Misure cautelari personali e violenza di genere
Al fine di realizzare una più compiuta tutela della vittima di reato, in linea sia con la direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio sia con la Convenzione di Istanbul, il d.l. n. 93/2013 (conv. in l. dalla l. n. 119/2013) ha provveduto ad una rivisitazione di alcune disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale. In particolare, animato dalla volontà di incrementare il livello informativo della vittima del reato nonché la sua protezione, il legislatore ha interpolato alcune disposizioni in materia cautelare inserendo nuovi obblighi informativi che, seppur funzionali ad un maggior coinvolgimento della vittima, anche in vista di una sua protezione, rischiano di appesantire molto l’iter del procedimento cautelare a scapito della necessità di un intervento tempestivo in questa materia.
La l. 15.10.2013, n. 119, di conversione del d.l. 14.8.2013, n. 93, costituisce un’ulteriore tappa nel percorso che il legislatore nazionale sta intraprendendo al fine, da un lato, di porre un argine al susseguirsi di «eventi di gravissima efferatezza in danno di donne» e, dall’altro, di predisporre un sistema finalizzato «alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica»1. L’intervento normativo, pur non definibile come attuativo di provvedimenti “europei”, è sicuramente debitore degli sforzi che, in ambito UE e di Consiglio d’Europa, si stanno compiendo per assicurare maggiore considerazione alla condizione delle vittime e alle ipotesi delittuose definibili come violenza di genere.
L’humus del d.l. in esame, infatti, è costituito dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio (del 25.10.2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) e dalla Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la l. 27.6.2013, n. 77). Il provvedimento legislativo consiste in un’ampia e articolata gamma di misure, sul piano del diritto sia sostanziale sia processuale, che converge nel comune intento di riconoscere alla vittima del reato una maggiore protezione.
In particolare, gli interventi del legislatore in materia cautelare sembrano rispondere alle esigenze evidenziate, muovendosi su due piani.
Sotto il primo profilo, di tutela concreta della vittima dalle “aggressioni”, si è provveduto all’ampliamento del catalogo dei reati per cui può essere disposta, anche in deroga ai limiti di pena, la misura dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.) e si è introdotta una nuova modalità di controllo della prescrizione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.). Sempre riconducibile, sia pur non direttamente, a questa ratio di protezione, è anche l’ulteriore previsione della comunicazione, al pubblico ministero e al giudice, della sottoposizione dell’indagato/imputato ad un programma di prevenzione della violenza, sottoposizione il cui esito positivo potrà costituire un elemento di valutazione ai fini di una eventuale revoca o sostituzione della misura cautelare.
Sotto il secondo profilo, ossia delle misure dirette ad una anticipazione della tutela, si sono rafforzati i diritti partecipativi della vittima, riconoscendo sia taluni obblighi informativi sia la possibilità di intervenire nelle ipotesi in cui si richieda la sostituzione o la revoca di misure cautelari.
Come anticipato, la novella in esame incide su diverse disposizioni del libro IV del codice di rito. La prima modifica riguarda lamisura coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare e consiste nell’ampliamento del catalogo di reati in relazione ai quali, ai sensi del co. 6 dell’art. 282 bis c.p.p., la stessa può essere disposta in deroga ai limiti edittali di pena fissati dall’art. 280, co. 1, c.p.p. Al suddetto catalogo sono ora aggiunti i delitti di cui all’art. 582 (lesioni personali volontarie), limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, e all’art. 612, co. 2, c.p. L’ampliamento del catalogo si giustifica in quanto i reati richiamati sono spesso i primi sintomi di una violenza familiare e/o di genere, e perciò indicativi di un progressivo decadimento delle relazioni interpersonali. Va segnalato che la specificazione delle ipotesi di lesioni aggravate si deve alla legge di conversione che, opportunamente, ha anche modificato l’art. 4, co. 1, lett. a), d.lgs. 28.8.2000, n. 274, sottraendo alla competenza del giudice di pace il delitto di lesioni qualora perpetrato «contro uno dei soggetti elencati all’art. 577 c.p., secondo comma, ovvero contro il convivente». L’attrazione alla competenza del tribunale, come è evidente, si è resa necessaria onde consentire l’esercizio del potere cautelare, precluso al giudice di pace.
Sempre alla legge di conversione si deve l’aggiunta, al co. 6 dell’art. 282 bis c.p.p., della possibilità di disporre la misura dell’allontanamento applicando le forme di controllo di cui all’art. 275 bis c.p.p., ossia il c.d. braccialetto elettronico. Si tratta di una previsione funzionale ad una maggiore protezione della vittima, attraverso la possibilità di un monitoraggio più effettivo e immediato degli spostamenti dell’imputato/indagato.
Ovviamente, dovrà trattarsi di un “braccialetto” di ultima generazione, ossia di un dispositivo che consenta di tracciare, attraverso un GPS, i movimenti del soggetto cui è imposto2. Il richiamo all’art. 275 bis c.p.p., limitato alle «modalità di controllo», implica che il soggetto sottoposto alla misura debba dare il suo consenso all’installazione e che il dispositivo sia nella disponibilità delle forze dell’ordine. L’eventuale indisponibilità o il mancato consenso all’installazione saranno valutati liberamente dal giudice, il quale ha una facoltà e non un obbligo di applicare, quale prescrizione aggiuntiva, il braccialetto elettronico3.
Il contenuto di maggiore novità, però, è costituito dai nuovi obblighi comunicativi inseriti per il caso di revoca e sostituzione della misura cautelare, obblighi funzionali a coinvolgere maggiormente la vittima nelle dinamiche cautelari. In tal modo si tenta di colmare quel gap di informazione che, fino ad ora, aveva reso la persona offesa la “grande assente” nel sub-procedimento cautelare4.
Il co. 2-bis dell’art. 299 c.p.p. prevede ora che, nei procedimenti riguardanti tutti i delitti commessi con violenza alla persona, i provvedimenti di revoca, sostituzione o applicazione con modalità meno gravose delle misure dell’allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e, dopo la legge di conversione, degli arresti domiciliari, della custodia cautelare (in carcere o in luogo di cura) e del divieto e obbligo di dimora, vanno comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questi, alla stessa vittima. Si tratta, a ben vedere, di un obbligo di informazione in ordine alla variazione del regime cautelare, già previsto sia dall’art. 6, par. 5, della direttiva sulla vittima, sia dall’art. 56, lett. b), della Convenzione di Istanbul, da salutare sicuramente con favore, anche se potrebbe risultare difficoltoso per la polizia adempiere agli obblighi informativi in tutte le ipotesi in cui non sia messa a conoscenza della liberazione del sottoposto a misura cautelare (ossia nei casi di cessazione della misura ex art. 306 c.p.p. o di revoca della stessa in sede di impugnazioni cautelari). Rendendo edotta, per quanto possibile, la persona offesa degli sviluppi della vicenda cautelare si vuole incrementare la protezione per tutte le vittime sensibili al rischio di vittimizzazione secondaria o di intimidazione.
Maggiormente funzionale ad una partecipazione attiva della vittima al procedimento cautelare appaiono, invece, le modifiche ai co. 3 e 4-bis dell’art. 299 c.p.p., che hanno prescritto una sorta di «interpello obbligatorio»5 dell’offeso in caso di revoca e sostituzione delle misure.
Sicché, in presenza di delitti commessi con violenza alla persona, la parte richiedente la revoca o la sostituzione delle misure di cui agli artt. 282 bis, 282 ter, 284, 285, 286 c.p.p. deve, a pena di inammissibilità, notificare la richiesta al difensore della persona offesa o, in sua mancanza, alla vittima che abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. L’obbligo di notifica sussiste per tutte le richieste avanzate sia nel corso delle indagini preliminari, sia dopo la chiusura delle stesse, tranne il caso di proposizione in sede di interrogatorio di garanzia. L’esclusione, espressamente prevista, sembra trovare giustificazione nelle rigide tempistiche dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. che non consentirebbero l’intervento della persona offesa.
La notifica, del resto, dovrebbe ritenersi esclusa anche nelle ipotesi in cui la richiesta sia avanzata in udienza, in quanto la persona offesa, se regolarmente citata e da considerare quindi presente, o se costituita parte civile, potrà interloquire immediatamente6.
Lo scopo della comunicazione, infatti, è quello di coinvolgere la persona offesa nel procedimento cautelare, prima che la decisione venga emessa: se la richiesta è presentata durante le indagini o dopo la chiusura delle stesse,ma fuori dall’udienza, è necessaria l’instaurazione di un contraddittorio cartolare e perciò la persona offesa potrà presentare al giudice competente, entro due giorni dalla notifica,memorie utili a dimostrare la persistenza dei presupposti applicativi della misura7; e, solo scaduto tale termine, il giudice potrà procedere.
Infine, sempre con riferimento agli incombenti comunicativi, la legge di conversione ha aggiunto, nell’art. 282 quater c.p.p., l’obbligo a carico dei servizi socio-assistenziali di comunicare al p.m. e al giudice (e non alla persona offesa) la positiva sottoposizione dell’imputato ad un proprio programma di prevenzione della violenza. La comunicazione ha lo scopo di fornire al giudice e al p.m. nuovi elementi per valutare l’eventuale sostituzione delle misure (o delle modalità applicative) dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Quest’informazione, ininfluente ai fini della iniziativa in ordine alla revoca e alla sostituzione, appare sicuramente utile allo scopo di adeguare la misura alle esigenze del caso di specie. Un programma di prevenzione della violenza, positivamente svolto, infatti, ben può influire sull’esigenza di cui alla lett. c) dell’art. 274 c.p.p. Sotto questo profilo si coglie la scelta di individuare il p.m. e il giudice come destinatari della comunicazione: il primo, infatti, rimane il dominus della domanda cautelare, il secondo, invece, nelle ipotesi di cui all’art. 299, co. 3, c.p.p., può intervenire ex officio ed è quindi opportuno che abbia contezza di elementi che possono influire sulle valutazioni che è chiamato ad adottare. Nei primi commenti si è ritenuto che, nonostante la sua collocazione nell’art. 282 quater c.p.p., dove si fa riferimento ai provvedimenti di cui agli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p., non appare corretto escludere una comunicazione quando ad assoggettarsi al programma di recupero sia un soggetto sottoposto a misure cautelari diverse rispetto all’allontanamento dalla casa familiare e dal divieto di avvicinamento.
Infatti, la positiva sottoposizione dell’imputato a programmi di prevenzione della violenza può costituire un elemento di valutazione importante per tutti quei soggetti la cui pericolosità ha imposto l’applicazione di misure più afflittive8.
Può infine aggiungersi che la previsione dell’art. 282 quater c.p.p. solo a prima lettura può apparire distonica rispetto alla ratio del provvedimento legislativo, ossia la tutela della persona offesa. L’incentivo alla sottoposizione a programmi di recupero – programmi la cui influenza sul regime cautelare in atto sarà sempre discrezionalmente vagliata dal giudice – appare funzionale ad evitare la reiterazione della condotta, così proteggendo la persona offesa.
Diverse sono le questioni interpretative che la novella legislativa pone; in particolare, i profili problematici si concentrano sugli obblighi informativi, obblighi che, in definitiva, costituiscono la vera novità legislativa.
In primo luogo, non è certo semplice definire l’ambito dei procedimenti per cui sussistono questi obblighi informativi. L’art. 299 c.p.p. fa riferimento ai «delitti commessi con violenza alla persona», ossia ad una categoria tanto trasversale nell’ambito del diritto penale sostanziale da risultare eccessivamente generica. In mancanza di una più specifica definizione, si deve ritenere che nella categoria rientrino sicuramente tutti i delitti riconducibili alla nozione di violenza di genere e di violenza nelle relazioni, come definite al n. 17 e al n. 18 del preambolo della direttiva 2012/29/UE. Si tratta, quindi, di tutte quelle condotte che provocano (o potrebbero provocare) un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico alla vittima9. Al riguardo, in giurisprudenza, si è ritenuto che gli obblighi informativi sussistano solo nel caso di condotta violenta che si inserisca nell’ambito di un pregresso rapporto relazionale tra autore del reato e vittima, e non già quando essa risulti del tutto occasionale10.
Una volta definito l’ambito dei procedimenti per i quali occorre avviare il contraddittorio con la persona offesa, le critiche si appuntano sulla previsione dell’inammissibilità della richiesta di revoca o sostituzione in caso di mancata notifica. In primo luogo, può non risultare agevole per l’indagato notificare alla persona offesa, che potrebbe anche non aver nominato un difensore né eletto domicilio e, seppure in quest’ultimo caso l’obbligo di notifica cade, è indubbio che si è fatto carico all’istante di un ulteriore adempimento (ricerca e verifica dell’indirizzo della persona offesa) che rischia di rallentare la tempistica cautelare e far sorgere diverse questioni in ordine alla prova dell’avvenuta notifica11.
In secondo luogo, la sanzione dell’inammissibilità della richiesta, in mancanza della contestuale notifica, appare sproporzionata, sia a fronte della non agevole definizione della categoria dei «delitti con violenza alla persona», sia se si pensa che occorre bilanciare il limitato potere concesso alla vittima, che si esaurisce nel diritto di depositare memorie12, con la libertà personale dell’indagato. Sarebbe stata più coerente la sanzione dell’inammissibilità se si fosse chiaramente delineato l’ambito dei reati per cui occorre instaurare il contraddittorio e alla persona offesa fosse stato concesso il ruolo di parte processuale, cui si sarebbe dovuto accompagnare l’obbligo di nominare un difensore o di eleggere domicilio.
Ma così non è: la vittima non deve dichiarare o eleggere domicilio; l’embrione di contraddittorio non vale a rendere parte, in senso tecnico, la persona offesa. Infatti, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e il silenzio del legislatore, la persona offesa non potrà appellare la pronuncia, né ricorrere per cassazione, né avrà un diritto alla partecipazione in sede di udienza cautelare.
L’intervento normativo appare quindi parziale e frammentato, per cui, in una prospettiva futura, delle due l’una: o si riconosce alla persona offesa il ruolo di parte, con i relativi diritti ed oneri, o le necessità informative devono essere assolte dal giudice o dal p.m., senza costruire ipotesi di inammissibilità delle domande.
Infine, appare criticabile l’aver limitato gli obblighi informativi alla sola ipotesi di revoca o sostituzione delle misure: se si vuole rendere edotta la persona offesa della vicenda cautelare, occorre che il giudice comunichi il provvedimento in tutti i casi in cui la misura sia stata annullata, revocata o modificata in esito alle impugnazioni cautelari, o si sia estinta per qualsiasi ragione.
1 Così si esprime la Relazione al d.l.
2 Gli attuali braccialetti invece consentono solo di monitorare se il soggetto si allontana da un perimetro ben stabilito.
3 Il richiamo all’art. 275 bis c.p.p., essendo limitato alle «modalità », non comporta, in caso di dissenso dell’interessato all’installazione del dispositivo elettronico, l’applicazione della custodia cautelare in carcere. V., le osservazioni di Belluta, H., Processo penale e violenza di genere: tra pulsioni preventive emaggiore attenzione alle vittime di reato, in Legisl. pen., 2014, 83.
4 Grifantini, F.M., La persona offesa nel reato nella fase delle indagini preliminari, Napoli, 2012, 310.
5 Così:Diddi, A., Chiaroscuri nella nuova disciplina sulla violenza di genere, in Processo penale e Giustizia, 2014, fasc. 2, 99.
6 Belluta, H., Processo penale e violenza di genere, cit., 86.
7 Ruggiero, R.A., La tutela processuale della violenza di genere, inCass. pen., 2014, 2356; Belluta,H., Processo penale e violenza di genere, cit., 85, per la conclusione della possibilità di presentarememorie ex art. 121 c.p.p. anche qualora la richiesta sia formulata dopo la chiusura delle indagini preliminari.
8 Pistorelli, L., Prime note sulla legge di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 93 del 2013, in materia, tra l’altro, di «violenza di genere» e di reati che coinvolgono i minori, in www.penalecontemporaneo.it, 16.10.2013, 9.
9 Potetti, D., Il nuovo art. 299 c.p.p. dopo il decreto legge n. 93 del 2013, in Cass. pen., 2014, 981
10 Trib. Torino, ord. 4.11.2013, in Guida dir., 2013, fasc. 47, 16, con nota adesiva di Amato, G., I giudici limitano l’attuazione della nuova disciplina all’esistenza di un pregresso rapporto relazionale; in senso critico: Belluta,H., Processo penale e violenza di genere, cit., 85 e Ruggiero, R.A., La tutela processuale, cit., 2358.
11 Nessun obbligo di notifica, invece, sussiste qualora il giudice si sia attivato ex officio.
12 Belluta, H., Processo penale e violenza di genere, cit., 87.