con riferimento alle fattispecie penali ed alle sanzioni rispettivamente previste – dovrebbe sempre trovare applicazione nell’ambito dei procedimenti pendenti, trattandosi di «un diritto fondamentale dell’individuo riconosciuto dall’ordinamento»17; invece, rispetto alle norme che, come nel caso affrontato, hanno rilevanza processuale il principio di riferimento è quello espresso dal diverso canone normativo del tempus regit actum di cui all’art. 11 disp. prel. c.c. Nella materia cautelare, tuttavia, la diretta incidenza su un diritto di natura sostanziale – quale è quello alla libertà personale – impone, ad avviso della Suprema Corte, di interpretare il principio del tempus regit actum attraverso un «filtro di ragionevolezza» che consenta di tener conto della necessità di opportuni temperamenti18. Per tale ragione, in materia di termini di fase di cui all’art. 303 c.p.p., le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’equilibrio tra le due regole – lex mitior e tempus regit actum – possa raggiungersi riconoscendo efficacia retroattiva ai nuovi termini cautelari e, dunque, efficacia anche rispetto a misure applicate prima dell’entrata in vigore, ad esclusione tuttavia dei termini che si riferiscono a fase processuali oramai trascorse. Inoltre, puntualizza la Suprema Corte, la pronuncia di incostituzionalità non ha inficiato la legittimità dei provvedimenti adottati determinando una patologia del rapporto cautelare; al contrario, il riconoscimento della sua esistenza in un momento successivo rispetto ad una fase esaurita «e il differente calcolo della durata della custodia, derivante come effetto ulteriore dalla decisione della Corte costituzionale, non può … comportare la rilevazione della già intervenuta scadenza del termine di una fase precedente, imponendo la scarcerazione automatica dell’indagato, con una decisione che produrrebbe, appunto, i suoi effetti “ora per allora”».
In materia di individuazione dei termini di durata massima rileva un ulteriore, e ancor più recente, intervento delle Sezioni Unite19.
In particolare, il Supremo Collegio ha stabilito che ai fini della determinazione della pena agli effetti dell’applicazione di una misura cautelare personale e segnatamente della individuazione dei corrispondenti termini di durata massima delle fasi processuali precedenti la sentenza di merito di primo grado, deve tenersi conto, nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, oltre che della pena stabilita dalla legge per la circostanza più grave, anche dell’ulteriore aumento complessivo di un terzo, ai sensi dell’art. 63, co. 4, c.p., per le ulteriori omologhe aggravanti meno gravi.
Delineando una prospettiva poi confermata dall’intervento riformatore del 2015, la sentenza 26.3.2015,
n. 48 è, sotto il profilo cronologico, l’ultima pronuncia con cui la Corte costituzionale ha censurato di parziale illegittimità l’ormai riformulato art. 275, co. 3, c.p.p.20.
La Consulta, del tutto in linea con un percorso ermeneutico ribadito a più riprese21, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 13, co. 1 e 27, co. 2, Cost., l’art. 275, co. 3, secondo periodo, c.p.p. nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, rispetto al concorrente esterno nel suddetto delitto, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
1 Sul punto v., Cass., S.U., 1.7.1992, n. 11, Grazioso ed altri, in CED rv. n. 191183.
2 Cfr., Cass., pen., 19.4.1990, n. 1510, Sacchi, in CED rv. n. 183210, con riferimento ai casi di estinzione della misura per altra causa o ai casi di liberazione per originaria detenzione sine titulo, ad esempio, per arresto arbitrario avvenuto all’estero.
3 In tal senso, Cass. pen., 12.1.1995, n. 44, Tramacera, in CED rv. n. 200911.
4 Così, Cass. pen., 17.12.1998, n. 6496, Martino, in CED rv. n. 212811; successivamente, tra le molte, Cass. pen., 28.2.2003, n. 23482, Pitaccio, in CED rv. n. 225326; Cass. pen., 1.2.2000, n. 669, Carloni, in CED rv. n. 215407.
5 Cass., S.U., 24.4.2014, n. 28270, Sandomenico, in CED rv. n. 260016. In dottrina, sulla pronuncia, v. Spangher, G., Note in tema di ripristino della misura cautelare e interrogatorio dell’indagato, in Cass. pen., 2014, 3687; Innocenti, D., In caso di rinnovazione della misura caducata per vizi formali rileva il precedente interrogatorio, in Dir. pen. e processo, 2015, 729.
6 Cfr., C. cost., 4.4.2001, n. 95; C. cost., 17.2.1999, n. 32; C. cost., 3.4.1997, n. 77.
7 In tal senso il Supremo Collegio ritiene debbano interpretarsi gli arresti del Giudice delle leggi.
8 V., Spangher, G., Note in tema di ripristino della misura cautelare, cit., 3688.
9 Cass., S.U., 29.5.2014, n. 29556, p.m. in proc. Gallo, in CED rv. n. 259176. Per un’analisi della decisione, v. Caligaris, A., Durata massima della custodia cautelare: le Sezioni unite confermano il valore di limite inderogabile dei termini finali ex art. 304, comma 6, c.p.p., in Cass. pen., 2015, 2343.
10 In particolare, per la non cumulabilità delle cause di aumento (art. 304 c.p.p.) con quelle di sospensione (art. 303 c.p.p.) v., Cass. pen., 7.10.2011, n. 38671, Amasiatu, in CED rv. n. 250847; Cass. pen., 18.12.2009, n. 6239, Cammarata, in CED rv. n. 245989. In senso difforme v., invece, Cass. pen., 11.7.2012, n. 30759, Ali, in CED rv. n. 252938.
11 Cfr., sul punto, Caligaris, A., Durata massima, cit., 2349, nonché, in giurisprudenza, Cass. pen., 18.12.2009, n. 6239, Cammarata, in CED rv. n. 245989.
12 V., in particolare, C. cost. 22.7.2005, n. 299. Nello stesso senso v., Cass., S.U.17.7.2014, n. 44895, Pinna, in CED rv. n. 260926, in cui si è affermato che «la durata della custodia cautelare si ricollega … dal momento genetico di applicazione della misura e nella sua progressiva evoluzione temporale, direttamente alla gravità dell’ipotetico fatto e della relativa pena edittale, in applicazione del principio di proporzionalità, che costituisce il fulcro permanente intorno al quale ruota l’esigenza di mantenere in modo costante un rapporto fisiologico tra la misura da applicare o già applicata e l’entità del fatto e la sanzione che si ritiene possa essere inflitta».
13 Così, C. cost., 18.7.1998, n. 292.
14 Cass., S.U., 17.7.2014, n. 44895, Pinna, in CED rv. n. 260926.
15 Il riferimento corre a C. cost., 25.2.2014, n. 32.
16 Per una efficace ricostruzione della prospettiva accolta dall’orientamento maggioritario v., Ludovici, L., Sui margini di operatività della scarcerazione per decorrenza dei termini rideterminati in mitius per effetto di una declaratoria di incostituzionalità, in Cass. pen., 2015, 551. In senso difforme, in giurisprudenza, Cass. pen., 3.5.2005, n. 23395, Locatelli, in CED rv. n. 231347.
17 Così Ludovici, L., op. cit., 552. Sul tema, oltre alla fondamentale pronuncia della C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 17.9.2009, Scoppola c. Italia, la stessa Suprema Corte richiama gli approdi cui si è giunti a seguito di Cass., S.U., 24.10.2013, n. 18821, Ercolano, in CED rv. n. 258649.
18 Si rinvia, a tal proposito, alla soluzione prospettata dalla Corte costituzionale in tema di prescrizione, nella sentenza del 23.11.2006, n. 393.
19 Il riferimento corre a Cass., S.U., 22.9.2015, n. 38518, Ventrici, non massimata.
20 Per questi ed ulteriori aspetti della riforma operata con legge 16.4.2015, n. 47, v. l’approfondita analisi di Spangher, G., Una piccola riforma della custodia cautelare, in Baccari, G.M. La Regina, K. Mancuso, E.M., Il nuovo volto della giustizia penale, Padova, 2015, 383 ss. e di Marandola, A., I nuovi criteri di scelta della misura, ibidem, 405 ss.
21 Cfr., in successione, C. cost., 24.10.1995, n. 450; C. cost., 21.7.2010, n. 265; C. cost., 12.5.2011, n. 164; C. cost., 22.7.2011, n. 231; C. cost., 3.5.2012, n. 110; C. cost., 29.3.2013, n. 57; C. cost., 23.7.2013, n. 232.