Abstract
Partendo dall’esame dei presupposti applicativi e dei beni sequestrabili nella disciplina del sequestro preventivo della tradizione si giunge ad analizzare le evoluzioni dell’istituto legate alla lotta alla criminalità del profitto.
Il legislatore del 1988 ha dettato regole ben precise in una materia che, nel precedente codice di rito, non disconosceva il fine preventivo della coercizione reale e che più volte aveva visto adottare misure volte a interrompere l’iter criminoso e a impedire la commissione di nuovi reati. Le nuove disposizioni hanno creato un quadro normativo dai contorni ben definiti stabilendo la riserva di giurisdizione e il principio di tassatività. Per l’applicazione del sequestro preventivo è necessario che ricorrano due presupposti: il fumus boni iuris e il periculum in mora.
In relazione all’estensione concettuale del fumus comissi delicti le posizioni della dottrina appaiono variegate. Da una parte v’è chi ritiene che siano sufficienti precisi indizi di reato il cui collegamento con la fattispecie sia certo ed univoco e vi sia coincidenza tra la fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata (Galantini, N., sub Art. 321 c.p.p., in Amodio, E.-Dominioni, O., Commentario del nuovo codice di procedura penale, III, Milano, 1990, 270). Vi è, poi, chi sostiene che il fumus si sostanzi nei gravi indizi di colpevolezza (Balducci, P., Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, 143). Si riscontra, poi, la posizione di chi reputa sufficiente ad integrare il fumus la sussistenza di un quadro indiziario grave sia in ordine alla avvenuta commissione del reato per cui si procede sia in ordine alla pertinenza del bene da sottoporre a sequestro al reato sia, infine, in relazione al rischio che la libera disponibilità della cosa possa costituire in relazione al quadro criminoso (Fiore, L., Accertamento dei presupposti e problematiche in tema di sequestro preventivo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 558). La Corte costituzionale, in merito, è intervenuta statuendo che il codice prescinde da qualsivoglia profilo di colpevolezza perché la funzione preventiva non si rivolge all’autore del reato ma alla res. Purtuttavia è sempre la Corte a precisare che il giudice deve comunque verificare che un reato esista almeno nella sua astratta configurabilità (C. cost., 17.2.1994, n. 48, in Cass. pen.,1994, 1455). Sull’argomento è intervenuta la Suprema Corte nella sua massima composizione (Cass. pen., S.U., 23.4.1993, Gifuni, in Cass. pen., 1993, 1969) che, chiamata a risolvere un contrasto, ha precisato che in sede di applicazione di una misura cautelare reale al giudice è preclusa la valutazione sugli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi nonché sulla fondatezza dell’accusa. Il giudice deve, cioè, verificare che il fatto attribuito sia semplicemente riconducibile ad una fattispecie di reato. E ciò perché, in punto di condizioni generali di applicabilità, le misure cautelari reali vanno tenute distinte dalle omologhe personali: la libertà personale e la libera disponibilità dei beni sono, difatti, valori aventi un’essenza diversa e, conseguentemente, sono da tutelare con un grado di attenzione differente. La pericolosità della res, nel caso del sequestro preventivo, giustifica l’apposizione della cautela reale e, pertanto, non possono trovare applicazione gli artt. 273 e 274 c.p.p., dettati con esclusivo riferimento alle misure personali (Cass. pen., S.U., 4.5.2000, Mariano, in Arch. nuova proc. pen., 2000, 255). Anche l’antigiuridicità del fatto, nelle argomentazioni delle Sezioni Unite, deve essere valutata in maniera astratta, essendo sufficiente la semplice enunciazione di una ipotesi di reato in relazione alla quale si appalesi la necessità di comprimere la libera disponibilità di una res ad esso pertinente (Cass. pen., sez. II, 13.5.2008, Sarica, in Guida dir., 2008, f. 27, 92). In questo scenario, si colloca una differente ricostruzione, secondo la quale il fumus si sostanzierebbe nella sussistenza di indizi di commissione del fatto per il quale si procede; e, ciò, al fine di scongiurare il pericolo che la misura possa trasformarsi in abuso. In alcune pronunce delle Sezioni Unite si possono intravedere argomentazioni di stampo analogo (Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, in Cass. pen., 1997, 1673 ma anche Cass. pen., S.U., 25.10.2000, Poggi Longostrevi, in Dir. pen. e processo, 2001, 58). Non può, dunque, esserci l’apposizione di un sequestro sul presupposto che il soggetto abbia intenzione di commettere un reato, ma è necessario che storicamente si sia verificato un fatto avente i connotati di un illecito penale (Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, Crispo, in Cass. pen., 1994, 1610). Il principio di legalità, difatti, condiziona alla tipizzazione non solo la punibilità dell’agente ma anche l’applicabilità delle misure cautelari e, pertanto, in linea con questo indirizzo giurisprudenziale, la misura può essere mantenuta solo quando sia possibile stabilire l’esistenza di un vincolo tra la res e il reato per cui si procede. La specificazione di tale vincolo, dunque, deve contenere la precisazione del fatto concreto e della sua riferibilità al soggetto interessato (Cass. pen., sez. I, 23.8.1994, Grazioso, in CED Cass., n. 198922). La giurisprudenza, tuttavia, manifesta posizioni non del tutto uniformi (Gualtieri, P., sub Art. 321 c.p.p., in Giarda, A.-Spangher, G., Codice di procedura penale commentato, Milano, 2010, 3852) pur se gli orientamenti prevalenti trascurano di tenere in considerazione la circostanza per la quale le misure cautelari reali incidono su interessi costituzionalmente protetti e richiederebbero, pertanto, interpretazioni più rispettose, dal momento che il sequestro preventivo potrebbe avere un contenuto più afflittivo di quello di talune misure cautelari personali. Secondo la dottrina (Gualtieri, P., sub Art. 321 c.p.p.,cit., 3853) la soluzione più corretta sembrerebbe quella di considerare necessaria la sussistenza di gravi indizi di reità a carico di taluno: occorrerebbe, dunque, ricercare il collegamento tra reato e una res e non tra il reato e una persona, non essendo indispensabile l’individuazione del responsabile dell’illecito e potendo, la misura, colpire beni di proprietà di terzi. Non avrebbe importanza, così, una valutazione sulla colpevolezza ma un giudizio, positivo, in ordine alla sentenza di condanna. Il giudice, quindi, deve effettuare una valutazione degli elementi rappresentati dal pubblico ministero al fine di verificare l’esistenza di un legame tra res e reato.
Il periculum, come specificato dalla stessa disposizione, si sostanzia nella necessità di evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di un reato ovverosia agevolarne la commissione di altri. La littera legis induce a pensare che il sequestro in questione possa intervenire solo quando la condotta si protrae pur in pendenza del procedimento penale ovverosia quando gli effetti del reato si continuano a manifestare nel corso del procedimento stesso. L’autorità giudiziaria, difatti, deve intervenire in funzione repressiva di un reato in essere e non ante delictum. L’inammissibilità della misura cautelare ante delictum è, altresì, deducibile dal riferimento alla «commissione di altri reati» che si sostanzia non nella formulazione di un giudizio di pericolosità legato alla probabilità astratta che qualcuno commetta un reato, ma nella necessità che la res sia intrinsecamente collegata alla commissione di altri fatti criminosi nonché pertinente al fatto per il quale si procede (Selvaggi, E., sub Art. 321 c.p.p., in Chiavario, M., Commento al nuovo codice di procedura penale, III, Torino, 1990, 364; Cassano, M., sub Art. 321 c.p.p., in Gaito, A., Codice di procedura penale commentato, Torino, 2012, 2049). Non si può prescindere dalla concretezza del periculum nel senso che esso deve consistere in elementi di fatto e deve essere formulato come un giudizio prognostico su un possibile comportamento o avvenimento futuro. In questo senso si è espressa la Suprema Corte quando ha preteso l’accertamento concreto della possibilità che la libera disponibilità del bene fosse tale da aggravare o protrarre le conseguenze dell’illecito ovverosia agevolare la commissione di altri reati. Da tanto deriva che, anche ex officio, l’autorità giudiziaria deve procedere alla revoca della misura ove queste attitudini della res manchino (così in Cass. pen., sez. IV, 18.1.2007, Gagliano, in Cass. pen., 2008, 1145). Si riscontra, tuttavia, qualche isolata pronuncia, secondo la quale sarebbe sufficiente un accertamento in astratto (Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, Colombi, in CED Cass., n. 194586). La Corte nomofilattica ha altresì statuito che il periculum deve essere inteso come probabilità di un danno futuro e concreto quale conseguenza della effettiva disponibilità della res giuridica o materiale della cosa derivante non solo dalle potenzialità della res di aggravare le conseguenze del reato ma anche dalla semplice possibilità da parte del soggetto di contribuire al perfezionamento del reato stesso (ex plurimis, Cass. pen., sez. IV, 23.5.2007, Vatha, in Cass. pen., 2008, 4762). Il periculum va ritenuto sussistente anche nel caso in cui il proprietario abbia in tutto o in parte perso la disponibilità della res laddove il pubblico ministero sia impossibilitato a tenere sotto controllo, ad esempio, eventuali vicende di tipo amministrativo o civilistico che limitano la disponibilità della cosa. In tal caso, comunque, il potenziale periculum comporta la legittimità dell’apposizione della misura (così in Cass. pen., sez. III, 31.3.1998, Lusetti, in CED Cass., n. 219499). La Corte nomofilattica è anche intervenuta nel caso di trasferimento di proprietà che, se legittimo, provoca l’implosione del periculum, fermo restando che debba trattarsi di un acquisto in buona fede e che tutte le formalità del trasferimento siano state espletate (in questo senso Cass. pen., sez. V, 5.7.2005, Cipriano, in CED Cass., n. 231977 nonché Cass. pen., sez. II, 11.1.2007, Ferri, in Arch. nuova proc. pen.,2007, 919). Si rilevano, però, pronunce secondo le quali il sequestro può essere apposto anche nei confronti di chi ha acquistato in buona fede, purché ricorrano i presupposti richiesti, nel senso che il periculum comunque deve ricorrere e deve essere considerato in maniera concreta. Tanto accade nel caso in cui sia altamente probabile nonché imminente il possibile aggravamento delle conseguenze del reato o l’agevolazione nella commissione di altri reati (Cass. pen., sez. V, 16.6.2006, Silletti, in Cass. pen.,2008, 289). Detta circostanza impone, com’è ovvio, un accertamento, anche solo in termini di probabilità, del collegamento di questi beni con le attività delittuose dell’indagato (Cass. pen., sez. VI, 4.7.2008, Cascino, in Arch. nuova proc. pen., 2009, 542). In relazione, invece, a quei reati per i quali è cessata la permanenza e per i quali si può parlare di avvenuto perfezionamento o consumazione, in alcune pronunce non si considera possibile l’apposizione della misura cautelare reale perché il periculum avrebbe perso il carattere dell’attualità (Cass. pen., sez. III, 6.8.2001, Minopolim, in Arch. nuova proc. pen., 2001, 525). In altri abbrivi, invece, il periculum viene considerato in maniera piuttosto estesa, nel senso che il carattere preventivo, per come inteso dal legislatore, ricade su condotte non inquadrabili né nel concetto di evento in senso giuridico né con l’evento naturalistico ma con quelle che permangono nel tempo e aggravano le conseguenze sul bene giuridico tutelato (Cass. pen., sez. II, 2.7.2001, D’Amora, in Arch. n. proc. pen., 2001, 525). In materia è anche intervenuto il giudice di legittimità nella sua più insigne composizione (Cass. pen., S.U., 29.1.2003, Innocenti, in Studium iuris, 2003, 988) – in una fattispecie relativa al sequestro preventivo di alcuni manufatti abusivi la cui costruzione era già stata ultimata – statuendo che il sequestro preventivo può aver luogo anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi purché il pericolo della libera disponibilità della cosa, che il giudice dovrà adeguatamente motivare, presenti i requisiti della concretezza e dell’attualità. Le conseguenze del reato, inoltre, devono avere connotazione di antigiuridicità e consistere nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l’accertamento irrevocabile del reato. Le Sezioni Unite, poi, hanno precisato che, ad interrompere le conseguenze ulteriori rispetto alla consumazione del reato, interviene l’ordine di demolizione ovverosia un provvedimento di confisca che, pur non essendo effetti penali della condanna, sono atti che comunque l’autorità giudiziaria adotta. La dottrina, (Gualtieri, P., sub Art. 321 c.p.p., cit., 3857) ha giudicato snaturato quel sequestro preventivo applicato pur in presenza della consumazione del reato, perché in tal caso non solo non si integrerebbe il requisito del periculum ma, altresì, verrebbe meno il carattere tipico delle misure cautelari che è per l’appunto la provvisorietà.
La disposizione normativa che regola il sequestro preventivo individua nella res pertinente al reato il “bersaglio” cautelare. Non è certamente agevole comprendere il concetto di “pertinenza” ed è per tale ragione che si punta l’attenzione sui fini della misura come indicato nella relazione al progetto preliminare (Doc. giust., 1988, 175). Rispetto alla nozione di res su cui è possibile apporre il sequestro probatorio, tuttavia, il concetto di res pertinente è meno ampio perché si tratta di cose che devono avere un nesso causale col reato che sia stato già commesso ovverosia che siano pertinenti in vista di una possibile commissione futura (Fiore, L., Accertamento dei presupposti, cit.,543). Al fine di individuare il concetto di pertinenza – rilevante quale condizione al fine di sottoporre a vincolo la res – occorre, tuttavia, valutare l’idoneità della res all’aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato, sempreché risulti una chiara relazione tra la cosa sottoposta a sequestro, la condotta delittuosa e la possibilità che venga reiterata la condotta stessa (così, ex plurimis, in Cass. pen., sez. III, 7.3.2011, Giorgetti, in CED Cass, n. 218713). Il giudice, dunque, dovrà valutare il periculum alla luce di diversi elementi, oggettivi e soggettivi, relativi alla res da sottoporre a sequestro. Tra questi occorrerà ovviamente annoverare la sua natura, il suo legame di pertinenzialità col fatto di reato, la destinazione stabile ovvero occasionale col fatto di reato ma anche la personalità dell’indagato o imputato (Cass. pen., sez. III, 21.6.1994, Pizzarella, in CED Cass., n.198181 o ancora Cass. pen., sez. VI, 18.6.1998, Squillante, in CED Cass., n. 211131). In dottrina, si è osservato (Balducci, P., Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, 151) che il concetto di “cosa pertinente al reato” è più ampio rispetto a quello di “corpo del reato” e che le nozioni sono in rapporto di continenza, nel senso che l’insieme delle res pertinenti al reato contiene quelle costituenti i corpi di reato. La modifica legislativa avrebbe avuto il fine di allargare l’elenco delle res sulle quali è possibile apporre il sequestro preventivo, sganciandolo da ciò di cui è consentita la confisca (Cass. pen., sez. VI, 11.12.1998, Tesone, in Dir. pen. e processo, 1999, 721). Secondo il dictum della Corte nomofilattica, poi, il corpo del reato è incluso nel concetto di res confiscabile oltre che di cosa pertinente al reato (Cass. pen., sez. III, 19.5.1995, p.m. in c. Dearca, in CED Cass., n. 202380 nonché Cass. pen., sez. III, 16.11.1990, Monti, in CED Cass., n. 175782). Le res assoggettabili a sequestro preventivo non sono necessariamente res illicitae. Fondamentale, al fine di comprendere se si tratti di res sequestrabili, è la verifica della possibilità che le stesse possano essere destinate alla commissione di altri reati ovvero all’aggravamento delle conseguenze o alla protrazione di quello commesso (Cass. pen., sez. VI, 27.9.1999, Schiavone, in CED Cass., n. 214621). Quanto al concetto di res pertinente al reato, è tale non solo quella caratterizzata da intrinseca strumentalità rispetto allo stesso, ma anche quella caratterizzata da strumentalità rispetto a eventuali e futuri reati di cui si paventa la commissione. Sono, altresì, pertinenti quelle cose che risultano indirettamente legate al reato oggetto del procedimento e sempre che possano aggravare o protrarre le conseguenze del reato commesso ovverosia agevolare la commissione di altri reati (Cass. pen., sez. V, 6.6.2006, in Dir. giust., 2006, fasc. 28, 49). La giurisprudenza, inoltre, afferma che non è sufficiente, al fine di assoggettare la res a sequestro, che questa sia stata semplicemente utilizzata per la commissione del reato, ma è necessario che essa rappresenti un mezzo indispensabile per l’attuazione o la protrazione della condotta criminosa (Cass. pen., sez. V, 30.1.2004, Roccetti, in Guida dir., 2004, fasc. 20, 81).
Nonostante l’apparente paradosso, la giurisprudenza ha dovuto precisare che non sono assoggettabili a sequestro preventivo le cose inesistenti alla data di consumazione del reato perché mancherebbe ogni nesso di pertinenzialità tra le stesse ed il fatto di reato (così in Cass. pen., sez. VI, 23.11.2000, in CED Cass., n. 218212). Possono essere oggetto di sequestro tanto beni immobili quanto beni mobili nonché animali che, secondo i principi del diritto civile, sono assimilati alle “cose” a fini processuali (così in Cass. pen., sez. I, 6.3.1995, Villano, in CED Cass., n. 200434). Scopo della misura non è quello di inibire comportamenti penalmente rilevanti, perché a tanto sono deputati altri istituti processuali penali (Gualtieri, P., sub Art 321 c.p.p., cit., 3861; Cassano, M., sub Art. 321 c.p.p., cit., 2054). Pertanto, oggetto della misura non può essere un’attività ma solo il risultato di questa. Per tale ragione risulta illegittimo il sequestro preventivo apposto su documenti relativi ad un procedimento amministrativo, perché si risolverebbe in una indebita invasione della sfera di attività della pubblica amministrazione; per il medesimo motivo è illegittimo quel sequestro preventivo di una centrale elettrica, la cui attivazione non era stata preceduta, contrariamente a quanto previsto nelle autorizzazioni, dalla rilevazione, per un certo tempo, della qualità dell’aria nella zona (rispettivamente in Cass. pen., sez. VI, 2.2.1999, Bottani, in Cass. pen., 2000, 457 e in Cass. pen., sez. III, 3.2.2006, Rapotan e altri, in Arch. nuova proc. pen., 2007, 116). Questo, ovviamente, può accadere solo nella misura in cui nell’azienda non si compia attività illecita accanto all’attività lecita e, tanto, deve emergere da elementi concreti e precisi che dimostrino la pericolosità del mantenimento della libera disponibilità della res (così in Cass. pen., sez. VI, 25.9.2003, Pepe, in CED Cass., n. 226820). Al tempo stesso non è stato individuato alcun nesso rispetto al reato di cui all’art. 22 d.lgs. 25.7.1998, n. 286 (così in Cass. pen., sez. I, 6.7.2007, Yu, in Cass. pen., 2008, 4272) delle res costituenti l’azienda che occupa anche solo per la gran parte lavoratori clandestini. Nell’ipotesi in cui il bene appartenga ad un terzo ovvero nel caso in cui il terzo disponga del bene – vantando, ad esempio, sullo stesso qualche altro diritto reale –il sequestro può essere apposto nonostante il pregiudizio che il terzo possa subire perché è prioritaria, rispetto alla tutela del singolo, la tutela della collettività (Cass. pen., sez. VI, 7.10.2008, Calcestruzzi s.p.a., in Cass. pen., 2009, 4796). Si tratta di una legittimità che deriva dalla circostanza secondo la quale il sequestro preventivo presuppone un nesso di pertinenzialità tra res e reato e non tra reato e autore; ragion per cui, ad eccezione del caso in cui si tratti di sequestro finalizzato alla confisca, il vincolo può essere apposto anche su un bene che non appartenga all’autore del reato. È, però, il caso di osservare che il sequestro, nel caso di soggetto proprietario della res non indagato, può sì essere apposto, ma a patto che si riesca a dimostrare che si tratti di una intestazione fittizia e che nella realtà i beni siano nella piena disponibilità dell’indagato (così in Cass. pen., sez. V, 15.2.2001, Butti, in CED Cass., n. 219062) e fermo restando che occorreràtutelare il terzo in buona fede che avrà l’onere di dimostrare il proprio stato di inconsapevolezza ovverosia l’ignoranza dell’uso illecito della cosa (Cass. pen., sez. III, 4.11.2008, C.G., in CED Cass., n. 241771). L’art. 321, co. 2, c.p.p. prevede l’apposizione del sequestro preventivo sulle cose di cui è consentita la confisca. Non si tratta, purtuttavia, della sola confisca facoltativa. Nonostante il tenore letterale della norma, sarebbe una conclusione aberrante quella che conduce a ritenere che il legislatore abbia valutato meno pericolose le res oggetto di confisca obbligatoria rispetto a quelle oggetto di confisca facoltativa (Gualtieri, P., sub Art. 321 c.p.p., in Giarda, A.-Spangher, G., Codice di procedura penale commentato, Milano, 2010, 3863; nonché Cass. pen., sez. VI, 17.3.1994, Pompei, in Cass. pen.,1995, 3459). In giurisprudenza si è ripetutamente affermato che sia sufficiente, in dette ipotesi, la mera confiscabilità del bene, prescindendo, dunque, dal riscontro dei presupposti per la legittimità del sequestro c.d. impeditivo, ossia il fumus ed il periculum in mora (Cass. pen., sez. VI, 26.8.1999, Sicignano, in CED Cass.,n. 214173). In tema, le Sezioni Unite hanno statuito che nella confisca delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce reato, non è necessaria solo l’intrinseca pericolosità della res ma anche la valutazione dell’azione e del soggetto (Cass. pen., S.U., 13.1.1995, Filidei, in Giur. it., 1995, II, 528). Anche in materia di comproprietà, la giurisprudenza è intervenuta precisando che le quote non appartenenti all’imputato o indagato non possono essere avvinte dal sequestro preventivo e, in caso di indivisibilità delle res, in sede di confisca si può profilare l’ipotesi in cui lo Stato diventi comproprietario in luogo dell’imputato (Cass. pen., sez. III, 13.11.2007, Ortega, in Cass. pen., 2009, 1150). In tal caso, però, il terzo non deve avere alcun collegamento con l’illecito ovverosia non deve aver partecipato alla commissione del reato pur se lo abbia fatto con attività non punibili (Cass. pen., sez. II, 16.2.2009, C.G., in Giur. it., 2010, 402).
Il nostro apparato codicistico non contempla espressamente la figura del sequestro dell’equivalente. Non si tratta di un istituto autonomo e nasce in virtù della possibilità di far regredire nell’alveo delle cautele reali le caratteristiche operative della confisca. Attraverso lo strumento cautelare di valore è, difatti, possibile aggredire cose aventi peso economico equivalente al provento del reato, perché lo stesso funge da “ponte cautelare”, anticipando alla fase procedimentale gli effetti che la misura ablatoria avrebbe con la sentenza definitiva. Proprio perché è strumentale all’emissione di un successivo provvedimento ablatorio definitivo, esso viene sovente qualificato come pena accessoria applicata in via provvisoria (Amodio, E., Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della coercizione reale nella prassi e nella giurisprudenza, in Cass. pen., 1982, 1081; Castellano, M.-Montagna, M., Misure cautelari reali, in Dig. pen., VIII, Torino, 1994, 100; Vergine, F., Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, Padova, 2012, 338). Dal punto di vista normativo l’istituto trova collocazione in seno all’art. 321 c.p.p., che è stato modificato ad opera della l. 27.3.2001, n. 97 che ha introdotto il co. 2-bis c.p.p. rendendo, tra l’altro, obbligatorio il sequestro preventivo dei beni di cui era consentita la confisca (Gualtieri, P., Sequestro preventivo, in Scalfati, A., Trattato di procedura penale, 2, II, Torino, 2008, 404) con riferimento ai reati previsti dal capo I del titolo II del libro II c.p. Il sequestro preventivo, dunque, da strumento finalizzato a paralizzare i beni legati da nesso di pertinenzialità col fatto di reato, diviene strumento che anticipa la misura ablativa anche su beni aventi valore corrispondente a ciò che dovrebbe essere confiscato, indipendentemente da qualsivoglia legame della res con la condotta criminosa. L’atteggiarsi dei presupposti del sequestro preventivo della tradizione in relazione al sequestro per equivalente è connotato da originali peculiarità. In primo luogo, ed in relazione al periculum, non è richiesta alcuna prognosi di pericolosità derivante dalla libera disponibilità dei beni che non sono legati da nesso pertinenziale col fatto di reato né tantomeno sono per propria natura confiscabili (Cass. pen., sez. III, 14.1.2010, C.Z., in Cass. pen., 2011, 311; Cass. pen., sez. I, 27.10.2009, B., in Dir. pen. e processo, 2010, 34). In secondo luogo, poi, a proposito del fumus delicti, la giurisprudenza – come previsto in via generale in relazione al sequestro impeditivo – ritienenecessario che un reato sia quantomeno configurabile in astratto (ex plurimis, Cass. pen., sez. II, 21.12.1999, Coppola, in CED Cass., n. 215189) arrivando a sostenere che per l’emissione di provvedimenti cautelari reali non sia necessaria alcuna valutazione della fondatezza dell’ipotesi accusatoria e che il controllo del giudice debba limitarsi solo all’astratta possibilità di incasellare il fatto attribuito all’indagato in una determinata fattispecie di reato (cfr. Cass. pen., sez. III, 21.1.2010, P.M.); Cass. pen., sez. V, 24.3.2009, Salvatore, in CED Cass., n. 243942; Cass. pen., sez. V, 12.11.2008, C.G.V., in Dir. pen. e processo, 2009, 994 con nota di M. Pierdonati, Fumus in re ipsa del delitto e “giudicato cautelare” nel sequestro preventivo). La Corte costituzionale (C. cost., 17.2.1994, n. 48, in Cass. pen., 1994, 1455) ha ritenuto non necessaria l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, in base all’assunto che la funzione cautelare reale non si proietta sull’autore del fatto ma su cose la cui libera disponibilità possa costituire un rischio per la collettività. Purtuttavia un ragionamento di tal fatta, se riferito al sequestro per equivalente, conduce ad una opposta conclusione, perché la confisca dell’equivalente non è proiettata su res intrinsecamente illicitae e possiede una natura indiscutibilmente sanzionatoria, rivolgendosi al soggetto più che alla cosa sequestrabile. Dunque, in relazione ai presupposti di applicabilità, sarebbe auspicabile una positiva verifica della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato (cfr. Romanelli, G., Confisca per equivalente e concorso di persone nel reato, in Dir. pen. e processo, 2008, 877). Appare chiara, dunque, la finalità del sequestro per equivalente: essa si sostanzia nella volontà di assicurare le garanzie patrimoniali necessarie per l’esecutività della decisione finale piuttosto che di neutralizzare una presunta pericolosità della res sequestrabile. Occorre accennare all’istituto contemplato dall’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306 che, prima della riforma, prevedeva la possibilità di applicare il sequestro preventivo ante confisca su denaro, beni o altre utilità di cui determinati soggetti, condannati per talune tipologie di reato, avessero disponibilità o fossero titolari in misura sproporzionata rispetto al reddito dichiarato. L’indiscusso appeal della confisca di valore (Vergine, F., Il sequestro preventivo dell’equivalente,in Enc. giur. Treccani, Roma, 2010, 1) ha esercitato una pressione sul legislatore che nel 2008 ha interpolato la norma in questione (d.l. 23.5.2008, n. 92, conv. con mod. dalla l. 24.7.2008, n. 125). Nel corpo della citata disposizione sono stati introdotti i co. 2-ter e 2-quater (attraverso l’art. 10 bis, co. 1, l. cit.) che autorizzano la confisca di valore. La previsione, ovviamente, ha legittimato l’esecuzione del sequestro per equivalente. Qualche autorevole voce in dottrina, in merito, ha parlato di «incongruenza» della disposizione introdotta e di «opportuna riscrittura» avvenuta ad opera della l. 15.7.2009, n. 94 (Cisterna, A., Strumenti e tecniche di accertamento della confisca per sproporzione e della confisca per valore equivalente, in Giur. it., 2009, 2084 ss.; sul punto si veda anche Vergine, F., La componente temporale della sproporzione quale fattore riequilibratore del sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12-sexies D.L. n. 306 del 1992, in Cass. pen., 2011, 619). Sotto il profilo dei presupposti, tuttavia, va richiamata quella giurisprudenza che specifica che, per poter disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi del co. 2-ter,il presupposto, quanto al fumus delicti, debba essere ravvisato nell’astratta configurabilità di una delle ipotesi criminose indicate dalla norma, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità (Cass. pen., sez. VI, 12.1.2010, M., in Guida dir.,2010, f. 13, 88). Il confronto tra reddito dichiarato e patrimonio posseduto deve, poi, essere necessariamente riferito a un contesto temporale anche precedente alla commissione del reato contestato, ma costituente il limite del thema decidendum relativo alla procedura cautelare: in altri termini, dovrà risultare che la sproporzione rilevata si riferisca ad un determinato periodo di tempo, al di fuori del quale il sequestro – e dunque l’eventuale successiva confisca – non trovano giustificazione.
Artt. 75, 78, 125, 273-274, 321, 384, 665 c.p.p.; artt. 104 e 218 norme att. c.p.p.; artt. 189-193, 334 c.p.; artt. 514 ss., 520, co. 2, 545, 671 c.p.c.; artt. 177, 195, 1101, 1854, 2047 ss., 2913, 2948 c.c.; art. 3 d.lgs. 20.2.2006, n.106; art. 22 d.lgs. 25.7.1998, n. 286; decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2005/212/GAI; art. 2, co. 1, d.l. 20.6.1994, n. 399, modificato dalla l. 15.7.2009, n. 94 (cd. pacchetto sicurezza); art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306; d.l. 23.5.2008, n. 92.
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